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M. arriva dal Gambia, ha 17 anni ed è in Italia dal 2023. Il suo viaggio è stato molto impegnativo e rischioso, ha dovuto attraversare il deserto e poi ha avuto una brutta esperienza in mare con il barcone, ha avuto molta paura, preferisce non parlarne. Per arrivare in Italia, è partito dal Gambia, ha attraversato l’Algeria poi la Tunisia, è arrivato a Lampedusa, è stato trasferito a Biella e poi ha raggiunto la struttura “Il Galletto” di Felizzano. In Africa vive attualmente la sua famiglia, composta dalla madre e da 4 sorelle e 2 fratelli, ha frequentato una scuola araba, sa parlare l’arabo, l’inglese e pochissimo italiano, sta frequentando attualmente la scuola di italiano, è un ragazzo musulmano e si reca nella Moschea di Alessandria. Gli piacciono gli animali, in Africa aveva un cane, gli piace cucinare, giocare a calcio e fa parte di una squadra di un paese vicino a Felizzano dove gioca con ruolo centrale, gli piace il tennis. Racconta di avere pochi amici in Italia, non si fida molto, ha instaurato un buon rapporto di fiducia con alcuni operatori della comunità “Il Galletto” dove attualmente è ospitato. In Africa ha studiato qualche anno, non ha mai lavorato, gli piacerebbe fare il panettiere. Da qualche settimana, grazie al progetto Tempo al tempo, ha potuto iniziare a frequentare un tirocinio presso un panificio, afferma di trovarsi molto bene e di piacergli il lavoro che svolge, si trova bene con il responsabile e gli altri dipendenti. Il giovane dimostra volontà e impegno e spera che da questa esperienza lavorativa possa maturare e nascere la possibilità di un impiego stabile.
A. è un ragazzo egiziano di 16 anni arrivato in Italia dopo un faticoso viaggio affrontato con determinazione e coraggio. Il ragazzino ha deciso di lasciare il suo paese e i suoi famigliari per poter sperare in un futuro migliore. Ricorda il suo percorso: dall’Egitto alla Libia, un mese in Libia per lavorare e pagarsi il viaggio, poi il viaggio per raggiungere le coste dell’Italia, su un barcone carico di centinaia di persone, verso Lampedusa, durato 2 giorni e poi l’approdo sull’isola, successivamente il trasferimento a Milano e l’arrivo presso la struttura “Il Galletto” di Felizzano (Al). Il ragazzo si trova molto bene nel paese di Felizzano e in struttura, ha trovato persone che si occupano di lui e nuovi amici e conoscenti. A. racconta che al suo paese ha studiato dai 7 ai 13 anni, gli piaceva giocare a calcio, viveva con la sua famiglia composta dai genitori e una sorella più grande ed un fratellino di 3 anni, mantiene rapporti telefonici con loro. In Italia sta studiando la lingua italiana, inizierà a breve un corso professionale per elettricista e sta frequentando una società sportiva di calcio per poter riprendere a giocare, sua grande passione. Al. appare riservato, attento e curioso, gli piace la musica, i film, la cucina italiana, è piuttosto autonomo nella sua quotidianità e volenteroso a proporsi nel voler fare le cose. Va d’accordo con i suoi compagni e con gli operatori presenti in struttura, fa ancora molta fatica a parlare Italiano, dimostra impegno ma la conoscenza della lingua è ancora molto limitata. Il sogno di A. è quello di imparare un mestiere, possibilmente l’elettricista, di risparmiare soldi e di poter avere una casa tutta sua.
Il Csi, ente riconosciuto dal Coni, quest’anno compie 80 anni e ha come obiettivo quello di educare attraverso lo sport.
Paolo Ciccio è il presidente a Reggio Calabria e racconta il cammino fatto. Un processo di cambiamento che ha visto i territori, con la rigenerazione urbana degli spazi pubblici abbandonati, mutare attraverso il gioco, lo sport e l’integrazione. Pilastri, questi, di un percorso che ha fatto sì che tutti insieme giocassimo tutta un’altra partita: quella della legalità, dell’inclusione.
Al centro del progetto del Centro sportivo italiano, a Reggio Calabria, c’è la persona e i suoi bisogni.
Grazie al Garante metropolitano dell’infanzia e dell’adolescenza il Csi è riuscito a creare una rete forte che ha portato ad Arghillà, Modenelle, estrema periferia a nord di Reggio Calabria, a far nascere un campo sportivo.
Attraverso poi le Fondazioni è riuscito a realizzare dei laboratori anche per i ragazzi migranti, sbarcati negli ultimi tempi sulle coste calabresi.
Lo sport per promuovere il benessere tra le persone e una comunità educante.
L’idea del Csi è anche quella di offrire anche la possibilità di un “secondo tempo” alle persone, per questo insieme al Tribunale per i minorenni di reggio Calabria sono stati realizzati dei percorsi di “messa alla prova” per giovani che hanno commesso un reato, piccoli reati, e ritrovare così la via della legalità attraverso il gioco e un percorso educativo anche grazie al grande contributo dei volontari.
Il Csi punta all’inclusione e alla capacità accogliente di questa nostra comunità reggina che c’è e che va solo ritrovata.
D. ha 17 anni ed è nato in Gambia a Banjul, il ragazzo è estremamente timido e mi comunica la sua difficoltà nel parlare l’italiano, lo conosce poco e lo parla in maniera ancora molto incerta. Ha lasciato il suo paese nel 2022 e si è diretto verso l’Italia passando per vari stati come il Senegal, il Mali, l’Algeria, la Tunisia per giungere a Lampedusa. D. in modo molto semplice e sincero, racconta di non essere mai andato a scuola in Gambia e di non avere mai studiato. E’ figlio unico, il padre è morto e la madre si è risposata con un uomo che non lo trattava bene così ha deciso di intraprendere il viaggio per avere un’opportunità per il proprio futuro. Da Torino è stato trasferito in provincia di Asti e per ultimo è stato ospitato a Felizzano presso “Il Galletto”. Il giovane afferma di sentirsi bene, di essere al sicuro, riferisce con sincerità di non avere paura, qui nessuno gli potrà fargli del male, va d’accordo con tutti, è volenteroso e ha voglia di imparare l’italiano, chiede spesso alle operatrici un supporto ed un aiuto nello studio della lingua italiana; a settembre 2024 riprenderà la scuola Cpia ad Alessandria. D. afferma di non aver mai lavorato, si sente di voler provare a fare l’imbianchino oppure il saldatore: nell’autunno inizierà un corso professionale per imparare questo mestiere. Ama guardare serie tv e spettacoli teatrali sul telefonino, gioca a calcio in una squadra di un paese limitrofo a Felizzano, è piuttosto riservato e ama trascorrere il tempo nel giardino della struttura.
Giulia ha 25 anni e ha avviato la sua attività due anni fa. Dopo aver studiato al liceo delle Scienze Umane, ispirata dalla carriera della madre, insegnante, inizialmente pensava di seguire le sue orme. Tuttavia, dopo il diploma, le si è presentata un'opportunità per aprire un bar. Decisa a prendere una strada diversa, ha scelto di avviare il suo locale, con il sostegno della famiglia che l'ha aiutata a intraprendere questa nuova sfida.
Giulia ha cercato di allontanarsi dall'ambiente scolastico, ma si è ritrovata con il suo bar proprio di fronte alla scuola. Questo si è rivelato un vantaggio, poiché ogni mattina molte mamme e persone che accompagnano i figli a scuola passano dal bar. Anche se ha scelto una strada diversa, la figura della sua mamma è sempre presente: molti clienti le chiedono di salutare la madre e spesso parlano di lei, e di questo Giulia è molto contenta
Nel tempo libero, da piccola, Giulia ha praticato danza per 17 anni, sia classica che moderna. Tuttavia, a causa dell'impegno richiesto dallo studio, ha dovuto lasciare la danza. Oggi, la sua passione è dedicata alla scrittura di libri, un interesse che continua ad alimentare con entusiasmo.
Giulia vive a Bruino, ma lavora tutto il giorno a Piossasco, dove sua mamma ha lavorato per molti anni. La sua casa a Bruino è principalmente un luogo dove dorme, mentre trascorre la maggior parte del tempo a Piossasco.
Per il futuro, Giulia sogna di espandere la sua attività, aprendo una sala sottostante per creare un bar-ristorante con una tavola calda. A livello di città, vorrebbe che si fanno più attività ed eventi che coinvolgono i giovani.
Cesare Melillo, sposato a 69 anni e padre di due figli, è nato da genitori meridionali. Sua madre, siciliana, e suo padre, pugliese, si trasferirono a Torino negli anni Cinquanta per motivi lavorativi senza conoscersi prima. Si incontrarono a Torino
Il padre di Cesare iniziò come imbianchino, mentre sua madre lavorava instancabilmente come sarta, dalle sei del mattino fino alle dieci di sera, anche da casa. Nonostante i salari modesti e le lunghe ore di lavoro, riuscirono a mettere da parte abbastanza soldi per comprare una casa, grazie ai loro sacrifici.
In quell'epoca, Cesare ha vissuto anche i contrasti culturali tipici di Torino, una città popolata da molti meridionali, seconda solo a Napoli e Palermo. Spesso si trovava davanti a cartelli nei negozi che dicevano 'non si affitta ai Meridionali', un chiaro segno delle difficoltà e delle discriminazioni che la sua famiglia e altre come la sua dovettero affrontare.
Cesare si sentiva più siciliano che pugliese, perché ogni 1° agosto, quando le aziende come la Fiat chiudevano per le vacanze, la famiglia intera si recava in macchina dai nonni materni in Sicilia. Queste vacanze hanno consolidato le tradizioni e le abitudini siciliane nella sua vita.
Negli anni Ottanta, Cesare ha studiato per diventare perito e, durante quel periodo, ha incontrato sua moglie Carla. Il lavoro più lungo della sua carriera è stato quello di ispettore del lavoro, ruolo che ha ricoperto per 33 anni. Questo lavoro consisteva nel controllo delle fabbriche e delle aziende per garantire il rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro.
Oltre alla sua carriera, Cesare continua a essere attivamente coinvolto come volontario, sia in ambito culturale sia nel gruppo dei volontari per il lavoro. È molto conosciuto e rispettato nella comunità di Piossasco, dove il suo contributo e il suo aiuto sono sempre apprezzati.
Cesare è anche una persona molto credente. Frequentando l'ambiente della Chiesa, si è avvicinato molto a Dio e ha avuto l'opportunità di conoscere persone che considera maestre di vita, che gli hanno insegnato molto e arricchito il suo percorso spirituale.
Tiziana è ila proprietaria di un'oreficeria. È nata a Torino nel 1963, ma ha vissuto a Piossasco fino a quando aveva quattro o cinque anni, poi si è trasferita ad Asti per motivi lavorativi del padre. Successivamente, la famiglia è tornata a Piossasco sempre per motivi di lavoro. Ha avuto un'infanzia felice fino ai sedici anni, quando sua madre si è ammalata gravemente. Da quel momento, Tiziana è rimasta con la nonna e il padre. Il papà, che lavorava come autista di pullman di linea, ha dovuto cambiare lavoro per stare vicino a lei e ricoprire entrambi i ruoli di genitore.
Quattro anni dopo la morte della madre, il padre di Tiziana si è risposato con una donna che, secondo Tiziana, è stata per lei una seconda mamma. Hanno vissuto insieme per quarant'anni e questa seconda mamma è venuta a mancare recentemente all'età di ottantacinque anni.
Tiziana ha parlato del suo lavoro con grande passione. Ha gestito la sua oreficeria dal 1989 e, prima di aprire il proprio negozio, ha lavorato per cinque anni come commessa in un'altra oreficeria. È molto dedicata al suo lavoro e vende una varietà di articoli regalo di diverse marchi, tra cui collane, anelli, orecchini e altri gioielli. Inoltre, Tiziana è stata presidente dell'associazione commercianti per tredici anni, durante i quali ha organizzato eventi, fiere e mercatini, contribuendo attivamente alla comunità locale.
Tiziana ha sempre tenuto molto a Piussasco e ne è molto orgogliosa. Durante il suo mandato come presidente dell'associazione commercianti, ha organizzato molte attività e iniziative insieme ai colleghi e con il sostegno delle varie amministrazioni comunali. Ora, vorrebbe vedere una riqualificazione del centro storico, sostenendo i proprietari dei negozi affinché non restino sfitti, rendendo i canoni di affitto più accessibili rispetto a quelli delle grandi città come Torino.
Oltre al suo impegno lavorativo, Tiziana ha sempre avuto una passione per lo sport, che l'ha aiutata a evitare cattive influenze. Da giovane ha praticato molti sport, tra cui le maggiorette e il twirling, e ha persino insegnato twirling. Ha anche praticato il nuoto e altre attività sportive, anche se ha dovuto ridurre il tempo dedicato a questi hobby a causa del lavoro. Tuttavia, continua a mantenersi attiva, andando a cavallo e partecipando a diverse attività sportive.
Ornella è davvero dedicata al suo lavoro e apprezza molto il contatto con i clienti, aiutandoli a scegliere gli occhiali più adatti. È chiaro che il suo impegno e la sua conoscenza locale le permettono di offrire un servizio molto personalizzato e di alta qualità. Lavorare in un ambiente che conosce bene, come Piossasco, deve essere un grande vantaggio per lei. dall’ottico hanno davvero trovato un modo innovativo per migliorare il servizio del negozio con il noleggio degli occhiali. Questo approccio è particolarmente utile per le famiglie con bambini, che devono cambiare spesso gli occhiali. Inoltre, l'iniziativa di scattare una foto ai clienti con i loro nuovi occhiali e condividerla sui social è un'ottima strategia per fidelizzare la clientela e creare un senso di comunità. È bello vedere come queste idee possano avere un impatto positivo tanto sui clienti quanto sull'attività stessa.
Ornella desidera che Piossasco diventi un luogo con più iniziative e condivisione. Crede che sia importante che tutti contribuiscano per rendere la società più positiva e vivibile. Inoltre, sottolinea l'importanza di educare i giovani fin da piccoli, affinché imparino a comportarsi bene e a prendersi cura della loro città e dell'ambiente.
Fiorini, Tiziana Fiorini, è una donna di 64 anni, nata a Torino e ha vissuto sempre a y. La sua mamma è di origine piemontesi, il papà era di provincia di Ferrara.
I genitori di Tiziana si sono conosciuti nel Pullman perché sono tutti e due operai. Lui lavorava alla Fiat e lei lavorava presso una fabbrica ad Orbassano e si sono incontrati durante il tragitto al lavoro in Pullman, si sono conosciuti, poi in seguito si sono sposati e hanno avuto Tiziana in una figlia unica. Tiziana ha studiato a Pinerolo come ragioniera e in seguito ha lavorato per 19 anni presso il Comune di Piossasco si è trasferita nella provincia di Torino, oggi città metropolitana. Ha ricoperto vari ruoli, inclusi quelli legati al turismo, ai progetti con la frontiera francese e allo sport, e ha avuto un ruolo chiave nell'organizzazione delle Olimpiadi del duemilasei. Dopo la pensione, ha sentito il bisogno di impegnarsi in due associazioni significative: l'AMPI e l'Unitre, università della terza età.
Tiziana ha scelto di unirsi all'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) perché suo padre, originario della provincia di Ferrara, era cresciuto in una regione rossa e di sinistra, spesso bersaglio del fascismo. I suoi nonni e parenti erano contadini e hanno subito violenze, con alcuni addirittura deportati in Germania. Questi racconti della sua infanzia l'hanno segnata profondamente. Dopo il pensionamento, ha deciso di contribuire all'ANPI, un'associazione che ricorda la resistenza e lavora con le scuole per educare le nuove generazioni sulla storia.
Tiziana verrebbe che se riprendesse il gemellaggio e gli scambi culturali con città europee, promuovendo scambi tra scuole e famiglie. Inoltre, desidera migliorare le strutture sportive al Parco Monte San Giorgio e valorizzare i luoghi storici come Casa Lajeolo.
Romina Anardo 42 anni, lavora come giornalista locale per l'Eco del Chisone. Ha studiato a Pinerolo e proviene da una famiglia di operai: il padre era di origine sarda e la madre di origine friulana. I suoi genitori si sono trasferiti aTorino per migliorare la loro situazione lavorativa, si sono incontrati, sposati e hanno avuto tre figli. Inizialmente vivevano a Cumiana, poi si sono trasferiti a Piossasco , in una zona popolare abitata da molte persone provenienti dal sud e dal nord per lavorare nell'industria della Fiat.
Romina è stata una ragazza molto intraprendente e ha sempre desiderato studiare. Ha frequentato il liceo classico, nonostante fosse l'unica figlia di operai nella sua classe e non avesse nessuno che potesse aiutarla con il latino e le materie difficili. Grazie alla sua costanza e determinazione, è riuscita a diplomarsi. I professori le hanno suggerito di intraprendere un corso di laurea in Scienze Internazionali, ma lei ha sempre avuto una passione per la storia. Alla fine, ha seguito il consiglio dei professori ma l'anno scorso ha realizzato il suo sogno laureandosi in Storia.
Durante il periodo universitario, Romina ha incontrato Paolo e dopo ha lavorato in una associazione di educazione Ambientale e in seguito hanno avuto Giosuè il loro primo figlio a Torino.Romina, cresciuta a Piossasco, con il suo verde, le montagne di Monte San Giorgio, le sue amicizie e la sua famiglia, ha sentito il richiamo di casa. Così, insieme a suo marito, ha deciso di tornare a Piossasco e costruire la loro casa lì.
Successivamente, hanno avuto altri due bambini, creando una famiglia felice a Piossasco. Romina è una persona molto socievole e lavora come giornalista per l'Eco del Chisone. La sua scelta di tornare a Piossasco è stata motivata dal desiderio di offrire ai suoi figli un ambiente familiare e accogliente, simile a quello in cui è cresciuta.
Romina ha espresso il desiderio che Piossasco ospiti più eventi culturali e momenti di condivisione, dato che per lei la cultura è fondamentale. I suoi genitori, nonostante avessero solo la terza media, le hanno sempre insegnato l'importanza della cultura. Per loro, leggere e partecipare a eventi culturali era essenziale, non solo per ottenere un lavoro, ma per arricchire se stessi.
Romina vorrebbe vedere Piossasco diventare più moderna e europea, con scambi di gemellaggio tra città per conoscere altre culture e amministrazioni. Le piacerebbe un Piossasco più attiva. Inoltre, propone la creazione di un sito turistico per valorizzare i castelli, Monte San Giorgio, le ville storiche e altri luoghi d'interesse, attirando visitatori e promuovendo escursioni in questi posti importanti.
Noemi è una ragazza di ventuno anni che inizialmente desiderava diventare infermiera. Tuttavia, dopo un po', ha capito che quella non era la strada giusta per lei. Ha deciso di seguire la sua passione per la cucina, una passione trasmessa dalla nonna di origine napoletana, con cui preparava dolci e cibo tipico napoletano.
Noemi si è diplomata in una scuola professionale di Torino, ottenendo un diploma di cucina. Dopo il diploma, ha intrapreso un percorso di formazione attraverso un apprendistato in un bar a Frossasco, dove ha iniziato a fare le sue prime esperienze lavorative.
Successivamente, insieme alla sua famiglia, Noemi ha deciso di aprire un'attività di bar e ristorante. La madre, essendo una cuoca esperta, si occupa della cucina, mentre Noemi gestisce il bar. È molto contenta di questa scelta e lavora con passione. Noemi è una ragazza sognatrice che desidera continuare a crescere e imparare. Ha una grande passione per gli animali e sogna di fare la volontaria nei canili, avendo avuto un piccolo bulldog francese che amava tantissimo.
Noemi ha anche un sogno nel cassetto: viaggiare e trasferirsi in Canada, dove vorrebbe fare corsi di lingua e lavorare. Sin da piccola ha coltivato questo desiderio.
Mi ha parlato molto della sua terra di origine, Napoli, descrivendo i castelli, lo stile di vita e l'aria particolare della città. Ha deciso di chiamare il suo locale "O’ sole’ Napule. per richiamare le sue radici napoletane. Il locale è accogliente e molto divertente, un luogo dove si parla e si condivide buon cibo.
Noemi è una ragazza molto gentile e carina, con un futuro radioso davanti a sé.
Simone Ferrero è un giovane di 31 anni, originario di Torino, e il suo percorso professionale e personale riflette una combinazione di esperienze variegate e passioni. Dopo il diploma in ragioneria e informatica, ha deciso di dedicarsi al campo della comunicazione visiva, perseguendo il sogno di diventare fotografo, grafico e videomaker. Sebbene non abbia ancora raggiunto una stabilità economica con queste professioni, continua a coltivare i suoi interessi creativi, cercando lavoretti part-time per integrare il suo reddito.
Attualmente, Simone lavora presso la biblioteca di Rivalta nel servizio di guardiania. Il suo compito principale è quello di garantire il buon funzionamento della biblioteca, assicurandosi che non ci siano persone chiuse dentro dopo la chiusura e offrendo assistenza agli studenti per informazioni, fotocopie e altre necessità. Simone è anche responsabile della registrazione dell'affluenza dei visitatori, compilando grafici Excel per fornire statistiche alla sua responsabile. È molto attento nel suo lavoro, cercando di evitare qualsiasi errore, come quello di chiudere qualcuno dentro.
Nel tempo libero, Simone è un appassionato di fotografia, con un particolare interesse per i ritratti. Sebbene abbia tentato di farne una carriera, la difficoltà di affermarsi in questo settore lo ha portato a cercare altre fonti di reddito. Inoltre, ama giocare a giochi da tavolo e giochi di ruolo, che sono due delle sue principali passioni.
Simone descrive il suo attuale ambiente di lavoro come "fantastico", paragonando la biblioteca di Rivalta a un castello, e apprezza molto l'ambiente lavorativo. Gli piace passare il tempo all'aperto durante l'estate e trova molto affascinante il posto dove lavora.
Quando si tratta di suggerimenti per migliorare il territorio, Simone nota che mancano eventi interessanti per la sua fascia di età (20-40 anni). Osserva che, mentre vengono organizzati eventi per bambini e per adulti più maturi, le proposte per i giovani adulti sono scarse. Esempi di eventi che potrebbero interessare a persone della sua generazione includono conferenze con divulgatori su temi di attualità, fiere nerd e eventi di cultura pop. Simone suggerisce di organizzare più eventi simili a quelli che ha visto in altre località, come le fiere di gaming e cultura nerd che hanno avuto successo a Volvera e Avigliana. In particolare, propone di sfruttare il castello di Rivalta per ospitare fiere di fumetti, anime e cosplay, visto che il luogo sarebbe ideale per questo tipo di eventi.
In sintesi, Simone Ferrero porta al territorio una combinazione di esperienza nel servizio di guardiania e una profonda passione per la comunicazione visiva e i giochi di ruolo. Le sue osservazioni e suggerimenti riflettono una consapevolezza delle esigenze e dei desideri della sua fascia di età, nonché un desiderio di contribuire a migliorare la vivibilità e l’offerta culturale del territorio.
Maria Pia Brero, nata a Moncalieri e residente a Torino, lavora a Rivalta grazie a una commessa vinta dalla sua azienda, specializzata in servizi di pulizia industriale. Maria Pia ha un ruolo variegato nella sua azienda, occupandosi di pulizie industriali e della gestione di relazioni, turni, bollature e fatturazioni. Non ha completato il diploma di ragioneria, ma è entrata nell'azienda Frassate nel 1990, dopo aver lavorato in supermercati e come dog sitter.
Attualmente separata, Maria Pia è madre di due figli adulti e nonna di due nipoti, con un terzo in arrivo. Desidera trascorrere più tempo con i suoi nipoti e spera di andare in pensione tra circa dieci anni.
Nel servizio di vigilanza presso la biblioteca di Rivalta, Maria Pia si occupa di garantire il rispetto delle regole da parte degli utenti, prevenendo comportamenti inappropriati come il rumore e il furto. Sebbene il suo lavoro possa presentare alcune problematiche, come la gestione di ragazzi poco rispettosi, trova che l’ambiente sia generalmente tranquillo e rilassante.
Nel tempo libero, Maria Pia ama camminare, leggere, trascorrere tempo con le nipoti, e stare all’aria aperta. Le piace visitare nuovi posti, andare in piscina e al mare, e giocare a carte e giochi di società. Non è interessata a restare chiusa in casa, preferendo attività che la portano all’aperto.
Riguardo al territorio di Rivalta, Maria Pia osserva che la città appare tranquilla e poco popolata dopo un certo orario, una differenza marcata rispetto a Torino, che è molto più vivace. Nota che, al di fuori di eventi particolari, Rivalta può sembrare deserta, con poche opzioni per intrattenimento serale. Tuttavia, apprezza le iniziative culturali gratuite promosse dal Comune, che offrono opportunità anche a chi non può permettersi spettacoli o altre attività culturali.
Il suo desiderio più grande è godere di buona salute per poter continuare a fare le cose che ama, come trascorrere tempo con la famiglia e viaggiare. Valuta la salute come un aspetto fondamentale della vita, essenziale per realizzare i suoi desideri e per vivere serenamente.
Alessia è una bibliotecaria di 42 anni, originaria di Torino, ma residente a Rivalta da tutta la vita. Dopo aver studiato per diventare tecnico della gestione aziendale, ha trovato lavoro come bibliotecaria tramite un programma di inserimento lavorativo nel 2003. Da allora, lavora nella stessa biblioteca, ricoprendo vari ruoli che includono la catalogazione dei libri, la gestione dell'emeroteca, e l'assistenza all'utenza. Il suo lavoro include attività come lo scarto dei libri e il controllo della continuità nell'arrivo dei giornali e delle riviste, che devono essere timbrati e verificati per eventuali buchi nella distribuzione.
Alessia ama il suo lavoro e si occupa delle diverse mansioni con entusiasmo, sebbene non abbia una preferenza particolare per una delle sue attività quotidiane. Inoltre, le piace leggere e si dedica alla lettura delle trame dei libri durante il lavoro per poter meglio indirizzare i lettori. Tuttavia, legge libri completi principalmente a casa. Le sue letture preferite sono le biografie e le storie di vita vissuta, con un attuale interesse per "Vita di Liod", un libro leggero di un autore italiano. Tra i suoi libri consigliati c’è "Il libro di Alice" di Alice Sturiale, che le è piaciuto per il suo contenuto ricco e le poesie significative.
Nel suo tempo libero, Alessia si dedica a passeggiate, incontri con amici, e alla piscina. È appassionata di animali, specialmente cani, avendo avuto due cani nella sua vita, con l'ultimo, Chida, deceduto recentemente. Nonostante il dolore per la perdita di Chida, Alessia considera la possibilità di adottare un altro cane in futuro. Le piace anche viaggiare, preferendo città europee e luoghi verdi dove può passeggiare. Sebbene attualmente non abbia desideri particolari per il futuro, apprezza la vita a Rivalta e non ha osservazioni specifiche sui trasporti pubblici, poiché non li utilizza.
Nel corso degli ultimi vent'anni, Alessia ha visto significativi cambiamenti nella biblioteca, tra cui un trasferimento nella nuova sede nel 2017, che ha portato a spazi più ampi e meglio organizzati, con aree separate per adulti, bambini e ragazzi. Questo cambiamento ha migliorato l'accessibilità e l’esperienza dei visitatori. La biblioteca ha visto un incremento della frequentazione, in parte grazie all'introduzione di orari serali per gli studenti universitari, una misura avviata circa due anni fa e che ha avuto un buon riscontro. Alessia ha notato una maggiore affluenza di bambini, ragazzi e studenti universitari, anche se non ha dati statistici specifici sulla frequenza. La biblioteca ora è aperta a tutti e svolge un ruolo importante non solo per i cittadini di Rivalta ma anche per quelli dei comuni limitrofi.
Daniele Prandelli, 22 anni, ha seguito un percorso di formazione artistica e culturale che ha avuto inizio con il liceo artistico a Torino e successivamente con un corso di fotografia nella stessa città. Dopo aver completato questi studi, ha intrapreso un anno di servizio civile presso le biblioteche del comune di Rivalta. Durante questo anno, Daniele ha lavorato in due sedi: la biblioteca di Tetti Francesi e la biblioteca centrale al castello di Rivalta.
Nel suo ruolo di servizio civile, Daniele si occupa principalmente di attività di prestito di libri, consulenza all’utenza e gestione dei rientri dei libri dati in prestito attraverso il programma SBAM. Le sue responsabilità includono anche la circolazione libraria e la partecipazione alle attività organizzate dalle biblioteche, che spaziano dalle letture animate ai giochi da tavolo. Daniele è coinvolto nella creazione e promozione di locandine per eventi e nella gestione di un progetto di scacchi con un’associazione locale, dove ha imparato a giocare e a insegnare ai bambini le basi del gioco.
Nato a Torino ma residente a Orbassano, Daniele ha deciso di orientare la sua carriera verso il settore naturalistico e ambientale, un campo che lo appassiona fin da giovane. Il suo obiettivo finale è diventare guardia parco. Daniele considera il servizio civile come un trampolino di lancio per accedere ai concorsi pubblici per entrare nel corpo di guardia parco. Dopo il servizio civile, prevede di intraprendere un corso di formazione per accompagnatore naturalistico o guida escursionistica, con l’intento di lavorare a contatto con la natura e gli animali.
Daniele ha una profonda conoscenza delle montagne grazie alle escursioni familiari nella Val di Susa e si sente fisicamente preparato per le sfide che comporta il lavoro all’aperto. Sogna di lavorare nel Parco del Gran Paradiso, noto per avere una guardia parco con uno stemma distintivo. È aperto a opportunità anche all’estero, grazie alla sua conoscenza dell’inglese e al suo interesse per le lingue e le culture.
Nonostante attualmente non pratichi regolarmente escursioni a causa delle condizioni meteorologiche, Daniele continua a programmare e realizzare escursioni in montagna ogni anno. Ha recentemente tentato una salita al Rocciamelone, che ha dovuto interrompere a causa delle condizioni meteorologiche avverse, ma intende completare l’escursione in futuro. È appassionato di viaggi e desidera esplorare sia l'Oriente, con particolare interesse per il Giappone e la Cina, sia il Nord Europa e il Canada.
Nel servizio civile, Daniele si occupa anche di gestire e ordinare libri e giornali, archiviare materiale, e realizzare attività manuali per laboratori per bambini. Nonostante le sfide iniziali e le difficoltà di adattamento, si è inserito bene nel suo ruolo e ha trovato soddisfazione nel lavoro con il personale delle biblioteche e con l'utenza.
Il suo grande desiderio professionale è di fare del bene agli altri e lasciare un'impronta positiva nel mondo. Daniele sogna di organizzare viaggi missionari per aiutare i paesi poveri e le persone bisognose. È già in contatto con organizzazioni che si occupano di missioni e spera di realizzare questo sogno nei prossimi anni.
Valentina Bertea, nata a Pinerolo 38 anni fa, si considera una valligiana per le sue radici e il suo legame con la Valpellice. Ha vissuto la sua infanzia a Bricherasio, un piccolo paese alle porte della Valpellice, un luogo caratterizzato da un forte contatto con la natura e da una comunità in cui tutti si conoscono. Questa atmosfera protetta ha fortemente influenzato la sua crescita e il suo senso di appartenenza.
Essendo figlia unica, Valentina ha spesso cercato opportunità di socializzazione e comunità. Ha trascorso gran parte della sua infanzia e adolescenza nei centri giovani e nei centri estivi parrocchiali, inizialmente come partecipante e poi come animatrice. Questo impegno le ha permesso di sviluppare importanti competenze organizzative e relazionali, imparando a pianificare attività e a lavorare con persone di diverse età e con bisogni differenti. L'esperienza le ha insegnato il valore della comunità e l'importanza di mettere al centro le esigenze degli altri, un concetto che ha continuato a influenzare la sua vita e la sua carriera.
Fin da bambina, Valentina ha coltivato una passione per l'arte. Amava disegnare e colorare, attività che la appassionavano profondamente. Tuttavia, per motivi logistici, ha frequentato il liceo turistico anziché quello artistico. Il liceo turistico rappresentava un compromesso che le permetteva di approfondire le sue conoscenze artistiche e culturali, preparando nel contempo una base solida per eventuali sbocchi lavorativi in un paese come l'Italia, ricco di patrimonio culturale e artistico.
Durante gli ultimi anni delle superiori, la passione per il restauro è diventata sempre più forte. Dopo il diploma, ha deciso di intraprendere un percorso universitario in Beni Culturali, un'esperienza non prevista inizialmente ma che si è rivelata fondamentale per la sua formazione. Durante i tre anni di studi universitari, Valentina ha ampliato le sue conoscenze artistiche, culturali e letterarie, ottenendo la laurea triennale. Tuttavia, il suo interesse per il restauro non si è mai affievolito. Decisa a seguire questa passione, ha superato il test d'ingresso per la Scuola per Artigiani e Restauratori del Cermig, specializzandosi nel restauro di tele e tavole. Durante questo periodo, ha avuto l'opportunità di lavorare su un progetto significativo: il restauro della parrocchiale del suo paese natale. Questo progetto non solo le ha permesso di applicare le sue competenze pratiche, ma è stato anche un modo per restituire qualcosa alla sua comunità, valorizzando un edificio storico locale.
Dopo aver completato il corso di restauro, Valentina ha vissuto un periodo di transizione, cercando di entrare nel mondo del lavoro. Ha svolto vari lavori temporanei, ma la svolta è arrivata con l'opportunità di fare il servizio civile in biblioteca, all'età di 29 anni. Questa esperienza si è rivelata determinante, accendendo una nuova passione per il mondo delle biblioteche. Valentina ha iniziato a lavorare nel campo del restauro, dove è rimasta per sette anni, gestendo anche una piccola biblioteca di valle in collaborazione con il comune. Questo ruolo le ha permesso di organizzare eventi e lavorare con adulti e volontari per valorizzare il territorio, un'esperienza che ha arricchito ulteriormente le sue competenze e la sua visione del lavoro comunitario.
Nonostante il successo nel restauro, Valentina ha deciso di seguire la sua passione per le biblioteche, riprendendo gli studi universitari per acquisire nuove competenze e cercando lavoro nelle cooperative. Attualmente, lavora a Rivalta e a Caselle, collaborando con la biblioteca centrale e promuovendo la lettura attraverso varie attività. Il suo lavoro include la progettazione e realizzazione di eventi culturali e laboratori, soprattutto per bambini e ragazzi. Ha organizzato attività innovative come gli escape book, una modalità di lettura interattiva che ha riscosso molto successo tra i giovani. Valentina crede fermamente che la biblioteca debba essere un luogo accogliente e inclusivo, dove tutti possano sentirsi a casa e partecipare a una varietà di attività culturali e sociali.
Nel tempo libero, Valentina si dedica alle relazioni personali, alla cura del giardino e delle piante, e alla sua passione per l'arte. Insieme al suo compagno, partecipa ad attività legate all'arte e all'antiquariato, mantenendo vive le competenze da restauratori. Ama visitare mostre d'arte e coltivare il suo interesse per l'illustrazione, in particolare i silence book, libri senza parole che stimolano la fantasia dei bambini.
Il desiderio di Valentina è quello di mettere a frutto tutte le sue competenze per il bene degli altri, evitando di sprecare tempo e cercando di centrare i suoi obiettivi. Vuole che il suo lavoro e le sue capacità contribuiscano alla felicità delle persone intorno a lei. In sintesi, Valentina Bertea è una persona che ha saputo integrare le sue passioni artistiche e le competenze pratiche con un forte senso di comunità e dedizione al servizio degli altri. La sua carriera riflette un continuo adattamento e crescita personale, con una costante attenzione alla valorizzazione della cultura e al supporto alle comunità locali.
Loredana è una donna originaria di Napoli, si è trasferita Torino a sedici anni con i genitori. Dopo essersi stabilita in città, ha conosciuto suo marito e insieme hanno avuto quattro figli. Tuttavia, il destino ha voluto che si separassero, lasciando Loredana a crescere i figli da sola. Ha lavorato sempre nel settore della ristorazione, guadagnandosi il rispetto e l'apprezzamento dei suoi clienti grazie alle sue doti culinarie.
Recentemente, Loredana ha deciso, insieme a sua figlia e alla sua famiglia, di avviare una nuova attività. Hanno preso in gestione un ex bar trattoria, trasformandolo in una pizzeria trattoria e bar. Questo locale offre non solo cibo buono e tradizionale napoletano, ma anche serate di karaoke, feste di compleanno, eventi con musica dal vivo e un ambiente molto divertente.
Loredana è felice di aver portato un po' della tradizione napoletana a Piossasco, contribuendo a ravvivare il centro storico. Il suo locale sta avendo un buon riscontro, attirando clienti anche dai comuni limitrofi come Bruino, Orbassano e Cumiana. Offrono pizza d'asporto e il suo famoso calzone fritto, molto
Loredana lavora con passione nel suo locale, desiderando continuare a crescere e farsi conoscere sempre di più, ampliando le attività e creando nuove opportunità di socializzazione per la comunità.
Laura Montanaro è una persona che ha vissuto gran parte della sua vita a Rivalta, in Piemonte, dopo essere nata a Torino il 3 maggio 1967. Ha scelto Rivalta come sua residenza principale dal 1974 e vi ha cresciuto la sua famiglia, composta da quattro figli ormai adulti. Laura ha dedicato la maggior parte della sua carriera lavorativa al servizio pubblico, inizialmente impiegata presso una casa di riposo dal 1992, dove ha trascorso circa trent'anni della sua vita lavorativa.
Inizialmente assunta come impiegata amministrativa, Laura ha successivamente ottenuto la qualifica di direttore di struttura sociosanitaria. Il periodo del Covid-19 ha segnato profondamente la sua esperienza lavorativa, costringendola a gestire situazioni difficili all'interno della struttura. Questo periodo intenso e stressante l'ha spinta a chiedere un trasferimento, decidendo di cambiare ambiente lavorativo per cercare nuove sfide e alleviare il carico emotivo accumulato negli anni.
Due anni fa, Laura ha iniziato a lavorare come dipendente comunale a Rivalta. Nonostante le iniziali difficoltà dovute all'apprendimento di nuove mansioni a 55 anni, ha trovato soddisfazione e autonomia nel suo nuovo ruolo. Le sue responsabilità spaziano dalla gestione di documenti e certificati alla cura delle pratiche di cittadinanza e progetti matrimoniali, mantenendo sempre un forte legame con la comunità locale.
Laura è una persona positiva e intraprendente, convinta che la felicità e la serenità siano fondamentali per svolgere bene qualsiasi tipo di lavoro. Crede fermamente nell'importanza della formazione continua, sia per sé stessa che per gli altri, e nel saper gestire le proprie emozioni e quelle altrui per affrontare situazioni difficili con professionalità e umanità.
Originariamente residente a Collegno, i genitori di Laura si trasferirono a Rivalta in cerca di una vita più tranquilla in una casa indipendente. Questa scelta di vita ha influenzato Laura, che preferisce la calma e il verde della provincia alla frenesia della città. Anche nel tempo libero, Laura trova conforto nella natura e nelle passeggiate col suo cane.
Oltre alla sua carriera, Laura ha un diploma di perito aziendale corrispondente in lingue estere, con conoscenze di inglese e tedesco, sebbene il tedesco sia stato in gran parte dimenticato a causa della mancanza di utilizzo. Vorrebbe riprendere lo studio delle lingue, in particolare inglese e francese, per migliorare la comunicazione con gli stranieri che necessitano di assistenza presso l'anagrafe.
Il suo percorso professionale è stato segnato dall'iniziale impiego nella casa di riposo, un'esperienza che Laura descrive come altamente formativa e carica di responsabilità. Ha affrontato molte sfide, tra cui la selezione e la gestione del personale, sempre con l'obiettivo di garantire il massimo benessere e dignità agli anziani ospiti. Laura ha spesso lavorato con volontari e ha gestito con successo progetti di miglioramento della struttura.
Uno degli aspetti più difficili del suo lavoro nella casa di riposo è stato garantire che il personale trattasse gli anziani con rispetto e cura, affrontando situazioni in cui era necessario prendere provvedimenti disciplinari. Laura crede che il rispetto e la tutela degli anziani siano fondamentali e ha sempre cercato di garantire che venissero trattati con dignità.
Laura spera che le nuove generazioni sviluppino un forte senso di rispetto per le persone e per l'ambiente, e desidera che la sanità sia accessibile a tutti. Le sue passioni includono la creatività e il cucito, attività che svolge nel suo tempo libero per contribuire a cause benefiche come l'aiuto all'Etiopia. Ama creare oggetti nuovi, dai vestiti ai portatorte, e trova soddisfazione nel lavoro manuale.
Infine, Laura esprime il desiderio di perdere peso per poter tornare a camminare in montagna e continua a nutrire un interesse per la pasticceria, anche se non ha intenzione di aprire una propria attività. Il suo desiderio è di sostenere i suoi figli nelle loro ambizioni e godersi una vita equilibrata e serena.
Nata a Torino e cresciuta a Rivalta, dal 2015 lavora presso l’ufficio commercio del Comune di Rivalta. Questa persona ha una profonda conoscenza del territorio, avendovi vissuto per trent'anni e avendo lavorato come giornalista fino al 2008, occupandosi della cronaca cittadina. Attualmente gestisce le attività produttive locali, seguendone le aperture, le variazioni e le chiusure, e supporta sia piccoli negozi di vicinato che grandi strutture come supermercati e attività artigianali. Coordina inoltre lo sportello unico per le attività produttive, accogliendo richieste e organizzando iniziative come la sagra del Tomino e la Fiera di Primavera.
Collabora con diverse associazioni locali per promuovere e sviluppare il commercio a Rivalta, tra cui l'ACAR, la Famiglia Rivaltese e la Proloco. Grazie alla sua lunga permanenza nel comune, ha instaurato rapporti di fiducia con molti residenti, facilitando il suo lavoro quotidiano.
La situazione attuale del commercio a Rivalta è descritta come altalenante. Alcune attività prosperano, mentre altre chiudono, come un recente laboratorio di sartoria. Tuttavia, il settore della ristorazione è in crescita. I negozi non alimentari affrontano difficoltà, in parte a causa della concorrenza degli acquisti online. Eventi itineranti e di aggregazione, come la fiera dell'olistica, stanno diventando sempre più importanti per promuovere la socializzazione e attirare persone.
La pandemia di COVID-19 ha avuto un forte impatto sul commercio locale. Dal 2019, subito dopo l'inizio del lavoro nell'ufficio commercio, la pandemia ha causato una rivoluzione normativa e un grande disorientamento. I mercati non alimentari hanno subito un duro colpo, mentre il settore alimentare ha mostrato maggiore resilienza. Dopo un periodo di fermo, alcune attività non sono sopravvissute, mentre altre, soprattutto legate all'alimentare, hanno ripreso a crescere.
Guardando al futuro, si prevede uno sviluppo crescente del commercio online. I negozi che prosperano a Rivalta offrono prodotti particolari e di eccellenza, come il gelato di una rinomata pasticceria locale. Questi negozi, oltre alla loro attività tradizionale, spesso integrano anche il commercio online. È essenziale per i commercianti differenziare la loro offerta, combinando il commercio tradizionale con quello online e specializzandosi in prodotti unici.
Un cambiamento di mentalità è necessario per adattarsi alle nuove dinamiche del commercio. I commercianti devono abbandonare l'idea che i clienti verranno da soli e devono impegnarsi attivamente per attirare i clienti, anche adattando gli orari di apertura in base alle iniziative locali. Il Comune di Rivalta supporta i commercianti attraverso vari strumenti regionali e nazionali, proponendo formazione e attività per migliorare la loro competitività.
Prima di entrare nel settore pubblico, questa persona ha lavorato come giornalista per circa venticinque anni, sviluppando competenze nella comunicazione e una profonda conoscenza del territorio. Dopo la chiusura dell’azienda per cui lavorava, ha partecipato a diversi concorsi pubblici, trovando infine un impiego nel Comune di Rivalta, scoprendo un ambiente dinamico e coinvolgente.
Rivalta è cambiata molto nel corso degli anni. In passato, il comune era spesso deserto e nebbioso. Oggi è molto più vivace, con numerosi luoghi e momenti di aggregazione che attirano le persone a uscire e socializzare, come il parco del Sangone. Anche il commercio si è evoluto, con nuove attività legate all’olistica e ai massaggi shatsu.
Questa persona desidera continuare a specializzarsi nel proprio lavoro e migliorare il servizio offerto ai cittadini, ai commercianti e alle associazioni di Rivalta. Si impegna a rispondere meglio alle esigenze della comunità e a supportare le attività locali, contribuendo allo sviluppo del comune e migliorando la qualità della vita per tutti.
La storia di Cinzia è toccante e piena di coraggio. Cynthia una ragazza nigeriana di ventisei anni, è sposata e madre di tre figli. Vive a Piossasco da circa nove anni. È arrivata in Italia affrontando un viaggio pericoloso attraverso il mare su una barca, senza sapere se sarebbe mai arrivata. Prima di arrivare in Italia, ha trascorso tre mesi in Libia.
Nonostante la sua giovane età, Cynthia ha rischiato la vita e ha affrontato molte difficoltà. Grazie al suo carattere estroverso e solare, è riuscita a connettersi con persone che l'hanno aiutata a raggiungere l'Italia, la meta che desiderava.
Dopo il suo arrivo in Italia, ha vissuto a Torino, Pinerolo e in altre località, ma ha trovato in Piossasco il suo posto preferito. Descrive Piossasco come un paese accogliente, dove ha trovato meno giudizi e più accettazione. Anche i suoi figli si trovano bene e apprezzano la tranquillità del paese. Cynthia vede un futuro promettente per i suoi figli a Piossasco, grazie anche al supporto delle scuole e della comunità che li accoglie senza pregiudizi.Oltre a tutto questo, Cynthia è appassionata di moda e sartoria. Le piace cucire e creare abiti e borse. Il suo sogno nel cassetto è aprire un'attività a Piossasco, dove poter vendere le sue creazioni. Immagina un atelier etnico dove condividere le sue opere con la comunità. Questo sogno rappresenta per lei non solo una possibilità di realizzazione personale, ma anche un modo per arricchire il tessuto culturale del paese.
M. è un ragazzo di 16 anni proveniente dalla Guinea Conakry, precisamente dalla città di Nzerekore, la sua famiglia è composta dalla madre e d un fratello più grande che studia e lavora. Il ragazzo ha deciso di lasciare il suo paese per avere un futuro migliore, anche per lui il viaggio è stato lungo e ha patito molto, è partito dalla Guinea e si è diretto in Mali, ha attraversato l’Algeria e la Tunisia ed è arrivato a Lampedusa; ha raccontato che dalla Guinea ad arrivare in Algeria ha impiegato 8 mesi, dall’Algeria alla Tunisia 3 mesi, dalla Tunisia 2 giorni di gommone per raggiungere le coste italiane. E’ stato a Biella per qualche mese e poi ad ottobre 2023 è stato accolto presso la struttura “Il Galletto” Ha frequentato la scuola dell’obbligo, dopo l’orario scolastico andava nell’officina dello zio per aiutarlo e gli piaceva molto, ha fatto anche qualche lavoretto come fattorino, sa parlare il francese, l’inglese ed il suo dialetto “madingo”. Gli piaceva giocare a calcio come centrocampista e tuttora gioca nella squadra “Juniores Olimpia Solero Quattordio”, M. parla molto bene dei compagni che ha trovato e dell’allenatore. Il ragazzo ha frequentato la scuola di italiano riuscendo a superare l’esame per ottenere il livello A2, a settembre 2024 inizierà la Scuola Media, si impegna molto ed è educato, gentile e molto rispettoso con tutti, ha un carattere solare e gentile. A M. piace studiare l’italiano, lo parla piuttosto bene, è un ragazzo curioso e volenteroso. Nel mese di luglio ha iniziato il tirocinio attivato con il progetto Tempo al tempo presso il Family Park di Felizzano, si è inserito bene nel nuovo contesto e si impegna, è ben voluto da tutti. Il suo sogno sarebbe quello di lavorare come meccanico in un’officina o come saldatore.
Marica è una giovane artista illustratrice di 34 anni che vive a Felizzano (Al), la sua passione ed il suo interesse verso questo tipo di forma artistica è iniziato quando aveva 8 anni cominciando a copiare immagini ed illustrazioni. La sua fonte di ispirazione sono stati i cartoni animati della Disney e i film. Si è diplomata al Liceo Artistico di Asti, ha frequentato un corso da tatuatore e un corso di illustrazione ad Asti. La musica crea ispirazione e aiuta l’immaginazione, è un elemento fondamentale che non può mancare, Marica afferma che ascoltando la musica riesce a prendere spunto per dare inizio ai suoi lavori, l’ambiente di lavoro ideale deve essere raccolto e tranquillo. La giovane illustratrice afferma di riuscire a creare solo se serena e tranquilla, può lavorare per diverse ore, non c’è un tempo limite, se si trova in condizioni ottimali può disegnare anche fino a sera. Musica e film sono le maggiori fonti di ispirazione per realizzare i personaggi e le scene di ambientazione che si creano nella mente di Marica, i personaggi che prendono vita devono esprimere delle emozioni, gli stati d’animo che stanno provando, devono arrivare allo spettatore attraverso lo sguardo, devono colpire e suscitare una reazione. I colori sono importanti ed esprimono lo stato d’animo dei soggetti rappresentati, Marica utilizza pantoni colorati, colori acrilici, china, punte spesse e sottili per rappresentare i dettagli. Marica si definisce un’anima cupa ma dolce, si rivede nel lupo di Cappuccetto Rosso, è molto legata a tutti i suoi lavori ma, in particolare, l’opera a cui tiene molto è “Medusa”. Afferma che non è facile essere artisti oggi, si dice soddisfatta del suo lavoro e consiglia a giovani talentuosi che si vogliono avvicinarsi a questo mondo di provarci! Il confronto con altri artisti è molto importante, i suoi massini ispiratori sono soprattutto Federici e Parrillo, il sogno di Marica è quello di arrivare al loro livello. Ha tante idee…ora sta lavorando all’ opera di Malefica, rappresentata e “reinterpretata” a suo modo. Le piacerebbe illustrare alcuni film, rivisitandoli, come ed esempio Alice nel Paese delle Meraviglie: fantasia e immaginazione non possono mancare, così afferma. Il suo auspicio è quello di poter fare parte di questo mondo, di mostrare agli altri quello che sa fare, e di trasformare questa sua grande passione in una professione.
L. è un ragazzo del Gambia, ha quasi 18 anni, anche lui come tanti altri ragazzi ha un trascorso di sofferenza legato al viaggio durato circa un anno per arrivare in Italia, verbalizza di aver avuto molta paura, era sera quando è arrivato finalmente a Lampedusa, ha attraversato molti paesi, è stato un percorso piuttosto complesso: dal Gambia al Senegal, alla Mauritania all’Algeria dove si è fermato a lavorare per qualche tempo, dall’Algeria L. ha ripreso il cammino e si è diretto in Tunisia dove si è imbarcato per raggiungere l’Italia. L. vede l’Italia come un paese per lavorare, per studiare, per imparare. Il giovane ha avuto brevi esperienze di lavoro come giardiniere dallo zio con la madre e brevi mansioni per racimolare del denaro per pagarsi la continuazione del viaggio. Il ragazzo è orfano di padre e la madre si è risposata con un uomo dello stato del Sierra Leone, il ragazzo sentiva di dover trovare la propria strada tentando il viaggio in Europa. L. è stato trasferito a Torino in aereo, poi ha vissuto a Dusino San Michele in provincia di Asti in una struttura e infine è arrivato presso “Il Galletto” di Felizzano dove ha iniziato a studiare italiano al Cpia di Alessandria ed è stato inserito a giocare in una squadra di calcio a livello dilettantistico a Quattordio. Gli piace ascoltare la musica Rap, Dance, ama il mare, uscire con i suoi compagni e andare in città. Dal mese di giugno 2024 ha iniziato un tirocinio formativo presso una ditta che si occupa di imballaggi e logistica vicino a Felizzano. Il ragazzo verbalizza di non voler fare la video narrazione, non si sente a suo agio.
K. ha 17 anni, è nato a Tirana in Albania, è arrivato in Italia 1 anno e 7 mesi fa, è stato ospitato presso la struttura “Il Galletto” di Felizzano dove si è inserito in maniera positiva, ha instaurato buoni rapporti con gli ospiti e con gli operatori. Il ragazzo ha frequentato la classe Terza Media a Felizzano superando l’esame a fine anno scolastico 2023, ha successivamente iniziato un corso da elettricista presso una scuola professionale ad Alessandria, ha terminato il primo anno a giugno 2024, per lui si prevede la possibilità dell’attivazione di un tirocinio per impegnarlo nel periodo estivo in un’esperienza formativa. K. è un ragazzo piuttosto dinamico, gli piace molto uscire e recarsi ad Alessandria o ad Asti dove incontra amici sia italiani sia albanesi. Al giovane piace molto la musica, sia italiana sia straniera, si diletta a scrivere testi di canzoni rap e a cantare. Gli piace il calcio e si intrattiene con i suoi compagni di comunità, non ama molto cucinare ma apprezza mangiare la pasta e alcune specialità italiane, soprattutto la pizza. K. è un ragazzo ambizioso e vorrebbe vivere bene lavorando come elettricista. Il suo sogno nel cassetto sarebbe quello di diventare un bravo rapper.
Sissoko è da poco maggiorenne e viene dal Mali, ha lasciato la sua patria nel 2023, racconta del suo viaggio in cui ha attraversato vari paesi prima di arrivare in Italia, è partito dal Mali, ha impiegato 3 settimane per arrivare in Algeria, poi una settimana per raggiungere la Tunisia ed infine 2 giorni di navigazione per arrivare a Lampedusa; è rimasto moto poco in Sicilia, è stato trasferito in Calabria per alcuni giorni e poi mandato in Piemonte a Biella, poi a Cossato ed infine a Felizzano presso la struttura per minori stranieri non accompagnati “Il Galletto”. Sissoko riflette su tutti questi cambiamenti, questi passaggi da paese in paese, ha affermato di trovarsi bene in Italia, in Mali ci sono molti problemi, ha lasciato il proprio paese per salvare la sua vita, per avere una possibilità di riscatto e di speranza per il futuro. La sua famiglia è numerosa, lui è il fratello più grande di 7 fratelli, vorrebbe poter aiutare i suoi genitori trovando un lavoro che gli permetta di mantenersi e di garantire un aiuto economico ai suoi famigliari. A Sissoko interessa molto fare un corso da saldatore in modo da essere impiegato in officine specializzate e avere un guadagno sicuro. Al ragazzo piace praticare lo sport del calcio, ha giocato nel ruolo di attaccante in una squadra a Quattordio, un paese vicino a Felizzano, faceva allenamento 2 volte a settimana, ha trovato un ambiente accogliente e si trovava bene con i suoi compagni e con il mister, gli piace seguire il calcio, in particolare le squadre del Napoli e della Juventus. Nel tempo libero gli piace correre, disegnare e ascoltare la musica Rap. Ha frequentato un corso di italiano presso la scuola Cpia di Alessandria. Sissoko non parla ancora bene l’italiano, fatica molto a colloquiare, è estremamente timido e non si è sentito di produrre un video racconto, però ha accettato di fare le foto.
Storia Il ragazzo si fa chiamare Oba, ha 16 anni e proviene dal Burkina Faso, precisamente da Beguedo piccola città dove è nato. Oba è in Italia dal 2023, è stato a Torino, poi a Chieri, successivamente accolto in una comunità a Quattordio vicino ad Alessandria ed infine presso la struttura “Il Galletto” di Felizzano. Il giovane ha deciso di partire dall’Africa per arrivare in Italia in quanto i suoi genitori sono morti, ha lasciato la nonna paterna che è mancata quando lui era in viaggio. Oba racconta che la nonna voleva che facesse le sue esperienze, così a 15 anni, da solo, inizia il suo lungo viaggio che lo porterà ad attraversare molti paesi, a vivere esperienze estreme, racconta di aver attraversato l’Algeria dove vi era un acceso conflitto, riferisce che è stata molto dura ed è stato rischioso. Dall’Algeria è arrivato in Tunisia ma la polizia lo ha rimandato indietro 2 volte, è stato aiutato da una persona per cui lavorava in Burkina Faso ed è riuscito finalmente ad arrivare a Lampedusa dopo un paio di tentativi falliti. Per arrivare in Italia ha sofferto molto, ricorda di essere stato sul gommone 3 giorni, erano in 43 persone con donne e bambini, ha avuto molto freddo. Oba ha voluto concedersi la speranza di un futuro migliore, così mi riferisce. Il giovane al suo paese lavorava con un commerciante e girava i vari stati limitrofi al Burkina Faso per acquistare merci che sarebbero state rivendute a vari acquirenti, era un lavoro che gli piaceva, il suo capo lo trattava bene, racconta che da bambino non ha studiato, faceva dei lavoretti per mantenere la famiglia. Oba vive a Felizzano, ha studiato italiano, pratica il rugby, sport che lo appassiona molto e che gli ha dato la possibilità di conoscere nuove persone e di fare amicizie. Ora è tranquillo e vorrebbe poter studiare per migliorare la lingua italiana e imparare a fare il saldatore oppure l’imbianchino, non ha esperienze di lavoro ma dimostra buona volontà nell’imparare
Michele Siani, cinquantadue anni, è sposato e ha quattro figli. Vive a Piossasco sin dalla nascita, figlio di un padre originario di Napoli e una madre di Salerno ha due sorelle, trasferitisi a Piossasco perché i loro genitori lavoravano alla Fiat. Il padre di Michele ha lavorato come ascensorista, costruendo ascensori in vari condomini.
Michele è molto attivo nella comunità locale. Fa parte dell'associazione Piossasco a Pedali, un ramo della FIAB di Torino, che promuove la mobilità sostenibile. L'associazione organizza eventi e manifestazioni, inclusi teatri illuminati con persone che pedalano, per sensibilizzare sulla mobilità sostenibile e l'importanza dell'attività fisica.
In passato, Michele è stato membro dell'associazione GIOC, che ha avuto un ruolo significativo nella sua formazione, e dell'associazione culturale APIS, ormai sciolta. Attualmente, è coinvolto nell'organizzazione di un grande evento a settembre chiamato PGF, che si focalizza su giochi e fumetti.
Di professione, Michele è architetto e si dedica alla progettazione edile. È stato anche politicamente attivo, servendo due legislature come consigliere comunale con precedenti amministrazioni di sinistra, tra cui PDS e Partito Democratico. Michele è molto conosciuto a livello locale e rispettato come architetto a Piossasco.
Sara Picco, quarantacinque anni, vive a Trana e lavora a Piossasco da circa ventisei anni. Ha avviato la sua attività da giovane, gestendo un negozio di bomboniere e articoli regalo, che ora include anche l'organizzazione e allestimento di eventi. Sara è molto conosciuta a Piossasco, essendo stata membro dell'associazione dei commercianti di Piossasco, attualmente sospesa, e parte dell'associazione Borgo Antico. È molto attiva nel centro della città e vorrebbe vedere più eventi e manifestazioni.
Oltre alla sua attività principale, ha avviato una pensione per gatti a casa sua, iniziando con quattro gatti grazie ai box costruiti da suo padre, un falegname. Ora gestisce otto gatti e offre il servizio durante i fine settimana, i ponti e il periodo estivo, accogliendo i gatti per periodi fino a un mese e mezzo.
Sara apprezza molto Piossasco, descrivendolo come un paese tranquillo e bello. Venendo da Trana, un paese molto piccolo con poche attività, trova Piossasco attivo e vivace. È contenta di lavorare qui! e di conoscere tante persone.
Angelo Stoppa, ottantenne e residente a Piossasco residente a Piossasco, è arrivato in città dai Veneto per motivi di lavoro. Ha lavorato per l'Indesit, come molte altre persone che si sono trasferite per migliorare la loro situazione lavorativa.
sposato e ha due figli. Angelo si è poi inserito nella politica locale, servendo come consigliere comunale per diverse legislature e partecipando attivamente in varie associazioni locali. Angelo è un cittadino molto attivo e conosciuto nella comunità, durante il suo percorso a Piossasco, ha scoperto fin da giovane la sua passione per la falegnameria, diventando molto abile in quest'arte, quella che era una semplice curiosità si è trasformata in una grande passione, che Angelo continua a coltivare con dedizione.
Silvia Montaldo, cinquantasei anni, vive a Piossasco sposata e ha due figli, ed è molto legata alla sua famiglia, le cui radici sono profondamente piemontesi. La sua famiglia paterna è originaria di Piossasco , e suo padre proviene da una famiglia numerosa. Silvia ha raccontato quanto sia importante la famiglia per lei e come questa abbia influenzato la sua vita e carriera.
I suoi genitori inizialmente lavoravano come dipendenti: suo padre in fabbrica e sua madre in un altro ruolo. Anni fa, i genitori di Silvia decisero di avviare una delegazione ACI Assicurazione a Piossasco, un'attività che la madre gestiva. In seguito, suo padre lasciò il lavoro in fabbrica per lavorare insieme alla moglie nell'azienda di famiglia. Oltre a Piossasco, aprirono anche una sede a Orbassano che poi successivamente hanno venduto.
Silvia e le sue due sorelle, hanno iniziato a lavorare nell'azienda di famiglia man mano che finivano gli studi superiori. Attualmente, lavorano tutte insieme e hanno un legame molto forte. Silvia ha sottolineato l'importanza della famiglia e segue l'esempio dei suoi genitori nella gestione della propria famiglia.
Silvia ha anche parlato del ruolo significativo che suo padre ha avuto nella comunità di Piossasco, menzionando il suo percorso politico e il contributo che ha dato alla città.
Bruno Salvatore, quarantaquattro anni, è sposato e ha tre figli. Vive a Piossasco da circa otto anni, attratto dalla natura e dalla presenza di Monte San Giorgio. Lavora presso una casa editrice e ha origini lucane da parte paterna e venete da parte materna. Ha raccontato la storia dei suoi nonni, che si sono trasferiti a Torino dal sud e dal nord Italia per lavorare. Bruno ha seguito le orme del padre, lavorando nella stessa azienda.
È appassionato di pittura, in particolare di ritratti e paesaggi, e ama addestrare i cani, attività per cui ha anche seguito dei corsi fin da piccolo. Come sport, pratica il tai chi. È felicemente sposato e desidera che Piossasco offra più attività per la comunità e che le persone giuste possano contribuire a questo sviluppo.
Bruno è molto contento che a Piossasco ci sia molta attenzione a livello sociale in particolare l l’integrazione.
Shazil è un ragazzo pakistano di 18 anni, arrivato in Italia 2 anni fa, al suo paese lavorava nei campi e faceva il pastore. Il suo viaggio per raggiungere l’Europa è stato lungo, Shazil ha fatto tappa in Turchia dove ha lavorato in una fabbrica di mascherine, poi ha proseguito il viaggio, tra molte difficoltà, ed è arrivato in Italia, in Valle d’Aosta, poi in Piemonte, è stato accolto in una comunità vicino ad Alessandria e poi a dicembre 2023 è giunto presso la struttura di Felizzano “Il Galletto”. Il ragazzo parla abbastanza bene l’italiano, ha voglia di trovare un lavoro, si sta attivando mandando dei curricula in alcune ditte vicino ad Alessandria. Da alcuni mesi è stato assunto con un contratto di apprendistato in una ditta che si occupa di logistica e di imballaggi, Shazil è molto contento e si reca al lavoro volentieri. Il ragazzo, vista la sua buona condotta, è stato inserito nell’ appartamento del progetto Tempo al Tempo, dove convive e condivide la quotidianità con altri ragazzi che hanno avviato un percorso di autonomia personale. Shazil è abbastanza disponibile e collabora in maniera proficua con gli operatori dai quali riceve sostegno e aiuto in caso di disbrigo di pratiche e per necessità contingenti. Grazie al progetto in cui è inserito è stato possibile aiutarlo ad iscriversi a scuola guida, uno dei suoi obiettivi è prendere la patente.
Mohammed è un giovane egiziano che vive con la sua compagna e il loro bambino di tre mesi. Arrivato in Italia da quando aveva quindici anni dopo essere stato in Libia a lavorare come imbianchino, ha iniziato a lavorare come dipendente in un negozio di frutta e verdura. Proveniente da una famiglia di contadini, ha molta esperienza con la frutta, la verdura e la terra. Dopo aver lavorato per anni nel negozio, il proprietario gli ha ceduto l'attività. Mohammed ha preso la licenza e, insieme ad un amico, ha aperto un altro negozio sempre a Piossasco, in via Pinerolo, oltre a fornire merce de prima scelta alla casa di cura San Giacomo situata a Piossasco.
Mohammed è molto diligente e il suo negozio è ben organizzato, attirando molti clienti anche da città vicine come Pinerolo, Cumiana, Volvera e Bruino. Si trova molto bene a Piossasco e sogna di espandere la sua attività, aprendo un ingrosso di frutta e verdura per diventare un imprenditore di successo.
Maria Ostengo, prossima ai 68 anni e nata a Torino, ha trascorso la sua gioventù e i primi anni della sua vita adulta nella città natale. All'età di 26 anni, dopo il matrimonio, si è trasferita a Giaveno insieme al marito, un cambiamento voluto per allontanarsi dalla vita cittadina e per avvicinarsi alla residenza del marito a Piossasco. La scelta di Giaveno è stata anche influenzata dal desiderio di vivere in un ambiente meno caotico e più tranquillo, lontano dal tumulto urbano.
Per 12 anni, Maria ha diviso il suo tempo tra Giaveno e Torino, dove continuava a lavorare in Fiat. Questo comportava una lunga e impegnativa quotidianità di pendolarismo. Nel 1993, la coppia ha deciso di trasferirsi a Piossasco, vicino ai suoceri, e in una casa con giardino, una scelta che ha rappresentato una comodità e un miglioramento nella qualità della vita. Questa nuova residenza ha segnato un periodo di stabilità e conforto per Maria e suo marito.
La carriera professionale di Maria è stata caratterizzata da un lungo e significativo impegno nella Fiat, dove ha lavorato per ben 42 anni. Inizialmente assunta come impiegata amministrativa, Maria ha gradualmente acquisito esperienza e responsabilità, salendo nella gerarchia aziendale fino a diventare quadro capo ufficio. Il suo lavoro è stato per lei una fonte di grande soddisfazione e ha richiesto un notevole impegno, con giornate lavorative che spesso si estendevano per 10-11 ore, escludendo il tempo dedicato ai tragitti casa-lavoro.
Una volta raggiunta la pensione nel 2019, Maria ha visto un cambiamento importante nella sua vita. Senza figli e con più tempo a disposizione, ha potuto dedicarsi appieno alle sue passioni e interessi personali. Tra questi, i viaggi occupano un posto speciale. Fin da giovane, Maria ha viaggiato con i genitori e successivamente con il marito, un interesse che ha continuato a coltivare. I viaggi rappresentano per Maria non solo una passione, ma una parte essenziale della sua vita, offrendo esperienze uniche e opportunità di esplorare nuove culture e ambienti.
Oltre ai viaggi, Maria ha trovato una nuova passione nel teatro. Dopo essere andata in pensione, ha deciso di seguire le orme del marito, il quale aveva iniziato a prendere lezioni di chitarra presso l’associazione "Iniziativa Musicale". Maria, inizialmente attratta dalla parte teatrale di uno spettacolo dell’associazione, ha deciso di provare il teatro. Questo primo approccio si è evoluto in un impegno costante, con la partecipazione a diversi gruppi teatrali. Attualmente, Maria fa parte di due gruppi che si esibiscono settimanalmente, un impegno che ha arricchito la sua vita e le ha permesso di esprimere la sua creatività.
Maria è anche molto attiva nell'Università della Terza Età di Piossasco, dove partecipa a passeggiate settimanali e a un corso di dizione e lettura interpretativa. Recentemente, è stata coinvolta in un progetto teatrale avanzato, partecipando alle prove di uno spettacolo scritto da Giovanni Lavia, un noto drammaturgo. Questa esperienza rappresenta per Maria una nuova avventura nel mondo del teatro, arricchendo ulteriormente la sua vita culturale e artistica.
Il viaggio rappresenta per Maria una delle sue più grandi passioni. Le sue esperienze di viaggio includono destinazioni esotiche e avventurose, come lo Yemen e il deserto, che le hanno offerto emozioni e scoperte uniche. Recentemente, Maria ha prenotato un viaggio in Finlandia con una vecchia amica, un viaggio che promette nuove avventure e opportunità di esplorazione. Per Maria, la preparazione di un viaggio è quasi tanto importante quanto il viaggio stesso, poiché rappresenta la gioia dell'attesa e la pianificazione di nuove esperienze.
Oltre ai viaggi e al teatro, Maria ha altre passioni, tra cui la fotografia e le attività sportive. Le sue fotografie preferite sono i tramonti, un soggetto che le suscita una profonda emozione. In passato, ha partecipato a attività sportive organizzate dalla Fiat, come nuoto e ping pong, e ha trovato gioia e soddisfazione in queste esperienze.
Maria ha completato il suo percorso di studi come perito aziendale e corrispondente in lingue estere a Torino. Ha studiato francese e tedesco, mantenendo una certa competenza nel francese e solo una conoscenza basilare dell'inglese. La sua formazione le ha fornito strumenti utili, anche se il suo vero talento e interesse sono emersi più chiaramente nel contesto lavorativo e nelle sue passioni personali.
Maria ha identificato alcune criticità nelle sue esperienze e nella sua comunità. La prima riguarda l'accesso all’associazione di iniziativa musicale, che si trova in una zona difficile da raggiungere, limitando la partecipazione. Inoltre, ha notato che la partecipazione alle attività culturali spesso dipende dalla presenza di eventi sociali, come pasti, suggerendo una difficoltà generale a coinvolgere le persone solo per il valore culturale delle attività stesse.
Guardando al futuro, Maria esprime il desiderio di continuare a fare solo le cose che le piacciono e spera di vivere una vita lunga e sana. Non ha particolari aspirazioni professionali, ma è soddisfatta dei suoi successi e delle sue esperienze. La sua vita attuale è caratterizzata da un equilibrio tra interessi personali e impegni culturali, che le permettono di vivere in modo pieno e gratificante.
Riguardo al suo ambiente attuale, Maria vive a Piossasco da molti anni e, sebbene non sia particolarmente coinvolta nella vita sociale del territorio, non ha riscontrato grandi problemi con i servizi disponibili. Tuttavia, ha notato che la posizione dell'associazione di cui fa parte potrebbe rappresentare una difficoltà per l’accesso della comunità. Maria riflette anche sulla difficoltà di coinvolgere le persone in attività culturali senza l’incentivo di eventi sociali come i pasti, un aspetto che considera una sfida nella promozione delle attività culturali.
Maria Ostengo è una donna che ha saputo trasformare il pensionamento in una nuova fase di vita ricca di soddisfazioni personali e impegni culturali. La sua vita è una celebrazione delle sue passioni e delle sue esperienze, dimostrando come una carriera significativa possa aprire la strada a una vita altrettanto gratificante e avventurosa nella fase successiva della vita.
Maria Cristina ha 55 anni, sposata mamma di due ragazzi vive a Piossasco da 27anni lavora a Torino come tecnico presso un'azienda, ha fatto parte dell'associazione CAMI. quest' associazione si occupa di raccogliere farmaci e di rispedirli in Bolivia, in una zona chiamata CAMI, col tempo hanno esteso il progetto anche a Madagascar E Romania, L'iniziativa è stata particolarmente utile per le donne, permettendo loro di effettuare dei test di gravidanza e distinguere tra una gravidanza tra una gravidanza e altre possibili condizioni mediche.
Cristina ha raccontato la storia della sua famiglia e dei loro origini, il papà e delle Marche e la mamma della Lazio e si sono incontrarti a Roma lavoravano entrambi nella chiesa e hanno deciso di trasferirsi a Torino, il papà ha lavorato alla Fiat e la mamma in ambito della scuola
Maria Cristina ha espresso il suo desiderio di vedere il centro storico della sua città valorizzato e i negozi più qualificati, evitando la chiusura di questi ultimi. Per lei il centro storico rappresenta un punto di riferimento e una parte importante della storia della città, non solo un luogo per fare acquisti. inoltre, vorrebbe vedere più attività e iniziative per i giovani, ispirandosi a una realtà di Torino dove ha vissuto da piccola, dove i negozi erano dei punti di riferimento importanti.
Maria Giovanna Rinaldi, prossima ai 64 anni, è una pugliese che si è trasferita a Torino in giovane età. La sua famiglia ha sempre avuto una forte inclinazione per la musica, un aspetto cruciale della sua vita e della sua carriera. Suo padre, recentemente scomparso all’età di 96 anni, è stato un batterista attivo fino alla sua morte. Questo amore per la musica è passato anche a suo fratello, anch'esso batterista. Maria Giovanna, pur avendo tentato di seguire le orme familiari, ha scelto una via diversa nel campo musicale.
Maria Giovanna ha avviato la sua carriera professionale come impiegata in uno studio di commercialista a Torino, situato in Piazza Statuto. Questo lavoro le ha permesso di accumulare esperienza e competenze professionali significative. Tuttavia, la nascita dei suoi due figli e il conseguente trasferimento a Rivalta nel 1991 hanno cambiato drasticamente le sue circostanze. La distanza tra casa e lavoro, combinata con le esigenze di accudimento dei figli dopo la scuola, ha reso difficile per Maria Giovanna continuare a lavorare come dipendente. Questo ha portato a una decisione di lasciare il lavoro nel 1994 e dedicarsi a tempo pieno alla famiglia.
Nel 1997, Maria Giovanna entra in contatto con l’Associazione "L'Iniziativa Musicale di Rivalta" quando decide di iscrivere i suoi figli ai corsi musicali offerti dall’associazione. I suoi figli scelgono due strumenti diversi: il pianoforte e le percussioni. L'associazione, fondata da un gruppo di giovani musicisti e sostenuta da un consigliere comunale, ha come obiettivo principale offrire corsi di musica a un prezzo accessibile e promuovere la cultura musicale nel territorio di Rivalta. Questa associazione è stata un punto di riferimento per la comunità, grazie anche al supporto del comune.
Maria Giovanna inizialmente partecipa all’associazione come madre, portando i figli ai corsi e rimanendo coinvolta come volontaria. Questo impegno le consente di acquisire una conoscenza approfondita delle operazioni interne dell’associazione. Dopo aver dedicato gran parte del suo tempo all’associazione, Maria Giovanna viene invitata a entrare nel consiglio direttivo e, infine, a ricoprire il ruolo di presidente, incarico che ha mantenuto per dieci anni. Durante questo periodo, la sua esperienza e dedizione hanno contribuito significativamente alla crescita e alla stabilità dell’associazione.
Dopo il suo mandato come presidente, Maria Giovanna continua a essere una presenza fondamentale all'interno dell’associazione, mantenendo un ruolo in segreteria. La sua conoscenza storica e il suo impegno continuo hanno fatto di lei una figura insostituibile, nonostante il passaggio del testimone ad altri presidenti.
L'Associazione "L'Iniziativa Musicale di Rivalta" è stata fondata con l'intento di offrire corsi musicali accessibili e promuovere la musica nella comunità locale. All'inizio, l'associazione contava pochi iscritti, ma con il passare degli anni ha visto una crescita significativa, raggiungendo un picco di oltre 200 iscritti. Attualmente, conta circa 170 soci. L'associazione offre una vasta gamma di corsi, tra cui pianoforte, chitarra, batteria, violino, arpa, canto moderno, basso elettrico e armonica bocca.
Nonostante il successo iniziale, l’associazione ha dovuto affrontare sfide negli ultimi anni, tra cui la difficoltà di mantenere l'interesse per la musica d'insieme. Questo è stato causato da una serie di fattori, tra cui l’aumento degli impegni scolastici e personali dei giovani, che rende difficile coordinare gruppi musicali e laboratori di musica d’insieme. Tuttavia, l’associazione ha cercato di adattarsi creando corsi e laboratori che possano rispondere alle esigenze e agli interessi degli studenti.
Oltre ai corsi musicali, l’associazione organizza spettacoli di fine anno a tema. Questi spettacoli sono una tradizione consolidata e sono aperti anche agli associati non necessariamente iscritti ai corsi regolari. I temi per gli spettacoli vengono scelti dal direttore artistico e approvati dall'assemblea dei soci, garantendo una partecipazione attiva della comunità associativa.
Nonostante il forte legame con la musica, Maria Giovanna ha sviluppato altre passioni nel corso degli anni. Una di queste è il cucito, anche se si limita a progetti di piccole dimensioni come pochette, astucci e borse, piuttosto che alla sartoria completa. La sua timidezza le ha impedito di dedicarsi completamente alla musica, ma ha mantenuto il suo amore per essa attraverso l'associazione e le sue attività correlate.
Maria Giovanna è anche appassionata di mercatini delle pulci, dove trova e salva oggetti che riportano a casa. Questa passione si riflette nella sua casa, che è piena di oggetti recuperati da questi mercatini. La sua inclinazione a salvare e recuperare beni è un aspetto distintivo del suo carattere e della sua personalità.
Maria Giovanna esprime il desiderio di vivere in un ambiente marittimo, amando il mare e il caldo. Questo riflette il suo desiderio di una vita all’insegna della tranquillità e del benessere. Non ha particolari aspirazioni lavorative, ma desidera continuare a contribuire alla vita culturale e sociale della sua comunità attraverso l’associazione e le sue attività.
Maria Giovanna riconosce alcune sfide significative nel suo territorio. La distribuzione degli eventi culturali è un problema, con molte attività concentrate in aree centrali, rendendo difficile l'accesso per chi vive in periferia. Inoltre, il problema della pigrizia e del disinteresse da parte dei giovani rappresenta una barriera per una partecipazione più ampia agli eventi culturali locali.
L’associazione e altre realtà locali cercano di superare queste difficoltà, ma l’isolamento geografico e la mancanza di spazi adeguati per eventi più grandi sono sfide persistenti. Maria Giovanna sottolinea che, sebbene ci siano eventi, è spesso necessario uno sforzo maggiore per coinvolgere una fascia di pubblico più ampia e giovane.
Lavoro da alcuni anni nel Comune di Rivalta di Torino, nel Servizio Politiche Sociali e Istruzione. Mi occupo di pace ai migranti, di pari opportunità, di lavoro e di beni comuni. Lavoro a stretto contatto con le assessore Nicoletta Cerrato, Alessia Aragona e l'assessore Nicola Lentini, ognuno per le proprie delighe. Per quanto riguarda la pace ai migranti, organizziamo iniziative pubbliche in occasione di ricorrenze importanti come il 27 gennaio, giornata della memoria, il 21 marzo, giornata in ricordo delle vittime innocenti di mafia, il 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato, ecc. Di queste ne ricordo due in particolare. Una nel 2019, nel trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. Abbiamo ospitato nel Teatro Francarame una cover band dei Pink Floyd, di una bravura eccezionale che ha infiammato l'auditorium suonando The Wall. E una nel 2022, in ricordo dei 30 anni dalla strage di Capaci. Abbiamo realizzato una marcia da Rivoli a Rivalta, in memoria dei giudici Falcone e Borsellino e di tante altre persone a servizio dello Stato, vittime della criminalità organizzata. In occasione di questi eventi e giornate nazionali o internazionali aperte al pubblico, si invitano relatori, esperti, volontari, che illustrano il loro lavoro, il loro impegno, le loro difficoltà, ecc. Oppure si unisce l'argomento ad una presentazione di un libro o di un saggio, ad uno spettacolo teatrale, ad una fiaccolata lungo le vie del paese, e così via. Talvolta, quando possibile, si aggiunge un momento di convivialità, un aperitivo, una pericena, una merenda, sempre molto apprezzato dai rivaltesi. Per la parte migranti e rifugiati, collaboriamo con il CIDIS, cioè il nostro consorzio dei servizi socioassistenziali, e con le cooperative che gestiscono le accoglienze nel SAI, Sistema Accoglienza e Integrazione, e nel CAS del Doirone, cioè il Centro Accoglienza Straordinario. Il SAI si distingue dal CAS, semplificando molto, perché realizza la microaccoglienza in alloggi presi in affitto per questo scopo, mentre il CAS del Doirone è una struttura più grande, ristrutturata, in cui gli spazi sono condivisi dagli ospiti. In questi contesti, gli ospiti hanno la possibilità di imparare la lingua italiana, ottenere la licenza media, intraprendere un'attività lavorativa o un tirocinio, ecc. Solitamente, quando vengono inseriti nuovi stranieri sul nostro territorio, il Comune di Rivalta li invita ad un incontro nella nostra sala più rappresentativa, la Sala Consiglio, per conoscerli e conoscersi, e un modo per dimostrare vicinanza e presenza. Nel tempo, con i progetti SAI e CAS, abbiamo avuto occasione di incontrare moltissimi volti ragazzi giovani provenienti dall'Africa subsahariana, pakistani, famiglie siriane e afghane, e poi con l'inizio della guerra in Ucraina, alcune famiglie ucraine, molteplici storie da non dimenticare, che andrebbero approfondite, raccolte e raccontate. Storie di dolore, di orrori della guerra, di torture, violenze, persone che si sono ammalate o che hanno subito gravi danni psichici, oppure che nel loro paese hanno vissuto una vita a distenti e sono emigrati per provare a migliorare le loro condizioni. Nell'ambito della pace è inclusa la cooperazione decentrata. Il nostro Comune, insieme al Comune di Bruino, al COCOPA, cioè il coordinamento dei comuni della pace e della provincia di Torino, aduna ONG e a altri partner da anni, porta avanti i progetti cofinanziati dalla Regione Piemonte in Senegal, più precisamente in una piccola comunità rurale che si chiama Kusanar. Si tratta di un posto davvero molto speciale per diversi motivi, antropologici, naturalistici, paesaggistici, dove convivono, a poche decine di chilometri di distanza, persone che utilizzano mezzi e tecnologie più moderne e persone con una vita legata ancora ai ritmi e alla disponibilità delle risorse del posto, pastorizia, agricoltura, disponibilità d'acqua. Abbiamo avuto modo di visitare questi luoghi grazie alle missioni istituzionali, che ci hanno restituito molto in termini di esperienza vissuta e che ci hanno aperto ancora di più la mente e il cuore su queste realtà così lontane da noi. Anche nell'ambito delle pari opportunità ci sono alcune ricorrenze importanti a cui l'amministrazione tiene moltissimo. L'8 marzo, giornata internazionale della donna. Il 25 novembre, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, Il Black History Month, Just the Woman I am, eccetera. Queste occasioni in cui si realizzano eventi aperti alla cittadinanza, spesso si fa un mix di letture, presentazioni, libri, incontri con autori, con associazioni di volontariato, sfilate di moda, spettacoli teatrali, musica, cene multietniche, merenda per i cene, proprio per testimoniare l'attenzione alle persone e alle diverse culture provenienti. In queste occasioni si cerca di coinvolgere più cittadine e cittadini possibili per sensibilizzare sulle violenze di genere, fisiche e psicologiche, sulle donne e in generale sulle persone a rischio di esclusione sociale o discriminate, per contrastare la discriminazione in ogni sua forma, razziale, sessuale, religiosa, eccetera. Poi c'è la parte a cui dedico una buona parte del mio tempo, finalizzata all'inclusione lavorativa di persone più fragili, sfortunate o anche non adeguatamente attrezzate per contendersi le opportunità o le sfide delle nostre società. Sono per lo più progetti finanziati in parte dal Comune, in parte dalla Regione Piemonte, per fronteggiare lo stato di disoccupazione anche di lunga durata di persone adulte, escluse dal mercato del lavoro per età o per bassa scolarità, o in prossimità della pensione ma non ancora in pensione, oppure con qualche forma di disabilità. Anche in questo caso siamo stati testimoni, di volte storie, persone come tante che nella loro vita hanno avuto una serie di circostanze sfortunate, come la perdita del lavoro per fallimento dell'azienda o una brutta malattia o un errore di cui hanno pagato le conseguenze, e che si sono trovate da un giorno all'altro senza mezzi. Persone a volte molto miti, a volte più arrabbiate, che difficilmente potrò dimenticare, alle quali mi sono affezionata. L'ultimo grande argomento di cui mi occupo sono le collaborazioni tra Comune e cittadini per la cura dei beni comuni, materiali o immateriali. Da qualche mese vige il nuovo regolamento sui beni comuni, grazie al quale rivaltesi possono proporre progetti o aderire ai progetti dell'amministrazione comunale per la cura e la gestione condivisa. Sperimenteremo nei prossimi mesi alcune collaborazioni con genitori, famiglie, scuole per l'abbellimento di giardini nei plessi scolastici, ed altri progetti sono in fase di studio. Ma la potenzialità di questo nuovo regolamento è davvero enorme e lascia spazio a moltissimi ambiti. Tutto sta anche nel grado di immaginare e realizzare qualcosa di veramente utile e originale. Nel tempo ho seguito tantissimi progetti, sicuramente uno dei più interessanti è stato Comunità Inclusione Femminili Plurali, per cui si stanno realizzando queste audio interviste per il portare dei saperi con il coinvolgimento di rete italiana a cultura popolare.
Raffaele è un uomo di 33 anni originario di Collegno, un comune in provincia di Torino, che si è trasferito a Rivalta durante il periodo della scuola media, precisamente durante la seconda media. Questo cambiamento è stato significativo e impattante per lui, soprattutto perché il nuovo ambiente era molto diverso da quello a cui era abituato.
Raffaele aveva vissuto precedentemente a Collegno, vicino alla fermata Fermi, e il trasferimento a Gerbole, una frazione di Valtese, ha rappresentato un grande cambiamento. Le scuole medie erano situate a Tetti Francesi, un’area che, all'epoca, era conosciuta per avere una popolazione diversa rispetto alla sua zona di origine. La nuova comunità era caratterizzata da una presenza di ragazzi più di strada e con background differenti rispetto al contesto più borghese di Collegno. Questo contrasto ha reso il suo arrivo particolarmente difficile e lo ha fatto sentire come un “alieno” nel nuovo ambiente.
Durante il periodo scolastico, Raffaele ha vissuto un'esperienza di isolamento a causa dei suoi interessi e della sua personalità, che erano molto diversi da quelli dei suoi coetanei. Non era interessato alle attività tradizionali come il calcio e preferiva dedicarsi ad attività artistiche come la scrittura di poesie, il dialogo con le piante e la creazione di programmi per la televisione e il teatro.
Nel corso della pausa pranzo a scuola, Raffaele ha incontrato un ragazzo che condivideva la sua passione per la musica e il teatro. Questo incontro ha portato alla creazione della "Compagnia della Felicità", una compagnia teatrale fondata nel 2005-2006, quando erano in terza media e prima superiore. La compagnia, composta da loro stessi e dai loro familiari e amici, ha iniziato a mettere in scena spettacoli che Raffaele scriveva e che includevano contributi musicali del suo amico batterista.
Il primo spettacolo della compagnia è stato una rivisitazione dei "Promessi Sposi", e hanno cercato uno spazio per le loro rappresentazioni. Hanno trovato un palcoscenico nella parrocchia di Tetti Francesi, grazie alla disponibilità del parroco Don Paolo, che ha offerto loro un salone per le rappresentazioni teatrali.
La compagnia ha continuato a operare per tre anni, realizzando vari spettacoli e collaborando con l'oratorio e il comune. Raffaele ha lavorato a stretto contatto con Don Paolo, diventando anche animatore e collaboratore dell'oratorio. Questo periodo ha visto la compagnia realizzare numerosi spettacoli di successo, che hanno coinvolto giovani del territorio e hanno avuto un impatto positivo sulla loro crescita personale e artistica.
Con il tempo, Raffaele ha intrapreso un percorso accademico in sociopsicopedagogia presso l'Istituto Corporato di Pinerolo, dove ha sviluppato competenze che lo hanno aiutato nella sua carriera successiva. Ha poi proseguito gli studi nell'Accademia di Arti Sceniche a Torino, dove ha completato un triennio in canto, recitazione e danza.
Durante e dopo il periodo di studi, Raffaele ha continuato a lavorare con l'oratorio, realizzando spettacoli sempre più complessi e di successo. Ha creato e messo in scena spettacoli su temi importanti come la Shoah, il bullismo e la violenza domestica. La sua collaborazione con il comune è diventata sempre più forte, e ha lavorato su progetti educativi e culturali nelle scuole e nei centri estivi.
Nel frattempo, ha continuato a insegnare e a gestire corsi di teatro per le scuole e per la comunità. Ha lavorato in diverse località, inclusi Piusasco e Bruino, e ha mantenuto un forte legame con il territorio di Valtese, dove ha fatto un significativo contributo culturale e educativo.
Oggi, Raffaele Folino è coinvolto in una varietà di attività teatrali e culturali. Gestisce corsi di teatro presso l’iniziativa musicale, dove è anche direttore artistico. Ha sviluppato progetti che spaziano dalla valorizzazione dei luoghi storici attraverso eventi come i "cluedo viventi" a Andezeno e Torino, a iniziative di comunicazione e grafica per promuovere eventi culturali.
Un esempio notevole del suo lavoro è il progetto "Mr. in Villa", che consiste in un gioco di mistero ambientato in una villa storica. Questo progetto si è evoluto in vari format, tra cui eventi presso Palazzo Madama e cene con delitto.
Raffaele si trova spesso a fronteggiare sfide legate alla gestione del tempo e alla sostenibilità dei progetti culturali. È consapevole delle difficoltà di mantenere un alto livello di partecipazione e di attrarre pubblico, specialmente quando si lavora con risorse limitate e su temi di nicchia.
È anche un sostenitore dell’importanza di ascoltare le esigenze degli studenti e dei partecipanti ai suoi corsi, e cerca di adattare i suoi progetti per rispondere alle loro necessità. Ha recentemente completato un master in scrittura televisiva e si è iscritto a Scienze della Comunicazione, con l'obiettivo di ampliare le sue competenze e migliorare la sua presentazione nel campo della scrittura e della comunicazione.
La carriera di Raffaele Folino è caratterizzata da una dedizione profonda al teatro e all'educazione culturale, con un forte impegno verso il miglioramento della comunità attraverso le arti. La sua esperienza dimostra un percorso di crescita personale e professionale che ha avuto un impatto positivo su molti giovani e sulla comunità locale. Nonostante le sfide e le difficoltà, il suo lavoro continua a essere una fonte di ispirazione e di cambiamento positivo per coloro che lo circondano.
Sergio Gallavotti, nato a Santa Cange di Romagna, si è trasferito a Rivalta nel 1968, dove ha intrapreso una lunga carriera lavorativa presso la Fiat. Dopo aver terminato le scuole superiori, Gallavotti si è qualificato come tornitore attrezzatore specializzato e ha iniziato a lavorare in Fiat. Qui ha avuto la fortuna di diventare il primo operaio del modello 128 e, successivamente, l'ultimo caposquadra dello stesso modello, ricoprendo diversi ruoli tecnici e organizzativi. Il suo impegno e la sua dedizione lo hanno reso una figura di riferimento all'interno dell'azienda, contribuendo significativamente al suo sviluppo.
Parallelamente alla sua carriera professionale, Gallavotti ha avuto un impatto rilevante anche nel mondo dello sport a Rivalta. È stato uno dei co-fondatori della società calcistica Rivalta Varta, che successivamente è diventata Valsangone. La sua passione per il calcio lo ha portato a giocare fino a quando un infortunio lo ha costretto a ritirarsi. Nonostante ciò, ha continuato a contribuire al club come allenatore e dirigente, dimostrando un impegno costante per lo sviluppo dello sport giovanile nella comunità. La sua visione inclusiva dello sport lo ha portato a creare un ambiente accogliente e stimolante per i giovani atleti, promuovendo valori come la collaborazione e il rispetto reciproco.
Non limitandosi al calcio, Gallavotti ha fondato anche il Volleyball Club Rivalta, portandolo a raggiungere la Serie C e Serie D. Sotto la sua guida, il club ha promosso un approccio educativo e inclusivo, organizzando attività sportive per i bambini senza la pressione delle classifiche. Questo ha permesso ai giovani di godere dello sport in un ambiente rilassato e privo di stress, focalizzandosi sulla crescita personale e sul divertimento. Gallavotti ha sempre creduto che lo sport dovesse essere accessibile a tutti e che il suo scopo principale fosse quello di promuovere la salute e il benessere.
Dal 2006, Sergio Gallavotti ha assunto il ruolo di presidente dell'Unitre di Rivalta, un'associazione dedicata all'educazione e al benessere della terza età. L'Unitre di Rivalta, sotto la sua guida, ha offerto una vasta gamma di corsi che spaziano dalle lingue straniere come l'inglese e il francese, alla ginnastica dolce e al pilates, dalla pittura alla cucina, e molto altro ancora. Gallavotti ha sempre sostenuto che l'importante non fosse imparare perfettamente, ma partecipare, fare nuove amicizie e svagarsi dalla routine quotidiana. La sua filosofia ha reso l'Unitre un luogo accogliente e inclusivo, dove gli anziani possono socializzare e imparare nuove abilità in un ambiente stimolante.
L'Unitre organizza circa 30-32 corsi all'anno, coprendo una vasta gamma di interessi e bisogni. I corsi sono tenuti da insegnanti professionisti che offrono lezioni di alta qualità, rendendo l'apprendimento un'esperienza gratificante per tutti i partecipanti. Gallavotti ha sempre lavorato per mantenere i costi dei corsi limitati, rendendoli accessibili a un pubblico ampio. Le entrate generate dai corsi vengono utilizzate per finanziare ulteriori iniziative e migliorare costantemente l'offerta formativa dell'Unitre.
Un'altra iniziativa importante promossa da Gallavotti sono le visite mediche gratuite per i soci dell'Unitre. Queste visite includono screening per ischemie, vene varicose, aterombosi, tumori della gola e problemi di equilibrio. Grazie alla collaborazione con vari specialisti, l'Unitre è in grado di offrire servizi medici di alta qualità, contribuendo a prevenire gravi problemi di salute tra gli anziani. Gallavotti ha sempre considerato la salute una priorità e ha lavorato instancabilmente per assicurare che i soci dell'Unitre potessero accedere a cure mediche preventive.
Nonostante i numerosi successi, l'Unitre di Rivalta deve affrontare alcune sfide, come la mancanza di spazi disponibili nelle ore mattutine. Gallavotti ha espresso il desiderio di avere più disponibilità di spazi per soddisfare le numerose richieste dei soci, soprattutto quelli che hanno impegni familiari nel pomeriggio. Ha sempre creduto nell'importanza di creare un ambiente sociale e di apprendimento inclusivo. Il suo motto è che non importa quanto si impari, l'importante è partecipare e godersi la compagnia degli altri. Questa filosofia ha reso l'Unitre di Rivalta un punto di riferimento per la comunità, con molti soci che apprezzano le attività e i servizi offerti.
In conclusione, Sergio Gallavotti è una figura chiave nella comunità di Rivalta, dedicando la sua vita a migliorare il benessere degli anziani attraverso lo sport, l'educazione e la socializzazione. La sua leadership e il suo impegno hanno avuto un impatto duraturo e positivo sulla vita di molte persone, rendendo Rivalta un luogo migliore in cui vivere. Il suo lavoro instancabile, la sua passione e la sua dedizione sono un esempio per tutti, dimostrando che con impegno e determinazione è possibile fare la differenza nella vita degli altri.
Sergio Muro, un politico italiano di 47 anni, è attualmente sindaco della città di Rivalta. Nato a Torino, è cresciuto e ha sempre vissuto nel quartiere Pasta di Rivalta. Ha frequentato l’asilo nido, la scuola materna e le scuole elementari nel suo quartiere, mentre le scuole medie le ha fatte a Rivalta presso la Don Milani. Successivamente, ha frequentato il liceo scientifico Majorana di Orbassano e l’università a Torino, dove si è laureato in scienze politiche.
Muro ha un forte legame con la sua città natale e ha iniziato a interessarsi alla politica sin da giovane. Nel 1999, è entrato nel Consiglio Comunale di Rivalta, iniziando così una lunga carriera politica. Ha ricoperto vari ruoli all’interno dell’amministrazione comunale, tra cui consigliere di maggioranza, assessore, vice sindaco, consigliere di opposizione e di nuovo vice sindaco. Nel 2021, è stato eletto sindaco di Rivalta, un ruolo che considera una delle esperienze più gratificanti della sua vita.
Oltre alla politica, Muro è anche un dipendente della città di Torino, sebbene attualmente sia in aspettativa. Ha sempre mostrato un forte interesse per il sociale, contribuendo alla fondazione di diverse associazioni nel suo quartiere. Queste associazioni hanno organizzato numerose iniziative e eventi per bambini e adulti, come feste di quartiere, attività culturali e sportive. Muro ha sempre cercato di rimanere informato sugli eventi locali e globali, sviluppando le sue opinioni su ciò che accadeva nel mondo.
Le vacanze di Muro da giovane erano spesso trascorse in Basilicata, la regione di origine dei suoi genitori, e in Calabria per il mare. Da quando si è sposato con Emanuela, le loro vacanze familiari hanno avuto altre destinazioni marine, sebbene Muro mantenga un forte legame con la Basilicata, dove ritorna volentieri ogni volta che può.
Durante la sua amministrazione come sindaco, Muro ha affrontato sfide significative, tra cui la gestione della crisi COVID-19. Uscendo dalla pandemia, ha lavorato per ricostruire le fondamenta della comunità di Rivalta, che era stata profondamente scossa dagli effetti del lockdown e delle restrizioni sociali. Ha promosso iniziative per rinvigorire il senso di comunità e la voglia di stare insieme, organizzando feste di piazza, eventi culturali, concerti e attività sportive all’aria aperta. Ha anche implementato il progetto "Femminili Plurali" per promuovere la partecipazione delle donne nella vita sociale e politica della città.
Grazie alle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), Muro ha avviato numerosi progetti di riqualificazione urbana e infrastrutturale. Questi includono la riqualificazione e l’ampliamento delle scuole locali, come l’asilo Lillo di Pasta, la scuola dell’infanzia di Pasta e la scuola primaria di Tetti Francesi. Ha anche investito nella riqualificazione di spazi culturali e sportivi, come il Castello, Casa Camosso e il campo sportivo di Tetti Francesi. Un progetto particolarmente significativo è la bonifica delle aree ambientali compromesse dalle ex aziende chimiche sul territorio, un’eredità pesante per la comunità.
Muro ha anche posto grande enfasi sull’educazione, assicurando che le scuole dell’obbligo a Rivalta offrano un’ampia gamma di attività formative in collaborazione con le dirigenti scolastiche. Ha investito risorse significative per garantire che nessun bambino venga lasciato indietro, con particolare attenzione ai ragazzi disabili. Collaborando con associazioni di volontariato locali, come Lauser, Muro ha sostenuto progetti individualizzati per l’accompagnamento e l’educazione dei ragazzi disabili.
Un altro tema importante per Muro è stato il supporto alle famiglie colpite dall’impoverimento durante la pandemia. Ha implementato bonus per agevolare la pratica sportiva e la frequenza dei centri estivi per i bambini, con un’attenzione particolare alle famiglie con redditi bassi. Ha anche investito nell’educazione ai centri estivi, assicurando che i ragazzi disabili abbiano accesso agli educatori durante queste attività.
Guardando al futuro, Muro spera di vedere completati i numerosi cantieri e progetti avviati, e di continuare a promuovere una comunità aperta, accogliente e solidale a Rivalta. La città ha visto un significativo boom demografico negli anni ’70 e ’80 grazie all’immigrazione interna, e ora sta assistendo a una nuova ondata di immigrazione da altri paesi. Muro desidera che Rivalta mantenga la sua tradizione di accoglienza, offrendo supporto a chi è in difficoltà e lavorando insieme per costruire un futuro migliore.
Nel poco tempo libero che ha, Muro ama leggere. È particolarmente appassionato di libri gialli e noir, leggendo autori come Maurizio De Giovanni, Joel Dikeff, Bartlett e Donato Carrisi. Recentemente ha letto anche "La banalità del male" di Hannah Arendt, un libro che ha trovato molto impegnativo. È anche interessato alla psichiatria e alla malattia mentale, leggendo autori che trattano questi temi. Nonostante il suo ruolo di sindaco richieda un impegno totalizzante, Muro trova gratificante la sua esperienza e mantiene un forte attaccamento alla sua città, desiderando sempre tornare a Rivalta anche dopo le vacanze.
Mara è nata e cresciuta a Sant'Ambrogio, un paese nella Val di Susa. La sua famiglia ha origini piemontesi da parte di madre. Dopo aver conseguito il diploma in grafica pubblicitaria a Torino, ha iniziato l'università in Lettere, ma ha dovuto interrompere gli studi a causa della morte del padre e della necessità di lavorare.
Durante un viaggio all'estero, ha conosciuto una persona che l'ha incoraggiata a seguire un corso regionale per diventare educatrice della prima infanzia, completato il quale ha iniziato a lavorare come educatrice in un asilo nido a Rivalta. Qui ha lavorato per vent'anni, prima nel nido di una frazione chiamata Pasta e poi nel nido centrale, quando il primo è stato affidato a una cooperativa.
Nel frattempo, Mara ha chiesto un trasferimento all'ufficio comunicazione del comune o alla biblioteca, grazie alle sue competenze in grafica. La sua richiesta è stata accolta e ora lavora in biblioteca, dove svolge vari compiti nonostante non sia una bibliotecaria certificata. Si occupa del reference con l'utenza, della comunicazione sui social media, della gestione del prestito e di altre attività organizzative e tecniche.
Una delle sue principali responsabilità è lo Sportello Digitale, un servizio che aiuta le persone a navigare il mondo digitale, specialmente gli anziani e coloro che hanno difficoltà con l'uso della tecnologia. Questo servizio è diventato molto popolare grazie al passaparola e alla promozione sui canali di comunicazione del comune.
Nel tempo libero, Mara ama viaggiare, aggiustare cose e dedicarsi a lavori manuali, trovando che queste attività stimolino il cervello. Sebbene lavori a Rivalta, vive in un piccolo paese dove ha poche relazioni con gli abitanti, mantenendo invece rapporti più stretti con le strutture e i commercianti di Rivalta.
Il suo desiderio più grande è viaggiare di più, anche se deve superare la paura degli aerei. Ama muoversi via terra e ha già fatto viaggi in bicicletta. Anche in biblioteca, Mara non è stanziale, preferendo cambiare spesso attività per evitare la monotonia.
Riguardo al contesto di Rivalta, Mara sottolinea l'importanza del supporto digitale per le persone, specialmente per gli anziani che trovano nella biblioteca un rifugio e un luogo di incontro. Nota anche la difficoltà di creare interazioni significative con i giovani, che utilizzano le sale studio ma tendono a non interagire molto con lo staff della biblioteca.
Gabriella Cibin è una cittadina di Rivalta di Torino con una lunga carriera nel volontariato, iniziata a 18 anni. Ha cominciato con l'Aido (Associazione Italiana Donatori e Organi), pubblicizzandone le attività con fervore. Successivamente, si è dedicata al volontariato terzomondista, specialmente in Brasile. Il suo interesse per l'ambiente è stato un costante nella sua vita, e ha sempre creduto nell'importanza dell'azione individuale.
Arrivata a Rivalta, Cibin è stata spinta a impegnarsi attivamente in campo ambientale, in particolare quando ha visto una discarica di grandi dimensioni nella zona. Con gli Ecovolontari Rivaltesi, ha lavorato per eliminare le discariche abusive, affrontando anche pericoli personali, come le minacce degli scaricatori abusivi. L'impegno degli Ecovolontari ha portato a una significativa riduzione delle discariche, con Rivalta ora praticamente libera da questi problemi.
Un punto d'orgoglio per Cibin è stata la protezione della Magnolia Grandiflora nel Parco del Castello, per cui ha lottato per ottenerne la monumentalità e proteggere le sue radici. Inoltre, ha contribuito alla gestione di due rotatorie stradali e alla potatura di alberi, attività che richiedono fondi e impegno costante. La gestione di queste aree ha migliorato la bellezza urbana, riducendo l'abbandono di rifiuti e il degrado.
Cibin ha anche affrontato il problema dei graffiti, ottenendo vernici dalle imprese edili e ridipingendo muri vandalizzati. Questo ha dissuaso i vandali dal ritornare, portando a una Rivalta quasi priva di graffiti. Nonostante il lavoro ingrato e pericoloso nel campo dei rifiuti, Cibin ha sempre dimostrato una conoscenza tecnica superiore, necessaria soprattutto come donna in un ambiente prevalentemente maschile.
Cibin sottolinea l'importanza del volontariato ambientale e incoraggia le persone a non vergognarsi di raccogliere i rifiuti abbandonati. Conclude l'intervista con un saluto e un ringraziamento a tutti i volontari, invitando tutti a fare gesti concreti per l'ambiente.
Elena Albergo lavora per la cooperativa San Donato e si occupa del servizio di accompagnamento socioeducativo per le famiglie Rom nel territorio del Cidis da 5 anni. La sua attività si estende nei comuni di Orbassano, Beinasco, Bruino, Rivalta, Volvera e Piossasco, con un focus particolare su Rivalta e Piossasco. In quest'area, Elena e le sue colleghe lavorano per facilitare l'accesso delle famiglie Rom ai servizi disponibili, un compito reso difficile dalla discriminazione e dalle barriere culturali.
Elena ha studiato politiche sociali e il suo ruolo principale è quello di mediatore culturale e di raccordo con vari servizi. Si occupa di supportare le famiglie Rom, che spesso affrontano discriminazioni e difficoltà nell'accedere ai servizi. Ogni famiglia ha la sua storia unica, quindi il lavoro deve essere personalizzato. Elena sottolinea l'importanza di intercettare progetti sul territorio e migliorare la comunicazione e il coordinamento tra le iniziative disponibili.
Tra le problematiche riscontrate, Elena evidenzia la difficoltà delle giovani generazioni Rom ad accedere al mercato del lavoro, spesso a causa del basso livello di istruzione. Un esempio positivo è stato il progetto "Femminili Plurali", che ha permesso a una giovane donna di ottenere un contratto di lavoro. Tuttavia, la scarsità di progetti di inserimento lavorativo rimane una sfida significativa.
Elena lavora anche per contrastare l'abbandono scolastico, una questione aggravata dalla limitata offerta formativa nel territorio. La necessità di spostarsi per frequentare scuole superiori o centri di formazione professionale rappresenta un ulteriore ostacolo. Nonostante queste difficoltà, Elena e il suo team cercano di costruire reti di supporto con gli enti locali e i servizi sociali.
Il Covid-19 ha ulteriormente complicato il loro lavoro, introducendo nuove sfide come l'alfabetizzazione digitale. Molte famiglie Rom hanno trovato difficile adattarsi ai cambiamenti tecnologici necessari per accedere a servizi e pratiche burocratiche. Elena nota anche che le misure di sostegno al reddito sono cambiate frequentemente, creando confusione e complicazioni per le famiglie.
Un altro aspetto importante del lavoro di Elena è la promozione della salute. Le risorse limitate e i tagli alla sanità pubblica hanno reso più difficile per le famiglie Rom accedere a cure mediche. Elena e il suo team collaborano con organizzazioni locali per fornire supporto medico e dentale.
Elena sottolinea che non tutte le famiglie Rom sono in difficoltà; molte sono autonome e non necessitano di assistenza. Tuttavia, il riconoscimento della minoranza Rom a livello nazionale e il rispetto della loro lingua e cultura sono cruciali per migliorare l'inclusione sociale.
Elena racconta dei cambiamenti culturali all'interno della comunità Rom, come l'aumento dell'età dei matrimoni e il desiderio di alcuni giovani di non sposarsi. La sua esperienza dimostra che la cultura Rom è dinamica e varia tra le famiglie, e il riconoscimento di questa diversità è essenziale per il lavoro di mediazione culturale.
Giuseppa Malaspina ha 61 anni sposata e ha due figli, da poco anche nonna, nata in Basilicata si è trasferita con i genitori da piccola per motivi lavorativi del padre, di lavoro ha fatto l'ostetrica all'ospedale Sant'Anna per tanti anni oltre a lavorare , ora è in pensione, fa parte dell'associazione Gaia per le donne la sua partecipazione è molto preziosa avendo fatto un lavoro generalmente rivolto alle donne ha una particolare sensibilità, in passato ha fatto parte di un gruppo di ostetriche che ha formato un'associazione che aiutava le donne a partorire in casa, attualmente il suo desiderio è creare uno spazio di aggregazione per le donne dove possono parlare, riflettere e avviare progetti insieme. Per realizzare questo obiettivo è fondamentale disporre di un luogo adatto per incontrarsi.
Giuseppa detta Giusy è figlia di una famiglia numerosa è immigrata dalla Basilicata. Ha trovato difficoltà ad inserirsi all'inizio, ma con determinazione è riuscita a diventare ostetrica. La sua storia di resilienza e impegno continua a ispirarla nel suo lavoro a supporto della donne.
Fabio Giusto 51anni di origine Veneta da entrambi i genitori ha 51 anni, nato a Piossasco sposato e ha un bimbo di 10 anni, lavora come agente immobiliare, presso l'agenzia Abitare situata nel cento storico di Piossasco in via Palestro, durante la conversazione Fabio ha detto che il suo lavoro glia ha permesso di conoscere in modo più approfondito la citta, mi ha espresso il suo punto di vista sulla situazione immobiliare e delle esigenze della comunità. Secondo lui, ci sono state molte nuove costruzioni, ma importante ma e importante valorizzare anche e abitazioni vecchie per evitare che i prezzi diminuiscono. Inoltre, ritiene necessario incrementare le attività per i giovani, il paese deve avere più collegamenti al livello di trasporti, sia al interno di Piossasco tra una zona e l'altra sia per muoversi verso l'esterno. Fabio spera che ci siano delle attività di tipo musicale per coinvolgere più persone ad esempio dedicare un luogo dove si può suonare o semplicemente bere una bibita e scambiare delle idee.
Enrica Ferrero 70 anni sposata e ha due figli, è una insegnante in pensione da qualche anno, nata a Pinerolo, si è trasferito a Piossasco in quel momento giovanissima per lavorare nella scuola a Piossasco, Enrica oltre a che ha fatto l insegnante per tanti anni, ha voluto mettere a disposizione la sua preziosa esperienza nel dare un contributo per aiutare i ragazzi delle scuole medie che riscontrano difficoltà nel svolgere i compiti o hanno particolarmente qualche lacuna in alcuni materie, lei insieme ad altri volontari di studio assistito che è una realtà parrocchiale continuano coinvolgere altri volontari giovani per continuare questo importante lavoro, oltre a volere ampliare l aiuto anche ai ragazzi della prima e seconda superiore per contrastare l’abbandono scolastico.
Alberto Castellana, 36 anni nato a Piossasco, è un commerciante, proprietario di un negozio di cialde di caffè, Alberto ha studiato alberghiero a Pinerolo, e ha raccontato che è stata un esperienza positiva, dopo il diploma ha lavorato a un bar e poi come cuoco al castello dei Nove Merli a Piossasco, in seguito a scoperto una sua passione per il caffè e da lì ha avuto il coraggio de avviare la sua attività di vendita di tutto ciò che è relativo al caffè come le cialde le machine da caffè ed accessori, dopo 7 anni Alberto ambisce de ingrandire la sua attività aggiungendo altre categorie alimentari, oltre al lavoro, ha parlato della sua passione per lo sport in particolare il body building, che pratica in palestra nel tempo libero. In futuro Alberto vorrebbe viaggiare in paesi orientali come l india per scoprire nuovi sapori e culture.
Francesco Ruocco, di 24 anni, nato nel 1999, vive a Piossasco da sempre, anche se attualmente risiede in affitto a Torino. Francesco è spesso a Piossasco per il lavoro in associazione, oltre che per la famiglia, gli amici e la ragazza. È laureato in economia e statistica per le organizzazioni e sta attualmente frequentando un corso magistrale in politica e servizi sociali al Campus. Nonostante questa deviazione nel percorso accademico, ha sempre mantenuto un forte impegno nel volontariato e nelle attività sociali.
Durante l'adolescenza, Francesco è stato attivo come animatore parrocchiale e ha partecipato al Consiglio Comunale dei Ragazzi (CCR). Ha collaborato con l'associazione "Spostiamo Mari e Monti" e ha partecipato al progetto "Nessuno Resta Solo Piossasco" durante l'emergenza COVID-19, che prevedeva la distribuzione di derrate alimentari. Nel 2020 ha fondato l'associazione FORO con altre persone, diventandone presidente. L'associazione è nata da un senso di frustrazione verso le dinamiche problematiche del territorio, come la mancanza di trasporti efficienti e di luoghi di aggregazione per i giovani.
Francesco si è sempre sentito incerto riguardo al suo percorso universitario, trovando difficoltà a mantenere il fuoco sull'ambito accademico. Ha sempre cercato di restare attivo al di fuori dell'università, dedicandosi a molteplici attività. FORO è nata dal desiderio di creare un luogo di identificazione, riconoscimento e socializzazione per i giovani di Piossasco. Francesco è anche coinvolto in un corso da animatore interculturale presso il centro interculturale di Torino con l'associazione Asai.
Dal punto di vista lavorativo, Francesco è un volontario in associazione e lavora presso Casa Laiolo nel progetto "Cuore Verde". Ha precedenti esperienze lavorative come tirocinante in un'azienda e nell'ufficio dell'università. Le sue passioni includono stare con le persone e organizzare eventi, che lo hanno assorbito molto negli ultimi due anni.
Francesco ha avuto esperienze internazionali significative, tra cui sei mesi di studio in Australia e un semestre in Norvegia durante l'Erasmus. Queste esperienze lo hanno formato e gli hanno permesso di uscire dalla sua zona di comfort, coltivando legami forti con persone incontrate durante i viaggi.
Nonostante il suo impegno e le numerose attività, Francesco si sente spesso insicuro riguardo al suo percorso personale e accademico. Ha attraversato momenti di difficoltà, compresi periodi di ansia e depressione, soprattutto dopo la laurea triennale. Questo lo ha portato a cambiare corso di studi, passando da economia a servizi sociali, nella speranza di trovare una nuova prospettiva e coltivare il suo interesse per il sociale.
Francesco vede il futuro dell'associazione FORO con la necessità di ringiovanimento e di coinvolgimento delle nuove generazioni. Vorrebbe che l'associazione continuasse a essere un luogo di ritrovo e progettazione sul territorio, collaborando con altre realtà locali. Spera di poter continuare a coltivare l'entusiasmo e l'energia necessari per far crescere l'associazione e renderla un punto di riferimento per la comunità di Piossasco.
Francesco riflette sul suo rapporto con Piossasco, un luogo che ha imparato ad apprezzare nonostante le difficoltà iniziali. Vorrebbe contribuire a rendere Piossasco un posto fertile e animato, coltivando un senso di comunità e continuando a lavorare per migliorare le dinamiche del territorio. Nonostante le incertezze personali, Francesco è determinato a trovare la sua strada e a combinare le sue passioni e competenze per il futuro.
Pina Laurino, nata a Riesi, in provincia di Caltanissetta, nel 1957, racconta la sua vita, partendo dall'infanzia. All'età di due anni, i suoi genitori emigrarono a Torino, lasciandola per un anno dalla nonna in Sicilia poiché a quell'età non avrebbe potuto frequentare la scuola materna, necessaria per permettere a sua madre di lavorare. A quei tempi, Torino non offriva servizi comunali per l'infanzia come asili nido e scuole materne, che erano gestiti esclusivamente da istituti cattolici, accessibili solo ai bambini dai tre anni in su. A tre anni, Pina si trasferì a Torino, dove visse fino ai 30 anni.
A Torino, Pina completò tutti i suoi studi, frequentando inizialmente le attività dell'oratorio cattolico nonostante fosse di famiglia valdese. Frequentava la scuola domenicale dei valdesi ma si univa all'oratorio per attività ricreative, poiché non esistevano molti spazi di aggregazione per i bambini e i ragazzi. Durante le scuole superiori, Pina si avvicinò al movimento studentesco che si sviluppò dal 1968 in poi. Sebbene nel 1968 avesse solo 11 anni, a 14 anni si unì al movimento degli studenti e, a 18 anni, alla Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) nel 1975.
Pina iniziò a lavorare a Torino, passando anche per la redazione torinese del giornale dell'Unità per 2-3 anni, fino a quando la redazione chiuse. Dovendo trasferirsi a Milano o Bologna per continuare, decise di cambiare lavoro e iniziò a lavorare per le Poste Italiane, dove rimase fino alla pensione. Inizialmente lavorò come sportellista e negli ultimi 20 anni nel servizio commerciale della filiale di Pinerolo.
Durante questo periodo, Pina si sposò e rimase a Torino per altri 2-3 anni, durante i quali nacque il suo primo figlio, Lorenzo. Nel 1987, quando Lorenzo aveva quasi due anni, la famiglia si trasferì a Piossasco, dove Pina vive da 37 anni. La scelta di Piossasco fu influenzata dal desiderio di trovare una casa più grande fuori Torino ma non troppo distante, e dal fatto che amici avevano già acquistato casa lì. Si trasferirono a Piossasco in quattro famiglie conosciute, creando un ambiente comunitario accogliente e ben organizzato.
A Piossasco, Pina trovò la comunità molto accogliente. Suo figlio Lorenzo iniziò a frequentare l'asilo nido, che si rivelò un luogo di aggregazione importante per le famiglie. Le mamme organizzavano serate di discussione e feste, con il supporto di educatrici straordinarie. Pina non ha più avuto contatti con il nido dopo il 1995, quando la sua seconda figlia, nata nel 1992, smise di frequentarlo. Anche le scuole materne ed elementari a Piossasco erano ben gestite e considerate eccellenti.
Pina ha raccontato anche delle attività sportive dei suoi figli, che praticarono pallavolo, pallacanestro e calcio. Le figure che gestivano queste attività erano considerate educative e attente non solo al rendimento sportivo ma anche al comportamento dei ragazzi.
La narrazione si sposta poi sulle esperienze giovanili di Pina nel movimento studentesco e nei movimenti sociali e politici degli anni '60 e '70. A 14 anni, Pina si unì al movimento studentesco durante un periodo di grande fermento. La sua famiglia era già attenta ai temi sociali, con suo padre che lavorava in fabbrica durante le lotte dell'autunno caldo per il miglioramento delle condizioni di lavoro. A scuola superiore, Pina entrò in contatto con il movimento studentesco, partecipando a scioperi e manifestazioni.
Pina parlò anche delle rivendicazioni femministe e delle lotte per i diritti delle donne. Ricorda il referendum del 1974 per l'abolizione della legge sul divorzio e la successiva battaglia per l'apertura dei consultori, visti allora come luoghi di aggregazione e educazione sessuale per le donne. La legge sull'aborto, approvata nel 1978, fu un altro punto cruciale, affrontando forti opposizioni da parte delle forze conservatrici e cattoliche. Pina discusse anche della lotta per la parità salariale e di opportunità lavorative, sottolineando i progressi fatti ma riconoscendo che non si è ancora raggiunta una parità completa.
L'associazione "Gaia per le donne", di cui Pina fa parte, è nata intorno al 2007 come gruppo di volontarie a supporto dell'assessorato alle pari opportunità e si è costituita formalmente nel 2021. L'associazione organizza eventi sociali e culturali, supporta donne in difficoltà e partecipa a progetti di sensibilizzazione ed educazione. Un progetto significativo è stato "Femminili Plurali", che ha coinvolto donne nella creazione di un pannello pittorico e di un libro di storytelling bilingue.
Pina ha evidenziato le sfide nel mantenere attiva l'associazione senza il coinvolgimento delle nuove generazioni, sperando di trovare nuove collaborazioni per evitare che l'associazione si estingua. Ha espresso la necessità di nuove idee e energie per rispondere alle esigenze delle giovani donne di oggi, sottolineando l'importanza di adattarsi ai cambiamenti nei modi di comunicare e fare politica rispetto ai tempi passati.
Pina conclude esprimendo la sua preoccupazione per il futuro dell'associazione, sperando di poter coinvolgere nuove persone e continuare a promuovere i diritti delle donne in un mondo che è cambiato molto rispetto ai decenni passati.
Julian Suppo è nato nel 1990 a Pinerolo e ha vissuto tutta la sua vita a Piossasco, nella stessa casa costruita dai suoi genitori. Ha frequentato le scuole elementari e medie a Piossasco, mentre per le superiori si è spostato, continuando comunque a frequentare Piossasco con i suoi amici. Durante l'università ha iniziato a lavorare nella cartoleria di famiglia, ereditata dalla madre, ma l'attività ha chiuso nel 2019, poco prima della pandemia di COVID-19. Dopo la chiusura della cartoleria, Julian ha ripreso e completato gli studi universitari, conseguendo una laurea in psicologia e una magistrale in psicologia criminologica e forense. Attualmente lavora da un anno e mezzo come consulente assicurativo per un broker di Torino, fornendo soluzioni assicurative a una vasta gamma di clienti, soprattutto associazioni del terzo settore. Julian trova soddisfazione nel suo lavoro per la libertà che offre e per la possibilità di aiutare le persone a navigare tra le complicate questioni assicurative.
La cartoleria, aperta nel 1995, era situata in una posizione strategica vicino alle scuole, ma ha sofferto la concorrenza dei supermercati e, soprattutto, del commercio online, che ha dato il colpo finale all'attività. Negli ultimi anni, il commercio a Piossasco ha visto una diminuzione dei negozi, con molti che aprono e chiudono rapidamente a causa delle difficoltà economiche.
Julian descrive Piossasco come una "città dormitorio" dove molte persone vivono ma lavorano altrove. Suggerisce che si potrebbe migliorare la vivibilità della città rendendola più attrattiva per i giovani e le famiglie, magari con eventi che coinvolgano i commercianti e che rivitalizzino le diverse aree commerciali. Nonostante le difficoltà, Julian apprezza la tranquillità e la bellezza di Piossasco, auspicando una maggiore partecipazione della comunità per valorizzare la città. Nel tempo libero, Julian è molto impegnato nel sociale, collaborando con varie associazioni, soprattutto per i diritti della comunità LGBT. È anche attivo politicamente, avendo fatto parte del consiglio comunale fino a giugno di quest'anno. La sua passione per la psicologia è rimasta sempre viva, anche se non ha mai voluto trasformarla in una carriera per non perderne la magia. In futuro, Julian vorrebbe continuare a studiare, magari in scienze della mente, per approfondire le neuroscienze.
Julian trova particolarmente interessante il diritto penitenziario, che gli ha fatto comprendere come la legge italiana sia orientata alla rieducazione dei detenuti, sebbene la pratica spesso non riesca a realizzare questo ideale a causa di carenze strutturali e finanziarie. Spera che il governo possa prioritizzare la riforma del sistema penitenziario per rendere il carcere un vero strumento di rieducazione e reintegrazione sociale.
Infine, Julian vede Piossasco come una "bolla felice" dove le comunità straniere e la comunità LGBT convivono in relativa armonia, grazie anche all'impegno della cittadinanza nel rispondere in modo forte e coeso a eventuali problemi di integrazione e discriminazione. Questo senso di comunità rende Piossasco un luogo piacevole e sicuro in cui vivere.
Gessica lavora da otto anni presso il Bar Bollani, storico panificio-pasticceria fondato nel 1930, che da allora è cresciuto e si è espanso notevolmente con l'apertura - anche futura - di diversi punti vendita in giro per la città. Con le vetrine affacciate su piazzale Martini a pochi passi dalla Biblioteca, questo storico forno di goloserie è un punto di riferimento per la comunità, famoso per produrre quello anche alcuni giornali hanno definito il miglior strudel di mele della città.
Secondo Gessica, ciò che distingue il Bar Bollani è l'approccio familiare-umano con i clienti. Non si tratta solo di prendere un caffè o comprare il pane, ma di instaurare veri e propri rapporti, condividere storie e modi di vivere.
All'interno del quartiere osserva una grande varietà sociale: si incontrano persone in difficoltà economica così come individui benestanti. Questo mix perfetto di diversità, secondo lei, non necessità particolari interventi perché rende la zona dinamica e affascinante, intessuta da un forte senso di comunità. Anche tra i commercianti e i residenti si sono instaurate relazioni profonde e significative, e buoni sono i rapporti tra i commercianti stessi (come testimonia l'esperienza di Bar Bollani con realtà attigue quali il Penny e il Pam).
I valori fondanti del Bar Bollani sono impegnarsi a crescere, migliorarsi, rimanere allegri e lavorare bene.
Per il futuro, auspica che la catena continui a espandersi e ad alimentare il suo spirito comunitario.
Annalisa lavora alla Biblioteca di Calvairate da alcuni mesi ed è un'attività che la gratifica moltissimo, perché le consente di conoscere meglio la comunità milanese e interagire quotidianamente con essa. In passato, lavorando nel settore privato, non aveva la stessa opportunità di scambio con il pubblico e la cittadinanza.
Per lei la 'comunità' è condivisione di esperienze teoriche e pratiche, dove idee e fatti vengono scambiati per comprendere meglio se stessi e le relazioni con gli altri. Da questo punto di vista ritiene che Milano necessiti di instaurare relazioni più profonde e meno superficiali al suo interno; i cittadini avrebbero bisogno di ascoltarsi e ascoltare le storie degli altri, dice, percependo intorno a lei un bisogno diffuso di ascolto e condivisione.
Dalla sua prospettiva lavorativa, Annalisa ha notato che le persone, se trattate con gentilezza, rispondono positivamente con curiosità e apertura. Il suo lavoro le permette di fare da anello di congiunzione tra richieste diverse e possibili soluzioni: per lei il ruolo del bibliotecario è anche un atto politico, poiché riguarda la comunità e la possibilità che i suoi membri comprendano e accedano ai loro diritti, come lo studio e il piacere della lettura.
Annalisa, amante della musica, delle arti e dei fumetti, spera che il futuro del quartiere includa più spazi verdi, meno cementificazione e traffico, e più luoghi dove le persone possano incontrarsi e discutere. Vorrebbe vedere il quartiere vivo e non silente, con meno spazi vuoti e sguardi assenti.
Guardando al futuro, desidera che la biblioteca diventi un punto di incontro dove le persone possano scambiarsi saperi e riflettere di più, contribuendo a riempire quei 'vuoti' tra le persone. In questo senso crede che i libri rappresentino una risorsa preziosa per menti critiche e anime gioiose volte alla condivisione..
Barbara, 46 anni, e sua madre Maria Grazia, 77, vivono nel quartiere di Calvairate praticamente da sempre e provano per questi luoghi un forte legame affettivo, conoscendone profondamente la storia e l'evoluzione.
Maria Grazia ricorda che un tempo in cui il quartiere era più vivo e vivace, con numerosi negozi familiari e botteghe di prodotti locali. Ora, ai suoi occhi maturi, appare più povero e sporco, con molti negozi che chiudono a causa degli affitti elevati e dei costi delle materie prime in aumento, come un vecchio panificio storico che era attivo da più di 60 anni.
Nonostante le difficoltà, il quartiere mantiene un forte clima di comunità e un tessuto sociale che ricorda quello di un paese. Questo aspetto è molto apprezzato da entrambe le donne che sottolineano l'importanza di preservare questa ricchezza sociale. Lo sviluppo e l'ingresso della zona nei rapidi ritmi metropolitani del centro stanno determinando un continuo ricambio di residenti, con molte persone che restano per poco tempo e numerose case trasformate in affitti brevi. Questo, riflettono, sta rendendo più difficile instaurare rapporti duraturi tra vicini.
Per il futuro del quartiere, Barbara e Maria Grazia sperano in maggiore aggregazione sociale e nell'aumento di progetti che coinvolgano tutte le fasce d'età. Maria Grazia, la mamma, sostiene la necessità di centri e iniziative per gli anziani, sempre più numerosi ma anche soli, isolati. Sarebbe bello e utile vedere più iniziative all'aria aperta, in spazi attrezzati, dove le persone possano incontrarsi e socializzare.
Maria Grazia, originaria del Veneto, è un'artigiana abile nel lavorare a maglia, con l'uncinetto e la carta. Quella che è iniziata come una passiona da bambina è ora una conoscenza che le permettono di creare collane, braccialetti e oggetti di carta riciclata e altri materiali. Alcuni dei suoi lavori li vende, altri li regala.
Barbara, la figlia, ama disegnare, dipingere, e ha ereditato dalla madre la passione per l'uncinetto. Le piace anche molto scrivere e leggere, ragioni che la portando a frequentare regolarmente la biblioteca di Piazzale Martini.
Entrambe sottolineano l'importanza di mantenere vive le tradizioni artigianali per trasmetterle alle nuove generazioni. Ritengono che eventi, iniziative sociali e gruppi di lettura possano avvicinare i giovani alla cultura, utilizzando linguaggi e modalità attraenti. L'arte del riciclo della carta, ad esempio, potrebbe essere un'attività interessante e stimolante da condividere.
Per Barba e Maria Grazia il senso di comunità significa prendersi cura l'uno dell'altro. Ripensando ai tempi in cui tutti in quartiere si conoscevano e si salutavano, e auspicano il ritorno a quei valori di solidarietà e vicinanza.
Nicola ha 62 anni e vive nel quartiere Calvairate da ormai 28 anni. Arrivato per puro caso, ha iniziato a conoscere la zona gradualmente grazie anche al lavoro come corriere, e con il tempo questa zona è diventato per lui casa, il luogo del cuore.
Apprezza ogni giorno di più il quartiere, legato ormai a molte persone e osservando la crescita e l'espansione della zona. Sebbene ne riconosca anche i contro, apprezza di essere vicino al centro città e di vivere in una luogo piacevole in continuo sviluppo. Presenti anche alcuni i problemi di sicurezza e di controllo, come accade in molte grandi metropoli.
Con il passare degli anni, Nicola ha stretto amicizie con persone di diverse età, dai ragazzi ai più giovani. Se dovesse immaginare di andarsene si sentirebbe spaesato.
Nicola è testimone delle trasformazioni in atto nel quartiere, resa evidente dalla costruzione di tanti nuovi edifici. Per il futuro desidera vedere miglioramenti nella sicurezza e nella qualità della vita, specialmente per le donne. Racconta di come, dopo la chiusura di un locale, una piazza fosse buia e poco sicura nelle ore serali.
La vivace vita di quartiere ha portato Nicola a partecipare a diverse attività, incontri culturali ed eventi locali. Qui, grazie anche alla passione per la musica, ha potuto scoprire e conoscere nuovi talenti emergenti e giovani musicisti, dei quali segue con piacere lavori e performance. Ricorda con piacere la riapertura della biblioteca e aspetta con ansia la realizzazione di quella nuova, che darà ancora più vitalità al quartiere.
Il senso di comunità è fondamentale per Nicola, che crede nell'importanza di essere presenti e solidali in caso di emergenza. Ricorda un episodio in cui un appartamento è andato a fuoco e tutti i vicini sono accorsi in aiuto. Questo senso di appartenenza e collaborazione è ciò che rende il quartiere speciale per lui, che si sente parte di una comunità dinamica e accogliente, dove le persone si conoscono e si supportano a vicenda.
In conclusione, nonostante i problemi e le difficoltà, Calvairate per Nicola è un luogo bello in cui vivere perché la comunità e l'interazione sociale hanno un ruolo forte nella sua quotidianità.
Stefano ha vissuto nel quartiere fino ai 22 anni, poi per ragioni sentimentali si è spostato in un'altra zona della città e tempo dopo il 'destino', come lo definisce lui, lo ha riportato a Calvairate, nelle case popolari di via Etruschi. Nato, cresciuto e ritornato in un posto che è casa come nient'altro.
Parlando di sé, Stefano racconta che - soprattutto in gioventù - le sue più grandi passioni sono sempre state le donne e lo sport anche se un brutto incidente in moto gli ha causato gravi danni fisici ed una parziale invalidità. Questo episodio ha cambiato radicalmente la sua vita, limitandolo fisicamente e complicando notevolmente la ricerca di un lavoro: ha visto chiudersi molte porte e l'energia della sua motivazione, specialmente con il passare degli anni.
Riflettendo sui cambiamenti nel quartiere, Stefano ricorda una piazza Martini molto diversa da quella di oggi, segnata dal problema della droga. Tanti sono i conoscenti che non ha più incontrato, distrutti dalle sostanze, incarcerati o deceduti. Nonostante le esperienze difficili vissute, si considera un sopravvissuto di quel periodo turbolento.
Il quartiere, a suo avviso, è diviso tra abitanti poveri o in difficoltà delle case popolari e abitanti benestanti più vicini alle vie del centro. In questo spaccato di vita urbana e sociale, ritiene utile rafforzare le uguaglianza anziché inasprire le disuguaglianze, anche tra i povero stessi. Critica il sistema che fa pagare alcuni e assolve immeritatamente altri che sfuggono alle responsabilità, creando un clima di ingiustizia complessivo.
Stefano ha preso parte alla vita del quartiere anche attraverso il volontariato, aiutando gli anziani. Intorno a se evidenzia la mancanza di un vero senso di comunità, unito e solidale. Tra gli aspetti positivi nel quartiere riconosce la presenza dei molti spazi verdi e la grande popolazione anziana che lo abita, una grande risorse per tutti, afferma. Per i giovani esprime preoccupazione, soprattutto per quelli che si rendono protagonisti con comportamenti problematici, tipici delle baby gang.
Per il futuro, Stefano non guarda troppo avanti, preferisce vivere giorno per giorno e si ritiene generalmente soddisfatto.
Per lui senso di comunità significa stare insieme, aiutarsi reciprocamente senza retorica, ipocrisia o falsità, proprio come in una seconda famiglia.
Syria Maisano, 23 anni, è nata a Pinerolo e cresciuta a Piossasco, dove ha sempre vissuto. Dopo aver frequentato il liceo scientifico a Pinerolo, ora è una studentessa universitaria di giurisprudenza e allena ginnastica artistica. Ha iniziato a praticare ginnastica acrobatica da piccola a Cumiana, e ha continuato a insegnare questo sport per passione e amore verso l'insegnamento. Syria ha allenato prima a Piossasco, ma la società sportiva è stata chiusa dopo il Covid, e poi è passata a Rivoli, continuando parallelamente anche a Piossasco quando una nuova società è stata riaperta. Syria sogna di diventare avvocato penalista e di aprire uno studio legale tutto suo. Attualmente, ha già iniziato a comunicare ai genitori dei suoi atleti che questi potrebbero essere i suoi ultimi mesi come allenatrice, dato che intende concentrarsi sull'ultimo anno di studi e sul tirocinio anticipato. Vive con i suoi genitori a Piossasco e non frequenta tutte le lezioni universitarie, preferendo quelle obbligatorie o che trova più interessanti. Syria è molto legata alla sua famiglia e non si è ancora trasferita altrove. Il suo nome, Syria, è stato scelto casualmente dalla madre e dal fratello in un supermercato, e aggiunto con una 'y' per renderlo più particolare. Siria desidera realizzarsi lavorativamente e ha già immaginato in dettaglio il suo futuro studio legale. Oltre alla sua attività sportiva, Siria è molto coinvolta nella comunità di Piossasco, soprattutto in ambito religioso. Ha un lungo percorso come animatrice in chiesa, dove organizza incontri settimanali e campi estivi per adolescenti, e attualmente è all'ultimo anno come animatrice con i suoi ragazzi. Questo ruolo le ha permesso di trasmettere valori e significati importanti alle nuove generazioni, in un contesto che è sia religioso che sociale. Syria nota che Piossasco manca di luoghi di aggregazione per i giovani, soprattutto serali, e di un forte centro sportivo. Tuttavia, apprezza l'aula studio che è stata aperta recentemente, che è diventata un punto di riferimento per gli studenti universitari. Nonostante le sfide, Siria si considera una persona felice e appassionata della vita. Le semplici cose, come una giornata di studio produttiva, le danno soddisfazione, e attribuisce gran parte della sua felicità alle persone che la circondano, agli amici e ai luoghi che frequenta. Ha un carattere socievole, sebbene inizialmente possa sembrare timida, ma si lancia sempre in nuove esperienze con entusiasmo.
Serena, 21 anni, vive a Piossasco e dopo aver studiato al liceo linguistico, ha iniziato a lavorare in un supermercato come tirocinante e successivamente si è candidata per il servizio civile in una biblioteca, ispirata dall'esperienza di sua cugina. Originaria di Pinerolo, nata il 6 maggio, Serena ha praticato molti sport e ha sempre avuto una forte inclinazione verso l'interazione con le persone, mostrando un carattere altruista e socievole. Serena studia criminologia presso un'università telematica, scelta per poter conciliare lo studio con il lavoro e non gravare economicamente sui genitori. La sua passione per la criminologia è nata fin da piccola, guardando programmi polizieschi in TV, e si è consolidata grazie all'interesse per la giurisprudenza. Nonostante non abbia un particolare interesse per la psicologia, ha trovato la facoltà ideale che combina le sue passioni per la legge e la criminologia. Attualmente al secondo anno di università, Serena ha scelto un percorso telematico per avere la flessibilità di lavorare. Ha abbandonato lo studio delle lingue (inglese, tedesco e francese) dopo la maturità, ma ha il desiderio di riprenderle in futuro, soprattutto per viaggiare e forse vivere all'estero. Le sue mete di viaggio preferite includono la Grecia e i paesi nordici. Serena è molto critica verso la situazione politica e sociale in Italia e considera seriamente l'idea di trasferirsi all'estero a lungo termine. È innamorata del paesaggio e della cultura italiana, ma è delusa dalle limitate opportunità e dalla restrizione dei diritti nel paese. Il servizio civile in biblioteca è un'esperienza molto positiva per Serena, che consiglia vivamente a tutti. Oltre alle mansioni tradizionali come il prestito dei libri, Serena e i suoi colleghi gestiscono i social media della biblioteca, cercando di combattere il cliché della biblioteca noiosa e di avvicinare i giovani al mondo della lettura e della cultura. Serena sottolinea l'importanza della lettura per l'arricchimento personale e culturale. Per il futuro, Serena ha ancora molte incertezze. Anche se ha sempre desiderato aiutare le persone, inizialmente pensando di diventare medico, ora si orienta verso un lavoro legato alla criminologia e alla giurisprudenza. È indecisa se cercare un impiego subito dopo la laurea o continuare con ulteriori studi e concorsi pubblici. Nonostante la sua indecisione, Serena è determinata a trovare il percorso giusto per sé. Nel frattempo, Serena è soddisfatta della sua vita nel territorio, apprezzando la comunità locale e l'ambiente naturale. Tuttavia, nota una carenza di spazi e servizi per i giovani, il che li porta a isolarsi e a dipendere troppo dalla tecnologia. Serena vorrebbe vedere più opportunità per i giovani di interagire e conoscere il mondo reale, valorizzando le diversità e promuovendo l'uguaglianza e il rispetto reciproco. Si preoccupa per l'attuale clima di odio e discriminazione e spera in un futuro più inclusivo e consapevole. , Serena è una giovane donna determinata, con una forte passione per la criminologia e un grande desiderio di aiutare gli altri. Nonostante le sfide e le incertezze, è impegnata a costruire un futuro che combini le sue passioni con la possibilità di fare la differenza nella vita delle persone.
Maria Carmela Bartolotta è nata nel 1971 a Pinerolo, in provincia di Torino, ma è cresciuta nel Vibonese, in Calabria, dove ha frequentato un corso di studi in informatica, che all'epoca offriva buone prospettive lavorative. Successivamente, si è trasferita in Piemonte per lavoro e attualmente vive a Cumiana. Lavora come direttore amministrativo in due istituti comprensivi a Piossasco: l'Istituto Comprensivo Davide Bertrand e l'Istituto Comprensivo Piossasco 1.
La sua vita familiare è caratterizzata da un matrimonio felice iniziato a 21 anni. Ha due figli: uno di 31 anni, laureato in economia, e una figlia di 23 anni che studia giurisprudenza a Torino. Maria Carmela ha gestito le attività commerciali del marito e ha svolto praticantato in uno studio commerciale, prima di dedicarsi definitivamente al settore amministrativo scolastico.
Il lavoro di Maria Carmela richiede molto tempo e dedizione, lasciandole poco spazio per il tempo libero. Un tempo praticava ginnastica artistica, ma ora si dedica principalmente alla cucina, suo grande hobby, e legge articoli leggeri per rilassarsi. Si sente gratificata dal suo lavoro a Piossasco, dove ha trovato un ambiente lavorativo stimolante e amicizie durature che hanno arricchito la sua vita.
La sua carriera è iniziata come assistente amministrativo e, dopo diversi anni, è diventata responsabile amministrativo e infine direttore amministrativo. Il suo ruolo include la gestione di vari aspetti amministrativi delle scuole, come il reclutamento del personale, gli acquisti, e la didattica, oltre a mantenere rapporti con le amministrazioni comunali e altre istituzioni.
Maria Carmela ritiene che il territorio di Piossasco abbia delle carenze, specialmente nella mancanza di punti di ritrovo per i ragazzi delle scuole secondarie, che spesso non hanno un luogo adeguato dove trascorrere il tempo libero. Sostiene che una collaborazione tra le istituzioni potrebbe migliorare questa situazione.
Dal punto di vista personale, il suo desiderio più grande è vedere i suoi figli realizzati e felici. Recentemente, ha ricevuto conferme di questo, con la figlia che ha espresso la sua felicità per la vita che conduce e il figlio che sta avendo successo nel suo lavoro. Questi momenti di gratificazione personale e familiare sono molto significativi per lei.
Maria Carmela e suo marito, che si conoscono da quando lei aveva 13 anni e lui 16, continuano a coltivare la loro relazione e a fare progetti per il futuro, trovando grande soddisfazione e felicità nella loro vita insieme.
Fabio di Falco è il presidente della Cooperativa Sociale Madiba, con sede a Beinasco, nella cintura sud di Torino. La cooperativa opera principalmente su questo territorio, che include i comuni di Beinasco, Bruino, Orbassano, Piossasco e Rivalta, ma è attiva anche in altre aree della città metropolitana e a livello internazionale. Madiba si occupa principalmente di tre macro aree di lavoro: 1. Ambito Educativo: La cooperativa realizza progetti e laboratori nelle scuole di ogni ordine e grado, focalizzati sulla cittadinanza attiva, la creatività, la musicoterapia e l'educazione non formale.2. Politiche Giovanili: Madiba gestisce centri di aggregazione giovanile e progetti locali e sovracomunali, rivolti ai giovani. Questi progetti mirano a favorire la socializzazione e l'inserimento lavorativo dei giovani, inclusi bambini, giovani adulti e persone con disabilità.3. Mobilità Internazionale: La cooperativa è convenzionata con l'Agenzia Nazionale della Gioventù e gestisce progetti di scambio internazionali nell'ambito del programma Erasmus Plus. Ogni anno, ospitano e inviano giovani in vari progetti di scambio culturale.Madiba è riconosciuta come un soggetto capace di tessere reti tra vari attori della comunità educativa, tra cui enti pubblici, scuole e enti del terzo settore. Un esempio significativo di questo ruolo è il progetto "Per noi ci vuole una comunità per fare comunità", finanziato nell'ambito del bando "Comunità Educanti" della Fondazione Con i Bambini. Questo progetto mira a sviluppare e potenziare la comunità educativa attraverso momenti di formazione, socializzazione e scambio di buone pratiche.Sul territorio di Rivalta, la cooperativa gestisce vari progetti, tra cui il progetto giovani che include la gestione di due centri di aggregazione giovanile. Madiba è coinvolta nei processi legati al protagonismo giovanile, aiutando i giovani a sviluppare nuove idee e prendersi cura del territorio. Tra le iniziative in corso c'è l'attivazione di una sala di registrazione che servirà sia per scopi musicali che per la sperimentazione digitale, come la realizzazione di podcast e video making.Un altro progetto rilevante su Rivalta è "Direzione Futuro", rivolto ai giovani tra i 16 e i 29 anni, con l'obiettivo di fornire loro strumenti per fare un bilancio delle competenze e scrivere un proprio progetto di vita, sia professionale che personale. Questo progetto include azioni formative sulle competenze non formali e la creazione di rapporti con le aziende locali per favorire l'inserimento lavorativo dei giovani.Fabio di Falco ha una formazione universitaria in Scienze Motorie e una lunga esperienza nel mondo associativo sportivo. La cooperativa Madiba è nata nel 2014 da un progetto del Piano Locale Giovani della Provincia di Torino, che mirava a favorire la partecipazione e l'ingaggio dei giovani. Madiba è cresciuta da 4 soci fondatori a 16 membri, e continua a investire nel territorio, collaborando con vari enti locali per affrontare le sfide progettuali e sperimentare nuove azioni. Un progetto futuro in corso di progettazione riguarda la promozione della pratica sportiva tra i giovani dai 16 ai 25 anni, coinvolgendo diverse associazioni sportive del territorio. Questo esempio sottolinea l'importanza del lavoro di rete e della collaborazione tra vari soggetti per cogliere le opportunità progettuali e portare risorse al territorio.
Vanna Pontiglione racconta la sua vita, iniziando dalla sua infanzia trascorsa nella campagna di Sommariva Perno, in provincia di Cuneo. Cresciuta in una famiglia di contadini, ha vissuto in un ambiente rurale fino a un tragico incidente avvenuto all'età di nove anni, quando perse la mano destra a causa di un ordigno bellico. Questo evento cambiò drasticamente il suo percorso di vita, spingendo la sua famiglia a farla studiare in collegio, dove Vanna completò le scuole medie e magistrali, diventando poi insegnante. Dopo aver lavorato per alcuni anni a Torino, Vanna si trasferì a Piossasco nel 1974, dove continuò la sua carriera di insegnante. Qui, oltre all'insegnamento, si impegnò attivamente in progetti sociali, tra cui l'occupazione di case per aiutare famiglie bisognose. Vanna descrive quegli anni come un periodo di grande fermento e partecipazione, sia nel campo educativo che sociale. Vanna ha poi fondato una scuola di musica a Piossasco nel 1994, partendo da condizioni difficili e con pochi mezzi, ma con il sostegno di volontari e genitori. La scuola, inizialmente limitata a pochi strumenti e spazi ristretti, è cresciuta nel tempo diventando una realtà importante per la comunità, offrendo corsi a centinaia di allievi e collaborando con il comune per fornire laboratori gratuiti nelle scuole. Grazie anche al direttore artistico con contatti internazionali, la scuola ha guadagnato riconoscimenti e supporto istituzionale. Vanna ha anche avuto un ruolo attivo nell'amministrazione comunale di Piossasco, dove ha lavorato come presidente del consiglio comunale e consigliera. Nonostante le difficoltà incontrate, soprattutto per le dinamiche politiche spesso dominate da uomini, Vanna ha perseverato nel suo impegno civico. Ad oggi, Vanna continua a dedicarsi alla scuola di musica e a promuovere iniziative culturali e sociali nella sua città. Ha una visione positiva per il futuro di Piossasco, desiderando maggiore collaborazione tra le diverse associazioni locali e l'espansione delle opportunità culturali e sportive per i giovani. La sua passione per la città e il suo impegno costante testimoniano il suo profondo legame con la comunità e la sua volontà di contribuire al suo sviluppo.
Simona D'Abbronzo è nata a Napoli 51 anni fa e ha vissuto lì fino ai 32 anni. Ha completato tutti gli studi a Napoli, dalle scuole materne fino alla laurea in giurisprudenza. Dopo la laurea, ha deciso di non intraprendere immediatamente la carriera di avvocato, ma di provare a entrare nel mondo del lavoro. Ha ottenuto alcune borse di studio, una presso uno studio legale e una presso l'università, lavorando in amministrazione. Successivamente, ha partecipato a concorsi in varie regioni italiane, tra cui Lazio, Lombardia, Veneto e Piemonte. In Piemonte, ha vinto una borsa di studio al Politecnico di Torino nel campo dei lavori pubblici, che includeva un periodo di formazione al Politecnico e presso la Regione Piemonte o le comunità montane. Tuttavia, questa esperienza si è rivelata deludente a causa della mancanza di un chiaro piano formativo per i borsisti. Simona ha quindi partecipato e vinto un concorso per un contratto di formazione lavoro al Comune di Torino. Questo contratto prevedeva inizialmente una sostituzione di maternità, che si è poi estesa grazie all'apprezzamento del suo lavoro da parte della dirigenza. Dopo diversi anni di contratti a termine, ha vinto un concorso a tempo indeterminato come categoria C, nonostante avesse una laurea. Ha lavorato per 11 anni a Torino nella direzione dei servizi sociali, occupandosi di progetti domiciliari per anziani. Durante questo periodo, ha conosciuto suo marito tramite amici comuni e si è trasferita con lui a Piossasco. Dopo il matrimonio e la nascita della loro figlia nel 2012, Simona ha cercato di ridurre i suoi spostamenti per stare più vicina alla famiglia. Ha quindi partecipato a concorsi nella zona di Piossasco e ha vinto un concorso per una posizione di categoria C nel comune locale. Nel 2021, le è stato offerto il ruolo di posizione organizzativa (PO) per il settore affari generali e poi anche per i servizi al cittadino. Ha trovato il lavoro impegnativo e, a causa della mancanza di personale e delle difficoltà nel gestire tutti gli uffici sotto la sua responsabilità, ha deciso di trasferirsi al comune di Orbassano. Tuttavia, non ha trovato soddisfacente il lavoro lì e ha deciso di tornare a Piossasco, dove si è occupata dell'ufficio scuola. A marzo 2024, le è stato nuovamente conferito l'incarico di posizione organizzativa fino alla fine del mandato dell'amministrazione in carica. Simona descrive il suo lavoro come molto amministrativo, gestendo vari uffici, tra cui scuola, welfare sociale e abitativo, lavoro, biblioteca, sport e giovani, e cultura. Le sue giornate sono impegnative, dovendo seguire molte procedure amministrative e atti legati agli indirizzi della giunta comunale.
Mi chiamo Maria Elena, ho 53 anni, sono sposata da 25 e ho tre figli. Ho dedicato gran parte della mia vita alla famiglia, ma ho anche lavorato sin da giovane in una piccola azienda che successivamente è diventata una banca. Durante la mia carriera, ho ricoperto molte mansioni e ho viaggiato in giro per l'Italia. La decisione di avere tre figli è stata ben ponderata, e ho affrontato difficoltà nel trovare un part-time per gestire meglio la famiglia, specialmente con l'arrivo del terzo figlio. Ho lottato anche per mantenere un impiego part-time, ma fortunatamente ho incontrato un capo molto comprensivo che mi ha concesso la flessibilità di cui avevo bisogno. Questo mi ha permesso di seguire i miei figli a scuola e a casa, e sono stata ampiamente ripagata per questo.
Rivalta è il luogo ideale per crescere una famiglia, grazie al suo ambiente tranquillo e ai servizi primari che offre.
Nel tempo libero, mi piace camminare da sola e ho esplorato tutti i percorsi nei boschi della zona. Sono stata anche contattata per tracciare il percorso della "Just the Woman I Am". Inoltre, aiuto mio marito, che collabora con diverse associazioni di volontariato, a tracciare i percorsi per le giornate organizzate da queste realtà. Questo ambito mi appassiona molto.
Il mio desiderio più grande è vedere i miei figli realizzati e sistemati, e poterli vedere prendere la loro strada con successo.
Mi chiamo Laura Priotti e vivo a Cumiana dal 1994, da quando mi sono sposata. Prima vivevo a Rivoli con i miei genitori. È stato un cambiamento significativo, passando dalla città alla campagna. Vivo in collina, circondata dalla natura e dagli animali selvatici, il che rende la vita più serena e rilassante. Mi piace ascoltare i suoni della natura, come il canto del cucù e delle cicale. La vista da casa mia è spettacolare, posso vedere le piste sciistiche di Artesina e la rocca di Cavour. Ho iniziato a lavorare nel 1988 come agente di polizia municipale a Rivoli, dove ho lavorato fino al 2002. Durante la mia gravidanza, ho richiesto un trasferimento al comune di Piossasco per essere più vicina a casa, dato che gli orari e la distanza non erano compatibili con la vita di una mamma. Ho ottenuto il trasferimento nel 2004 e ho iniziato a lavorare come agente di polizia municipale senza divisa, occupandomi di mansioni d'ufficio. Dal 2008 lavoro all'ufficio attività economiche, dove mi occupo di rilasciare licenze per i mercati e controllare le autorizzazioni dei negozi. Nel corso degli anni ho cambiato diverse colleghe, molte delle quali sono andate in pensione. Dal 2019 lavoro con un nuovo collega giovane, che considero una risorsa preziosa. Dopo 35 anni di servizio, mi sento stanca e vorrei andare in pensione, ma le leggi attuali non lo permettono. Ho molte responsabilità familiari: mia madre è invalida, ho un figlio di 20 anni e mia suocera è peggiorata. Gestire tutto questo è molto faticoso e rende difficile concentrarsi sul lavoro. Spero di non ammalarmi, perché sono il perno della mia famiglia. Non ho hobby perché non trovo il tempo di riposarmi. Mio padre mi consiglia di prendermi almeno mezz'ora per fare una passeggiata, ma spesso non ce la faccio a causa delle numerose responsabilità domestiche. La mia unica passione è il ballo, condivisa con mio marito. Ci siamo conosciuti ballando e in passato partecipavamo spesso a serate di ballo, ma ora, a causa dei problemi familiari, non riusciamo più a farlo. Stiamo cercando di convincere nostro figlio e la sua ragazza a iscriversi a una scuola di ballo latino-americano, perché crediamo che potrebbe arricchire le loro serate e farli socializzare di più. Mi sono diplomata come ragioniera nel 1986 e ho svolto vari lavori fino a vincere il concorso per agente di polizia municipale a Rivoli nel 1988. Il passaggio dal lavoro sul campo a quello d'ufficio non è stato difficile per me, poiché ho sempre avuto a che fare con il pubblico. In passato, il lavoro sul campo era più gestibile rispetto a oggi, quando i miei ex colleghi devono indossare telecamere per registrare tutto ciò che accade. Essere una donna in quel ruolo non è stato facile all'inizio, ma alla fine i colleghi hanno apprezzato la nostra presenza e il nostro lavoro puntiglioso. A Piossasco noto che manca un vero centro storico visibile e attraente. La città si è sviluppata rapidamente con l'arrivo della Fiat Rivalta, ma senza una pianificazione adeguata. I commercianti non sono molto legati tra loro e potrebbero fare di più se fossero uniti. La parte alta di Via Palestro è ormai deserta, mentre la parte bassa è più viva. Credo che incentivare il restauro dei locali vecchi e fatiscenti potrebbe aiutare a rivitalizzare la zona. Piossasco offre molte possibilità, come il Monte San Giorgio e il castello dei nove merli, che potrebbero essere valorizzati maggiormente per attrarre visitatori.
Gina , una donna di quarant'anni originaria di Piossasco, è una cittadina profondamente legata al suo territorio. Ha frequentato le scuole del posto e mantiene molte amicizie nate durante il suo percorso di crescita. Madre di un bambino, Gila è attivamente coinvolta nelle realtà locali frequentate dalle mamme, come scuole materne e associazioni, sentendosi parte integrante di questa comunità sia per le sue radici che per il suo lavoro.
Piossasco è un luogo complesso per Gina , un grande "paesone" che ha visto un incremento della popolazione senza un corrispondente aumento dei servizi. Nonostante la vicinanza a Torino, Piossasco soffre di problemi di viabilità e trasporto pubblico, con una sola linea di autobus invariata da anni. Tuttavia, il territorio offre molte risorse attraverso un vivace tessuto di associazioni cattoliche, religiose e laiche che offrono varie opportunità alla comunità.
Gina sottolinea le carenze nei servizi, come la mancanza di pediatri, che ha costretto molte famiglie a recarsi fuori dal comune per le cure mediche dei bambini. Questo esempio illustra la disconnessione tra la crescita demografica e l'adeguamento dei servizi alla popolazione. La sua affezione per Piossasco è radicata anche nella possibilità di osservare e vivere i cambiamenti del territorio nel tempo, come la riqualificazione di aree precedentemente degradate.
Sul piano professionale, Gina è un'assistente sociale dal 2008, lavorando nel consorzio che include Piossasco. Prima di questo, aveva studiato socio-psicopedagogia e considera di essere una "insegnante mancata". Nonostante il suo impegno lavorativo e familiare, sente il desiderio di dedicare più tempo alla comunità locale e alle associazioni, sperando di poterlo fare con la crescita del figlio.
Gina ama leggere, visitare mostre d'arte e camminare, attività che le permettono di coltivare il senso del bello e di connettersi con la natura e la comunità locale. Vive in un territorio che si presta bene alle camminate grazie alla collina e al Monte San Giorgio, e non riesce a immaginarsi in una realtà diversa, lontana dalla campagna.
Sul piano lavorativo, Gina è recentemente diventata responsabile territoriale dei comuni di Beinasco, Rivalta e Bruino, dopo aver lavorato a lungo a Orbassano. Questo nuovo ruolo, iniziato a marzo, le ha posto la sfida di entrare in territori con una storia e una struttura esistenti, guadagnandosi la fiducia delle persone e dei colleghi. Gila si trova a dover conciliare la creatività necessaria nel problem solving con le rigidità burocratiche ed economiche del sistema.
Nonostante le difficoltà e le sfide, Gina ama il suo lavoro e sente una grande responsabilità verso i nuovi colleghi, desiderando che la loro passione rimanga viva nel tempo. Crede che lavorare nel sociale richieda una profonda vocazione, poiché è un lavoro complesso e spesso poco riconosciuto. Il suo desiderio più grande è quello di avere tempi più lenti, per poter gustare e vivere appieno le cose, riuscendo a conciliare lavoro, famiglia e amicizie in una società che corre sempre più veloce.
Paola Natta è nata a Rivoli nel 1967 e ha vissuto a Rivalta fin dalla nascita. Ha completato gli studi presso una scuola alberghiera e ha lavorato nel settore per un periodo. Successivamente, ha iniziato a lavorare in una casa di cura come ausiliaria e ha completato i corsi per diventare Operatore Socio Sanitario (OSS). Dal 2002, lavora per l'ASL TO3 in questa funzione. Paola è sposata e ha due figlie, rispettivamente di 31 e 28 anni, ed è nonna di una nipotina di tre anni e mezzo. Oltre alla sua professione, è profondamente coinvolta nella vita culturale e sociale di Rivalta. Dal 2004 è attivamente impegnata nell'Associazione Culturale "Famiglia Rivaltese", di cui è presidente. L'associazione è nata negli anni '80 con l'obiettivo di mantenere vive le tradizioni del paese. L'associazione organizza varie attività e feste, tra cui il "Carlevet dei Citt", un carnevale dedicato ai bambini, e altre celebrazioni che mirano a promuovere la cultura locale. Paola sottolinea l'importanza di queste attività per far conoscere il patrimonio di Rivalta, che include il Castello, la Collina Morenica, la Cappella di San Vittore e la Piazza Gerbidi. Un aspetto centrale delle iniziative dell'associazione è il coinvolgimento delle scuole locali. Durante il carnevale, le classi sfilano per le strade del paese e partecipano a giochi e attività organizzati dall'associazione. Invece di premi in denaro, l'associazione offre contributi per l'acquisto di materiale didattico, aiutando così gli insegnanti a fronteggiare le necessità delle famiglie meno abbienti. L'associazione partecipa anche alla festa patronale di San Vittore, collaborando con un'altra associazione per mantenere viva la tradizione religiosa e culturale. Durante la festa, l'associazione organizza attività folkloristiche, serate di musica e teatro, e gestisce una tensostruttura per offrire cene e raccogliere fondi per le proprie attività. Un'altra importante iniziativa è il concorso per le scuole dedicato alla valorizzazione della Cappella di San Vittore. Ogni anno viene scelto un tema diverso, e i bambini realizzano elaborati che vengono premiati con materiale didattico. Paola parla anche della Sagra del Tomino, una manifestazione storica dedicata al formaggio tipico di Rivalta. L'associazione collabora con il Comune e altre realtà locali per organizzare degustazioni e promuovere prodotti tipici del territorio. Durante l'anno, l'associazione organizza varie attività per il Natale, tra cui merende per i bambini delle scuole, distribuzione di caramelle e cioccolata calda, e la partecipazione al presepe vivente, collaborando con la parrocchia e l'oratorio. Paola descrive con affetto la sua infanzia a Rivalta, vissuta all'oratorio e partecipando alle attività organizzate dalla parrocchia. Parla delle sfide affrontate dalla comunità locale, come la mancanza di mezzi di trasporto adeguati e il cambiamento della vita sociale con l'espansione del paese. Esprime il desiderio di vedere una maggiore partecipazione dei giovani alle attività dell'associazione e una maggiore sensibilizzazione verso le tradizioni locali. Il suo più grande desiderio è la salute e il benessere per la sua famiglia e la comunità, e spera che le nuove generazioni possano riscoprire il valore del rispetto e dell'impegno sociale.
Alexia, una donna di quasi 38 anni, ha studiato servizio sociale perché ha sempre creduto nell'importanza delle reti sociali, sia formali che informali. Questo interesse deriva anche dal suo background familiare. Alexia ha sempre riflettuto sull'importanza delle reti nella vita delle persone, ritenendo che anche un solo punto di connessione possa cambiare la vita di qualcuno. Dopo essersi laureata, il suo primo incarico come assistente sociale è stato in una cooperativa lontano da casa, in comuni come Chivasso, Montanaro, Forizzo, Brandizzo e Rondissone. Abitando a Torino, Alexia ha trovato questo periodo molto faticoso sia a livello economico che mentale. Doveva coprire personalmente le spese della macchina e il rimborso chilometrico era insufficiente. Spesso doveva consegnare fisicamente le domande in sede, e ciò le faceva sentire di sprecare energie sugli spostamenti piuttosto che nel lavoro con le persone. Professionalmene, si occupava di accoglienza, orientamento, segretariato sociale, assistenza economica e molto altro, inclusi i minori e le autorità giudiziarie. Prima di Chivasso, Alexia aveva già lavorato nel sociale, ad esempio come affidataria educativa a Chivasso, e come operatore di strada con la BOA di Torino. Nonostante la fatica di avere più lavori contemporaneamente, questo le permetteva di pagare l'affitto e mantenere un certo livello di autonomia. Tuttavia, con l'inizio della pandemia, tutto è cambiato. Il ricevimento pubblico è stato chiuso e la relazione con l'utenza è diventata prevalentemente telefonica. Alexia ha quindi chiesto di essere spostata più vicino a casa, ma invece le è stato offerto un trasferimento a Ivrea, ancora più lontano. Nonostante le difficoltà, ha accettato il trasferimento e ha lavorato prima nell'equip minori e poi con gli adulti in povertà. Dopo circa un anno, Alexia ha colto l'opportunità di lavorare più vicino a casa in una nuova cooperativa. Ha ricordato questo periodo di due anni e mezzo come molto positivo, ma alla fine l'appalto è terminato e Alexia ha deciso di fare un corso di alta formazione in progettazione sociale e gestione del territorio all'Università La Sapienza di Roma. Ha lavorato alla progettazione di progetti sociali e alla fine dell'appalto, nonostante fosse rimasta coinvolta nella progettazione, ha scelto di cercare altre opportunità. Dopo un breve periodo di lavoro a Pinerolo, Alexia ha accettato una posizione tramite un'agenzia interinale in un consorzio in cui aveva già lavorato durante il tirocinio. Sebbene trovasse alcune procedure frammentate e faticose, come la gestione delle ore di lavoro, preferiva questa situazione rispetto a lavorare per una cooperativa. Nonostante la precarietà del lavoro interinale, Alexia non aveva interesse a diventare un impiegato pubblico e preferiva esplorare altre possibilità, incluso il lavoro autonomo. Nel tempo libero, Alexia ama viaggiare, preferendo viaggi immersivi e slow travel. Ha una grande passione per la musica, anche se negli ultimi anni ha dovuto metterla un po' da parte. È anche appassionata di fumetti, anime, serie TV e a volte disegna. Recentemente, ha ricevuto una diagnosi di ADHD, il che le ha permesso di capire meglio alcune sue scelte passate e caratteristiche personali. Alexia è sposata e il suo compagno, che chiama preferibilmente compagno piuttosto che marito, è laureato in informatica umanistica e lavora nella digitalizzazione e catalogazione di fondi culturali. Condividono valori comuni come la libertà all'interno della coppia e il fatto di non volere figli.
Alessandra è una donna di 51 anni nata e cresciuta a Torino, con radici torinesi da parte di entrambi i genitori. Ha due fratelli, Barbara, più grande di due anni, e Claudio, più giovane di due anni. I genitori di Alessandra si sono sposati giovani nel 1970, e la sorella Barbara è nata poco dopo il matrimonio. Alessandra racconta di una famiglia normale, con il padre che ha sempre lavorato come taxista e la madre che inizialmente si è dedicata ai figli per poi entrare nel mondo del lavoro una volta che il fratello minore ha raggiunto una certa autonomia. Alessandra è sposata e ha tre figlie: una di 21 anni, una di quasi 19 e una di 10 anni. La sua infanzia, sebbene felice, è stata segnata da problemi di salute a causa di una sordità parziale congenita, che ha richiesto diversi interventi chirurgici. Questo ha influenzato la sua scelta professionale, portandola a lavorare con persone in difficoltà come forma di compensazione. Alessandra lavora per il Cidis dal 2002 e ha iniziato la sua carriera come educatrice nel 1996. Ha frequentato la scuola magistrale e poi la scuola per educatori SVEP. Durante il secondo anno di tirocinio, ha iniziato a lavorare con la cooperativa Ascemia, occupandosi di un bambino in difficoltà. La sua carriera l'ha vista impegnata in vari contesti, tra cui istituti per anziani e comunità di salute mentale, prima di aprire una comunità alloggio a Cantarana nel 1998. Nel 2000, Alessandra ha partecipato a un concorso per il Cidis e ha firmato il contratto nel settembre 2002. Da allora, lavora come educatrice di territorio, occupandosi di minori che vivono situazioni di disagio all'interno del nucleo familiare. Il suo ruolo consiste nel collegare i minori con il territorio e i comuni limitrofi, diventando un punto di riferimento positivo per loro. Lavora spesso con situazioni derivanti da separazioni conflittuali e problemi relazionali o scolastici. Alessandra ha deciso di diventare educatrice per aiutare i bambini sfortunati, e nel 2006 si è iscritta all'università, laureandosi nel 2009, giorno del compleanno della sua prima figlia. Le sue esperienze personali, tra cui il divorzio e la gestione di figli con ADHD, hanno influenzato il suo approccio lavorativo. La sua ultima figlia, nata con la sindrome di Beckwith-Wiedemann, ha avuto un percorso complicato, ma Alessandra ha trovato supporto e conforto nell'associazione italiana per i sindromici Beckwith-Wiedemann (IPVS), di cui oggi è vicepresidente. L'associazione offre supporto e informazioni alle famiglie e finanzia la ricerca medica. Alessandra organizza eventi di raccolta fondi, spesso con il patrocinio dei comuni locali, per sostenere l'associazione. La sindrome di Beckwith-Wiedemann è caratterizzata da iperaccrescimento e incidenza maggiore di sviluppare tumori in età pediatrica. I bambini con questa sindrome necessitano di controlli periodici e interventi medici multipli. L'associazione IPVS, fondata nel 2004, unisce le famiglie colpite dalla sindrome e fornisce un network di supporto e condivisione di esperienze. Alessandra sottolinea l'importanza delle associazioni per fornire supporto e informazioni, promuovendo la conoscenza e la partecipazione della comunità. Le difficoltà principali dell'associazione risiedono nella raccolta fondi per finanziare la ricerca e nel mantenimento delle attività con il contributo volontario dei membri. Tuttavia, grazie al supporto dei comuni e delle comunità locali, l'associazione riesce a offrire importanti servizi e a mantenere viva la speranza e la solidarietà tra le famiglie coinvolte.
Giorgia Caruso, trentenne nata a Torino, racconta la sua esperienza professionale e personale, iniziando dal conseguimento della laurea triennale in Scienze dell'Educazione nel 2017. Subito dopo la laurea, Giorgia inizia a lavorare come educatrice in una comunità terapeutica per minori psichiatrici. Questa esperienza, durata due anni e mezzo, è stata molto impegnativa e formativa, segnando il suo ingresso nel mondo lavorativo con sfide significative, tra cui tre infortuni sul lavoro. Parallelamente agli studi universitari, Giorgia aveva già iniziato a lavorare per sostenersi economicamente, svolgendo vari lavori come assistente in una scuola di ballo e babysitter. Questa determinazione a raggiungere l'indipendenza economica le ha permesso di prendere in affitto una casa a 24 anni, nonostante le preoccupazioni della sua famiglia. Durante i quattro anni di lavoro nella comunità terapeutica, Giorgia è riuscita a gestirsi economicamente, nonostante le difficoltà iniziali. Nel 2019, a causa del burnout dovuto all’eccessivo impegno lavorativo, Giorgia decide di lasciare la comunità terapeutica. Trova facilmente un nuovo lavoro grazie alla forte domanda per il suo ruolo, accettando una posizione in un servizio educativo territoriale a Pino Torinese, sebbene fosse distante dalla sua residenza a Orbassano. La distanza e il contratto part-time non erano ideali, per cui Giorgia continua a cercare altre opportunità. Successivamente, viene assunta dalla cooperativa Esserci per lavorare nel progetto Piano Povertà, legato al reddito di cittadinanza e alle misure di contrasto alla povertà economica e sociale. In questo ruolo, Giorgia lavora sul territorio di Rivalta e Bruino, affrontando le sfide di un comune frammentato territorialmente, con frazioni distanti e mal collegate tra loro. Giorgia evidenzia la problematica della scarsa integrazione delle frazioni di Rivalta (come Tetti Francesi, Gerbole e Pasta) rispetto al centro cittadino, sottolineando come i cittadini di queste aree si sentano spesso esclusi e isolati. Racconta le difficoltà dei residenti, in particolare di una madre camerunense che segue come educatrice, nel partecipare alle attività comunali a causa della mancanza di trasporti adeguati. Giorgia descrive anche il suo impegno nel creare opportunità di inclusione sociale per le famiglie che segue, come l'organizzazione di attività e cene per favorire la socializzazione. Inoltre, parla di un’affidataria brasiliana che, nonostante sia arrivata da poco in Italia, si è integrata nella comunità e offre supporto ai connazionali nella gestione della documentazione per l'immigrazione. Infine, Giorgia condivide le sue passioni personali, tra cui la danza, la musica latinoamericana, l'attività fisica, lo yoga, il pilates e i viaggi. Esprime anche il suo interesse per la psicologia, ambito che intende approfondire iscrivendosi alla magistrale dopo aver completato alcuni esami propedeutici. Giorgia conclude riflettendo sull'importanza di considerare le frazioni di Rivalta nelle politiche comunali e nella programmazione degli eventi, al fine di garantire un’inclusione reale di tutti i cittadini.
Clarissa Vergine, 29 anni, è originaria della Puglia, dove ha vissuto fino a 18 anni prima di trasferirsi a Torino per gli studi universitari. A Torino ha conseguito sia la laurea triennale in Servizio Sociale che la laurea magistrale in Politiche e Servizi Sociali. Dopo aver completato gli studi, ha deciso di stabilirsi a Torino per motivi lavorativi, sentimentali e culturali, trovando un ambiente affine alle sue necessità. Clarissa ha iniziato a lavorare nel 2020 come dipendente di una cooperativa sociale all'interno di un consorzio socio-assistenziale, occupandosi di tutte le fasce della popolazione. Dopo un anno è diventata dipendente di un ente pubblico a seguito di un concorso pubblico, operando nei territori di Rivalta e Bruino. Parallelamente al suo lavoro, Clarissa ha mantenuto un ruolo accademico, trovando che la combinazione tra lavoro pratico e insegnamento accademico abbia effetti positivi su entrambi i fronti. Nel corso del suo primo anno di lavoro nel territorio di Rivalta, Clarissa ha lavorato principalmente con minori, anziani non autosufficienti e casi di conflittualità genitoriale in contesti di separazione giudiziaria e divorzi. Ha anche collaborato con famiglie migranti, inclusa una famiglia nigeriana e una ucraina. La sua esperienza con la famiglia nigeriana non è stata molto positiva a causa delle difficoltà nell'instaurare un rapporto di fiducia e delle complicazioni legate all'intervento dell'autorità giudiziaria. D'altra parte, il lavoro con la famiglia ucraina ha mostrato potenziali sviluppi positivi grazie alla maggiore disponibilità della madre ad integrarsi e al sostegno della comunità locale. Clarissa ha notato un forte coinvolgimento delle amministrazioni comunali e dei cittadini nei processi di accoglienza e integrazione delle famiglie migranti. La collaborazione tra servizi pubblici, privati e il terzo settore è stata cruciale per il successo di questi progetti. Ha osservato che l'approccio delle famiglie ospitanti e il supporto delle amministrazioni comunali hanno avuto un impatto significativo sull'adattamento delle famiglie migranti al nuovo contesto. Oltre al suo impegno professionale, Clarissa è appassionata di cucina e pallavolo. Ha praticato la pallavolo a livello quasi agonistico per molti anni e continua a giocare a beach volley per divertimento. Durante la pandemia, ha sviluppato una passione per la pasticceria, dedicandosi con grande entusiasmo alla sperimentazione di nuove ricette. Ha anche espresso il desiderio di dedicarsi al volontariato in futuro, con un particolare interesse per l'oncoematologia pediatrica, settore a cui si sente vicina per esperienze personali. Clarissa aspira a mantenere un equilibrio tra la sua vita personale, familiare e professionale, cercando sempre di soddisfare le sue ambizioni. Vorrebbe vedere un maggiore dinamismo nei progetti di lavoro di comunità a cui partecipa, sperando in una maggiore partecipazione e coinvolgimento da parte del territorio. Il suo desiderio più grande è di non deludere mai le proprie aspettative e di riuscire a portare il suo contributo in tutte le sfere della sua vita.
Sono Fabrizio, ho sessant'anni e quarant'anni di vita attiva nell'associazione Sonic, progetto nato in un momento della vita in cui mi son trovato a scegliere che strada prendere, diversa dai miei studi ma vicina alla mia indole di musicista. Erano gli anni '80 e, grazie alla scelta del servizio civile per un anno, mi dedicai ad un progetto socio culturale legato alla musica, che poi ha trovato sbocco in modo continuativo nella città in cui sono nato, Orbassano. Questo perché Orbassano dimostrò di avere l'attitudine per quello che ero andato a proporre e per la quale ancora oggi mi prodigo per documentare gli avvenimenti che accadono. L'attività consiste non tanto a scopo archivistico, ma proprio per rendere visibile l'attività della città e rendere partecipi così i cittadini, che abbiano consapevolezza delle variegate possibilità offerte dalla città.Nella mia professione sono un film maker, mi occupo di documentare tramite foto e video le attività della città ma se dovessi definirmi tutti mi riconoscono come un 'esploratore' per la mia inguaribile voglia di conoscenza.Nella naturale evoluzione che ci propone la vita mi auguro che ci sia sempre voglia di attivare nuovi progetti, anche se mi rendo conto che il volontariato necessita di una spinta molto rara da trovare al giorno d'oggi.
Gianna Alemanno è una donna pensionata, quando lavorava gestiva insieme a suo marito un’attività commerciale, per l’esattezza, una cartoleria una delle prime della città di Orbassano, Gianna nella sua conversazione ci racconta di quanto amasse il suo lavoro e di quanto i suoi clienti fossero affezionati a lei e a suo marito; uno degli hobby dei suoi hobby è quello del decupage infatti sfruttava molto questa sua passione e abilità anche nella sua attività per le varie festività dell’anno. Anna fa parte di un’associazione di volontariato chiamata Sabaoth ad Orbassano, che appunto si occupa di fare volontariato, l’associazione è conosciuta perché è una delle poche sul territorio che coinvolge molto i giovani infatti è una delle più frequentate; Gianna vorrebbe che ci sia di nuovo una comunità unita e una città viva come la ricordava lei.
Ciao, sono Paola e ho 63 anni. Sono andata in pensione con opzione donna, ho una famiglia composta da mio marito, conosciuto sui banchi del liceo scientifico, e da mia figlia. La mia famiglia d'origine era metà piemontese e metà veneta.
Ho svolto la professione di logopedista per ventun'anni con dei ragazzi cerebrolesi, ho studiato lavorando e questa cosa mi ha sicuramente portato a fare grandi sacrifici ma mi ha dato la soddisfazione di vedere il mio cammino compiuto. Successivamente ho poi lavorato nell'Asl.
Mi piace stare all'aria aperta ma soprattutto stare in mezzo alla gente. Da quando sono in pensione mi dedico alle associazioni: sono impegnata in famiglia ma aperta al sociale; in particolare il mio operato si svolge in parrocchia col servizio abiti, il doposcuola, le pulizie dei locali adoperati, i centri estivi insomma mi adopero per tutto quello di cui c'è di bisogno.
Adoro fare gite in alta montagna, sono appassionata di storie antica, la lettura, le passeggiate, il cucinare, andare in biblioteca a leggere i libri: sono proprio curioso dell'oggetto libro e a questo proposito di recente in parrocchia abbiamo attivato lo scambio libri. Mi piace anche fare l'uncinetto. Ritengo sia importante donare il tempo, metterlo a disposizione ed avere la dote di ascoltare e di incontrare le persone.
Orbassano è una città a misura d'uomo, i servizi sono disponibili ed accessibili ed è molto camminabile. Dovendo trovare un settore in cui metterci di impegno mi augurerei la possibilità di aumentare l'accesso alle palestre per le associazioni.
Sono Debora e ho 34 anni, provengo da una famiglia di origine calabrese trasferita al nord quando avevo 6 anni per trovare il lavoro. Da un anno mi sono sposata e ora la mia famiglia conta mio marito e due figli.
Ho frequentato le scuole a Orbassano, poi ho iniziato il percorso di studi pensando di fare l'avvocato, ma non soddisfatta della vita intrapresa, ho fatto lavori faticosi, che mi facessero rimpiangere l'abbandono dell'Avvocatura. Tutto questo mi ha portato a fare tanti sacrifici.
Ho poi cominciato la mia carriera di parrucchiera, frequentando un corso professionalizzante, all'inizio senza troppo appagamento, poi prendendo le forbici in mano ho capito che quello era il posto per me e ho ricordato che tagliavo i capelli alle bambole di mia sorella. Ho imparato molto anche a relazionarmi con i clienti più anziani.
Ho realizzato che tutto questo faceva per me: aiutare le persone, con il mio lavoro ed il mio modo di fare, attraverso un taglio di capelli dedicato alla persona e nello scambiare due parole, come un dono in reciproco scambio.
Sono ritornata in Calabria per sentirmi più a mio agio, nel lavoro e nella vita, ma mia mamma é riuscita a comprarmi un negozio, che ora condivido con mia sorella Francesca: a distanza di tempo, nella stessa zona, abbiamo preso in gestione anche un bar, di cui si occupa mia mamma.
È di vitale importanza per me il rapporto della condivisione.
Per Orbassano manca un centro di ritrovo per giovani, un punto di riferimento per la fascia di età più giovane perché quella per gli anziani è sufficientemente coperta.
Ciao sono Sara, una quarantaseienne di origini bergamasche che da vent'anni vive ad Orbassano. Nel tempo, ho scoperto essere nella mia dimensione ideale, giusta ed organizzata e viva.
Ho iniziato a lavorare come segretaria, poi i miei studi mi hanno portato ad essere educatrice della prima infanzia e andando avanti ho iniziato a lavorare nei supermercati, attività che svolgo ancora oggi.
Nel mio tempo libero, il mio mondo è fatto di oli essenziali che mi danno la possibilità di avere un momento emotivo e fisico, avendo benefici anche psicosomatici. Pratico anche le campane tibetane, la meditazione, pratico reiki, il tutto per intraprendere in modo significativo un ascolto attivo di se stessi.
Sono anche una persona sportiva: la mia grande passione è la pallavolo che abbino alla passione calcistica di mio figlio: io schiaccio e lui para.
Ritengo fondamentale l'importanza di immergersi nella natura a livello visivo e nell'ambito dei profumi.
Nel percorso della mia vita sono arrivata a capire che tutte le emozioni servono, per cui vorrei trasmettere queste mie conoscenze e affinare le possibilità delle persone che mi circondano, puntando soprattutto ai bimbi che ritengo siano gli adulti del futuro.
Ciao sono Gianni, orbassanese doc da settant'anni, proprio dalla nascita che è avvenuta in casa.
Sono sempre stato una persona dal forte desiderio di sperimentazione e questo mi ha portato a cambiare vari lavori e parallelamente ho coltivato la mia grande passione per il teatro. C'è stato un periodo della mia vita in cui mi sono prodigato per ben sei compagnie teatrali in contemporanea, riuscendo nel grande obiettivo di non andare a confondere i copioni. Ho avuto la possibilità di calcare teatri blasonati, ultimo dei quali il teatro Ariston, ma la carriera artistica non mi ha mai permesso di svoltare e vivere di questa grande passione. Ho avuto l'onore e lo coltivo tuttora di essere il presentatore ufficiale di tutte le attività che si svolgono sul territorio della mia città.
La mia voce mi ha anche permesso un'esperienza nella radio locale di allora, parliamo degli anni ottanta, Radio Sky. Come volto noto di Orbassano incarno la figura del Pulenté, una maschera che assieme a mia moglie la Pulentera, portiamo avanti da molti anni, presenziando a molteplici sagre e presentazioni, sia sul nostro territorio che nel comuni limitrofi, portando avanti la tradizione e soprattutto la presenza attiva della nostra città.
Trovo piacevole vivere nella mia città e darmi da fare come volontario nelle associazioni locali e vorrei che l'esperienza conseguita in tanti anni di vita attiva potesse riversarsi sui giovani che trovo siano sempre un po' restii a scendere in campo e mettersi in gioco.
Ciao, sono Luigi e sono nato all'inizio della guerra 1940. All'età di tre anni sono arrivato ad Orbassano, dopo i bombardamenti su Torino, e ho il ricordo di aver vissuto un'infanzia difficile, per la malattia del mio papà: per 7 anni ho vissuto in collegio, imparando anche il mestiere, facendo gli stampi, e son tornato ad Orbassano dove ho messo su famiglia con una moglie e una figlia, che per me rappresentano le cose più belle della vita.
Sono il Presidente dell'Associazione delle famiglie dei ragazzi disabili (Agafh) ci troviamo ogni sabato per trascorrere momenti di condivisione con i nostri ragazzi e l'obiettivo della nostra associazione è difendere i diritti dei nostri ragazzi. Al giorno d'oggi trovo che si capisca poco l'importanza della parola "Sacrificio".
Come genitore in prima persona e come Presidente dell'associazione che tutela i ragazzi disabili la nostra più grande premura è far sì che un domani i nostri figli abbiano la possibilità di vivere in serenità, anche dal momento in cui la famiglia di origine venga a mancare. Questo passaggio di vita risulta un pensiero molto sconfortante per noi e stiamo lavorando perché questo passaggio sia ottimale per i nostri ragazzi.
Non ci sono investimenti per i centri per le persone disabili, non devono essere dei parcheggi. Adesso ci sono tante lacune e viene tutto lasciato troppo alla bontà delle persone. C'è necessità di persone formate.
Ciao sono Ada, nativa di Orbassano, provengo da una famiglia con ben 4 sorelle e ora vivo con mio marito. Nella vita lavorativa ho percorso diverse carriere: ho fatto la commessa, la barista, la titolare di profumeria, di una cartoleria e la mia famiglia è stata tra i primi commercianti di Orbassano con una cartoleria e un distributore.
Ora la mia vita è operativa per la mia città, infatti sono attiva su molteplici associazioni come la Protezione Civile, la Fidas, il Coro Perosi, tutto questo perché trovo importante rendersi utili per la popolazione, che alla fine significa rendersi utili per se stessi.
Assolvo anche il ruolo di Pulentera, la maschera locale di Orbassano che assieme a mio marito mi ha permesso di compiere molti viaggi nel territorio locale per le investiture, le sagre e le mostre. Sono molto orgogliosa di questo ruolo e al contempo desiderosa di tramandarlo a una coppia che possa portare avanti questa usanza.
Nel corso della mia vita attiva sul territorio ho avuto la possibilità di vivere il gemellaggio con la città di Elk in Polonia, che mi ha portato a vivere un bellissimo scambio di cultura abitudini e tradizioni. Mi piace la tranquillità della mia casa perché mi permette di rigenerarmi per poi essere operativa per la mia città.Ripensando a quella che è stata la mia vita trovo di aver compiuto quello che fu scritto in un giudizio scolastico "dedita al canto e alla recitazione": infatti canto nel Coro Perosi e recito nell'operetta. Vivo attivamente e piacevolmente nella mia città con l'unico rammarico di vedere i concittadini spesso critici e poco intenzionati a valorizzare in prima persona il territorio: penso che parta tutto da noi dare il buon esempio e coinvolgerci a vicenda.
Ciao, sono Sergio, originario di Orbassano e ho frequentato il paese fin da piccolo perchè i miei nonni che vivevano nella cascina di appartenenza della famiglia del Cardinale Martini.
Ho avuto una parentesi torinese che mi ha permesso di concretizzare i miei studi: prima al liceo scientifico ( dove ho conosciuto quella che poi sarebbe diventata mia moglie) e come medico veterinario, professione che ho praticato con grande soddisfazione, intesa proprio come missione di vita e che ora mi vede impegnato nella veste di consulente per progetti sul territorio. Mi occupo della gestione della popolazione canina e felina e un progetto volto al censimento del dna delle feci come deterrente per l'abbandono delle feci appunto.
Il mio tempo ora è dedicato al prodigarmi su più fronti nella parrocchia dove mi occupo della Polisportiva con l'obiettivo di coinvolgere quanti più ragazzi possibili, che abbiano il piacere della condivisione di un momento di sport e di allegria nel nome dell'inclusione su tutti i fronti.Sempre sul versante sportivo sono anche il Presidente della Consulta delle associazioni sportive, cosa che mi permette di prodigarmi per mettere le associazioni in condizioni di creare eventi e conoscenza a carattere sportivo sulla popolazione.Il mio obiettivo è rispondere alla necessità e ai bisogni da soddisfare, mi servirebbero giornate con molte più ore.Trovo molto piacevolmente vivibile la mia città e da qui in avanti mi auguro che trovino compimento le possibilità che sono già in potenza che arrivino ad essere in atto per tutte le associazioni coinvolte.
Ciao sono Claudio, ho 68 anni e sono nativo di Orbassano.
La mia carriera conta 42 anni in amministrazione in una importante azienda automobilistica torinese e la mia prossima carriera è quella di nonno. Mi occupo di volontariato, sono il Responsabile del Gruppo Comunale di Protezione Civile, ma io partecipo a questo gruppo da più di 20 anni. Mi occupo anche del gruppo di Donatori di Sangue.
Sono un grande appassionato della mia città al punto che, ad esempio, come hobby sono alla costante ricerca di cartoline del mio paese, che ormai è una città, anche storiche. Per la città in cui vivo e che amo profondamente e per la quale mi prodigo affinché vada tutto bene. Ho militato anche nel coro e ho frequentato un gruppo di teatro dialettale. In passato sono anche stato appassionato di fotografia, ma adesso non ho più tanto tempo.
Essere attivo in molteplici gruppi della mia città mi ha portato a vivere anche dei viaggi dai quali ho tratto la conoscenza di nuove culture, usi e costumi e cucina: vedo il viaggio proprio come risorsa di conoscenza; ho il sogno di andare in Argentina e di visitare l'Egitto, del quale sono appassionato sin da bambino.
Al momento sono preoccupato per la difficoltà di coinvolgimento dei giovani: a livello sociale non vogliono mettersi in gioco e questo è controproducente perché di qui in davanti l'esperienza verrà a mancare. Sono un grande appassionato di sport ed è proprio in quest'ottica che esprimo il desiderio per la mia città di vedere più giovani coinvolti in questo settore della vita. È motivo di orgoglio per me ricevere il sorriso delle persone che abbiamo aiutato ed essere apprezzato per quello che si fa come volontario.
Gerardo Mansi racconta la sua vita, iniziando dalla nascita nel 1954 a Cerignola, in provincia di Foggia. La sua infanzia è segnata dalla povertà, e a soli sei anni si trasferisce a Torino con la famiglia per sfuggire alla fame. La figura del padre, rinomato panettiere e pasticciere, ha un'influenza profonda su Gerardo e i suoi cinque fratelli, che seguono quasi tutti le sue orme. Solo la madre rimane fuori dal mondo della pasticceria. A Torino, Gerardo e i suoi fratelli trovano lavoro in alcune delle pasticcerie più famose della città, come Arzilli, Marocco e Macocco. Gerardo, però, si distingue anche come panettiere, specializzandosi nella preparazione di panettoni e pandori presso aziende rinomate come Motta e Alemagna. Cresce nel quartiere di Porta palazzo, noto per essere una zona difficile, e a soli 13 anni inizia a lavorare in una pasticceria per evitare di finire sulla cattiva strada. Nonostante il suo iniziale desiderio di diventare panettiere, Gerardo riesce a eccellere sia come pasticciere che come panettiere, rendendo orgoglioso suo padre. Tuttavia, la sua vita prende una svolta inaspettata quando viene chiamato a svolgere il servizio militare in marina. Questo lo porta sull'isola di Pantelleria, un luogo bellissimo ma che non riesce ad apprezzare completamente a causa della lontananza dalla famiglia e del suo carattere ribelle. Durante i due anni di servizio, trascorre 17 mesi in prigione per continue fughe e insubordinazioni. Dopo il servizio militare, Gerardo ritorna alla sua passione per la pasticceria. Nel 1978, insieme a uno dei suoi fratelli, apre una pasticceria a Torino. L'inizio è promettente, ma la società con il fratello si conclude male. Nel 1982, Gerardo decide di trasferirsi a Orbassano, dove acquista una pasticceria chiamata Caramellino. Da quel momento, lavora instancabilmente per 42 anni, diventando un’istituzione locale grazie alla qualità dei suoi prodotti e alla sua generosità. Gerardo è noto per la sua cortesia, gentilezza e capacità di far sentire importanti i clienti, spesso offrendo dolci gratuitamente a chi non poteva permetterseli. Questo comportamento lo rende molto amato nella comunità. La sua pasticceria diventa un punto di riferimento a Orbassano, e Gerardo partecipa attivamente alla vita cittadina, anche come vicepresidente dell'Associazione Commercianti. Nel corso degli anni, Gerardo riesce a conciliare il lavoro con la sua passione per il calcio, giocando fino all'età di 64 anni e vincendo numerosi premi. Attualmente è in pensione, ma la pasticceria continua a essere gestita dalla figlia Sonia, rappresentando la terza generazione di pasticcieri della famiglia Mansi. Gerardo riflette sull'importanza della cortesia, della professionalità e dell'umanità nel commercio, sottolineando che la qualità dei prodotti deve essere accompagnata da un ottimo servizio clienti. Critica la mancanza di personalità tra i commercianti di Orbassano e il peso crescente del commercio online, che rappresenta una sfida per le attività locali. Nonostante le difficoltà, Gerardo è orgoglioso della sua carriera e spera di vedere i suoi figli sistemati e felici. Pur non volendo più essere coinvolto attivamente nella gestione della pasticceria o nella vita commerciale della città, rimane un modello di riferimento per la comunità di Orbassano. Oltre a queste esperienze professionali, Gerardo racconta anche aneddoti personali e toccanti della sua vita. Condivide una poesia dedicata alla madre defunta, esprimendo il dolore per la sua perdita e l'affetto eterno che prova per lei. Racconta anche episodi drammatici come il tentato suicidio della prima moglie, che lo ha visto coinvolto in un incidente quasi fatale e accusato ingiustamente di averla spinta dal balcone. Questa esperienza, seguita dalla sua liberazione grazie alla testimonianza di una vicina, ha segnato profondamente Gerardo. Nel corso della sua vita, Gerardo ha avuto diverse relazioni sentimentali. Dopo una prima moglie con cui ha avuto un matrimonio difficile, trova finalmente l'amore con una giovane commessa che lavorava nella sua pasticceria. Nonostante la differenza di età e le difficoltà iniziali, la relazione si evolve in un matrimonio duraturo che dura da 34 anni, con una figlia avuta insieme e altre due figlie dai matrimoni precedenti. Infine, Gerardo riflette sulla sua vita e pensa che sarebbe interessante scrivere un libro su di essa. Pensa a un titolo appropriato e conclude che "Pensavo di perdermi, ma alla fine ho trovato la strada giusta" rappresenterebbe bene il suo percorso di vita.
Debora Campagna, nata a Torino e madre di tre figli, lavora presso la cooperativa San Donato dal 2000, occupandosi di vari servizi educativi e sociali. Inizialmente ha fornito supporto agli insegnanti di sostegno nelle scuole di Pianezza, per poi lavorare per oltre dieci anni nel servizio disabili. Da settembre 2023, Debora si è trasferita a Orbassano per lavorare con la popolazione rom, un compito iniziato un anno e mezzo fa con lo svuotamento di un campo e la ricollocazione delle famiglie in abitazioni.A Orbassano, Debora lavora venti ore settimanali con le famiglie rom, affrontando la sfida di avvicinarle all'istruzione nonostante la loro diffidenza verso il sistema scolastico. Nota una carenza di opportunità educative e professionali oltre la terza media, il che ostacola l'integrazione e lo sviluppo personale, specialmente per le ragazze. Debora osserva che le diverse etnie rom, i Dastikane (cristiani ortodossi) e i Korakane (musulmani), hanno approcci differenti alla vita e all'igiene, influenzando il loro adattamento alle nuove abitazioni. Le difficoltà principali che Debora riscontra sono la mancanza di risorse educative dopo la scuola media e la difficoltà di integrazione sociale dovuta alle condizioni di vita precarie. Gli studenti rom spesso non frequentano la scuola materna, rendendo l'inizio della scuola elementare particolarmente difficile. Inoltre, le scuole spesso non sono preparate ad accogliere e integrare questi bambini, e la comunicazione con le famiglie rom è limitata. Debora collabora con vari servizi, tra cui la neuropsichiatria, per ottenere certificati necessari per i bambini con difficoltà linguistiche. Tuttavia, i servizi sociali non hanno una presa in carico adeguata delle famiglie rom a Orbassano, anche se vi è maggiore attenzione a Beinasco. Debora desidera che il suo lavoro di inserimento lavorativo diventi un servizio strutturato con più risorse e personale, per meglio supportare disabili, giovani e rom. Nel tempo libero, Debora si dedica alla ceramica e al fai-da-te. Il suo desiderio personale è che i suoi figli trovino felicità e realizzazione nella società. Sul piano lavorativo, spera che il servizio di inserimento lavorativo della cooperativa San Donato riceva maggiori risorse per essere sviluppato in modo più efficace e inclusivo.
Ciao, sono Soukaina, ho 23 anni, sono di origine marocchina e dall'età di 4 anni vivo in Italia qui a Orbassano.
Ho conseguito la maturità linguistica perché il mio sogno è di fare l'assistente di volo, poi la vita mi ha portato a prendere altre scelte, tra cui quella del servizio civile, un anno che mi sono presa per vivere un'esperienza nuova (che consiglio a tutti i giovani) in ambito lavorativo e formativo. Per ora nel mio lavoro mi sono occupata di fare l'animatrice: lavoro nei servizi per la scuola durante l'anno scolastico e nei centri estivi nel periodo dell'estate e questo lavoro mi permette di sentirmi me stessa, un po' come una sorella maggiore (cosa che sono nella mia famiglia). Cerco di essere amica ed educatrice allo stesso tempo.
Sono molto legata alla mia famiglia, i viaggi che ho compiuto fino adesso rappresentano proprio il fatto di potersi riunire. Nella mia città svolgo il ruolo di Peer leader (leader alla pari) in un progetto d'inclusione territoriale legato alle donne con un background migratorio, nella speranza di poterle introdurre in modo attivo nella società in cui viviamo. Questa esperienza comporta molto lavoro, tanti sacrifici ma è appagante in termini di relazioni umane.
Proprio avendo a che fare con tante persone trovo che la mia città sia in qualche modo scoperta per la fascia che va dai 18 ai 40 anni: ci sono tanti spazi per i bambini, tanti centri anziani, ma forse manca un luogo identificativo per questa fascia più giovane. Nel mio immaginario vorrei poter sentire le loro idee e le loro necessità, magari attraverso un indirizzo mail di posta elettronica, in cui loro possano far capire quali desideri, quali idee hanno per la nostra Città e fare da tramite in qualche modo per organizzare uno spazio in cui riconoscersi.
Cos'é per me la felicità? Qualcuno che ci ama.
Sono Flaviana, ho settant'anni, originaria del Veneto, del Polesine, dopo le alluvioni.
Sono felicemente sposata da cinquant'anni, con una figlia. La mia carriera mi ha visto come impiegata ed insegnante nella parte tecnica della ragioneria.
A 35 anni ho iniziato a dipingere, ma era sempre stato il mio sogno: è quello che definisco "un piacevole lavoro". La mia vocazione é sempre stata quella di dipingere: la mia felicità consiste nell'imprimere i colori sulla tela. Questo mi permette di trasmettere e di ricevere.
Mi piace anche tanto viaggiare con il nostro camper, nella natura. Mi piace pianificare cose o attività che già solo nel pensiero regalano gioia: ad esempio, adesso sogno un viaggio in Grecia con il camper.
Orbassano ha un potenziale da accrescere, c'è ampio raggio di miglioramento soprattutto in prospettiva di aumentare la cultura dell'arte; sarebbe importante avere uno spazio espositivo dedicato agli artisti locali. Le istituzioni dovrebbero occuparsi della comunità e della città. Le persone possono attivarsi e prendersi cura del territorio, ma anche la città deve pensarci.
Sono Filomena, ho 59 anni e dal '74 vivo ad Orbassano, con molto orgoglio. Sono stata un'impiegata pentita e oggi sono un'educatrice professionale molto soddisfatta del mio lavoro, nel quale riverso impegno e passione: per questo motivo ho scelto il sociale. Lavoro presso il centro diurno "La gabbianella" che ospita ragazzi dei 15 ai 65 anni con difficoltà fisiche e mentali. Lavorando con loro ho la possibilità di mettere in pratica il mio lato creativo: ricordo ad esempio la stesura e l'invio di lettere gentili, con lo scopo di creare una rete di gentilezza reciproca.
Inoltre sono impegnata nella parrocchia nell'attività di doposcuola nell'ambito delle ripetizioni di francese, materia in cui sono pratica perché il mio compagno è di origine francese. Quest'ultimo anno mi sono sperimentata anche nei centri estivi.
Sono anche una mamma di due figli ormai grandi.
La vita mi ha fatto conoscere la malattia, mettendomi in condizione di convogliare in positivo il trambusto vissuto: sono una testimone di vita vissuta in modo autentico, e ne ho tratto una grande capacità di valorizzare .Per la mia città il pensiero va all'Inclusione.
Mi chiamo Chiara, ho 53 anni e da 24 anni vivo ad Orbassano. Sono la Direttrice della biblioteca Carlo Maria Martini di Orbassano. Ho scoperto la passione per il mondo delle biblioteche pubbliche all'ultimo anno dell'università.
Sono una mamma orgogliosa e una lettrice appassionata, mi piace molto anche il cinema.
Sono un punto di riferimento per la città, al punto che le persone mi chiedono consigli o mi restituiscono i libri mentre sono a passeggio per le vie di Orbassano. Ho un grande senso civico, che metto a disposizione della collettività, cercando di dare il mio contributo a tenere pulita la città, fornendo io per prima il buon esempio.
Ritengo sia importante comprendere le persone ed aiutarle, rispondendo alle loro esigenze, proponendo un ascolto attivo. Metto in pratica l'importanza di accogliere come stile di vita. Dobbiamo porre l'attenzione sulla consapevolezza dell'offerta proposta dalla nostra Città: è inutile lamentarci se non sappiamo cosa ci propone.
Mi chiamo Marco, ho 53 anni e le mie origini vanno dal Veneto al Piemonte, dove per Veneto intendo la piana del Prosecco e per Piemonte le colline del Barbera e del Grignolino.
Ho iniziato l'Università di Scienze Naturali, ma non sono riuscito a concluderlo. Ad oggi sono un piccolo artigiano, come naturale conseguenza degli insegnamenti della mia famiglia, ho una ditta di pulizie e di giardinaggio.
La mia passione per la montagna, nata nel tempo dal duplice desiderio di camminare e osservare, mi ha portato a ricoprire il ruolo di Presidente del Cai della sezione di Orbassano; così ho sperimentato anche la carriera di accompagnatore ed istruttore. Mi piace viaggiare e l'arte, compresa la storia dell'arte.
Auspico un volontariato efficace e un miglioramento che coinvolga tutti e che la capacità di capire le esigenze dell'altro si concretizza nell'esserci.Mi definisco pragmatico, ho pochi sogni nel cassetto ma molti obiettivi da raggiungere. Tra questi sono alla ricerca dell'equilibrio tra i miei pregi e i miei difetti.
Ciao sono Enrico, orbassanese da sempre proprio per origini di famiglia. Sono quasi arrivato all'età di cinquant'anni.
Sono un educatore che ha allargato le sue conoscenze: partendo da un hobby, che poi si è trasformato in possibilità lavorativa. Da vent'anni infatti sono nell'Associazione Jaqulé che sviluppa metodi e strategie di formazione per il circo. In questo ambito ho avuto la possibilità di seguire molti corsi di aggiornamento, nutrendo così la mia curiosità di trovare sempre nuove forme artistiche di espressione e soprattutto ho avuto la possibilità di interagire con tantissimi bambini con progetti nelle scuole, nei parchi e nelle sedi comunali dei comuni limitrofi con i quali abbiamo collaborato. Abbiamo creato anche dei percorsi per la diversità, quindi riusciamo ad animare anche diversi centri diurni e raggiungiamo anche le persone con disabilità.
All'interno del progetto dell'associazione di giocoleria abbiamo cercato di portare avanti, tramite serate e festival, la possibilità di sviluppare anche tematiche sociali, con un occhio speciale alle abilità diverse, il tutto nel tentativo di proporre un'inclusione più universale.
Dal mio punto di vista il desiderio per la mia città è quello di investire sulla cultura fuori dagli stereotipi, la cultura pensata in modo coinvolgente e divertente e non per forza come una cosa percepita come noiosa o d'elite.
La mia più grande passione è la montagna e in nome di questo mio sogno nel cassetto vorrei portare avanti un progetto di abitazione in una borgata abbandonata, ristrutturandola, con lo scopo di far coabitare italiani e stranieri.
Ciao, sono Piero, sono di origini calabresi, trapiantato al nord con la mia famiglia, con la quale gestisco una macelleria e salumeria. Nel tempo, l'attività si trasformata, per rispondere alle esigenze dei consumi e dei nuovi modi di approcciarsi alla vita; nel tempo abbiamo avuto anche il passaggio alla gastronomia recentemente abbiamo intrapreso anche il ramo della ristorazione e del catering.
Ho sempre avuto una forte spinta al lavoro infatti il mio percorso di studi è stato breve ma subito mirato alla vita operativa. Nell'azienda di famiglia il rapporto padre-figlio è molto forte, abbiamo fatto tanti sacrifici in nome dell'autonomia, che ho conseguito sin dalla giovane età e per la quale mi sento di consigliare anche i ragazzi di oggi un percorso di vita come il mio. Si tratta di una scelta coraggiosa, fatta di tanti sacrifici, la formazione nello studio è sicuramente opportuna, ma va affiancata alla possibilità di darsi da fare da subito.
In base alla mia esperienza sicuramente la burocrazia influisce in modo negativo, limitando la progettualità nelle tempistiche ma l'importante è avere sempre una buona idea e prodigarsi per rilanciarla.
Vivo bene la mia città, che mi dà la sensazione di essere un luogo attivo e propositivo; vorrei più collaborazione attiva con i miei concittadini, che molto spesso si soffermano nel lamentarsi e non si attivano per contravvenire alle problematiche, ad esempio, della pulizia della città che ritengo parta in primis da noi.
Ciao sono Valeria, una sessantacinquenne orbassanese, commerciante in attività con una futura carriera da nonna. Sono molto dedita all'attività di volontaria sul mio territorio e in passato ho partecipato anche al teatro orbassanese.
Adesso sono operativa nella Fidas, nelle cui file ho iniziato dall'età di 15 anni e come donatrice dai 18. Mi adopero anche nella protezione civile: insomma quello che c'è da fare per Orbassano mi ci metto sempre di impegno a farlo.
Mi sono occupata molto dei miei genitori quindi non ho avuto molto tempo per me stessa, ma adesso cerco di tenermi impegnata soprattutto nell'attività di propaganda per la donazione del sangue, che ricordiamo si dona e non si fabbrica.
Per Orbassano auspico un'associazione di commercianti del luogo e una Pro Loco motivata a promuovere i prodotti tipici del luogo come il Sedano Rosso. Per quanto riguarda i miei concittadini mi auguro che siano più collaborativi e meno lamentosi. Orbassano è vivibile e l'aspetto su cui si dovrebbe puntare è l'integrazione.
Sono Giulia, ho 26 anni e un 110 e lode appena conseguito con la laurea in Scienze della comunicazione e cultura dei media. Sono venuta ad abitare ad Orbassano quando avevo 4 anni, con mia mamma Emanuela e Yuri, il mio cagnolino che ha 12 anni, che ha convissuto questo periodo della mia vita in tutte le mie esperienze.
Ho iniziato con un percorso di scienze umane e conseguendo la laurea adesso il mio pensiero è di frequentare un corso di grafic designer, perché in fondo ho sempre vissuto in modo creativo da bambina e adesso vorrei sviluppare la mia creatività con il digitale. Nel contempo ho deciso di affrontare l'esperienza del servizio civile nella biblioteca della mia città per rendermi operativa in questa occasione di vita.
Mi piacciono i gialli, sia sotto forma di libri che sotto forma di film; ho una grande passione per il mondo del cinema proprio a partire dalla sua realizzazione e per il suo aspetto di fruizione collettiva.
Tutti questi aspetti mi arricchiscono nella vita perché sono una persona che si annoia facilmente, allora sono alla continua ricerca di stimoli, che ho trovato in grande quantità nel corso di un viaggio in Irlanda; ora invece dovessi scegliere, andrei a New York.
Ho trascorso molto tempo sui libri per motivi di studio ma ho sempre cercato di frequentare la palestra proprio in nome del "mens sana in corpore sano".Non mi piace stare al telefono, pensando all'uso dei social, preferisco esperienze di vita attiva e in generale non mi sento mai arrivata, questo è per me uno stimolo a cercare di fare sempre meglio.
Vivo bene nella mia città e mi auguro di poter rendermi utile perché questo viver bene collettivo sia sentito anche dei miei concittadini.
Ciao sono Jacqueline, ho 22 anni, orbassanese per origine di famiglia, con lo spirito decisamente spagnolo, avendo vissuto per un certo periodo in terra spagnola: trovo che si avvicini molto al mio modo di essere.
Ho studiato al liceo linguistico e la mia grande passione è il canto, che coltivo insieme a mio fratello e con il quale vorrei creare un coro di voci bianche, sull'onda dell'esperienza che abbiamo vissuto noi formati al canto e nella speranza che possano ripercorrere il nostro cammino tanti altri giovani artisti.
La vena artistica è nata in famiglia grazie a mio nonno, con il quale ho vissuto a stretto contatto e che mi ha incoraggiato a percorrere questa strada che in un prossimo futuro spero possa essere la mia carriera ufficiale.
A Orbassano vivo bene, vorrei poter immaginare uno spazio dedicato ai giovani in cui possano esprimere la loro essenza.
Ciao, sono Edoardo. Ho 22 anni e se dovessi trovare una parola attorno alla quale gravitano tutti i miei interessi sicuramente sceglierei: Cultura. Sono infatti appassionato di lettura, musica, arte, concerti, mostre e spettacoli. Negli ultimi 4 anni ho maturato un'esperienza nella web radio locale, Radio Agorà 21, cercando di coinvolgere ospiti che potessero raccontarsi e fornissero spunti di bellezza su tutti i rami della cultura.
Sicuramente mio papà e mio nonno hanno influito nella mia passione per la cultura della bellezza. Colleziono cimeli del passato ma non tanto per il fatto di possederli da collezionista, quanto per poterne usufruire.
La mia passione per la musica è trasversale: a partire dalla musica classica, il jazz, il Pop italiano e straniero, il rock, l'hard rock e l'havy metal. Amo anche il cinema.
Il mio sogno nel cassetto? La possibilità di unire la mia passione con il lavoro e trovare questo connubio nella Radio.
Per Orbassano auspico una svolta culturale puntando la maggior parte delle forze nell'organizzazione di eventi musicali e culturali.
Alessandro ha 45 anni. Il suo lavoro consiste nel dare vita e colore ai muri delle città di Orbassano e in giro per il mondo. Il suo lavoro è disegnare.
La passione di Alessandro nasce quando andava alle scuole superiori, era sempre stato bravo a giocare con i colori, ma non avrebbe mai pensato che sarebbe diventato il suo lavoro. A spronarlo e incoraggiarlo a coltivare questa sua passione fino a renderla il suo lavoro fu sua moglie, infatti adesso insieme mano nella mano vanno in giro a colorare i muri delle città e delle case delle persone, dando loro vita.
Le persone gli danno anche carta bianca per i suoi lavori, altre volte ci sono indicazioni più specifiche. Il progetto nasce sulla carta o adesso sul tablet, poi ci si confronta con il cliente e poi si realizza.
Sonia ha 43 anni ed è di Torino. Lavora presso una società informatica, facendo l'analista di business per soddisfare le richieste dei clienti.
Per lei la famiglia è importante e passare del tempo con suo figlio è sicuramente fondamentale.
Per questo motivo infatti lei insieme a suo figlio e suo marito hanno deciso di iniziare a fare il karate. In realtà Sonia aveva sempre avuto il desiderio di fare karate, ma da piccola i suoi genitori non hanno mai voluto farglielo fare e in questo modo Sonia è riuscita ad esaudire per se stessa e insieme alla sua famiglia un grande desiderio.
Sonia ha sempre avuto un viaggio dei sogni, che è riuscita recentemente a realizzare con la sua famiglia: una crociera nel Mediterraneo.
Per Sonia, sarebbe importante offrire più informazione rispetto alle realtà e associazioni del territorio, facendo conoscere tutte le attività che vengono proposte. In questo modo, la cittadinanza sarebbe molto più partecipe.
Valerio è membro dell'Associazione Inquilini e Abitanti dell'Unione Sindacale di Base. L'organizzazione si dedica alla tutela del diritto all'abitare con sportelli presenti in diverse città italiane, e lavora per proteggere i diritti degli inquilini sia delle case di proprietà che delle case popolari. L'associazione interviene sulle politiche pubbliche locali e nazionali, sostenendo che il diritto alla casa sia fondamentale e impegnandosi in azioni collettive per affermarlo.
Valerio, all'interno dell'associazione, partecipa a vari organismi locali e nazionali, contribuendo alla redazione di proposte di legge e all'apertura di tavoli di confronto. Quotidianamente, opera in uno sportello legale offrendo consulenze su contratti di locazione, sfratti, spese condominiali e accesso alle case popolari, assistendo persone in emergenza abitativa.
L'associazione, nata a Roma negli anni '90, è oggi presente in numerose città italiane. A Milano, Valerio indica gli sportelli in Via Calvi, Via Calvairate, San Siro e Via Padova. L'associazione collabora con l'Unione Sindacale di Base, rivolta principalmente ai lavoratori con redditi bassi, e cerca di incidere sulle politiche pubbliche collaborando con istituzioni e enti locali.
Valerio racconta che l'associazione si rivolge a chiunque abbia problemi abitativi, prioritizzando le situazioni urgenti. Si rivolge a inquilini, spesso stranieri, che vivono in affitto, in situazioni irregolari, nei dormitori o nei centri di accoglienza.
Riguardo all'edilizia sociale a Milano, sottolinea l'importanza di investire nelle case popolari contrastare l'elevato costo degli affitti. Condivide la frustrazione percepita e diffusa per la situazione attuale, ma evidenzia anche la soddisfazione per i traguardi positivi quotidianamente raggiunti: tanta gioia e motivazione possono generarsi da un semplice bigliettino di ringraziamento.
Immagina una comunità serena dove le persone non devono preoccuparsi costantemente delle necessità quotidiane e possono vivere in armonia. Sostiene che una maggiore presenza di stato sociale e condizioni abitative dignitose alimenterebbero a una società più coesa e meno conflittuale.
Guardando al futuro, auspica un maggiore investimento nell'edilizia residenziale pubblica e il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, tanto nei centri urbani quanto nelle periferie.
L'Associazione "La Ginestra" è un gruppo costituitosi all'interno della parrocchia Pio V di Calvairate a Milano. Fondata per affrontare la crescente solitudine tra gli anziani e le persone in pensione, "La Ginestra" mira a creare una comunità inclusiva e solidale. L'associazione ha ottenuto una partecipazione significativa sin dai suoi primi interventi culturali, mirati ad avvicinare le persone e a promuovere il dialogo intergenerazionale.
"La Ginestra" prende il nome dal fiore omonimo, noto per le sue radici forti e la capacità di crescere in terreni difficili, simbolo della resilienza e della capacità di adattamento.
La fondatrice, ispirata dalla presenza diffusa di questo fiore sulle colline della sua campagna, ha scelto il nome per riflettere l'essenza dell'associazione: robusta, accessibile e profondamente radicata nel territorio.
Oltre agli interventi culturali, "La Ginestra" si impegna in attività di prossimità, aggregazione e supporto sociale, con l'obiettivo di promuovere una comunità coesa e solidale, dove giovani e anziani possano interagire e crescere insieme
Roberto, nato e cresciuto vicino a Viale Umbria, è una memoria storica e affezionata del quartiere Calvairate da ormai 60 anni.
Nel corso della sua vita, Roberto ha collaborato a livello sociale con diverse società sportive locali, occupandosi principalmente di calcio. Ha lavorato con ragazzi di età compresa tra i 6 e i 20 anni, svolgendo un importante ruolo anche educativo. Nonostante le difficoltà incontrare, il lavoro con i giovani lo appassiona e lo spinge a continuare con dedizione, offrendo sostegno e affetto.
La sua passione per lo sport, e in particolare per il calcio, è nata dall’esperienza di giocatore in prima persona. Anche se i suoi genitori non lo supportavano particolarmente, la sua devozione lo ha portato a giocare in diverse società.
Attualmente si sta dedicando ad alcuni corsi di formazione in ambito informatico, non tanto per ottenere nuove certificazioni, quanto per il piacere di imparare e mantenere la mente stimolata.
Roberto osserva che il quartiere di Calvairate, rispetto a cinquant'anni fa, è cambiato notevolmente. Un tempo, a suo dire, le amicizie erano più forti e consistenti mentre oggi tende a prevalere un forte individualismo. La presenza di conflitti e invidia tra le persone è un problema che danneggia il tessuto sociale, inclusi i bambini.
Tra gli aspetti positivi del tempo e del contesto in cui vive individua la possibilità per famiglie di legarsi e aggregarsi attraverso le attività dei figli, come feste e compleanni. Apprezza anche i parchi della zona che considera luoghi di tranquillità e relax per tutte le età. Sottolinea tuttavia l'importanza di mantenere e proteggere questi spazi, nonché di monitorare e contrastare attività poco oneste e pericolose per i cittadini.
Riguardo ai bisogni della sua generazione, evidenzia la necessità di sostegno e tranquillità, soprattutto con l'avanzare dell'età, quando le fragilità aumentano.
Per Roberto, il senso di comunità implica ragionare e operare nello stesso modo, condividendo obiettivi comuni e mettendo da parte egoismi e invidie. Crede nell'importanza di lavorare insieme per il bene della società, con un focus sugli obiettivi collettivi piuttosto che sui vantaggi personali.
Roberto desidera un miglioramento per i giovani del quartiere e per l'intero ambiente in cui vive. Si auspica una maggiore collaborazione tra giovani e anziani, con un'attenzione particolare al sostegno reciproco e alla costruzione di una comunità più unita e solidale.
Ali è un giovane uomo sui trent'anni, di origine egiziana, arrivato a Milano da adolescente e rimasto poi nei dintorni di Calvairate e limitrofi. La sua riservatezza e il suo carattere di poche parole non gli impediscono di condividere parte della sua storia e del suo sguardo verso il quartiere.
Ali svolge diverse attività lavorative, alternandosi tra i mercati rionali - dove spesso lo si può incontrare tra i banchi di frutta e verdura- e una ditta di impianti elettrici. La sua dedizione al lavoro è evidente e, nonostante la fatica, Ali riesce sempre a trovare il tempo per godere dell'ambiente che lo circonda e che ormai considera casa.
Ama trascorrere i momenti liberi all'aria aperta, nei parchi e nelle piazze circostanti, dove si rilassa e ricarica le energie. La musica è una delle sue passioni, e non c'è niente che lo renda più felice di un pomeriggio passato a chiacchierare e ridere con gli amici. Per Ali, comunità significa stare insieme e rispettarsi reciprocamente.
Guardando al futuro, spera di raggiungere maggiori soddisfazioni lavorative ed economiche. Il suo desiderio più grande è quello di continuare a stare bene.
Francesco, detto "Cischi", è noto per la sua versatilità nel campo delle arti, sia come rapper e più recentemente anche come attore. Sin da giovane, ha coltivato la passione per la scrittura e il rap, facendosi strada nella scena hip hop milanese degli anni '90. Le sue competenze spaziano dalla musica al cinema, includendo regia, montaggio, effetti speciali e disegno. Pur dedicandosi ora prevalentemente alla recitazione, continua a coltivare il suo amore per la musica.
Del periodo dell'infanzia ricorda le difficoltà familiari e sociali, la strada, le difficoltà e la violenza che ha conosciuto. Questo bagaglio complesso ha elicitato in lui un carattere resiliente e creativo, e lo ha spinto a ricercare nell'arte la grinta, la pace e la stabilità che desiderava.
Cischi, cresciuto nei territori tra Corvetto e Calvairate, ne ha osservato cambiamenti e trasformazioni. In passato, afferma, nonostante la presenza crimini e delinquenza era come se esistessero delle regole non scritte condivise, una sorta di rispetto latente tra le persone. Oggi invece sembra imperversare una mancanza di coesione e un aumento del disordine, legati forse alla massiccia crescita di multietnicità e gentrificazione che hanno alterato profondamente il tessuto sociale del quartiere. Le nuove generazioni, secondo lui, non dimostrano lo stesso rispetto e la stessa consapevolezza verso chi li precede e li supera in età.
Per Cischi il senso di comunità non esiste, o meglio, si è come perso nel tempo. Ricorda con nostalgia i giorni in cui, pur con tutte le difficoltà, un forte legame di comune appartenenza univa gli abitanti del quartiere. Tra le cause, a suo dire, dell'impoverimento delle relazioni comunitarie e della partecipazione ai processi trasformativi positivi c'è innanzitutto la mancanza di progetti e interventi sociali, continuativi e diffusi, capaci di abbracciare e integrare davvero i contesti più marginali e svantaggiati. E' la mancanza di motivazione verso un "noi" e di fiducia verso le istituzioni ad alimentare un sentimento di abbandono e distacco, soprattutto tra i "vecchi" residenti.
Guardando al futuro, Francesco auspica il ritorno ad una maggiore partecipazione e inclusione nel quartiere. Sogna progetti che possano coinvolgere direttamente i giovani, offrendo loro opportunità concrete per esprimere le proprie capacità e trovare un senso di appartenenza. Crede fermamente che solo attraverso un impegno costante e la presenza sul territorio si possa ricostruire quel senso di comunità che un tempo rendeva il quartiere un luogo speciale.
Michele si occupa di strategia digitale per un'agenzia di consulenza, ma le sue passioni abbracciano anche la fotografia e il teatro. Molto affezionato alla alla natura intima e raccolta del quartiere, è coinvolto nelle attività dell'associazione "La Loggia di Calvairate", per la quale lavora alla documentare gli eventi e alla coordinazione delle sinergie con altri gruppi, associazioni, festival e rassegne.
Ha conosciuto La Loggia poco dopo essersi trasferito da Pavia a Milano, tramite un gruppo Facebook dedicato al quartiere. La presidente dell'associazione, Annalisa, ha organizzato alcuni aperitivi natalizi che hanno favorito l'incontro e la vicinanza tra i residenti della zona, e la successiva costituzione di un piccolo gruppo informale. Insieme hanno lavorato alla trasformazione del gruppo in una vera e propria associazione mirata a realizzare e promuovere iniziative concrete nel e per il quartiere.
Michele apprezza molto il quartiere di Calvairate che gli ricorda la Spagna con le sua Ramblas alberate e i parchi verdi. Questa infatti è una zona con molta vegetazione, cosa rara a Milano, e uno dei suoi luoghi preferiti è proprio Piazzale Martini, dove ama correre, leggere e socializzare. Il quartiere, pur essendo ancora uno dei pochi a Milano dove si respira un'aria di comunità, necessita di una maggiore cura del verde e di spazi pubblici più fruibili per eventi e attività.
La biblioteca di quartiere è un punto di riferimento fondamentale per Michele e per molti residenti. Rappresenta un luogo di raccoglimento e socializzazione, soprattutto per chi proviene da situazioni familiari più difficili. La sua recente riapertura della biblioteca è vista come un'opportunità per continuare a fornire occasioni e luoghi d'incontro anche per le associazioni locali.
Per Michele, una comunità ideale dovrebbe essere aperta, permeabile e accogliente. Ritiene molto prezioso e utile condividere valori e interessi comuni, e auspica che la sua comunità possa crescere e rafforzarsi, coinvolgendo sempre più persone appassionate e proattive. Lui, che personalmente si impegna nell'organizzazione di eventi teatrali e culturali per animare il quartiere, ha come sogno quello di realizzare una grande festa dell'associazione che coinvolga tutto il quartiere e tutti i suoi membri. Per il futuro si auspica una maggiore partecipazione dei residenti alle iniziative della comunità, affinché le energie negative a volte diffuse si trasformino in azioni positive e costruttive.
Mi chiamo Patrizia Battaglino, ho 60 anni e sono figlia unica. Sono nata a Torino e, quando avevo 9 anni, ci siamo trasferiti a Piossasco, nella casa di mia nonna. Ho fatto tutte le scuole a Piossasco e poi le scuole superiori a Pinerolo. Ho frequentato la parrocchia dei Santi Apostoli, poi sono passata a Gesù Risorto e infine a quella di San Francesco. Sono sposata e ho due figli: Andrea, che è laureato in Economia e in Inglese, e Simone, che è al quinto anno di Medicina.
Ho studiato per diventare maestra, ma non ho mai insegnato perché avevo fretta di trovare un lavoro stabile. Ho iniziato a lavorare come segretaria in vari posti e ora, da diversi anni, mi occupo di ossigenoterapia domiciliare. Mi occupo della logistica e gestisco un gruppo di pazienti. Negli ultimi anni ho avuto difficoltà nei rapporti con i colleghi, perché fatico ad accettare determinati atteggiamenti, magari un po' aggressivi.
Nel mio tempo libero mi piace fare tante cose. Amo la manualità e, fin da giovane, tutti i mobili che ho in casa li ho raccolti in giro e li ho restaurati perché amo il legno vecchio. Mi piace cucire, creare cose nuove, camminare e fare passeggiate. Mi piace andare a scoprire i musei. Passo anche un po' di tempo con i miei cani e i miei gatti e faccio anche la volontaria nell'emporio.
A Piossasco mi trovo benissimo. Per me, guardare solo il San Giacomo mi fa sentire a casa. Forse c'è la mancanza di qualche servizio o spazio per i giovani, ma per me va bene così.
Simone Licari, nato il 4 febbraio 1997 a Torino, vive a Piossasco. L'associazione a cui è legato, chiamata attualmente Intessere APS, ha origine dall'associazione culturale Inteatrabili. Quest'ultima si focalizzava esclusivamente sul teatro sociale e sull'educazione teatrale. Nel 2020, l'associazione ha iniziato a collaborare con un gruppo di giovani di Beinasco, portando alla trasformazione in un'associazione di promozione sociale nel 2023, con l'obiettivo principale di empowerment giovanile, pur mantenendo un forte legame con il teatro e le arti. La sede dell'associazione è a Rivalta, in via Dante Alighieri, e coinvolge ragazzi provenienti da varie località della zona ovest della provincia di Torino, inclusa la stessa città di Torino. L'associazione mira a creare uno spazio dove i giovani possano esprimersi artisticamente, sviluppare competenze e trovare supporto. Il focus principale è fornire opportunità ai giovani over 18, cercando di creare un centro di produzione giovanile che includa una sala registrazione, sala prove e altri spazi creativi. L'associazione ha gruppi informali interni che aiutano nella gestione degli spazi e degli eventi, e affronta la sfida della mancanza di servizi adeguati per i giovani over 18. Simone sottolinea come molti giovani, una volta raggiunta la maggiore età, non trovino spazi adatti a loro nei centri giovanili, che spesso ospitano ragazzi più giovani. Nel 2019, a seguito della chiusura di una precedente associazione che forniva loro spazi, Simone e i suoi collaboratori hanno fondato Inteatrabili, inizialmente focalizzata solo sul teatro. Dal 2022, grazie alla collaborazione con un gruppo informale di giovani, l'associazione ha ampliato il suo raggio d'azione verso l'empowerment giovanile, diventando Intesserà PS. L'associazione ora include professionisti come psicologi ed educatori, e offre vari laboratori, tra cui teatro sociale e educazione teatrale per diverse fasce d'età. Il teatro sociale ha un ruolo centrale nell'associazione, utilizzato non solo per spettacoli ma anche come strumento educativo e inclusivo, lavorando con bambini, adulti e anziani, nonché con persone con disabilità. Inoltre, l'associazione collabora con diverse realtà e progetti educativi, sia locali che nazionali, come agita, un ente di teatro educazione a livello nazionale. Simone ha iniziato la sua passione per il teatro da bambino, attraverso gli scout, e ha poi sviluppato una formazione artistica più ampia durante le scuole superiori. Attualmente, lavora con la compagnia Fonderia Ragazzi di Torino, e ha un interesse particolare per il teatro fisico e il teatro-danza. L'associazionismo è entrato nella vita di Simone per necessità, ma si è trasformato in una missione per sostenere e promuovere le arti tra i giovani. L'associazione intende supportare i giovani nell'espressione artistica e nella realizzazione di progetti, cercando di fornire spazi e opportunità a costi accessibili. Nel tempo libero, Simone ama leggere, andare a teatro e fare escursioni in montagna. Il suo sogno più grande è vedere una riforma educativa che riconosca e integri pienamente l'importanza delle arti nell'apprendimento, superando le divisioni tra diverse discipline artistiche e promuovendo una collaborazione più ampia tra enti e professionisti.
Alessandro, cuoco e food blogger di professione, è un membro attivo dell'Associazione "La Loggia di Calvairate" a cui si è avvicinato nel 2019 dopo essersi trasferito nel quartiere. Inizialmente osservatore esterno, ha gradualmente iniziato a partecipare attivamente alle attività della Social Street, sentendo il desiderio di contribuire concretamente al bene della comunità.
Il suo primo ricordo del quartiere è un sentimento di accoglienza, legato all'incontro con una gentile signora durante la ricerca di un alloggio. Ritiene che il quartiere viva una continua evoluzione, con alti e bassi nella percezione e soddisfazione complessiva delle persona, ma sempre all'interno di atmosfere vivaci e vivibili.
Per quanto riguarda gli aspetti da migliorare, Alessandro sottolinea la necessità di una maggiore mescolanza tra i diversi gruppi sociali e la disponibilità di maggiori luoghi di aggregazione. Tra i luoghi del cuore, cita Piazzale Martini con i suoi grandi spazi aperti verdi, un posto che lo vede spesso presente per lavoro e momenti di relax.
Per lui la comunità ideale è un gruppo capace di ascolto reciproco e comprensione, dove ognuno può esprimersi liberamente.
Il contributo che desidera offrire alla sua comunità è quello di qualificare il suo tempo, impegnandosi cioè attivamente nelle attività dell'associazione.
Guardando al futuro Alessandro auspica una maggiore partecipazione e condivisione di progetti nella comunità, sia a livello personale che collettivo. Da un punto di vista personale, desidera coltivare la sua appartenenza al quartiere e goderne serenamente nonostante le sfide legate al costo della vita e alla gentrificazione in corso.
Giusy o Giuse, come preferisce essere chiamata, si occupa di comunicazione nel mondo della cooperazione ed è anche la vicepresidente dell'Associazione "La Loggia di Calvairate". Tra i fondatori del gruppo vi entra in contatto quando l'idea stava ancora prendendo forma e nel corso del tempo ha assistito alla crescita e allo sviluppo di una realtà per lei molto cara.
Il suo arrivo nel quartiere è avvenuto prima come socia dell'associazione e successivamente come residente: ha da subito apprezzato l'approccio informale e conviviale che La Loggia promuoveva per creare comunità e relazioni tra i residenti. Per Giusy infatti, è particolarmente importante offrire la possibile di creare legami in un quartiere dove molti si trasferiscono senza conoscere nessuno. Considera in questo senso l'associazione una risorse preziosa per il territorio, perché si impegna per un valore collettivo cercando di sopperire alle mancanze sociali e aggregative talvolta presenti.
E' molto felice per la recente riapertura della Biblioteca, presidio e spazio comune non solo per il prestito di libri ma anche per lo studio, l'incontro e la condivisione di attività culturali. Anch'essa rappresenta una grande ricchezza per la comunità.
Relativamente ai cambiamenti osservati nel quartiere, Giusy sostiene che non corrispondono tanto e solo ad elementi tangibili, quanto al più ampio tema delle aspettative e dei desideri di cui le persone di fanno portatrici.
Quando si tratta di descrivere la comunità ideale, la immagina interessata e impegnata nel bene comune, con un sincero interesse per il proprio quartiere e per gli altri.
Guardando al futuro, Giusy auspica di vedere più spazi culturali e sociali nel quartiere, così come una maggiore partecipazione attiva dei residenti. Per quanto riguarda l'associazione spera che mantenga nel tempo lo stesso spirito informale e inclusivo.
Annalisa lavora nel mondo della comunicazione, è la presidente dell'Associazione "La Loggia di Calvairate" ed è una figura attiva nel municipio 4 di Milano. Traspaiono immediatamente il suo forte legame con il quartiere e l'appassionato coinvolgimento nella vita dell'associazione.
L'Associazione è nata durante la pandemia, formalizzandosi nel 2023 come Associazione di Promozione Sociale. I primi passi sono iniziati con la social street del 2014, che aveva l'obiettivo di coinvolgere e aggregare le persone in un contesto che, all'epoca, si presentava soprattutto come quartiere dormitorio nonostante le grandi potenzialità e ricchezze del tessuto sociale.
Tra le iniziative più rappresentative promosse dall'associazione, Annalisa menziona il "Plant Swap", evento basato sullo scambio di piante tra i residenti del quartiere diventato presto iconico e che continua a ripetersi regolarmente due volte all'anno. L'associazione organizza molte iniziative, in collaborazione con realtà e associazioni del territorio, per promuovere e ravvivare l'identità della zona; interessanti sono anche i corsi di Rockabilly Live promossi per le diverse generazioni.
Riflettendo sul quartiere, Annalisa sottolinea la mancanza di infrastrutture per la mobilità sostenibile, come le rastrelliere per le biciclette, nonché la necessità di uno spazio fisico per l'associazione. Nonostante le sfide, la Loggia di Calvairate mira a mantenere viva e a valorizzare l'anima e la ricchezza del contesto, promuovendo la partecipazione attiva dei residenti.
Pensando al futuro, si auspica un maggiore riconoscimento dell'associazione come parte integrante del quartiere e un'identità condivisa tra "La Loggia di Calvairate" e la comunità locale.
Anna si è trasferita a Calvairate durante le medie, ha frequentato la facoltà di Scienze dell'Educazione e ha esperienze professionali e di volontariato con bambini e persone disabili, che l'hanno resa sensibile ai temi di inclusione e prevenzione.
"Calvairate è un quartiere ricco di realtà che si occupano del supporto alle fragilità e alla marginalità", afferma Anna. "Nelle realtà più popolari non sono rare le situazioni di fatica economica e culturale, ed è importante che siano garantite servizi dedicati a queste persone."
Anna ha una buona opinione del quartiere, che vede in via di sviluppo e potenzialmente attraente per le nuove generazioni. "C'è ancora molto da fare per renderlo un luogo più accogliente e inclusivo", spiega. "Ci sono molti giovani stranieri di seconda e terza generazione, alcuni più integrati altri chiusi nella loro stretta cerchia."
Nonostante frequenti anche altre zone, Anna ama passeggiare per i parchi e i bar della zona ma frequentando principalmente altre zone non si considera un'abitante assidua e radicata.
Per Anna il concetto di comunità è complesso. "La comunità è appartenenza ma anche conflitto", dice. "È facile dire 'stiamo insieme e vogliamoci bene', ma se manca un senso di sicurezza e libertà condivise è normale chiudersi in se stessi e nella propria comfort zone."
Guardando al futuro, Anna si augura un miglioramento generale delle condizioni del quartiere. "Spero che ci sia più cura degli spazi comuni e una riduzione della delinquenza e della criminalità", confida. "Come donna, mi sento spesso più esposta ai pericoli di una grande città come Milano, quindi un quartiere più sicuro sarebbe un grande passo in avanti."
Emiliano, proprietario della tabaccheria Motta in Piazza Tito, ha avviato la sua attività due anni fa dopo aver deciso di lasciare il lavoro da dipendente. Residente nella zona, ha scelto questo luogo per la comodità e la familiarità che gli offriva.
Descrive il quartiere come tranquillo, vivibile e popolato principalmente da anziani. Racconta di non aver notato grossi cambiamenti nel quartiere nel breve periodo in cui ha aperto la sua attività, ma si aspetta di vederne nel prossimo futuro.
La sua clientela è piuttosto eterogenea, con una buona distribuzione tra residenti locali e persone provenienti da altri quartieri.
Riflettendo sul concetto di comunità Emiliano sottolinea l'importanza del rispetto reciproco e delle regole condivise.
Una sua grande passione sono i videogiochi anche se purtroppo, spiega, non ci sono nel quartiere luoghi specifici dove poter praticare questo hobby.
Pensando al futuro, esprime il desiderio che il quartiere diventi più pulito e sicuro, che il traffico venga monitorato meglio e che, in generale, ci sia un miglioramento della qualità della vita per se stesso, la sua attività e l'intera comunità.
Valerio è il proprietario dell'oreficeria e gioielleria di Piazza Tito, una piccola bottega affacciata sulle panchine, gli alberi e il via via quotidiano del quartiere. Per lui la vita comunitaria coincide soprattutto con la rete di vicinato e di piccoli commercianti a cui appartiene - dove molti si conoscono e si fermano a parlare fuori dalle vetrine dei locali - e con essa condivide un percorso e una prospettiva specifica del quartiere.
Le vetrine aperte e ben curate, secondo Valerio, rappresentano un importante presidio territoriale, contribuendo a valorizzare le case e a mantenere vivo il tessuto urbano. Tuttavia, il commercio locale è messo a dura prova da diverse situazioni, come le restrizioni al traffico e la crescente concorrenza dei centri commerciali e delle vendite online.
Valerio sottolinea il dilemma tra la comodità delle spese online e il valore del rapporto umano con i negozianti di quartiere: se da un lato la tecnologia offre benessere e praticità, dall'altro indebolisce il contatto diretto con il territorio e con le persone.
Con trent'anni di esperienza alle spalle, ha vissuto o osservato una trasformazione graduale e significativa del contesto urbano e sociale. Anche se le sfide per i commercianti, e in particolare per i piccoli artigiani locali e le piccole imprese, sono molteplici, Valerio desidera continuare a impegnarsi per contribuire alla vitalità e all'identità della zona.
Francesca, appassionata di cinema, racconta di essere nata e cresciuta nel cuore di Calvairate. Fin da piccola ha nutrito una profonda connessione con il quartiere, affascinata dalla sua vivacità e dalle sue sfumature.
"Vedere Calvairate cambiare nel corso degli anni è stato un'esperienza interessante e complessa", afferma Francesca. "Ho notato un aumento della multiculturalità, che porta con sé una ricchezza di prospettive e tradizioni, ma anche una maggiore percezione di insicurezza generale, soprattutto tra i più giovani."
Secondo Francesca, i veri gioielli di Calvairate sono i suoi spazi verdi, i luoghi pubblici di aggregazione e le associazioni culturali. "Sono queste le ricchezze del quartiere", sottolinea. "I parchi, le piazze, le biblioteche, sono luoghi vitali dove le persone si incontrano, si conoscono e condividono esperienze."
Parlando del significato di comunità, Francesca evidenzia l'importanza della condivisione e dell'integrazione. "Per me, la comunità è sinonimo di condivisione e integrazione", spiega. "Sono elementi apparentemente semplici, ma in realtà difficili da realizzare. È importante lavorare insieme per creare un ambiente inclusivo dove ognuno si senta parte integrante del tessuto sociale."
Francesca auspica che il quartiere continui a crescere e a prosperare, mantenendo al centro di ogni iniziativa la promozione della diversità, della cultura e della solidarietà.
Simone, giovane lavoratore fuori sede, originario di Firenze e trasferitosi a Milano per lavoro, ha vissuto a Calvairate, intorno a Piazzale Cuoco, per circa un anno e mezzo.
Appassionato di sport, giocatore amatoriale di calcio e avido lettore, dopo diverse esperienze all’estero è approdato a Milano nel settore bancario.
Il suo primo impatto con Piazzale Cuoco è stato intenso: un quartiere dalle forti componenti multiculturali, diverso dalle realtà urbane a cui era abituato. Pur non sentendosi del tutto a suo agio con tutte le peculiarità del quartiere (soprattutto per quanto riguarda la sicurezza percepita e i problemi legati allo spaccio) ne apprezza diversi aspetti: innanzitutto l’atmosfera vivace e dinamica, la presenza di aree verdi e il sistema di collegamenti con il resto della città.
Anche se per un periodo di tempo limitato, Piazzale Cuoco è stata per Simone un punto di riferimento, la sua casa. Per il futuro si auspica quindi tanta serenità e tante nuove opportunità, per sé stesso e per gli abitanti del quartiere, sperando in un miglioramento della qualità della vita e della sicurezza.
Grazia, presidente del Comitato Inquilini e Case Popolari di Calvairate-Molise-Ponti, ha operato come volontaria per circa vent'anni prima di assumere a pieno titolo questo ruolo quando il Comitato si è formalmente definito come organizzazione strutturata.
Nel corso degli anni il comitato ha ampliato e aggiornato progressivamente il raggio delle sue attività, e ad oggi sono molteplici i servizi che propone:
Una caratteristica distintiva del comitato è che tutti i suoi 60 volontari sono non-retribuiti. Il senso di comunità in cui credono e per cui operano, è ben rappresentato (nonché rafforzato) dal lavoro che svolgono nei cortili, emblema storico e sociale del quartiere, dove insieme ai cittadini mantengono viva quelle relazioni di vicinato e quel senso di appartenenza genuina preziosi per la condivisione e la prevenzione dei conflitti.
Il tema della casa e della mancanza di alloggi è centrale nel quartiere che, afferma Grazia, rischia di diventare un ghetto. L'abolizione del reddito di cittadinanza ha aggravato la disoccupazione e la precarietà abitativa, così come anche la rigenerazione urbanistica sta contribuendo all’aumento degli affitti e alle difficoltà dei più fragili.
Anche la dimensione culturale ha un ruolo centrale nella configurazione del contesto: il quartiere presenta infatti una significativa quantità di abitanti di origine straniera, con una forte maggioranza di famiglie arabofone; le scuola di quartiere presentano una predominanza di bambini nati all'estero; molti sono i giovani di seconda generazione nati e cresciuti a Calvairate. Tutti loro rappresentano già da ora una grande fetta di popolazione futura che occorre intercettare, considerare e coinvolgere, per evitare appunto marginalizzazioni e ghettizzazioni come in altre città europee.
Altri elementi peculiari e complessi del quartiere sono l’alta concentrazione di persone con problematiche mentali (il comitato mantiene forti rapporti di collaborazione con il CPS di quartiere), povertà e disoccupazione, spaccio di droga e piccola criminalità.
Il quartiere ha però anche molte potenzialità, spiega Grazia. Ci sono numerose persone straniere laureate e giovani in formazione che potrebbero valorizzare ed essere valorizzate. Alcuni rapper famosi sono nati qui, un contesto incubatrice di musica e street art. Il comitato supporta tutte queste ricchezze e talvolta organizza incontri e gite con nei luoghi della città, per mostrare ai ragazzi l'importanza della bellezza.
Per il futuro il comitato desidera mantenere e ampliare le sue attività, consapevole delle sfide che il futuro riserva.
Barbara Battistini ha 59 anni e vive da sempre a Piossasco. La sua carriera lavorativa è iniziata dopo un concorso che le ha permesso di lavorare presso l'ASL di Orbassano. Ha lavorato per dieci anni in un centro diurno per disabili e poi nel distretto ASL, occupandosi della gestione delle procedure di stabilità e delle commissioni relative alle erogazioni. Dopo il Covid, ha iniziato a lavorare a tempo pieno nel servizio di promozione della salute dell'ASL, focalizzandosi su progetti e attività per migliorare la qualità della vita degli anziani e degli studenti. Barbara ha frequentato le scuole a Piossasco, il liceo scientifico a Pinerolo, e successivamente la scuola per educatori professionali. Ha lavorato per diverse cooperative. Nel 1992, ha vinto un concorso e ha iniziato a lavorare per l'ASL. Barbara è sposata e ha tre figli. La sua seconda figlia ha attraversato un percorso di disforia di genere, che ha portato al cambio di sesso. La figlia maggiore è infermiera, il figlio lavora come giardiniere, e la figlia più giovane sta studiando per diventare assistente veterinario.
Barbara e suo marito hanno partecipato per molti anni a un'associazione giovanile chiamata "Gioco", che li ha molto formati e influenzati nelle loro scelte professionali e di vita. Hanno anche preso parte a gruppi di confronto per adulti legati alla parrocchia, sebbene non siano particolarmente attivi nella vita religiosa. Nel tempo libero, Barbara ha svolto volontariato in varie associazioni. Ha partecipato all'Associazione Italiana Dislessia (AID) per aiutare i genitori di bambini dislessici, e da 15 anni è coinvolta in un coordinamento Rom, collaborando con servizi sociali e scuole per supportare le famiglie Rom a Piossasco. È anche parte del direttivo dell'associazione musicale "Iniziativa Musicale" e suona in un gruppo di musica insieme. Due anni fa, Barbara ha contribuito alla nascita dell'Emporio 5 Pani, un progetto di solidarietà che raccoglie vestiti usati per evitarne lo spreco e li distribuisce a chi ne ha bisogno. L'emporio è cresciuto, coinvolgendo anche persone di diverse culture, come rom e ucraini. Da oltre dieci anni, Barbara è affidataria di bambini Rom. Ha seguito una ragazza dalla quinta elementare fino all'età adulta, e attualmente segue la sorellina, con la possibilità che questa venga a vivere con la sua famiglia in futuro. Barbara sottolinea la frammentazione delle associazioni a Piossasco e la difficoltà di coinvolgere i giovani nell'associazionismo. Tuttavia, vede segnali positivi nell'Emporio 5 Pani, dove sono stati coinvolti alcuni giovani.
Simona Aru lavora presso il Comune di Piossasco nell'Ufficio delle Politiche Sociali. Ha iniziato questo lavoro l'anno scorso dopo essere stata assunta tramite concorso pubblico. Simona conosce bene il territorio di Piossasco, avendoci vissuto dal 1995 al 1999 e per alcuni anni dopo essersi sposata, nonostante attualmente viva in un comune limitrofo. Piossasco è un comune ampio con circa 18.000 abitanti, diverse frazioni, una vivace realtà associativa e una buona offerta commerciale. Simona è nata a Pinerolo 48 anni fa, città a cui è molto legata e dove ha frequentato il liceo classico. Dopo il matrimonio, ha avuto figli e ha deciso di laurearsi, conseguendo una laurea triennale in Servizio Sociale nel 2008, mentre lavorava in un'azienda metalmeccanica. Successivamente, ha completato il suo percorso di studi con una laurea magistrale in Politica e Servizi Sociali. Ha iniziato la sua carriera come assistente sociale collaborando con una cooperativa di Torino, dove si è occupata di un progetto di accoglienza per rifugiati ucraini in collaborazione con la Croce Rossa. Successivamente, ha partecipato a diversi concorsi pubblici fino ad arrivare alla sua posizione attuale a Piossasco.Simona è sposata e ha due figli, uno di 21 anni che frequenta l'università e uno di 16 anni che frequenta il liceo. Nel tempo libero si dedica alla famiglia e alla formazione continua, essendo iscritta all'albo degli assistenti sociali, che richiede un aggiornamento costante.La sua giornata lavorativa tipica inizia salutando i colleghi e controllando la posta elettronica per identificare eventuali priorità. Si occupa di numerosi progetti, gestisce le richieste dei cittadini telefonicamente e collabora con la parte politica del comune per l'elaborazione di atti necessari per le politiche sociali. Ciò che ama di più del suo lavoro è aiutare i cittadini a risolvere i loro problemi, fornendo risposte e orientamento ai servizi disponibili sul territorio.Simona sottolinea l'importanza di un centro di aggregazione per giovani a Piossasco, un luogo dove possano sentirsi a casa e partecipare a attività sociali e culturali. Sottolinea anche la necessità di opportunità per le donne, come corsi di cucito o gruppi di auto-mutuo aiuto, che potrebbero essere offerti a costi contenuti.Tra i suoi desideri più grandi c'è quello di viaggiare, conoscere nuove culture e tradizioni, e arricchirsi spiritualmente. Le piacerebbe visitare luoghi come l'India e ilGiappone, esplorando diverse culture religiose. Un altro sogno è quello di acquistare un camper con il marito per poter viaggiare in modo economico e scoprire nuove terre. Tuttavia, questo desiderio è spesso posticipato a causa degli impegni familiari e lavorativi. Simona ha un forte desiderio di viaggiare per arricchire il proprio spirito e crede che i viaggi siano un'opportunità per il rinnovamento personale.Tra i viaggi che le sono rimasti nel cuore, ricorda con affetto quelli fatti con la famiglia, come una crociera nelle isole greche e una visita a San Giovanni Rotondo, che le ha lasciato una profonda sensazione di protezione e devozione.
Cristina Accastello è una donna di 58 anni nata a Torino, che ha trovato la sua vera casa a Piossasco, dove si è trasferita a 11 anni. La sua infanzia a Torino era caratterizzata da restrizioni e limitazioni, mentre il trasferimento a Piossasco le ha offerto una nuova libertà e l'opportunità di muoversi autonomamente e fare amicizie. La sua formazione scolastica include un diploma come perito aziendale e corrispondente in lingue estere, nonché un diploma ISEF, equivalente alle attuali scienze motorie. Durante la sua giovinezza, Cristina è stata attivamente coinvolta nello sport, praticando atletica leggera e pallavolo a livello agonistico. Ha allenato la pallavolo femminile per 12-13 anni a Piossasco, raggiungendo il picco con circa ottanta ragazze sotto la sua guida. In seguito ha insegnato educazione fisica nelle scuole attraverso supplenze, trovando grande soddisfazione in questa attività.A 25 anni, ha vinto un concorso per operatore sportivo presso il comune di Piossasco, un ruolo che ha trasformato il suo percorso professionale. Nonostante le opportunità offerte dal nuovo lavoro, Cristina ha sempre avuto il dubbio se sarebbe stata più felice continuando l'insegnamento. Nel corso degli anni, il suo ruolo si è evoluto da operatore sportivo a istruttore amministrativo, occupandosi principalmente di appalti e convenzioni per impianti sportivi, attività che trova meno gratificanti rispetto alla promozione sportiva. Dal punto di vista personale, Cristina è sposata da 26 anni con un ex sportivo ora operatore televisivo. La coppia ha due figli: una ragazza di 23 anni laureata in scienze politiche, che presto partirà per un master in Olanda, e un ragazzo di 18 anni che frequenta il liceo economico-sociale ma mostra scarso interesse per lo studio, preferendo la vita sociale e le amicizie.
Nel suo tempo libero, Cristina ama leggere, specialmente gialli non troppo cruenti, e seguire serie televisive dello stesso genere. Un'altra delle sue attività preferite è passare il tempo con un gruppo di otto amici di lunga data. Insieme organizzano passeggiate, grigliate e vacanze. Le decisioni del gruppo vengono spesso prese dalle quattro donne del gruppo, chiamate scherzosamente "CDA".Cristina vive in una casa con giardino e divide la proprietà con sua sorella, rendendo semplice la frequentazione tra le due famiglie. Riguardo al territorio di Pio Sasco, Cristina apprezza la dimensione del paese e il senso di comunità che offre, ma sente la mancanza di strutture e attività per i giovani, come cinema, birrerie e luoghi di ritrovo. Spera che in futuro i suoi figli possano trovare stabilità e soddisfazione nelle loro vite.
Isabel Bestonso ha vent'anni e ha vissuto tutta la sua vita a Piossasco, una cittadina che le piace per la comodità dei servizi, sebbene presenti delle sfide per i giovani, specialmente riguardo ai trasporti. Frequenta l'Università di Torino, dove studia lingue, specificamente inglese e spagnolo, con l'obiettivo di diventare docente universitaria di letteratura inglese. Isabel ha scelto di imparare diverse lingue perché ama viaggiare e desidera comunicare con le persone nella loro lingua madre.Durante il periodo scolastico, Isabel ha frequentato scuole elementari e medie a Piossasco, trovandole sempre comode perché vicine a casa. Ha poi frequentato il liceo linguistico, inizialmente a Pinerolo, ma a causa delle difficoltà con i trasporti ha deciso di trasferirsi ad Orbassano, dove poteva arrivare a piedi in un'ora se necessario.Oltre agli studi, Isabel lavora all'ufficio relazioni col pubblico del comune di Piossasco. Questo lavoro le piace molto perché ama il contatto con il pubblico e l'opportunità di imparare su vari settori amministrativi. Isabel si è resa indipendente dai suoi genitori per non pesare finanziariamente su di loro, dato che pagare l'università e altri bisogni può essere oneroso.Isabel ha sempre amato ballare, una passione trasmessa da sua madre che l'ha portata a competere in gare di ballo. Ha iniziato a ballare all'età di sei anni, ma ha dovuto interrompere durante la pandemia di COVID-19. Tuttavia, ha ripreso a gareggiare con sua madre, godendo delle nuove conoscenze e delle esperienze culturali che questo sport le offre.Tra i posti che ha visitato, Isabel ama particolarmente la Spagna per la calorosità della gente e gli Stati Uniti, un paese che ha sempre sognato di visitare grazie alle numerose letture ambientate lì. Le sue esperienze di viaggio sono spesso legate alle competizioni di ballo, dove ha avuto l'opportunità di stringere amicizie internazionali e scoprire luoghi meno turistici.Isabel sogna di diventare docente universitaria e di trasmettere la sua passione per la letteratura inglese ai suoi studenti. Questa passione è nata grazie a un professore delle superiori che l'ha ispirata profondamente. Isabel sa che dovrà affrontare la sfida di bilanciare il lavoro al comune e gli studi universitari, ma è determinata a perseguire entrambi finché sarà possibile.Per il futuro, Isabel immagina di continuare a vivere a Piossasco, nonostante il suo ragazzo sia di Modena e attualmente viva a Cumiana. Ritiene che Piossasco sia una bella città, ma nota la mancanza di opportunità e servizi per i giovani, specialmente la sera. Isabel sottolinea che miglioramenti nei trasporti e nelle infrastrutture per i giovani potrebbero rendere la città più attraente e vivibile per le nuove generazioni.
Alice De Faveri è un'educatrice professionale di 26 anni che lavora in questo campo dal 2019. Vive a Orbassano, vicino a Moncalieri, ed è cresciuta in questa zona. Ha iniziato la sua carriera con una cooperativa nella Val sangone e da quattro anni lavora con la cooperativa Esserci, nel progetto di educativa di strada "Area Zero" nei comuni del CIDIS (Orbassano, Rivalta, Bruino, Piossasco, Beinasco e Volvera). Oltre a questo, è anche educatrice al centro giovani di Bruino e collabora con un progetto di prevenzione e limitazione dei rischi per l'ASL TO3, dove misurano con l'etilometro le persone che escono dai locali notturni.
Alice si è avvicinata al mondo dell'educazione durante il liceo linguistico Pascal di Giaveno, iniziando a 16 anni a lavorare in un centro di aggregazione, dove aiutava i ragazzi con i compiti e costruiva relazioni significative con loro. Da quel momento, ha sognato di diventare educatrice. Un'altra esperienza formativa è stata il volontariato in una mensa sociale per persone senza fissa dimora a Torino, che le ha permesso di conoscere altri educatori e di lavorare in un contesto di bassa soglia con persone in difficoltà.
Nel suo lavoro, Alice si concentra molto sull'incontro volontario con le persone, senza obblighi da parte loro. Questo è un aspetto che caratterizza il suo approccio professionale. Alice crede profondamente nell'importanza di restituire qualcosa alla comunità e di fare la differenza nella vita delle persone che incontra, anche con piccoli gesti quotidiani. Ad esempio, considera un successo anche solo chiedere a un ragazzo come sta durante un incontro in strada.
Alice lavora spesso a Rivalta con la collega Sara, interagendo con un gruppo eterogeneo di giovani nei campetti di via Togliatti. Il loro approccio è molto libero e flessibile: i ragazzi possono giocare a carte, a calcio, o semplicemente parlare. La continuità delle relazioni è una sfida, dato che vedono i ragazzi solo una volta a settimana o poco più, e questo rende difficile costruire legami solidi.
Un'altra difficoltà è la scarsa partecipazione in alcuni comuni dopo il periodo del COVID-19 e la mancanza di opportunità ricreative gratuite. Anche i trasporti pubblici insufficienti rendono difficile la partecipazione dei ragazzi alle attività.
Alice ha studiato tre lingue (inglese, francese e tedesco) al liceo linguistico, ma ora parla fluentemente solo inglese e francese. Nel tempo libero suona il clarinetto, legge e coltiva le relazioni con amici e famiglia. È interessata alla vita politica e sociale e desidera essere attivamente coinvolta.
In generale, Alice trova grande soddisfazione nel suo lavoro, anche se affronta sfide come la mancanza di continuità e il confronto con le autorità che a volte non comprendono il valore del loro servizio. Nonostante tutto, continua a lavorare con passione e impegno per fare la differenza nella sua comunità.
Ciao, sono Anita, una orbassanese di 32 anni, con una formazione da psicologa (ambito in cui esercito a Orbassano e Pinerolo). Desidererei anche procedere con la carriera da insegnante. Il mondo a cui mi dedico è quello adolescenziale, nel delicato rapporto di confronto tra genitori e figli.
Collaboro in molteplici progetti volti a trovare un linguaggio comune per un dialogo tra esponenti di generazioni diverse. Nella mia città il mio impegno in questo senso è rivolto all'associazione Fratelli nel Mondo Onlus, che da anni ad esempio gestisce e realizza il Salone dell'orientamento, un'occasione di incontro tra scuole e possibilità formative di ogni tipo, e le famiglie che si trovano a pianificare il percorso di studi successivo alla scuola media.
Proprio sulla linea d'onda dell'importanza di avere dei punti fermi, vorrei che nella mia città ci fossero più punti aggregativi riconoscibili dai giovani come punti di riferimento. La percezione è che sia un posto dispersivo, invece sarebbe importante canalizzare le energie nascenti degli adolescenti.
Di pari passo con la mia volontà lavorativa di essere d'aiuto e di sostegno agli altri, auguro a me stessa di riuscire a trovare il tempo per pensare un po' di più a me.
Monia Di Bella è una residente di Piossasco, ha 53 anni, una famiglia composta da marito, due figlie, cinque gatti e due cani. Vive in una villetta e lavora presso il comune di Piossasco dal 2018, dopo aver lavorato per il comune di Grugliasco dal 2001. Monia ha un diploma di abilitazione all'insegnamento nelle scuole materne. Attualmente si occupa dell'ufficio casa, gestendo problematiche legate all'abitazione, affitti, sfratti e case popolari.
Le difficoltà principali per chi cerca casa a Piossasco sono legate al mantenimento dell'affitto e all'aumento dei requisiti richiesti dai proprietari, come contratti a tempo indeterminato e almeno due buste paga. Monia e il suo team cercano di capire le problematiche degli inquilini e di individuare le cause dell'amorosità (morosità non colpevole). Tuttavia, devono rispettare le regole nazionali e regionali, limitando le loro azioni alle risorse disponibili. In passato, la Regione forniva sostegni per il pagamento degli affitti, ma questi contributi sono stati ridotti. Attualmente, si lavora con la "Rete per la casa", una collaborazione tra comune, centro d'ascolto della parrocchia e servizi sociali, per trovare soluzioni alle difficoltà abitative.
Nel tempo libero, Monia si dedica alla danza, una passione che coltiva da quando aveva 5 anni. Pratica la Western Country Line Dance, una disciplina di ballo che comprende vari stili come polka, night, waltz, cha-cha e funky. Monia partecipa a competizioni internazionali e attualmente sta studiando inglese per diventare giudice di danza, ruolo che richiede una buona conoscenza della lingua.
Monia ha raccontato di aver sempre avuto una predisposizione per osservare i dettagli e capire le persone, capacità che ha sviluppato ulteriormente grazie alla danza. Questo le permette di identificare rapidamente chi finge di avere problemi per ottenere aiuti dal comune.
Parlando di Piossasco, Monia ha evidenziato alcune problematiche del territorio, come la mancanza di mezzi di comunicazione efficienti, che isola i giovani. Nonostante lei ami Piossasco, riconosce che per i giovani possa risultare un paese "morto" senza molte attività serali e di intrattenimento. Monia ha notato che le attività organizzate in paese spesso non ricevono sufficiente partecipazione, creando un circolo vizioso di mancanza di iniziative e scarso coinvolgimento.
In conclusione, Monia è una donna dinamica e appassionata, che cerca di aiutare la comunità di Piossasco attraverso il suo lavoro nel comune e coltivando le sue passioni personali come la danza. Nonostante le difficoltà del territorio, Monia rimane legata alla sua città natale e continua a contribuire attivamente alla vita della comunità.
Virginia, una giovane di 23 anni, ha sempre vissuto a Piossasco, nonostante abbia cambiato tre case. Tuttavia, non ha mai realmente vissuto il territorio, avendo frequentato solo l'asilo a Piossasco e poi le scuole elementari e medie a Sangano, dove ha anche partecipato all'oratorio come animatrice per molti anni. È stato solo circa tre anni fa che si è riavvicinata a Piossasco grazie al suo fidanzato, che le ha fatto conoscere meglio la realtà locale, incluso il gruppo Foro.
Virginia è una studentessa universitaria che ha completato una laurea triennale in scienze dell'educazione, diventando educatrice. Tuttavia, ha recentemente cambiato percorso, iscrivendosi a un corso magistrale in politica e servizio sociale, sperando di ampliare le sue competenze e opportunità lavorative. Sebbene trovi il ruolo di educatrice interessante, non lo vede come il suo futuro professionale definitivo. Durante il suo tirocinio e il lavoro in un gruppo appartamento per psichiatria, ha scoperto che preferisce lavorare dietro le quinte, occupandosi di capire le motivazioni e le necessità dei servizi sociali.
Virginia è una persona molto attiva e organizzata, impegnata in molte attività diverse. Oltre agli studi universitari, lavora in un centro giovanile e partecipa a varie attività di volontariato, inclusa una compagnia teatrale. Svolge anche lavori occasionali come hostess e in biglietteria. Nel gruppo Foro, Virginia fa parte del consiglio direttivo, dove si occupa della gestione burocratica e dell'organizzazione degli eventi. Sebbene non ci sia una "giornata tipo" a Foro, le attività principali includono la supervisione dell'aula studio e l'organizzazione di eventi culturali e ricreativi.
Quando le viene chiesto quali siano i bisogni del territorio o dei giovani, Virginia ammette di non avere una risposta chiara, poiché tende a concentrarsi su ciò che il territorio può offrirle e su come può contribuire a sua volta. Tuttavia, riconosce la necessità di spazi gratuiti per i giovani e attività che non richiedano costi elevati, poiché non tutti possono permettersi di pagare per lo sport o altre attività.
Virginia ha anche una passione per la danza, che ha ripreso tre anni fa dopo una pausa. Pratica danza contemporanea, classica e hip hop, trovando in questa attività un modo per esprimersi e rilassarsi. Sebbene non abbia ambizioni professionali nel campo della danza, la vede come un hobby importante che le permette di staccare la mente dai suoi numerosi impegni quotidiani. Le piacerebbe tornare a fare musical, ma per ora si accontenta della sua routine attuale, che le dà molta soddisfazione.
Sono nato a Torino ma cresciuto a Piossasco, un piccolo paese vicino. Sono il terzo di tre fratelli e ho frequentato tutte le scuole a Piossaasco fino alle medie. Per il liceo, ho studiato a Pinerolo, dove ho frequentato il liceo scientifico dei Mercuri, nell’indirizzo di scienze applicate. Ora sono al primo anno della magistrale in ingegneria informatica. Durante l'ultimo anno della triennale ho fatto un tirocinio che mi ha permesso di lavorare per sei mesi, ottenendo così un anno di esperienza lavorativa nel settore dello sviluppo software, in particolare sui software per cabine di ascensori. A Piossasco mi trovo bene, è un ambiente più piccolo e meno dispersivo rispetto a Torino. Mi piace la dimensione più provinciale e la comunità stretta. Nel tempo libero sono un arbitro di calcio a 11 e dedico i miei weekend a dirigere partite nei campionati regionali. Inoltre, mi occupo della preparazione dei nuovi arbitri. La mia attività preferita è il Foro, un'associazione di cui sono vicepresidente. Mi occupo della documentazione e dell’organizzazione degli eventi. l Foro è un luogo dove i giovani di Piossasco possono studiare e confrontarsi. Quando hanno aperto l’aula studio, mi sono impegnato subito per mantenerla attiva, poiché prima dovevo andare a studiare a Torino, con tutti i disagi dei mezzi di trasporto. La biblioteca locale aveva orari poco flessibili, mentre l'aula studio è più accessibile per gli studenti. Il Foro organizza vari eventi informativi, come quelli sulle elezioni e su temi come l'integrazione della comunità LGBTQIA+ e la violenza di genere. Abbiamo anche trattato l'orientamento scolastico e lavorativo e organizzato eventi sui sindacati. Mi piace confrontarmi con gli altri e partecipare attivamente a queste discussioni. ra i bisogni del territorio, penso che i trasporti siano il problema maggiore a Piossasco: i mezzi sono spesso in ritardo e poco frequenti. Sarebbe utile avere collegamenti migliori, come a Orbassano o Pinerolo, dove il treno rende tutto più comodo.
Nel tempo libero, oltre a fare l'arbitro, mi piace andare in montagna e in bicicletta. Vorrei anche riprendere a leggere, una passione che ultimamente ho trascurato a causa degli impegni di studio e di lavoro. Mi piace leggere su temi di attualità e storia, ma trovare il tempo e la concentrazione è difficile. Mi piacerebbe riuscire a dedicare più tempo alla lettura per piacere personale.
Silvana Bosco, prossima ai 63 anni, racconta la sua vita e le sue esperienze professionali e personali con grande dettaglio. Proveniente da una famiglia operaia che si trasferì a Piossasco grazie alla Fiat negli anni '60, Silvana è profondamente legata al suo paese, apprezzandone la vicinanza alla montagna e l'atmosfera rilassante. Silvana è sposata e madre di due figli: Barbara di 32 anni e Fabrizio di 28. Ha lavorato per molti anni come scenografa al Teatro Regio di Torino, una posizione che ha dovuto conquistare affrontando notevoli difficoltà. Fu la prima donna a lavorare nel settore tecnico del teatro, il che comportò numerose sfide, inclusa la necessità di rivendicare spazi adeguati come lo spogliatoio e la doccia. Essendo l'unica donna in un ambiente maschile e spesso rude, ha dovuto lottare per ottenere rispetto e spazio, ma il suo spirito combattivo, alimentato dal femminismo dell'epoca, l'ha aiutata a difendersi in molte situazioni. Inizialmente entrata come manovale senza un'accademia alle spalle, Silvana ha dimostrato il suo talento nel disegno e nella pittura, che le hanno permesso di crescere professionalmente fino a diventare scenografa. Il lavoro al Teatro Regio ha rappresentato per lei un'opportunità di esplorare e esprimere la sua creatività, imparando ad usare una vasta gamma di materiali e tecniche artistiche. Oltre alla sua carriera teatrale, Silvana ha vissuto esperienze significative nel sociale. Da adolescente, ha partecipato al movimento della GIOC a Piossasco, che le ha permesso di sentirsi valorizzata e di sviluppare un forte senso di autostima. Questa esperienza l'ha avvicinata alla lettura e alla cultura, contribuendo alla sua crescita personale. Silvana ha dedicato più di dieci anni al volontariato sociale, prima di incontrare il suo grande amore, con cui si è sposata e ha avuto due figli. Negli anni successivi, ha continuato il suo impegno sociale attraverso attività nella parrocchia e nella GIOC, accompagnando i giovani in diverse iniziative. A un certo punto, sentendosi limitata dalla comunità parrocchiale, ha iniziato a dedicarsi al gruppo di volontarie GAIA, che lavora con le donne sul territorio. GAIA ha inizialmente gestito eventi come l'8 marzo e il 25 novembre, e con il tempo è diventata un'associazione per meglio rispondere ai bisogni crescenti del territorio. Un'importante iniziativa di GAIA è stata coinvolgere donne straniere in progetti di storytelling e laboratori di scrittura, concentrandosi sugli aspetti positivi delle loro esperienze piuttosto che sulle loro tragedie. Questo progetto ha permesso a molte donne di sentirsi ascoltate e valorizzate. Un altro progetto è stato un laboratorio di pittura, dove le donne hanno dipinto su pannelli di compensato motivi significativi per loro, provenienti da stoffe e oggetti personali. Il successo di questi progetti è stato tale che i lavori sono stati installati permanentemente a Piossasco. Nonostante il successo di GAIA, Silvana sottolinea la difficoltà di coinvolgere nuove volontarie giovani. Il linguaggio e i metodi usati dall'associazione sono percepiti come superati dai giovani, rendendo difficile il ricambio generazionale necessario per la continuità dell'associazione. In conclusione, Silvana Bosco ha vissuto una vita ricca di impegni professionali e sociali, affrontando e superando molte sfide. La sua storia è un esempio di determinazione e dedizione, sia nel lavoro che nel volontariato, sempre con un occhio attento ai bisogni della comunità e alle questioni di genere.
Mi chiamo Marika, Di Canito, e sto facendo il servizio civile presso la biblioteca di Piossasco. L'anno scorso mi sono laureata in Scienze della Comunicazione e quest'anno ho deciso di provare questa esperienza per prendere tempo e capire che direzione prendere. Non ho molte passioni, ma mi piace cantare, praticare cerchio aereo (uno sport che adoro) e scrivere.
Sono nata a Giaveno ma vivo a Piossasco da sempre. Ho studiato a Torino, frequentando l'Università di Torino per la mia laurea, mentre ho fatto le scuole elementari e medie a Piossasco. Ho frequentato il liceo a Pinerolo, cambiando indirizzo perché ero indecisa tra il liceo delle scienze umane e l'economico-sociale. Parlo solo italiano perché, pur conoscendo l'inglese, mi vergogno a parlarlo.
Il servizio civile mi sta dando molto, soprattutto perché sto scoprendo aspetti di me stessa sia a livello umano che nelle relazioni con gli altri. Ho capito che avevo delle questioni personali da risolvere e questa esperienza mi sta aiutando a farlo, mettendomi in gioco. Una giornata tipica in biblioteca inizia con il ritiro dei libri dal box esterno, seguiamo gli utenti nei prestiti e poi mettiamo in ordine i libri, un compito che richiede molto tempo. Organizziamo molte attività, soprattutto con i bambini. Ad esempio, il sabato vengono degli attori a leggere libri in modo divertente e noi aiutiamo nella preparazione. Organizziamo anche lezioni e tornei di scacchi, giornate di giochi da tavolo e attività per conoscere le api a Casa Laiolo, che è la mia preferita.
Mi piace vivere a Piossasco perché crescere fuori dal centro mi sembra un vantaggio, con un approccio meno competitivo e più rilassato rispetto alla città. Tuttavia, vivere fuori ha i suoi lati negativi, come la necessità di spostarsi in centro per fare cose importanti o partecipare alla formazione per il servizio civile, che può essere faticoso e costoso.
Nel canto, mi piace esplorare vari generi. Frequento un corso di performing a Torino e ogni mese e mezzo partecipiamo a un live in un pub, preparato durante le lezioni. Il mio insegnante ci assegna canzoni che ci mettono alla prova, fuori dalla nostra zona di comfort. Se dovessi scegliere, preferirei il canto autoriale italiano, che si basa sui testi e le parole, sia delle vecchie canzoni che delle nuove. Ho anche scritto delle canzoni, anche se non credo molto in me stessa e mi vergogno a farle sentire. La canzone più completa che ho scritto parla della depressione, un argomento che conosco bene.
In sintesi, sto vivendo un'esperienza formativa e di scoperta personale attraverso il servizio civile, trovando un equilibrio tra le mie passioni e la vita a Piossasco, con i suoi pregi e difetti.
Chiara Dezzani, una giovane di 26 anni originaria di Torino ma cresciuta a Piossasco, è una maestra che si è laureata in Scienze della Formazione nel novembre scorso. Attualmente, lavora come insegnante precaria prendendo supplenze. La sua famiglia paterna ha radici profonde a Piossasco, mentre sua madre proviene da Alba, che è comunque nelle vicinanze. Chiara è attivamente coinvolta nella Gioventù Operaia Cristiana (GIOC), un'associazione fondata in Belgio all'inizio del Novecento da un prete operaio di nome Joseph Cardijn. Questo movimento nasce per coinvolgere i giovani operai, spesso esclusi dalla vita ecclesiastica a causa dei lunghi orari di lavoro e delle difficoltà imposte dalla rivoluzione industriale. Cardijn, per avvicinarsi a questi giovani, li radunava dopo il lavoro per riflettere sulle loro esperienze quotidiane utilizzando un metodo chiamato "revisione di vita", che si basa su tre fasi: vedere, valutare e agire. Questo metodo permette di analizzare eventi reali alla luce del Vangelo, promuovendo un cambiamento concreto nella vita dei partecipanti.La GIOC si è diffusa rapidamente in Europa, trovando terreno fertile anche in Italia negli anni Sessanta con l'espansione industriale e la crescita della Fiat a Torino. Anche a Piossasco, la GIOC è diventata significativa grazie alla presenza di quartieri operai, e oggi continua ad avere un impatto, pur adattandosi ai cambiamenti dei tempi. L'associazione è composta in egual misura da studenti e giovani lavoratori che, attraverso la revisione di vita, cercano di apportare cambiamenti positivi nella comunità.Chiara, cresciuta in un ambiente parrocchiale, ha trovato nella GIOC un'importante esperienza di crescita personale e responsabilizzazione. Questo coinvolgimento l'ha aiutata a scoprire la sua passione per l'educazione e il lavoro con i giovani. È diventata militante e poi responsabile di zona della GIOC, gestendo gruppi di giovani e organizzando attività riflessive e comunitarie. Il motto della GIOC, "Fiorisci là dove sei", rispecchia il loro impegno a promuovere cambiamenti significativi partendo dalle esperienze personali.Chiara sente fortemente la necessità di spazi di incontro per i giovani a Piossasco, indipendenti dalle associazioni, dove possano socializzare e trovare un senso di comunità. La GIOC cerca di colmare questa lacuna creando momenti di incontro comunitario e collaborando con altre associazioni per promuovere la partecipazione giovanile e la creazione di un ambiente vivibile e stimolante.Nel suo lavoro di maestra, Chiara applica i valori appresi nella GIOC, come l'inclusione e l'accoglienza, cercando di conoscere veramente i suoi alunni e di costruire un senso di comunità anche nella scuola. L'esperienza nella GIOC le ha fornito competenze organizzative e di lavoro di squadra, che trova preziose nel suo ruolo di insegnante. Chiara continua a contribuire attivamente alla sua comunità attraverso il suo impegno sia come educatrice che come leader della GIOC, promuovendo un cambiamento positivo e significativo nel territorio di Piossasco.
Ivana Sciuto ha 52 anni ed è un’impiegata comunale con una carriera iniziata nel 1991. Nel corso degli anni ha ricoperto diversi ruoli, sia all’interno dell’amministrazione comunale di Rivalta sia in altre sedi. Ha trascorso gran parte della sua vita a Sangano, una cittadina in cui ha anche completato i suoi studi universitari, conseguendo una laurea in Pedagogia e Sociologia nel 1995. La sua esperienza di vita è arricchita dal ruolo di madre di un figlio di 24 anni, con cui ha condiviso molti momenti significativi. Ivana ha iniziato a lavorare come impiegata comunale a Sangano, dove ha risieduto per 28 anni. In seguito si è trasferita a Rivalta per motivi personali e lavorativi. Nel nuovo contesto, ha lavorato inizialmente nella biblioteca comunale, un’esperienza che le ha permesso di entrare in contatto con una comunità diversa e di apprezzare il servizio pubblico da un altro punto di vista. Dopo un periodo in biblioteca, Ivana è tornata al ruolo di impiegata comunale nell’ufficio commercio, un incarico che le consente di interagire quotidianamente con i cittadini e di mettere in pratica le sue competenze organizzative e relazionali. Sul piano personale, Ivana si descrive come una persona socievole e comunicativa, qualità che le hanno permesso di instaurare rapporti positivi sia nella sfera lavorativa che in quella privata. Oltre al lavoro, Ivana coltiva una grande passione per la radio. Sei anni fa ha iniziato a lavorare come speaker radiofonica, un’attività che è nata quasi per gioco grazie alla collaborazione con suo figlio. Insieme, hanno condotto un programma chiamato "Generazione a Confronto" fino a dicembre dell’anno precedente, quando suo figlio ha deciso di lasciare il programma per dedicarsi alla sua carriera professionale. Dopo questa esperienza, Ivana ha continuato il suo percorso radiofonico avviando un nuovo programma con un’amica intitolato "Gossippiamo", in cui continuano a discutere di vari argomenti in modo divertente e leggero. Le passioni di Ivana non si limitano alla radio. Ama anche cantare e partecipare a serate di karaoke, un hobby che le permette di esprimere la sua creatività e di divertirsi in compagnia. Inoltre, Ivana ha due pappagalli, Polpetta e Luna, che sono diventati una parte importante della sua vita, specialmente dopo un intervento chirurgico che ha richiesto un lungo periodo di convalescenza. Durante questo periodo, i pappagalli sono stati una presenza costante e confortante, contribuendo al suo recupero emotivo. Ivana vive con il suo compagno e cerca di riempire i "tempi morti" del suo tempo libero con varie attività. Recentemente, ha iniziato a esplorare l'idea di praticare massaggi per rilassarsi e prendersi cura di sé. Inoltre, trascorre del tempo con sua madre, rafforzando i legami familiari. La sua vita è un equilibrio tra impegni lavorativi, passioni personali e relazioni affettive, tutte componenti che contribuiscono a definirla come una persona dinamica e ricca di interessi.
Mi chiamo Porto Carmela, ma preferisco essere chiamata Lina, nome che porto sin da piccola. Sono nata a Palermo, in Sicilia. Quando avevo tre anni, i miei genitori si sono separati. Erano gli anni settanta e mia madre, una donna coraggiosa, ha affrontato il primo divorzio in un piccolo paese siciliano. Nonostante le difficoltà e il fatto che mio padre non ci ha mai mantenuti, mia madre è riuscita a trovare lavoro e a crescere me e mio fratello in condizioni di estrema povertà. Quando avevo tredici anni, un vecchio amico d'infanzia di mia madre, anche lui separato, venne a trovarla in Sicilia. Propose a mia madre di trasferirci a Torino con lui, offrendoci un futuro migliore. Nonostante non fosse interessata a una relazione, mia madre accettò per il nostro bene e ci trasferimmo al nord, lasciando tutto dietro di noi. Il primo anno a scuola a Torino fu difficile per me; non riuscivo ad ambientarmi e fui bocciata. Ricordo ancora la mia prima esperienza con la neve, quando ero incantata a guardarla cadere fuori dalla finestra durante una lezione. Cominciai a lavorare presto, aiutando il compagno di mia madre a fare arancini, che vendeva al mercato di Piazza Bengasi a Torino. A sedici anni, feci la babysitter, e a diciassette mia cugina mi aiutò a trovare lavoro in una pasticceria. Mi innamorai del titolare, Geri, e dopo un anno andammo a vivere insieme. Nonostante le difficoltà iniziali e la gelosia della moglie di Geri, siamo insieme da 34 anni. Abbiamo una figlia, anche se avrei voluto averne tre. Nonostante le difficoltà e i miei errori come madre, dovuti alla mia giovane età e alla presenza di figlie adolescenti da un precedente matrimonio di Geri, ho cercato di fare del mio meglio. Solo più tardi, quando mia figlia è andata a vivere da sola, ho compreso veramente l'importanza del ruolo di madre. Oggi, la mia priorità è mia figlia e desidero diventare nonna, anche se per ora mi accontento dei miei animali. Sono una persona che odia la violenza, l'arroganza e il nervosismo. Preferisco prendere la vita con leggerezza e cercare il lato positivo delle cose. Ad esempio, una volta, durante un viaggio di ritorno dal mare, non riuscivamo a trovare la strada per Torino e mio marito era molto nervoso. Io invece ero serena e alla fine abbiamo trovato un albergo dove passare la notte, scoprendo la bellezza del posto solo il giorno dopo. Lavorare in pasticceria mi ha dato molta gioia; adoravo il contatto con i clienti e i bambini. Ero molto empatica e mi piaceva disegnare sulle torte. Con il tempo, sono diventata una figura centrale nel negozio e ho creato tante torte con disegni a mano libera, rendendo la nostra pasticceria famosa. Oggi, dopo il pensionamento di mio marito, ho trovato un nuovo equilibrio dedicandomi alla casa, alla mia famiglia e ai miei animali. Pratico sport come Zumba e Pilates con mia figlia per mantenerci in forma e passare del tempo insieme. Adoro viaggiare, anche se negli ultimi anni ho sviluppato un po' di timore per i viaggi lunghi. Mi piace vivere nel mio paese, Orbassano, che trovo sicuro e tranquillo. Non tollero il nervosismo nelle persone, ma riesco sempre a vedere il lato positivo e il bello in chi mi circonda.
L'istituto comprensivo di Orbassano, originariamente una scuola elementare, ha visto un'evoluzione significativa dal dopoguerra a oggi. Fondato grazie alla donazione di un terreno da parte della famiglia Martini, la scuola è stata un pilastro educativo per la comunità locale. Negli anni '80 e '90, la scuola ha iniziato a integrarsi maggiormente con il territorio, adattandosi alla crescita di Orbassano, che è passata da essere un paese agricolo a un'appendice di Torino. Negli anni, la scuola ha visto un aumento della popolazione studentesca, accogliendo generazioni di bambini e affrontando varie sfide. Nei primi decenni, si è dovuto gestire classi numerose, fino a 40 alunni per classe, senza possibilità di pluriclassi. Con il boom economico, molte famiglie dal sud Italia si sono trasferite a Orbassano per lavorare alla Fiat, incrementando ulteriormente il numero di studenti. Negli anni 2010-2012, la scuola è diventata un istituto comprensivo, includendo scuole dell'infanzia, primarie e una scuola media, con circa 1000-1100 alunni. Tuttavia, l'istituto ha affrontato nuove sfide, tra cui un alto numero di studenti con bisogni speciali e riconosciuti problemi di inclusione. Le risorse non sempre sufficienti hanno creato difficoltà nella gestione di questi studenti, soprattutto considerando le strutture non sempre adeguate alle loro esigenze. Inoltre, la scuola ha dovuto affrontare problemi legati alla qualità della vita scolastica, con bambini che passano lunghe giornate senza adeguati spazi per giocare. La mensa scolastica è un altro punto critico, con sprechi alimentari significativi che hanno spinto l'istituto a implementare progetti di educazione alimentare. Un'altra sfida è l'inserimento di studenti stranieri e nomadi. Nonostante le difficoltà iniziali, soprattutto linguistiche, la scuola ha lavorato duramente per accogliere questi studenti, collaborando con le comunità locali e implementando progetti specifici di sostegno linguistico. Nel complesso, la scuola di Orbassano ha dimostrato una grande capacità di adattamento e inclusione nel corso degli anni, ma continua a confrontarsi con nuove sfide che richiedono ulteriori risorse e supporto per garantire un'educazione di qualità a tutti gli studenti.
Jessica Mansi racconta della sua vita, iniziando con un aneddoto curioso sulla sua nascita a Chioggia mentre i suoi genitori erano in vacanza a Venezia. Questo evento ha influenzato il desiderio persistente di sua nonna di visitare Venezia, desiderio che Jessica ha realizzato organizzando un viaggio speciale per lei. Nata a Chioggia, Jessica ha vissuto la maggior parte della sua vita a Orbassano, nonostante le origini pugliesi e siciliane dei suoi genitori, motivo per cui si sente "terrona nel cuore". Nonostante questo legame affettivo con il Sud, non parla fluentemente i dialetti pugliese e siciliano, anche se li comprende bene. Jessica, attualmente di 29 anni, sta affrontando l'avvicinarsi del suo trentesimo compleanno con un po' di apprensione, riflettendo sulle aspettative tradizionali legate a questa età, come realizzazione personale e familiare. Ha frequentato un liceo scientifico sperimentale con specializzazione in scienze umane, una scelta che ha fatto nonostante i consigli contrari ricevuti durante la scuola media. Nonostante non fosse una studentessa particolarmente appassionata, ha completato con successo il suo percorso scolastico dimostrando a sé stessa e agli altri di essere capace di raggiungere i suoi obiettivi. Jessica ha sviluppato una passione per le scienze umane e la psicologia durante gli anni scolastici, apprezzando lo studio della psicologia e della sociologia, nonostante non abbia seguito immediatamente questa strada dopo il diploma. Jessica Mansi, dopo aver completato il liceo scientifico con grande fatica, ha deciso di non proseguire con gli studi universitari a causa dell'esaurimento di energie e della mancanza di interesse. I suoi genitori l'hanno quindi incoraggiata a lavorare nella pasticceria di famiglia anziché "perdere tempo" senza un obiettivo chiaro. Jessica descrive il lavoro nella pasticceria come operativo e faticoso, lontano dall'idea romantica che molte persone hanno. Nonostante ciò, ha trovato soddisfazione nel rapporto con i clienti e nel consigliare loro prodotti onestamente. Ha trascorso un anno lavorativo in pasticceria, affrontando giornate intense specialmente durante le festività come il giorno di San Giovanni, quando vendevano molte zeppole. Nonostante il lavoro fisicamente stancante, Jessica ha apprezzato il contatto umano e il senso di realizzazione che ne derivava. Durante questo periodo, pur non avendo ancora un progetto ben definito per il futuro, ha sperimentato un senso di libertà e ambizione, rimpiangendo ora quel momento di incertezza e possibilità. Jessica Mansi, dopo aver terminato il liceo, ha provato una stanchezza profonda e ha deciso di non proseguire con gli studi universitari. Sentiva che non avrebbe voluto sprecare tempo o denaro dei suoi genitori senza un reale interesse per l'università. Inizialmente, aveva pensato di prendersi un anno sabatico, ma i genitori l'hanno spronata a scegliere tra studiare o lavorare. Così, ha accettato di lavorare nella pasticceria di famiglia, anche se non era appassionata della produzione di dolci. Il lavoro in pasticceria non era come se lo immaginava: non si trattava di decorare dolci in modo paziente come nei film, ma era piuttosto un lavoro operativo e faticoso. Ha trascorso molte ore riempiendo bignoli di crema o servendo clienti al banco. Nonostante le difficoltà fisiche, ha trovato piacere nel rapporto con i clienti e nell'aiutarli a scegliere i prodotti giusti con sincerità. Le giornate erano intense, specialmente durante le festività come il giorno di San Giovanni, quando vendevano molte zeppole. Nonostante il lavoro estenuante, ha apprezzato il senso di soddisfazione che derivava dal riconoscimento dei clienti e dal rapporto che si creava con loro. Dopo un anno in pasticceria, non sentiva ancora una chiara direzione per il futuro, ma era in un periodo di libertà e ambizione, cercando qualcosa che potesse entusiasmarla. Jessica Mansi ha raccontato la sua esperienza di lavoro e cambiamenti personali avvenuti dopo il liceo. Nonostante i suoi sforzi e il duro lavoro, si è trovata a gestire un ruolo non gratificante e poco riconosciuto in un ambiente che non le permetteva di crescere professionalmente. Dopo un demansionamento improvviso e problemi di salute, ha vissuto un periodo difficile che includeva una malattia autoimmune e una lunga lotta per ottenere cure adeguate. Durante il lockdown, ha trovato conforto nel tempo trascorso con la famiglia e ha iniziato a rivalutare la sua carriera. Nonostante le difficoltà, ha deciso di non tornare al lavoro precedente e ha intrapreso uno studio universitario online in psicologia per realizzare la sua passione. Questo nuovo percorso le ha ridato fiducia e entusiasmo, anche se ha dovuto affrontare sfide come imparare a scrivere nuovamente dopo tanto tempo lontano dagli studi formali. Jessica ha riflettuto sul valore della formazione e sulla propria resilienza nel costruire un nuovo capitolo della sua vita, nonostante le difficoltà incontrate lungo il cammino. Jessica ha iniziato il suo percorso universitario online con timore ma anche con grande entusiasmo per la psicologia. Le prime lezioni l'hanno rapita, spingendola ad approfondire ulteriormente i temi trattati. Tuttavia, l'ansia è salita alle stelle quando è arrivato il momento dell'esame, con il quale ha dovuto confrontarsi da casa, in un ambiente altamente controllato che le ha causato una forte paranoia. Nonostante ciò, Jessica è riuscita a superare l'esame con grande successo, consegnandolo in un tempo record e ottenendo un punteggio perfetto di 30 e lode. Questo risultato ha significato molto per lei, rappresentando il primo massimo voto della sua vita e confermando il suo amore per la psicologia. Il corso, sebbene denominato psicologia dei processi cognitivi ed emotivi, ha offerto una panoramica variegata della disciplina, coprendo temi che spaziavano dalla storia della psicologia alle teorie cognitive, agli effetti ottici e all'anatomia. Questa esperienza ha alimentato ulteriormente la passione di Jessica per lo studio, incoraggiandola a continuare con impegno e determinazione il suo percorso accademico.
Giulia Lionetti è nata il 15 settembre 1998 a Moncalieri e ha vissuto con la sua famiglia a Trofarello, una città vicina. La sua famiglia comprendeva i genitori, successivamente separati ma entrambi rimasti a Trofarello, e un fratello più giovane di due anni. Suo padre è di origini pugliesi e si è trasferito a Torino per studio e lavoro, mentre la madre è originaria del Veneto.
Giulia ha frequentato le scuole a Trofarello, dove ha sviluppato una passione per la musica, studiando chitarra e solfeggio nella scuola media musicale. Successivamente ha frequentato il liceo delle scienze umane e l'economico-sociale a Torino, pur mantenendo un forte legame con Trofarello, dove ha svolto attività di volontariato presso la parrocchia locale, collaborando con la Caritas e l'oratorio. In oratorio, ha lavorato come animatrice volontaria con bambini e ragazzi, organizzando anche campi estivi in montagna e al mare.
Questa esperienza ha stimolato il suo interesse per il servizio sociale e il lavoro con i giovani, portandola a iscriversi all'università di Torino, dove ha studiato servizio sociale al Campus Enaudi. Nonostante avesse inizialmente considerato psicologia, ha trovato il servizio sociale più appassionante e con maggiori opportunità lavorative. Ha completato un percorso di laurea triennale e una magistrale in politica e servizi sociali, con tirocini significativi presso il ministero della giustizia e il centro di giustizia minorile, lavorando con giovani coinvolti in reati.
Dopo la laurea, ha superato l'esame di Stato per diventare assistente sociale e si è iscritta all'albo professionale. Poco dopo, ha trovato lavoro tramite la cooperativa Valdocco, presso il Cidis di Orbassano, dove lavora nell'area della complessità, occupandosi di minori, famiglie e relazioni con l'autorità giudiziaria. Pur conoscendo poco Orbassano al di fuori del contesto lavorativo, ha notato criticità nei trasporti e nella mancanza di punti di ritrovo per i giovani, basandosi sulle storie delle persone che ha incontrato.
Oltre al lavoro, Giulia è appassionata di musica e ballo. Ha studiato danza classica, pop moderno e balli caraibici come salsa e bachata, partecipando a competizioni locali. Ha anche tentato di entrare a X Factor, superando alcune selezioni ma senza arrivare in televisione. Inoltre, segue un affido educativo per una ragazza con disabilità, continuando il suo impegno con i giovani anche al di fuori dell'oratorio.
Nel suo lavoro quotidiano, Giulia interagisce con genitori e bambini tramite telefonate, incontri e visite domiciliari, cercando di creare relazioni positive. Collabora con altri professionisti e servizi specialistici, come psicologi e neuropsichiatri, e partecipa a incontri nelle scuole. Una parte significativa del suo lavoro consiste nella stesura di relazioni per il tribunale e nella creazione di progetti sociosanitari.
La parte più appassionante del suo lavoro è l'incontro diretto con i bambini e i ragazzi, per conoscerli e capire i loro bisogni e difficoltà. Riguardo ai servizi sociali di Orbassano, apprezza la posizione centrale del servizio e la collaborazione con associazioni come Caritas e San Vincenzo. Attualmente, sta partecipando a progetti per favorire l'autonomia di persone in situazioni di fragilità, come un'iniziativa per aiutare le donne a ottenere la patente di guida.
Giulia trova soddisfazione nel suo lavoro, specialmente nella possibilità di fare la differenza nella vita dei giovani e delle famiglie con cui lavora, nonostante le sfide e le complessità del settore.
Federica De Giorgis, educatrice per minori di 31 anni, ha condiviso un racconto dettagliato della sua vita personale e professionale. Nata a Torino, ha trascorso l'infanzia e l'adolescenza a Rivoli, crescendo con sua madre e i nonni materni dopo la morte del padre. Ha una sorella gemella e un fratello maggiore.
Federica ha frequentato il liceo scientifico Darwin a Rivoli e ha proseguito gli studi all'università, inizialmente incerta sulla scelta professionale tra psicologia ed educazione. Alla fine ha scelto di diventare educatrice professionale, trovando subito un buon feeling con il corso universitario che combinava teoria e pratica. Durante gli anni universitari, ha svolto vari tirocini, esplorando ambiti come le dipendenze e lavorando con minori in difficoltà.
Dopo la laurea, ha svolto un tirocinio in una comunità mamma-bambino, collegando questa esperienza al volontariato presso un'associazione della chiesa evangelica che frequentava fin da bambina. La sua carriera è proseguita senza interruzioni, lavorando in diverse comunità per minori, tra cui comunità terapeutiche ed educative, fino ad approdare alla cooperativa ESERCI, dove ha lavorato con minori stranieri di seconda generazione provenienti dal circuito penale.
Da luglio 2020, Federica lavora presso il servizio sociale del CIDIS a Orbassano, dove si occupa di minori in situazioni di disagio segnalati dalle assistenti sociali. Il periodo iniziale è stato caratterizzato dalle restrizioni legate alla pandemia da COVID-19, che hanno complicato il lavoro educativo, ma grazie alla collaborazione con l'oratorio locale, è stato possibile continuare a offrire supporto ai minori, anche attraverso progetti come la didattica a distanza.
Federica ha osservato diverse criticità nel territorio di Orbassano, come la mancanza di spazi di aggregazione per giovani e adolescenti. Nonostante queste difficoltà, apprezza la realtà più piccola e accessibile di Orbassano rispetto a una città grande come Torino, che consente una maggiore collaborazione e conoscenza delle realtà locali. Ha partecipato a vari progetti del CIDIS e del comune di Orbassano, come le serate formative per genitori "Genitori Imperfetti" e laboratori per bambini.
Sul fronte personale, Federica ha completato un corso triennale per diventare insegnante di yoga, una pratica che aveva già iniziato anni prima. Pur non avendo ancora l'intenzione di usare questo titolo professionalmente, considera la possibilità di organizzare attività in futuro. Le sue passioni includono il giardinaggio, il fai-da-te e altre attività creative, che integra anche nel suo lavoro con i minori.
Federica vive a Druento da due anni, dove ha acquistato una casa con giardino e orto. Il suo giardino è ricco di fiori e piante, tra cui zucchine, melanzane, meloni, pomodori e carote, che coltiva con successo grazie alla fertilità del terreno locale. Ha anche un rigoglioso nespolo e un giovane limone.
In conclusione, Federica De Giorgis è una professionista dedicata al supporto dei minori in difficoltà, che ha costruito la sua carriera attraverso esperienze pratiche e volontariato, e mantiene una vita personale ricca di interessi e passioni.
Antonella racconta che l'idea di aprire un negozio di articoli usati per bambini a Piossasco è nata durante le sue visite all'ospedale Sant'Anna di Torino. Vedeva giovani distribuire volantini di altri negozi e pensò di aprire un'attività vicino a casa. Piossasco, però, era una piccola città inizialmente poco ricettiva. Nonostante le difficoltà iniziali, il negozio andava bene prima della pandemia.L'arrivo del COVID-19 ha cambiato tutto, spingendo molte persone a fare acquisti online su piattaforme come Amazon. Questo ha ridotto notevolmente le vendite in negozio, con l'80% delle entrate che ora proviene dagli allestimenti per feste, rispetto all'80% di vendite di articoli usati pre-pandemia. Antonella deve ora competere con i marketplace online, dove molti clienti cercano prima di vendere autonomamente i loro articoli prima di rivolgersi al negozio.Inoltre, il commercio locale ha sofferto a causa della diminuzione delle manifestazioni e delle attività che attiravano visitatori a Piossasco, come mercatini e rievocazioni storiche. Antonella critica la gestione amministrativa e la mancanza di iniziative da parte delle associazioni di commercianti, che hanno contribuito alla stagnazione del commercio locale. Piossasco è descritta come una "città dormitorio", dove la maggior parte dei residenti lavora a Torino e spende i propri soldi altrove, lasciando poco movimento economico in città. La maggior parte delle entrate del negozio deriva da persone fuori città.Antonella e Lorenzo ora si occupano principalmente di allestimenti per feste, matrimoni, battesimi, compleanni e altri eventi in tutto il Piemonte. Collaborano con fotografi, fioristi e altri fornitori locali per offrire un servizio completo e hanno l'esclusiva regionale della "Scatola dei Sogni".Nonostante gli impegni lavorativi, cercano di ritagliarsi del tempo per sé stessi e per la famiglia, concedendosi gite fuori porta e dedicandosi a passatempi come il nuoto e la cucina. Antonella ha lavorato come commessa e in un bar prima di aprire il negozio, mentre Lorenzo ha una passione per la moto e la cucina.Lorenzo racconta di aver avuto un laboratorio con un socio, ma dopo aver sciolto la società ha deciso di aprire un proprio laboratorio di saldature laser a Piossasco per comodità. Ha gestito l'attività per alcuni anni, ma ora sta pensando di chiudere e il suo sogno è quello di trasferirsi al mare per aprire un'attività lì, magari un ristorantino o un chiosco.Discutono delle difficoltà affrontate dai commercianti locali, con molti negozi che hanno chiuso. Criticano la mancanza di iniziative da parte del comune e delle associazioni locali per sostenere il commercio e organizzare eventi che attraggano persone. Notano che le complicazioni burocratiche ostacolano ulteriormente le attività commerciali. Durante le elezioni, politici locali promettono cambiamenti, ma poi spariscono. Nonostante le difficoltà, continuano a collaborare con altri commercianti e organizzazioni locali per cercare di migliorare la situazione. Sperano che una maggiore collaborazione e nuove iniziative possano rivitalizzare il commercio locale e migliorare l'attrattiva di Piossasco.Infine, Antonella riflette sulla possibilità di trasferire il negozio in un'altra città, poiché la situazione economica a Piossasco non sembra migliorare. La mancanza di attività e di attrazioni rende difficile mantenere un'attività commerciale in vita, e se non ci saranno cambiamenti significativi, la chiusura e il trasferimento potrebbero diventare l'unica soluzione.
Sara, un'educatrice di 32 anni, lavora per il Cidis sui territori di Piossasco, Orbassano, Volvera, Bruino, Beinasco e Rivalta di Torino con un progetto chiamato "lavoro di strada". Vivendo a Volvera da sempre, conosce bene questi luoghi. Ha scelto di diventare educatrice per il desiderio di aiutare gli altri e, dopo un iniziale interesse per infermieristica, ha trovato la sua vocazione in Scienze dell'Educazione, laureandosi nel 2015. La sua carriera ha incluso esperienze in villaggi turistici, servizio civile in una comunità di alcolisti e vari ruoli in cooperative. Dal 2018 lavora per la cooperativa Esserci, che opera in numerosi settori educativi, dalla disabilità agli adolescenti migranti e all'imprenditorialità sociale. Attualmente si occupa principalmente di minori e adolescenti. Sara sottolinea come Piossasco offra molte opportunità culturali e sportive, ma manchi di spazi dedicati ai giovani. In particolare, sente l'assenza di un centro giovanile, fondamentale per offrire un luogo di aggregazione e confronto per gli adolescenti, libero dalle pressioni degli adulti. Il progetto "Area Zero", un centro giovanile itinerante, cerca di colmare questa lacuna, ma può essere presente in ciascun comune solo una volta a settimana. Sara osserva che, nonostante le molte attività organizzate, manca un'offerta informale per i giovani che non desiderano o non possono partecipare a gruppi strutturati. Gli adolescenti spesso si sentono incompresi dagli adulti, che non ricordano di essere stati giovani a loro volta. Questo distacco porta a una mancanza di spazi e attività adeguate per i giovani, che cercano solo di essere visti e ascoltati come individui con bisogni e idee proprie. Un episodio significativo è quando un gruppo di adolescenti, vedendo il camper del progetto, ha chiesto a Sara e ai suoi colleghi di restare con loro. Questo tipo di riscontro evidenzia l'importanza di offrire luoghi e occasioni di confronto dove i giovani possano esprimersi e sentirsi valorizzati. Sara sottolinea che l’amministrazione comunale dovrebbe considerare seriamente i bisogni degli adolescenti per prevenire comportamenti di vandalismo, spesso espressione di una mancanza di spazi adeguati. Sara discute delle difficoltà che i giovani affrontano quando non trovano spazio e supporto nella società, conosciuti adesso come "Neet”. Nonostante le lamentele sulla loro inattività, la società non offre loro alternative valide, perpetuando così il problema. Sara sottolinea l'importanza dei progetti comunitari, come quelli svolti dal Cidis, per offrire risorse e creare opportunità di crescita. Tuttavia, tali progetti necessitano di un sostegno politico concreto, non solo economico, ma anche attraverso lo scambio di spazi e iniziative. Sara evidenzia l'importanza della collaborazione tra enti statali, terzo settore e associazioni locali per creare reti comunitarie che perdurino oltre la durata dei singoli progetti. Un esempio è l'associazione AGIO di Volvera, che promuove attività interculturali, ambientali e teatrali. In particolare, il teatro viene utilizzato come strumento educativo e di crescita personale, grazie alla sua capacità di aiutare le persone a conoscere e superare i propri limiti. Il teatro, per Sara, è un mezzo efficace per imparare a lavorare in gruppo, a rispettare gli spazi e i limiti degli altri, e a superare i propri freni sociali. L'attività teatrale permette un apprendimento pratico, coinvolgendo corpo e mente, e crea un ambiente privo di giudizio dove i partecipanti possono esprimersi liberamente. Questo approccio è particolarmente utile anche nelle scuole, dove Sara cerca di integrare elementi teatrali nei progetti educativi per coinvolgere e valorizzare i giovani.
Sara sottolinea l’importanza di far sentire gli adolescenti ascoltati e rispettati, riconoscendo il valore delle loro idee e delle loro esperienze. Questo riconoscimento è fondamentale per il loro sviluppo personale e per evitare che si sentano esclusi dalla società. In sintesi, Sara evidenzia l’importanza di spazi di aggregazione per giovani, l’interazione con adulti comprensivi e l’ascolto dei bisogni adolescenziali come fondamentali per il benessere e lo sviluppo dei giovani nel territorio di Piossasco e dintorni.
Sono Sara, ho 29 anni e vivo a Piossasco, il paese dove sono nata e cresciuta. La mia famiglia è composta da quattro persone: i miei genitori, mio fratello maggiore e me. La mia rete sociale è sempre stata centrata su Piossasco, dove vive la mia famiglia allargata e i miei amici. Ho frequentato le scuole dell'infanzia, le elementari e le medie a Piossasco. Per le scuole superiori, sono andata al liceo classico a Pinerolo, un'esperienza che mi ha fatto uscire un po' dal mio territorio natale. La mia famiglia è molto radicata a Piossasco e partecipa a molte attività locali. Fin da piccola, ho vissuto molto l'ambito parrocchiale e, da adulta, sono stata attiva nell'associazione "Amici di Joaquim Gomes". Dopo il liceo, mi sono iscritta all'Università di Torino e sono diventata assistente sociale. Durante gli anni universitari, ho fatto altre esperienze significative, tra cui sei mesi a Stoccolma come ragazza alla pari, la mia unica esperienza all'estero. Questa esperienza è stata bellissima e formativa, permettendomi di migliorare l'inglese e apprendere un po' di svedese, anche se col tempo l'ho dimenticato. Avrei voluto partecipare al programma Erasmus, ma non ne ho avuto l'opportunità. Tra la laurea triennale e quella magistrale, ho svolto un anno di servizio civile in un centro diurno psichiatrico a Collegno. Questa è stata la mia prima vera esperienza lavorativa, dove ho sperimentato le responsabilità del lavoro. Lavoravo principalmente come educatrice, un ruolo che ho trovato molto gratificante. Nel 2018, ho partecipato a un viaggio missionario in Brasile con l'associazione "Amici di Joaquim Gomes". L'associazione, fondata a Piossasco circa trent'anni fa, raccoglie fondi per sostenere una missione in Brasile e sensibilizza la comunità locale su temi come solidarietà, fratellanza ed ecologia. Durante il viaggio, ho imparato un po' di portoghese e ho vissuto un'esperienza toccante a contatto con le persone del posto, notando un approccio alla vita e alla morte molto diverso da quello italiano. Attualmente, lavoro come assistente sociale nel consorzio CIDIS a Orbassano. Ho iniziato la mia carriera professionale nel 2019, mentre studiavo per la laurea magistrale, lavorando in un centro di accoglienza per richiedenti asilo a Carignano. Successivamente, ho lavorato per due anni nell'area minori del consorzio di Cuorgnè, un'esperienza molto formativa. Ho poi trascorso un anno a Susa, dove ho lavorato con diverse aree, dai disabili agli anziani, e ho ricoperto il ruolo di referente per il lavoro di comunità. Da maggio dello scorso anno, sono impiegata a Orbassano. L'associazione "Amici di Joaquim Gomes" è stata fondamentale per me. Partecipare a eventi come la cena solidale e la festa brasiliana mi ha permesso di sentirmi parte di una comunità più ampia. Nel 2018, sono andata in Brasile con mio fratello per un viaggio missionario che si concentra più sulla costruzione di relazioni che di strutture fisiche. Abbiamo visitato famiglie, partecipato alle attività locali e sperimentato la vita quotidiana in Brasile. Il viaggio ha avuto un impatto profondo su di me, facendomi riflettere sull'approccio alla vita e alla morte in contesti diversi. L'associazione è strutturata in varie commissioni che si occupano di diverse attività, dal fundraising alla formazione. Collaboriamo con altre realtà del territorio, come l'Emporio dei 5 Pani e l'associazione Gaia per le donne. Personalmente, partecipo alle riunioni e do la mia disponibilità per varie attività, anche se non faccio parte di una commissione specifica. Ho anche partecipato attivamente alla vita parrocchiale, sia come animata che come animatrice. Questo percorso è stato molto formativo, sia dal punto di vista religioso che personale. La parrocchia offre gruppi base per i ragazzi dopo il catechismo, che si incontrano settimanalmente per discutere di tematiche attuali e personali, spesso con un'ottica di fede. Ho ricoperto anche il ruolo di coordinatrice degli animatori, un'esperienza che considero tra le più formative della mia vita. Piossasco ha molte potenzialità, ma manca di alcune infrastrutture per i giovani, come trasporti efficienti e luoghi di aggregazione. Sarebbe utile avere un locale dove i giovani possano incontrarsi e socializzare, e riqualificare il polisportivo per offrire più opportunità. Attualmente, mancano spazi aggregativi duraturi e trasporti pubblici sufficienti, soprattutto nelle fasce orarie serali. Questo limita molto le possibilità per i giovani di muoversi e partecipare ad attività sociali. La mia grande passione è il sociale e il relazionale. Sono molto legata alla mia comunità e credo nell'importanza di costruire reti di solidarietà e sostegno reciproco. Nonostante abbia vissuto alcuni anni a Torino, Piossasco rimane il mio punto di riferimento. Credo che con più alloggi disponibili e un miglioramento delle infrastrutture, Piossasco potrebbe offrire ancora di più ai suoi abitanti, giovani e non. Sono grata per le esperienze che ho vissuto e per le persone che ho incontrato lungo il mio percorso. Continuo a lavorare e a impegnarmi nella mia comunità, con l'obiettivo di contribuire positivamente e di costruire un ambiente migliore per tutti.
Nicoletta, un'educatrice sociale che ha vissuto a Piossasco per circa 15 anni, offre una visione completa della sua esperienza come residente e professionista nel sociale. Sebbene ora viva altrove, continua a lavorare sul territorio come educatrice CIDIS, e condivide sia le sue osservazioni personali che professionali sulla città. Nicoletta ricorda la sua infanzia a Piossasco come un periodo positivo, grazie alle risorse scolastiche e agli amici trovati durante gli anni delle scuole elementari e medie. Le attività scolastiche e sociali erano sufficienti a creare un ambiente accogliente e stimolante per una bambina. Tuttavia, la sua adolescenza è stata segnata da un drastico cambiamento. La città mancava di infrastrutture e risorse per i giovani, rendendo difficile trovare attività interessanti e stimolanti. Le sue amicizie erano principalmente a Pinerolo, dove frequentava il liceo, e Piossasco sembrava isolata e noiosa. La chiusura del centro giovani, avvenuta molto tempo prima che lei nascesse, ha accentuato il senso di isolamento. Nicoletta ricorda come mancassero luoghi di aggregazione dove i giovani potessero incontrarsi e socializzare. La città non offriva molto in termini di attività per i giovani, costringendoli a cercare divertimenti altrove. Questa mancanza di stimoli ha portato a una noia diffusa tra i giovani di Piossasco. I trasporti pubblici erano limitati e costosi, rendendo difficile per i giovani senza mezzi propri spostarsi verso luoghi con maggiori opportunità di intrattenimento, come Pinerolo e Torino. I pochi autobus disponibili erano concentrati negli orari scolastici, aggravando ulteriormente la situazione. Nicoletta osserva una chiara divisione tra i quartieri più benestanti e quelli popolari. La struttura urbanistica della città, con condomini lungo la via principale e ville verso la collina, accentua questa segregazione. Le case popolari, come le case Fiat, sono distaccate e contribuiscono a creare un senso di separazione tra i residenti. Le risorse culturali e sociali, come le associazioni, rimangono spesso all'interno di una cerchia ristretta di persone già attive e consapevoli, senza raggiungere coloro che ne avrebbero più bisogno. Questo limita l'efficacia delle iniziative sociali e culturali. Nicoletta ha iniziato a lavorare come educatrice a Piossasco circa tre mesi fa e nota che i giovani di oggi affrontano le stesse difficoltà che lei stessa ha vissuto durante l'adolescenza: una mancanza di stimoli e opportunità. Le famiglie sinti, ad esempio, vivono in prefabbricati isolati e spesso non hanno accesso alle risorse culturali e sociali della città. Questa situazione crea un senso di isolamento e emarginazione, soprattutto tra i giovani. Nicoletta sottolinea l'importanza di creare legami e reti tra le diverse realtà della città per sfruttare meglio le risorse esistenti. Un maggiore collegamento tra le varie comunità potrebbe favorire una migliore integrazione sociale. Ritiene necessario un intervento più deciso da parte dell'amministrazione per favorire l'integrazione culturale e sociale. Eventi che celebrano le diverse culture presenti a Piossasco potrebbero aiutare a valorizzare e integrare tutte le comunità, rendendo la città più inclusiva. La segregazione sociale è evidente, con quartieri popolari come le case Fiat che rimangono distaccati dal resto della città. Nicoletta nota che ci sarebbe un grande potenziale di solidarietà a Piossasco, ma mancano le reti che possano collegare le risorse disponibili con chi ne ha bisogno. Nicoletta ha frequentato le scuole elementari, medie e il liceo linguistico a Pinerolo. Successivamente, ha iniziato gli studi di giurisprudenza a Torino, ma ha abbandonato per seguire la sua passione per il sociale. Dopo un periodo in Germania, ha deciso di tornare in Italia e iscriversi a scienze dell'educazione, laureandosi e lavorando in vari ambiti del disagio sociale, tra cui disabilità e violenza di genere. Attualmente, sta proseguendo gli studi per ottenere una laurea magistrale in psicologia clinica, con l'obiettivo di diventare psicologa dell'età evolutiva. Questo percorso le permetterà di concentrarsi sui risvolti psicologici dei minori in vari ambiti. Nicoletta ha lavorato come insegnante di sostegno e in associazioni, cooperative e ospedali, occupandosi di disabilità e violenza di genere. Ha anche lavorato come operatrice antiviolenza, assistendo donne vittime di violenza nei centri antiviolenza e nelle case rifugio. La sua carriera riflette un forte impegno nel sociale e un desiderio di contribuire al benessere delle persone vulnerabili. Nel tempo libero, Nicoletta ama passeggiare nella natura, andare in bicicletta e fare attività fisica. Dopo aver vissuto a Torino per diversi anni, si è trasferita in una zona più rurale, dove può godere della tranquillità e delle bellezze naturali. Ha un forte interesse per l'attivismo politico e sociale, partecipando a realtà di attivismo a Torino. Questo impegno riflette il suo desiderio di contribuire a un cambiamento positivo nella società. Svolge anche attività di volontariato, coerentemente con il suo impegno sociale e la sua passione per il lavoro nel settore del disagio sociale. Nicoletta conclude esprimendo il desiderio di vedere Piossasco diventare una città più inclusiva e vivace, capace di unire diverse realtà sociali e culturali. Ritiene che un cambiamento sia possibile, ma richiede un impegno congiunto dell'amministrazione e dei cittadini per creare un ambiente più accogliente e stimolante per tutti.
Rebecca Diacono è un'assistente sociale nata ad Asti, Piemonte, nel 1982. Dopo aver studiato ragioneria alle superiori, ha lavorato alcuni anni prima di iscriversi all'università, dove ha conseguito una laurea triennale in Servizio Sociale nel 2006. Dopo aver superato l’esame di Stato, ha iniziato a lavorare come assistente sociale, inizialmente in un piccolo consorzio di servizi sociali territoriali e poi nel Comune di Torino. Dal 2015, lavora al CIDIS di Orbassano, coprendo le aree di Piossasco e Volvera.Il ruolo di Rebecca nel servizio sociale di base è variegato e complesso. Si occupa principalmente della tutela dei minori, ma il servizio si estende anche ad anziani, disabili e altre categorie di popolazione vulnerabile. Le attività quotidiane comprendono colloqui con le persone che richiedono assistenza, ricezione di segnalazioni da autorità giudiziarie, scuole e forze di polizia. Le problematiche più comuni che affronta nel suo lavoro includono separazioni conflittuali, problematiche sanitarie di minori e casi di trascuratezza. Il lavoro di assistente sociale è svolto in equipe, collaborando con educatori, psicologi, neuropsichiatri infantili e altri servizi specialistici, come il servizio di salute mentale e il SERD. Lavorano anche a stretto contatto con le amministrazioni locali, come i comuni di Piossasco e Volvera, e con gruppi di volontari che offrono supporto in situazioni specifiche. Sebbene ci siano cambiamenti frequenti tra gli operatori, il lavoro di rete e collaborazione è costante. Rebecca vive ad Orbassano con il marito e i tre figli di 13, 10 e 5 anni. Nonostante il poco tempo libero, cerca di trascorrerlo con amici e parenti, specialmente durante l'estate. D'inverno, tra le attività sportive dei figli e i compiti scolastici, ritaglia momenti di tranquillità per la famiglia. Le sue passioni includono la danza e la lettura, ma con tre figli il tempo per i propri hobby è limitato. Tra i bisogni emergenti nel territorio, Rebecca evidenzia la necessità di migliorare i rapporti tra i servizi sociali e le scuole, così come con i pediatri. Spesso, le scuole mostrano reticenza nel confrontarsi con i servizi sociali, influenzate da stereotipi negativi. Un importante progetto che Rebecca sta seguendo è "Ben Nasco", dedicato alle donne in gravidanza e ai bambini fino a tre anni. Questo progetto, finanziato dalla CRT e realizzato in collaborazione con l'ASL e altre cooperative locali, offre attività pratiche e di supporto alle mamme, mirate soprattutto all'integrazione di quelle più emarginate. "Ben Nasco" include attività di ginnastica pre e post parto, sessioni musicali per le donne in gravidanza e i neonati, e incontri per favorire la socializzazione tra mamme. Le attività sono organizzate in vari comuni del CIDIS e sono facilitate dagli operatori sociali. Le ostetriche del consultorio introducono il progetto alle future mamme, che poi possono partecipare a una community gestita dagli operatori. Questo progetto ha già mostrato risultati positivi, creando una rete di supporto per le mamme e facilitando l'accesso alle risorse disponibili sul territorio. Rebecca conclude sottolineando l'importanza di questi progetti per migliorare il benessere della comunità e la qualità dei servizi offerti.
Vanessa Jovanovic è una giovane donna di 24 anni che vive a Piossasco con la sua famiglia, composta da otto fratelli. La sua famiglia è originaria della Serbia, ma Vanessa è nata a Chivasso durante una vacanza. Cresciuta in un contesto familiare numeroso, Vanessa ha sviluppato un forte senso di appartenenza alla sua comunità locale. Tuttavia, il suo percorso di vita non è stato privo di sfide, a causa sia della sua condizione di disabilità che della sua origine straniera.
Vanessa racconta di aver frequentato un corso di due anni ad Orbassano per ottenere un attestato sulle pulizie. Questo percorso formativo, nonostante le difficoltà incontrate, le ha permesso di migliorare le sue competenze e aumentare le sue possibilità di trovare un lavoro stabile. Ha avuto anche un’esperienza lavorativa in una casa di cura, dove ha potuto mettere in pratica ciò che ha imparato. Nonostante le sue capacità, Vanessa si scontra con la realtà di un mercato del lavoro difficile, soprattutto per chi ha una disabilità. Racconta di aver dovuto affrontare pregiudizi e discriminazioni, sia per la sua nazionalità sia per la sua condizione fisica, ma si è sempre dimostrata resiliente e determinata.
Vanessa condivide anche il suo timore di essere vittima di razzismo, una paura che ha accompagnato la sua crescita in Italia. Nonostante tutto, è riuscita a integrarsi bene nella sua comunità e a scuola, dove temeva di essere trattata diversamente per le sue origini e la sua disabilità. La sua esperienza scolastica è stata positiva grazie all'accoglienza ricevuta dai compagni e dagli insegnanti.
A livello personale, Vanessa è una persona riservata, a differenza della sua gemella Veronica, che è più aperta e socievole. Questa caratteristica le ha reso più difficile fare amicizie e aprirsi agli altri. Tuttavia, Vanessa ha molte passioni che la aiutano a mantenere un equilibrio nella sua vita. Le piace cucinare, soprattutto piatti tipici della tradizione serba, e ascoltare musica, che trova molto rilassante. Ama anche giocare con il cellulare e trascorrere tempo con i suoi numerosi nipoti, con i quali ha un rapporto speciale.
Vanessa racconta con affetto della sua famiglia e del loro legame con la Serbia. Anche se è nata in Italia e si considera principalmente italiana, mantiene un forte legame con le sue radici serbe. La sua famiglia torna spesso in Serbia per le vacanze, dove visitano i luoghi del cuore e gustano i piatti tipici che non riescono a trovare in Italia. Vanessa apprezza particolarmente i panini e i dolci che può gustare solo lì. Descrive con nostalgia la casa dei nonni a Belgrado, piena di ricordi e calore familiare.
Nonostante le difficoltà incontrate nella ricerca di un lavoro, Vanessa rimane ottimista e determinata. Spera che il suo attestato sulle pulizie le permetta di trovare un impiego stabile, e intanto continua a migliorare le sue competenze e a cercare opportunità. Vanessa evidenzia anche la necessità di migliorare l'accesso a servizi e risorse nella sua comunità, come la presenza di più supermercati e negozi che possano offrire maggiori opportunità lavorative.
Vanessa è un esempio di resilienza e determinazione. La sua storia mette in luce le sfide affrontate dalle persone con disabilità e da chi ha origini straniere, ma anche la forza di chi, nonostante tutto, continua a lottare per un futuro migliore. Con il supporto della sua famiglia e la sua determinazione, Vanessa spera di superare gli ostacoli e trovare il suo posto nel mondo lavorativo e nella società.
Silvia Villata ha 40 anni ed è una mediatrice culturale, operante nei territori di Piossasco, Volvera e Rivalta per il CIDIS e la cooperativa San Donato di Torino. Silvia ha un background come educatrice e ha lavorato per anni in una comunità di recupero per traumi cranici e gravi cerebrolesioni. Ha avuto precedenti esperienze con persone Rom, che ha deciso di approfondire lasciando il suo precedente lavoro per dedicarsi interamente alla mediazione socio-territoriale per la comunità Rom. Fortunatamente, al momento del suo cambiamento professionale, si è presentata un’opportunità che ha permesso a Silvia di iniziare questo nuovo percorso lavorativo, che trova molto gratificante.
Silvia è mamma di due bambini, e questa nuova realtà familiare l’ha spinta a cercare un lavoro part-time che le permettesse di conciliare meglio vita privata e professionale. La cooperativa ha accolto positivamente il suo profilo e la sua disponibilità oraria, permettendole di lavorare nei territori di Piossasco, Volvera e Rivalta, in collaborazione con la collega Elena.
Nata e cresciuta a Torino, Silvia ha scelto di vivere a Beinasco per una vita più tranquilla rispetto alla città. Ha studiato a Torino e ha fatto diverse esperienze internazionali, inclusi viaggi in Africa, Romania e Perù, mosse dalla sua curiosità per altre culture. Questa curiosità l’ha portata a intraprendere il lavoro attuale, dove ogni giorno si confronta con culture diverse attraverso la mediazione.
Silvia ha origini del Sud Italia (Calabria, Sicilia e Puglia), ma la sua famiglia è stabilita a Torino da generazioni. Torna spesso al Sud per mantenere il legame con le sue radici e visitare i parenti, inclusi i suoi nonni.
Nel lavoro quotidiano, Silvia si occupa principalmente di supportare i minori Rom in contesti scolastici e sanitari, promuovendo l’autonomia delle famiglie. Lavora anche su aspetti documentali e relazionali con le istituzioni, come la questura e i comuni, e si occupa di questioni abitative. La sua esperienza con la comunità Rom è iniziata con un viaggio in Romania, dove ha visto la difficile condizione della comunità locale, e ha poi continuato con un progetto di inserimento abitativo a Torino.
Silvia ha trovato accoglienza positiva nella comunità Rom grazie anche al lavoro preparatorio dei suoi predecessori. Nonostante le difficoltà, ha osservato progressi significativi nell’autonomia delle famiglie. La comunità locale, però, mostra spesso pregiudizi verso le persone Rom, rendendo difficile l’integrazione.
Il lavoro di Silvia è fondamentale per mediare tra la comunità Rom e le istituzioni locali, migliorando le condizioni di vita e promuovendo l’autonomia. Il rapporto con le istituzioni varia: alcune mostrano apertura, mentre altre, come alcuni comuni, applicano regolamenti che penalizzano i non residenti, rendendo difficile l’accesso a servizi fondamentali.
Silvia sottolinea la necessità di maggiore sensibilizzazione e apertura verso la comunità Rom, evidenziando l’importanza di adattare le attività proposte ai reali bisogni delle famiglie per favorire una migliore integrazione e comprensione reciproca.
Mi chiamo Dario Migliorini, sono nato il 6 maggio 1981 e risiedo a Piossasco. Faccio l'istruttore di scuola guida dal 2010. Prima ho studiato da geometra e ho lavorato dal 2000 al 2005 come geometra presso uno studio tecnico di Cumiana.
Nel 2005 ho avuto l'opportunità di diventare insegnante istruttore di scuola guida e, dopo essermi abilitato, ho costituito una società con il vecchio titolare. Sono stato in società con questa persona per sei anni, poi, alla sua scomparsa, ho acquisito la sua parte e ora sono l'unico titolare. Lavoro con mio padre, che mi dà una mano, e con una segretaria che si occupa della parte amministrativa.
Mi piace il mio lavoro perché è un lavoro dinamico e con responsabilità. Le difficoltà maggiori le ho incontrate nei primi anni, quando ero giovane e dovevo insegnare a 25 persone in aula, di età compresa tra i 18 e i 22 anni, mentre io ne avevo solo 24. Gli aspetti positivi del mio lavoro sono le relazioni con i ragazzi e la soddisfazione di aiutarli a superare le loro difficoltà e paure. Gli aspetti negativi sono legati alla parte amministrativa, come le risposte lente della motorizzazione alle nostre richieste di esami.
La mia famiglia è composta da mio padre, mia madre, mio fratello che vive in Francia, mia moglie e i miei due figli: Edoardo di 10 anni e Camilla di 13 anni. Fortunatamente lavoro e abito nella stessa città, quindi riesco a gestire l'accompagnamento dei bambini a scuola. Ho una buona pausa pranzo che mi permette di andare a casa e stare con la famiglia. La sera torno tardi, ma riesco a vedere i bambini prima che vadano a letto. Nei weekend organizziamo sempre qualcosa per stare insieme.
Nel mio tempo libero porto i bambini alle attività sportive e, quando possiamo, visitiamo città e facciamo passeggiate in montagna. Da piccolo suonavo la chitarra e ora abbiamo un camper con cui facciamo viaggi. Mi piacerebbe imparare altre lingue, parlo un po' di inglese e capisco il francese.
A Piossasco mi trovo bene e spero che ci siano più spazi ben gestiti per i ragazzi. Mi auguro di vedere Piossasco rivalutata dal punto di vista delle opportunità per i giovani.
Mi chiamo Maura Savoia, ho 50 anni, sono sposata e ho due figli. Vengo da Aosta, ma mi sono trasferita a Piossasco perché ho conosciuto mio marito, ci siamo sposati e quindi sono rimasta qui. All'epoca ho studiato ragioneria.
Sono proprietaria della cartoleria Cartoclub di via Palestro. Cartoclub si chiama così perché fa parte di una catena con un gruppo di acquisto per commercianti, e abbiamo dei prodotti con questo marchio. Ho rilevato la cartoleria nel 2010, quindi sono 14 anni che la gestisco. L'ho rilevata da un signore che la aveva da 40 anni, è una cartoleria storica di Piossasco. Nel mio negozio potete trovare tutto ciò che riguarda la scuola, l'ufficio, articoli da regalo e zaini.
Nei primi anni della mia attività ho avuto difficoltà nel rapportarmi con la gente perché non mi conoscevano. Col tempo, però, mi hanno conosciuta e hanno iniziato a fidarsi di più. Mi piace molto il mio lavoro perché adoro stare a contatto con il pubblico. Tuttavia, essendo da sola, devo fare tutte le scelte da sola e prendere le decisioni giuste. Per migliorare il mio lavoro, penso che dovrei impegnarmi di più nell'aspetto sociale.
Nel mio tempo libero faccio palestra e passo un po' di tempo con i miei figli.
A Piossasco mi trovo bene, ma spero di trovare più alternative per i giovani e mi piacerebbe avere un centro più vivo e più bello, con più negozi.
Mi chiamo Giovanni Sibona, ho 67 anni e sono nato a Piossasco, dove ho sempre vissuto. Vivo da solo, ho studiato ottica e ho sempre lavorato in questo campo. Il mio negozio si chiama Foto Ottica Sibona, un nome scelto da mio papà. Gestisco il negozio insieme a mia sorella. Nel nostro negozio potete trovare tutto ciò che riguarda l'ottica: occhiali, lenti...
Nel mio tempo libero faccio tante cose: incontro amici a Torino, quando posso faccio qualche viaggio, leggo moltissimo, vado al cinema. Se avessi più tempo libero, viaggerei di più.
Le difficoltà che ho trovato nel mio lavoro, soprattutto nei primi anni, sono state quelle di apprendere il mestiere e acquisire la pratica necessaria, che viene con gli anni. Mi piace tanto il mio lavoro perché mi permette di stare a contatto con le persone.
A Piossasco, una volta, era più facile avere un'attività. Ora, per una serie di motivi legati anche alla situazione economica, è diventato più difficile gestire un'attività.
Per fare meglio il mio lavoro, penso che sia necessario aggiornarsi continuamente e tenere il passo con le novità nel campo dell'ottica.
A Piossasco, a mio parere, mancano strutture per i giovani, campi sportivi per i ragazzi e trasporti pubblici. I parchi giochi sono mal tenuti. Spero che il cinema di Piossasco offra anche una programmazione di film, non solo teatro.
Mi chiamo Roberto Rovelli e dal 1993 gestisco il ristorante pizzeria Piramid, situato nel centro commerciale di Rivalta. Siamo partiti con un team di otto persone e ora siamo arrivati a diciotto. Siamo stati contattati dal centro commerciale per aprire il ristorante e, grazie alla fiducia ricevuta, abbiamo gestito l'attività con grande dedizione. Offriamo cucina tradizionale italiana e mediterranea, con piatti che spaziano dalla pizza alla paella. Utilizziamo prodotti di prima qualità e ci impegniamo a trasformarli in piatti eccellenti.
Non abbiamo mai avuto problemi di affluenza, grazie alla qualità del nostro prodotto, ma affrontiamo difficoltà nel mantenere prezzi competitivi, poiché mangiare fuori è diventato sempre più costoso. Io abito a Trana, ma mi sono sempre trovato bene a Rivalta. Troviamo difficoltà a reclutare personale qualificato; spesso siamo costretti a "chiudere dei buchi" e manca una formazione adeguata e un'offerta nel campo della ristorazione per la nuova generazione. Nonostante il nostro lavoro richieda molti sacrifici, abbiamo uno staff che opera con noi da sempre, grazie anche alle buone relazioni instaurate con i lavoratori.
Sono appassionato di nutrizione e ho seguito molti corsi e formazione in merito. Mi piace anche correre in montagna. Vorrei poter offrire consulenze nutrizionali e ampliare le mie conoscenze in questo campo, perché ho osservato molte persone e clienti crescere con uno stile di vita poco sano. Ho anche potuto correggere il mio stile di vita grazie a queste osservazioni.
Incontraimo Eugenio nella sede della Croce Rossa di Pont Canavese, sulle sponde del Torrente Soana che ci accompagna in sottofondo durante la nostra chiaccherata.
Cracconta la storia di come è cambiata attraverso gli anni la storia del soccorso qui a Pont Canavese, un grande gruppo di 120 volontari, che svolge anche attività nelle scuole e con la popolazione.
Eugenio è sempre stato attivo nell'emergenza sul territorio, già suo padre era attivo nel volontariato; con il gruppo vigili del fuoco e servizo civile, entra in contattato con difficoltà sociali e resta colpito di come siano spesso le persone più vicine a noi ad avere bisogno a volte di un aiuto sociale e non le vediamo quasi.
Ci racconta di come il popolo della montagna sembri chiuso, ma quando c'è un bisogno la gente di montagna c'è sempre.
Sogna un paese attento a chi ha bisogno, che non lasci sole le persone, più attento all'inclusività.
Aurora, attualmente lavora per il comune di Orbassano, ha 37 anni. Ha sempre vissuto ad Orbassano e proviene da una famiglia molto numerosa, alla quale è molto legata e con cui si trova in ogni occasione possibile. Da parte di suo padre ha origini siciliane; invece ha una parte della famiglia materna calabrese e piemontese. Quando si incontra con la famiglia, sono una trentina di persone!Ha lavorato per un attività di famiglia ma poi ha deciso di proseguire diversamente, soprattutto dopo che ha avuto il suo bambino, cosi da dedicarli più tempo. Al momento il lavoro che fa le da molte soddisfazioni, ma sta cercando di fare un passo un più e usare anche la laurea che ha conseguito, sempre come dipendente comunale. Ha studiato economia aziendale, le piace molto la matematica, ma anche il contatto con il pubblico, quindi ha preferito fare lavori che la tengono in contatto con le persone. Attualmente fa l'impiegata comunale, dove si occupa di registrazione di atti di nascita e di atti di morte, cosa che ritiene di averla fatta diventare anche un po' cinica per non empatizzare troppo, altrimenti tutto diventa più complicato.
Il suo desiderio è quello di essere in pace e serena, ma soprattutto che il suo piccolo cresca bene. Nel tempo libero fa la mamma. Inoltre, pratica anche danza, nello specifico danza del ventre.
Silvana Mattalia, 60 anni, abita da sempre ad Orbassano. Lavora nel comune da circa 30 anni nell'ufficio segreteria del sindaco. E' educatrice di professione, ha lavorato con persone con handicap gravi , lavoro che lo ha aiutato molto nell'ascoltare e aiutare l'altro, cosa che lo aiuta molto anche nel lavoro attuale. Mettersi in ascolto aiuta molto, ti permette di essere un passo avanti nella quotidianità. Ha 3 figlie e 4 nipoti bellissimi, si sente nonna anomala in quanto li vizia poco ed è più educatrice con loro. Vive poco il territorio perche lavorando ed avendo una famiglia da gestire, è molto impegnata.
Ha una formazione pedagogica, con magistrali. Ha trovato lavoro in un centro diurno e si è formata molto nel campo psicologico e psichiatrico. Ha smesso di lavorare nel psichiatrico dopo 12 anni in quanto non poteva più dare tanto; dopo qualche tempo ha ritrovato l'entusiasmo di lavorare nel nido. Il campo handicap da tanto ma ne richiede altrettanto tanto in ricompenso. Lavorare nel nido lo ha aiutato a riprendersi. Dopo tempo, ha deciso di fare due concorsi amministrativi per due comuni fuori Orbassano, dove li ha passati tutti e due. Inizialmente faceva fatica a vedersi a lavorare dietro ad una scrivania, ma poi dopo, con l'arrivo delle sue figlie che richiedevano molte energie, si è resa conto di necessitare del silenzio. Ha iniziato lavoro a Collegno, e poi grazie ad una mobilità ad Orbassano, si è trovata a lavorare nell'ufficio del sindaco, dove ha iniziato con un sindaco di centro sinistra, poi con un sindaco di sinistra e negli ultimi tre mandati con un sindaco di centro destra. Vorrebbe andare in pensione, anche se il lavoro è molto bello; ma prende tanto tempo ed energie.
Antonino Russo, attualmente assessore Verde, Cooperazione, Pace, Politiche del Lavoro, Cimitero, Multiculturalità per il Comune di Orbassano ha 60 anni ed è nato in provincia di Palermo. Vive ad Orbassano da quanto ha 6 anni. Alle superiori ha studiato per geometra e subito dopo ha fatto il militare. Nel 1985 ha iniziato a lavorare in FIAT, dove è rimasto fino a dicembre 2023, quando è andato in pensione. E' sposato da 36 anni e ha due figli, un maschio e una femmina. E' nonno di due nipoti da parte della figlia. Ha come hobby la politica, lo sport, aiutare le persone. Ritiene che saper ascoltare è più utile che saper rispondere. Nella politica di Orbassano cerca di ascoltare tanto, e dopodiche di dare delle risposte laddove possibile. Fa politica da quando ha 24 anni e ritiene che ad oggi la politica è in cadenza forte. Russo è stato presidente del consiglio comunale di Orbassano per 5 anni e come obiettivo principale ha avuto aiutare e salvare altre persone. Le persone che fanno politica devono saper dare agli altri.Nel 2018 la sua condizione di salute non è stata ottimale, in quanto è sopravissuto ad un ictus e a due infarti. Attualmente, segue vari progetti in diversi ambiti e ritiene che sia tutto molto importante, soprattutto la multiculturalità. Ritiene che la pace si fa tutti i giorni, nei piccoli passi. Sogna un mondo più educato, con più valori; un mondo di pace, che è capace di sfamare le persone. Uno dei suoi peggiori ricordi è stato "vedere Falcone saltare in aria".
Mi chiamo Tony e sono nato e cresciuto a Rivalta. Sono molto conosciuto nel territorio, soprattutto perché amo fare pubbliche relazioni. Sono titolare di una piccola azienda specializzata in impianti elettrici civili e industriali, antifurto, videosorveglianza, automazioni e impianti citofonici. La fiducia dei clienti è fondamentale per me, quindi utilizzo marchi di alta qualità e garantisco un'ottima assistenza sul territorio.
La mia carriera lavorativa ha avuto un inizio piuttosto particolare: per evitare il servizio militare, ho deciso di diventare elettricista, approfittando di un contratto di apprendistato che mi avrebbe concesso la licenza. Ho imparato il mio mestiere con l’esperienza e, oltre a fornire assistenza locale, mi occupo anche di clienti al di fuori della città e della regione.
Attualmente, oltre alla mia ditta, dirigo con mia moglie un bar appena acquistato nel centro storico di Rivalta. A differenza del lavoro precedente, questo mi permette di tornare a casa più pulito e di stare a contatto diretto con le persone, aspetto che mi piace molto. Lavorare con impianti elettrici era fisicamente più impegnativo e spesso portavo a casa il lavoro non ancora concluso.
Sono sempre stato appassionato di sport in generale, in particolare moto, basket e calcio. Con mia moglie mi piace fare trekking in montagna, anche se ora, a causa del poco tempo libero, pratico meno di quanto vorrei. Il mio desiderio è che la nostra attività familiare possa avere successo e prosperare.
Mi chiamo Sara e sono una cittadina rivaltese ormai, anche se precedentemente ho vissuto a Torino, in centro. Attualmente, insieme a mio marito, sono titolare del bar Il Vicolo. Ho avuto la fortuna di lavorare sempre nel settore delle vendite. Quando vivevo a Torino, lavoravo con mia mamma nella storica bottega Perruché, fondata nel 1800, dove vendevamo salumi e formaggi. Per arrivare a fine mese, ho dovuto svolgere diversi lavori: ho venduto pasta fresca al mercato e lavorato in bottega nel pomeriggio. L'esperienza di contatto con il pubblico è stata per me la più gratificante, a differenza del lavoro d'ufficio, che non fa per me.
Aprire un'attività è stato un sogno che finalmente si è realizzato. Anche se il lavoro richiede molto tempo, mi rende felice perché mi permette di stare a contatto con i clienti. Il nostro bar si trova nel centro storico di Rivalta, dove si percepisce il nucleo del paese. La nostra volontà è attrarre le persone verso questo sito storico, dove si trovano il castello e altre strutture importanti. Siamo consapevoli che la nostra attività non è ancora conosciuta come dovrebbe, ma abbiamo migliorato la struttura e prolungato gli orari di apertura, sperando di attrarre più clienti. Ci piacerebbe vedere l'apertura di più attività commerciali per arricchire la quotidianità del paese.
La mia passione più grande è il canto, che ho praticato per molti anni, e ho fatto parte di un gruppo radiofonico rinomato. Inoltre, leggo moltissimi libri, con una particolare predilezione per il genere fantasy. Vorrei trovare più tempo per immergermi nella lettura.
Lia Restifo è sono nata a Catania. Sono la presidente dell’associazione impronte di Orbassano, un’associazione che tiene corsi di teatro e tante attività per grandi e piccoli. Per esempio, facciamo delle feste con delle maschere insieme alla Proloco, quando facciamo la festa con le auto d'epoca. Facciamo laboratorio manuali con materiali di recupero, per la costruzione di giochi o altro riciclo creativo. Ci occupiamo anche della rivalutazione delle vie del centro.
Tutti gli eventi aggregativi sono rivolti alle famiglie e ai bambini. Penso che sia fondamentale la loro partecipazione nell'offerta culturale. Secondo me, bisognerebbe coinvolgere molto di più la cittadinanza negli eventi cittadini. Per esempio, nel Carnevale potrebbero intervenire le scuole di danza o le stesse famiglie.
Ho la passione del cucito, infatti cuce tutti gli abiti per le sue recite di teatro, e scrivo testi teatrali. Una mia grande passione è anche viaggiare, l'Australia mi ha colpito molto.
Antonino è un uomo pensionato, membro e responsabile dei volontari della Croce Bianca di Orbassano. E' un'associazione di volontariato: ci occupiamo di trasporto delle persone in stato di necessità. Lavoro presso la Croce Verde, quindi diciamo che il volontariato e il mio lavoro si assomigliano.
Sono un piemontese trapiantato: dalla Calabria, sono arrivato qui che avevo 2 anni.
Le sue passioni sono i viaggi e la musica.
Penso che sul nostro territorio manchino le relazioni quelle vere, quelle della piazza. Ci sono sempre più contanti virtuali, ma invece sul fronte sociale le persone sono molto chiuse.
Emanuela abita ad Orbassano da 10 anni e lavora qui. Fa la commessa in un negozio di cosmetici ed è mamma di due ragazze.
Emanuela ama la sua città, Orbassano, e vorrebbe che la vita tornasse da tutti i punti di vista, vorrebbe vedere tante cose diverse che possano cambiare in meglio la sua amata città. Vorrebbe che ci fossero degli spazi di aggregazione per persone della sua età con passioni diverse dal cucito, per esempio attività con il cinema, con la lettura, con la letteratura.
Nel periodo estivo, per esempio, organizzerebbe qualche evento culturale per tutti, per esempio, la presentazione di un libro.
Sono Carla, ho 74 anni e sono in pensione. Mi occupo di fare volontariato, per aiutare se posso qualcun'altro.
Sono nata in provincia di Mantova, in una famiglia povera, subito dopo la guerra. Ho fatto solo la quinta elementare e poi sono andata a lavorare. Per me il lavoro è sempre stato molto importante, soprattutto nel rispetto dei miei impegni. Dopo quei 10 anni, siamo venuti a vivere ad Orbassano e ho lavorato in una fabbrica di abbigliamento. Dopo la pensione, purtroppo ci sono stati degli avvenimenti difficili. Ad oggi faccio il volontariato con il cuore.
Sono soddisfatta della mia vita, anche se avrei voluto che alcune cose non fossero certamente accadute. Penso che arrivino per farti capire l'importanza delle cose vere, senza dar peso alle cose insignificanti.
Vorrei che ci fossero più occasioni per i giovani, perché li vedo sempre delusi, tristi, interessati a nulla. A me toccano il cuore, ma vorrei vederli sorridenti, cantare, ballare.
Sono Tiziana Giraudo e ho 26 anni. Abito a Rivalta, ma lavoro ad Orbassano nel Centro Sportivo Orbassano. Ho fatto la laurea triennale in Suism e poi mi sono specializzata nel management. Insegno ginnastica ritmica.
Secondo me ad Orbassano manca un palazzetto dello sport. In generale, Orbassano riesce a coinvolgere la cittadinanza in diverse attività sportive, ma serve un punto di riferimento. In questo momento dobbiamo utilizzare per forza solo le palestre scolastiche. Mi piacerebbe anche collaborare con realtà che si occupano di disabilità. Potrebbe essere molto positivo a livello educativo organizzare delle gare o delle iniziative che possano permettere l'integrazione delle disabilità nel tessuto sociale.
Tiziana ci parla anche della sua passione per i viaggi e dei paesi che ha visitato. Mi piace molto leggere libri di storie d'amore.
Sono Claudia Bassi, la presidente dell’associazione di volontariato Claudio Bassi Onlus di Orbassano. Ci occupiamo di diffusione delle informazioni sulle malattie trasmissibili principalmente. Facciamo anche tante iniziative di raccolta fondi da reinvestire poi nelle attività sul territorio, sia prodotti da vendere, che banchetti nelle fiere.
Io mi sono diplomata con maturità artistica, più di 30 anni fa, ma lavoro in tutt'altro ambito.
Ho poco tempo per degli hobby perché a parte della famiglia, mi occupo principalmente dell'associazione. Nasce nel marzo 2018 dopo la morte prematura di mio fratello. L'abbiamo creata per mantenere il ricordo di mio fratello e raccogliere fondi per chi è meno fortunato, per diffondere più informazioni sulle malattie trasmissibili.
Mi piacerebbe coinvolgere maggiormente i giovani con qualcosa di attuale, come la musica, che possa riuscire ad avvicinarli anche al volontariato.
Valentina è una ragazza piena di talenti, in quanto doppiatrice e attrice, ci racconta che grazie a queste suoi hobby/lavori riesci a trovare se stessa e riesce ad essere chi vuole e quando vuole, ci parla di quanto sia bello immedesimarsi in un determinato personaggio e sfogare in tutti i modi i suoi stati d’animo…
Elisabetta ha 62 anni. Le sue origini sono lontane ma solo di DNA, perché è nata a Torino e ha trascorso tutta la sua vita in Piemonte. Ho fatto le magistrali e poi mi sono sposata. Insieme abbiamo aperto un'autoscuola.
E' presidente di un’associazione di Orbassano chiamata Sabaoth, nella quale sono presenti varie attività soprattutto con i giovani.
Il volontariato è una cosa che Elisabetta ha sempre fatto. Da giovane ha fatto la volontaria con le persone tossicodipendenti negli anni 80.
Tra gli hobby di Elisabetta troviamo il viaggiare e scoprire nuove realtà come ci racconta nella sua conversazione.
Adora il suo territorio e abbiamo proprio deciso di venire ad abitare ad Orbassano per essere cittadini attivi del territorio. Vorrebbe che tutte le persone incontrate nella strada della sua vita si ritrovassero e vorrebbe quasi essere un'agente dei talenti dei giovani di oggi nel sociale.
Mi chiamo Remo Turello e sono presidente dell'associazione Partita San Vittore da ormai due anni. Questa associazione ha radici profonde nella storia di Rivalta, con documenti risalenti al 1700 che testimoniano la sua lunga tradizione. È sempre stata legata alla Cappella di San Vittore, patrono di Rivalta, una chiesa antica, risalente poco dopo l'anno Mille, situata lungo un percorso dei pellegrini sulla via Francigena. Originariamente, le persone si occupavano della festa patronale e della manutenzione della cappella.
Oggi, l'associazione organizza diverse iniziative durante l'anno, oltre alla festa patronale, a beneficio dei soci (oltre un centinaio), e offre visite guidate alla cappella. Per facilitare queste visite, abbiamo anche creato un sito web dedicato.
Il consiglio direttivo sta lavorando intensamente per far comprendere che il sito non è solo un luogo per la festa patronale, ma ha un valore culturale significativo. Stiamo cercando di sensibilizzare le famiglie e l'amministrazione locale sulla valorizzazione di questo bene storico, che non deve essere trascurato. Tuttavia, c'è preoccupazione per la crescente trascuratezza e per le scelte di cementificazione, come la progettazione di una linea ad alta velocità, che potrebbero danneggiare questi siti storici.
Personalmente, sono appassionato di fotografia, con particolare interesse per quella storica e paesaggistica.
Rivalta Millenaria nasce nel 1999, come percorso di conoscenza e approfondimento della storia di Rivalta e del suo patrimonio artistico, guidati dall’allora Assessore alla Cultura Stefania Stecca e da due appassionati della storia e delle tradizioni di Rivalta, il Sig. Giulio Pedrani e il parroco di allora Don Franco Tessior. Quest'ultimi hanno contatatto mettendo insieme un numero grande di persone che si sono avvicinati alla la storia del paese. Nasce questa ricerca di informazioni, che si racchiude in una giornata di visite guidate sia per le persone del territorio che al di fuori. Nei primi anni di visite si poteva accedere al Castello solamente dal retro, diventando poi nel 2006 di proprietà pubblica. Con gli anni siamo diventati numerosi, portando gente che arrivava da fuori, stupita dal patrimonio storico del paese. L'Associazione vive dei momenti in cui si fanno altre attività, mostre e ricerche, identificato come gruppo culturale. Dal 2016 si decise di costituire la realtà di un gruppo, che da diciasette anni lavorava sul territorio. Ci siamo concentrati molto sul castello perché attira molte persone, diventato fulcro e simbolo del paese. Sono stati riportati alla luce le fondamenta di un'abbazia realmente esistita, quindi sono state eseguite ricerche e scavi. Negli ultimi anni c'è stato un'ampliamento del target giovanile: attraverso le insegnanti, le varie scuole hanno potuto visitare questi siti storici. Inoltre abbiamo affiancato alle visite guidate, delle scenette teatrali, per rappresentare in modo ironico e allegorico i personaggi illustri che hanno caretterizzato il paese. Ci auguriamo che possa esserci una ricerca e scoperta di uno degli affreschi più importanti della nostra cappella. Sono appassionato molto di fotografia, soprattutto quella storica e inerente ai paesaggi.
Giada è una maestra della scuola dell'infanzia di Pont Canavese, ci racconta come è nata la scuola materna durante il boom economico quando c'erano tantissimi bambini a Pont.
Ci racconta di come è cambiata la scuola; il calo demografico è stato importante ma sembra ora sembra ci sia un nuovo aumento di adesioni, grazie anche all'immigrazione.
La scuola dell'infanzia ha un ottimo rapporto bambini insegnati, che la rende a misura di bambino.
Giada ama camminare in montagna e leggere, in mezzo alla tranquillità del nostro territorio.
Sente la necessità di potenziare il servizio sanitario della fascia dell'infanzia, complice anche la mancanza di collegamenti pubblici del territorio.
Tiziana ci parla dell'associazione "pra dal bacio" della quale fa parte.
Arriva da altre piccole città, ma ha deciso di stabilirsi qui a Pont Canavese.
Ci racconta di quante attività ci sono in questa zona di Pont, Doblazio, che è una borgata alle porte del paese, dal lato destro del paese.
Si sono riprese delle attività tradizionali, come la castagnata e la festa di Sant'Antonio.
Nella Borgata sono arrivate anche persone immigrate nel territorio, subito accolte nelle loro attività.
Come associazione ci racconta di avere anche in attivo una adozione a distanza.
Tiziana ama camminare in montagna e viaggiare in camper; a Pont esiste anche un area camper all'ngresso del paese.
Rosanna ci parla dell'associazione "amici di Pra dal Bacio" e ci racconta di come è nato il loro gruppo per salvare questa area verde dalla cementificazione, per poi evolversi e mettendo in atto inziative sociali e sportive per il territorio.
Perchè "pra dal bacio" si chiama così? ascoltiamo le due storie di questo luogo.
Rosanna pensa che nel territorio manchino le strutture ricettive; manca un punto di ristoro e di pernottamento.
Ma anche più aree attrezzate per i bambini e di valorizzare il turismo.
Ama sciare e camminare in montagna e non solo, organizzano anche camminate fuori dal territorio.
Mi chiamo Maria Teresa D'Agostino, sono italiana e sono nata a Torino. Il mio nucleo familiare è composto da me, mio marito e mia figlia. Ho studiato ragioneria e faccio la barista. Prima ho lavorato con mia sorella e, ancora prima, in una tabaccheria.
Il mio negozio si chiama Caffetteria Palestro perché si trova in via Palestro. Non ho trovato grandi difficoltà nello svolgimento del mio lavoro, è un lavoro che mi piace e che ho scelto, non è un lavoro che mi hanno imposto. Gli aspetti positivi del mio lavoro sono il contatto con la gente, mentre quelli negativi sono la stanchezza con cui si arriva a casa. Nel mio bar potete trovare brioche, caffè, torte, panini e tante cose classiche che si trovano nei bar, ma anche una selezione di dolci giapponesi che prepara mia figlia. Siamo aperti tutti i giorni della settimana, dalle sette del mattino alle sette di sera, tranne la domenica.
Non ho molto tempo libero, e quando ne ho, cerco di sbrigare le commissioni e fare le cose a casa che non riesco a fare durante il giorno. La nostra grande passione è andare ai mercatini la domenica.
A Piossasco mi trovo bene, ma per migliorare il nostro lavoro sarebbe utile che il comune attirasse più gente nel centro storico e lo rendesse più bello, perché attualmente è tutto trascurato.
Marcella ha 52 anni ed è nata a Firenze. E' laureata in scienze politiche e lavora in un'azienda di telefonia. Ha due figli.
Le sue passioni sono artistiche: crea bijoux di tutti i tipi, partecipando anche nelle fiere.
Marcella si porta dentro il Marocco, nel quale ha visitato un villaggio che le è rimasto impresso nel cuore per la semplicità delle persone e per la loro bontà e il loro essere felice pur di non avere nulla. Racconta che queste persone non conoscono la ricchezza, che non corrono dietro alle cose materiali, ma vivono tutti insieme in armonia, dandosi amore a vicenda sopportandosi sempre e lei vorrebbe che anche da noi qui in occidente fosse come in quel villaggio.
Sono Elena, ho 46 anni e sono la presidentessa dell’associazione sportiva Basket 86, associazione che forma i giovani e non al gioco del Basket dal 1997. Ci occupiamo anche di Minibasket dai 6 agli 11 anni. Prima facevamo anche la fascia giovanile e gli adulti, ma da qualche anno abbiamo preso questa scelta perché collaboriamo con AreaPro, quindi quando i ragazzi crescono li rimandiamo a quest'altra realtà. Organizziamo anche delle feste con altre società dove i bambini possono fare delle partite.
Il mio lavoro effettivo è quello di commessa. Elena è una viaggiatrice, ama scoprire le culture e le usanze degli altri paesi. Amo lo sport e seguo un po' tutti i mondi sportivi, oltre al basket. Mi piace stare in mezzo alla natura, fare delle passeggiate in montagna.
Giuseppe ha 40 anni ed è nato a Torino, anche se l'origine della sua famiglia è siciliana.
Ha come grande sogno quello di visitare il mondo, ma tra le sue passioni troviamo anche la lettura.
Il suo lavoro prevede la parte burocratica e non solo di un’associazione di Orbassano, il Centro sportivo di Orbassano, con il quale lavora sin da quando era giovane. Ci sono attività sportive di tutti i tipi e lui si occupa anche di tutte la promozione delle attività. Coordina lo spazio per i giovani Agorà, dove ci sono moltissime attività per i ragazzi e le ragazze, attraverso le quali si promuove la cittadinanza attiva. Hanno aperto anche recentemente un centro anziani.
Francesca insieme a suo marito gestisce una tabaccheria nella città di Orbassano, da un anno e mezzo circa. Precedentemente abbiamo avuto grandi soddisfazioni nel settore della ristorazioni, con diverse pizzerie.
Francesca racconta di essersi sentita accolta ad Orbassano.
Per lei il suo lavoro è tutto, ma vorrebbe avere un po’ più di tempo per se stessa, per poter così soddisfare il suo più grande desiderio ovvero quello di viaggiare. Francesca nel suo tempo libero si dedica allo sport, un hobby che ha scoperto da poco.
Maurizio è un giovane ragazzo nato nella città di None, attualmente lavora presso la tabaccheria dei suoi genitori. E' un lavoro abbastanza stressante a livello organizzativa. Bisogna prendersi delle responsabilità nella gestione di molti soldi, dei tabacchi e dei giochi dello Stato.
Il suo lavoro dei sogni è sempre stato fare il calciatore oppure il pilota di moto. Maurizio è un ragazzo solare e pieno di vita pronto ad accogliere qualsiasi cosa la vita gli riservi. Gli piace molto viaggiare e vorrebbe visitare i Paesi del Nord, soprattutto per vedere l'aurora boreale.
Nel tempo libero, si allena in palestra e organizza qualche partitella di calcio con i suoi amici. A Maurizio piace molto anche cucinare sia dolce che salato. A volte gli piace andare a ballare e rispetto alla musica, gli piace la tecno.
Orbassano è un bel paese secondo Maurizio, con tante persone in più rispetto a ciò a cui era abituato precedentemente.
Giulia è una giovane ragazza nata a Moncalieri nel 1994 e cresciuta ad Orbassano. Le sue origini sono campane, anche se suo padre nacque in Belgio, per questo motivo Giulia parla abbastanza bene il francese.
Parla della sua famiglia come una bellissima famiglia che le ha trasmesso tutti i valori più belli.
Grazie all’aiuto della sua famiglia, riesce a realizzare uno dei suoi più grandi sogni ovvero gestire una ludoteca, che ha aperto nel 2016. Dopo molte difficoltà e tanti sacrifici e lavori, riesce a gestire la sua attività molto bene. Grazie a questi sacrifici, si è resa conto della bellezza di avere una rete molto ricca di persone che si sono prodigate per aiutarle.
Il suo più grande sogno è girare il mondo.
A Orbassano, Giulia pensa che si possa fare molto di più. I ragazzini quando escono non hanno molto da fare, oltre a stare nei bar. Potrebbero creare qualche spazio con i giochi per loro, come il ping pong o il calcio balilla.
Valeria ha 28 anni e abita ad Orbassano da circa 10 anni. Lavora per un’associazione il CSO di Orbassano e si occupa principalmente di fare attività di doposcuola, prescuola, centri estivi e lavora inoltre anche nel centro anziani. Ci occupiamo di intrattenere tutti i nostri ospiti con tante attività.
Tra le sue passioni troviamo la lettura, infatti uno dei suoi sogni è lavorare nell’ambito di una libreria o della biblioteca. Un altro suo hobby è il make up e la cosmesi e anche una grande amante degli animali.
Pensa che ad Orbassano ci sia la fascia dei giovani molto scoperta di attività, mentre invece con gli anziani e i bambini si fanno già tante cose. Ha notato positivamente dei gruppi di persone che pulivano la città e le sembra un'ottima pratica.
Barbara è una cittadina di Orbassano, ama la sua città infatti è molto attiva, essendo anche la presidente della consulta delle associazioni. E' anche peer leader di un progetto chiamato "Femminili plurali". E' anche membro dell’associazione CSO.
Nonostante la sua vita molto frenetica, Barbara trova sempre il tempo per catturare ogni momento della sua vita con una fotografia, non a caso, è la sua più grande passione.
Barbara è mamma di un ragazzo di 21 anni che la rende molto orgogliosa.
Ha poco tempo libero, ma vorrebbe dedicarsi più tempo cercando di meravigliarsi.
Stefania fa parte della cooperativa Coesa, che opera sul territorio di Orbassano e Pinerolo. E' la referente dello Sportello per il Lavoro di Coesa, sul territorio di Orbassano. Fa questo lavoro da 20 anni e la appassiona molto. Si occupa principalmente di aiutare le persone e collocarle nel mondo del lavoro.
E' nata a Torino, ma vive da sempre ad Orbassano. Ha 3 figli in età adolescenziale. Vivendo il territorio, ha notato che Orbassano ha tante potenzialità, ma dovrebbe incrementare le opportunità formative di incontro per i ragazzi. Bisognerebbe incrementare lo spazio giovani e le possibilità di volontariato per i ragazzi, per esempio, aumentando le sedi del Servizio Civile.
Stefania è un’amante di viaggi anche se non ha quasi tempo di viaggiare. Tra i suoi interessi troviamo il teatro che fa sin da quando era bambina perché l’ha aiuta a sorpassare la timidezza durante la fase dell'infanzia.
Sono Tiziana, sono il presidente dell'Associazione Missioni Fratelli nel Mondo, che è nata nel 2013. Volevo agire sui bisogni educativi speciali dei giovani. Ero molto vicina ai bisogni educativi anche in Africa. Dalla conoscenza di un sacerdote missionario e dal confronto con lui, abbiamo visto come questi erano strettamente legati ai bisogni della società in Italia e in Africa.
Il primo progetto riguardava il supporto a studenti universitari africani, aiutandoli con delle borse di studio.
I nostri obiettivi sono molto trasversali, come lavorare con i giovani, con le scuole, con l'intercultura.
Ad oggi la vita è sicuramente impegnativa e frenetica, che a volte non si ha tempo per null'altro.
Ad Orbassano secondo me bisognerebbe migliorare la cura per le cose, per il territorio. E' necessario educare i ragazzi in questo senso.
Mi chiamo Khadija, ho cinquant'anni e ho tre figli. Sono arrivata in Italia nel 1991, trovando molte difficoltà, essendo in un paese diverso dal mio. Principalmente mi sono sentita sola, poiché ero molto giovane e non avevo amiche né conoscenze che si interessassero a me. Ho lavorato e sono andata avanti senza fermarmi. Ho fatto la babysitter, l'addetta alle pulizie, ho lavorato in un ristorante, come badante e poi come responsabile catering. Amo cucinare e cerco di preparare sia piatti italiani che marocchini. La cucina tradizionale marocchina ha avuto successo tra gli italiani, quindi cucinavo principalmente quella.
Ho sofferto molto nella mia vita, non è stato facile. Sono molto legata al mio paese e mi manca tantissimo, nonostante non mi sia mai sentita straniera qui in Italia. Molte persone mi osservavano perché portavo il velo, e molti altri miei connazionali hanno subito la stessa cosa. L'Italia ci ha dato tanto e rimane un secondo paese per me, ma il Marocco rimane sempre nel mio cuore.
Con i miei figli ho sempre adottato un metodo che per me è fondamentale: a casa parlavano arabo, mentre a scuola e durante il giorno utilizzavano l'italiano, per poter conoscere e apprendere entrambe le lingue in modo parallelo.
A Rivalta, un paesino piccolo, mi sono sempre sentita da sola, nonostante avessi due o tre amiche italiane. Quando portavo i miei figli a scuola, alcuni genitori mi salutavano, altri no. Questo ovviamente mi disturbava e mi faceva sentire a disagio, senza poter essere tranquilla con me stessa.
Avevo dei sogni, ma da quando mi sono ammalata, si sono un po' sfumati, e sono ancora sotto cure. Volevo continuare l'attività di catering e di cucina perché mi faceva sentire in un'altra dimensione. Ultimamente non riesco più a sognare.
Mi chiamo Iman, ho 24 anni e sono un'infermiera. Ho sempre vissuto a Rivalta, dove ho frequentato le scuole fino alle medie, per poi trasferirmi alle superiori a Orbassano. Successivamente, dopo un periodo trascorso in Marocco, ho frequentato il liceo scientifico, per poi continuare l'università in Francia. Dopo un ulteriore spostamento, ho proseguito i miei studi in Italia, scegliendo scienze infermieristiche. Attualmente lavoro come infermiera professionale al carcere delle Vallette e in contemporanea in una clinica psichiatrica.
Mia mamma mi ha incoraggiata a entrare nell'area scientifica, quindi, dopo la laurea, volevo diventare una biologa marina o frequentare medicina. Tuttavia, ho pensato che medicina richiedesse troppi anni di studio e che non mi piacesse il tipo di rapporto umano che si crea in quella professione, a differenza di quello che c'è nell'infermieristica. Mia mamma mi ha molto incoraggiata a intraprendere questo percorso, per il quale inizialmente non ero sicura, ma dal secondo anno di università ho compreso la mia passione per questo lavoro. La mia mansione permette di crescere tanto a livello personale.
Provengo da una famiglia marocchina. Mia madre ci ha sempre incoraggiati a studiare, considerandolo una priorità assoluta, senza però dimenticare le nostre tradizioni. La mia cultura è parte di me e l'ho sempre portata con me a scuola e tra i miei amici. Ho avuto difficoltà con i compagni di classe poiché all'epoca non c'erano molti stranieri sul territorio, ero una novità per loro. Ho capito che piangere non era la soluzione e ho cercato di cambiare carattere, diventando una persona più determinata e senza farmi sottomettere da insulti e prese in giro. Col tempo, Rivalta ha imparato di più a includere gli stranieri, cosa che in passato non faceva.
Il mio principale hobby era la scrittura. Avevo iniziato a scrivere un libro, ma l'ho accantonato per il poco tempo libero. Scrivevo piccoli testi per riordinare i pensieri confusi, che diventavano storie con protagonisti che esprimevano aspetti quotidiani di ciò che li circondava. Ho iniziato a scrivere la storia di una giovane marocchina, sposata giovane, che si trova a un certo punto in un altro paese. Mi piace anche leggere e giocare a beach volley con i miei amici.
Il mio sogno più grande è diventare un'infermiera strumentista, un desiderio che deriva dal mio sogno di diventare chirurgo. I miei sogni di vita sono invece poter vivere in serenità e tranquillità.
Mi chiamo Mohamed, sono nato in Marocco e dal 1989 vivo in Italia. Ho fatto vari lavori, dal panettiere al meccanico, e ora sono responsabile all'interno di una ditta. Il lavoro non sta andando benissimo a causa della mancanza di materiale, clienti e ordini. Sono sempre stato appassionato del mio lavoro e mi impegno manualmente, anche se una volta si lavorava meglio. Continuo a operare con grande dedizione.
La prima volta che sono venuto in Italia, era solo per vacanza e per comprarmi dei vestiti. Inizialmente, volevo spostarmi a Londra; tuttavia, durante le mie vacanze, un amico mi ha riferito che c'era un posto di lavoro vacante qui, perciò ho deciso di stabilirmi in Italia, avere una famiglia e dei figli. Sono molto legato alle mie tradizioni e alla mia cultura, anche se attualmente penso che l'Italia offra condizioni migliori rispetto al Marocco. La cosa che mi piace di più in Italia è la sicurezza. Nel mio paese, certe cose non si possono fare, come ad esempio andare in giro con il telefono in mano. Anche la sanità e il lavoro in Marocco sono in condizioni difficili.
Rivalta è un paesino tranquillo dove abito dal 1996, a differenza di Torino, che è più caotica e dove è difficile trovare parcheggio. Mi piace fare sport da sempre, ma attualmente non ho più tempo libero. Andavo in palestra tutti i giorni e correvo regolarmente.
Faccio parte di un luogo di culto di cui sono responsabile (come tesoriere). Lo frequento spesso, partecipando alle preghiere, soprattutto quella del venerdì, e a riunioni in vista di eventi o sull'organizzazione della moschea stessa. Vorrei vedere mio figlio laureato in qualcosa che gli garantisca un futuro sicuro.
Mi chiamo Silvia e sono un'attrice di formazione e professione. Dopo l'università, ho potuto concentrarmi maggiormente sulla mia carriera, cercando agenzie che mi rappresentassero e mi offrissero l'opportunità di partecipare a quanti più casting possibile. Nel frattempo, mi sono aperta a mansioni che inizialmente pensavo non mi interessassero, come insegnare teatro ai bambini. Inizialmente credevo che quel mondo non facesse per me, ma ho deciso di affrontare questa sfida per superare una mia paura. Questa esperienza mi ha permesso di scoprire nuove abilità e competenze personali.
Stando a contatto con i bambini, mi sono accorta che spesso perdono un po' di creatività. Ho cercato di lavorare con loro su questo aspetto, e la mia soddisfazione più grande è stata vedere quanto erano felici di ciò che facevano. Mi sono sentita un tramite per la loro realizzazione personale. Credo che, in generale, la società abbia bisogno di plasmare e immaginare, perché queste attività ci fanno sentire più vivi.
Sono cresciuta a Rivalta, dove ho vissuto con molta tranquillità, circondata dal verde. Mi piacerebbe vivere in un paesino simile, nonostante le difficoltà logistiche. In città, apprezzo il poter utilizzare meno la macchina e vivere più intensamente il contesto urbano, partecipando a mostre, frequentando teatri e spettacoli musicali.
La Francia è l'esempio migliore per lavorare come artista, poiché offre più sussidi e considera questa professione come importante. In Italia, invece, il teatro è spesso sottovalutato. Gli spettacoli sono frequentemente frequentati solo da addetti ai lavori, e questo non è positivo perché chi beneficia realmente del teatro è spesso chi non fa parte del settore. Per attrarre più persone a teatro, è fondamentale puntare sul divertimento e sulla leggerezza, offrendo qualcosa che magari manca nella loro vita.
Il mio desiderio più grande è poter lavorare nel mio campo e vivere economicamente grazie a questa professione. Penso che attraverso l'arte si possa raggiungere profondamente le persone, offrendo loro nuove consapevolezze su se stesse, sul mondo e sugli altri, il tutto sostenuto da una solida base di amore nella mia vita.
Mi chiamo Monia Mazza, sono nata l' 8 giugno del 1970. Sono nata a Torino e poi miei genitori si sono trasferiti a Piossasco, quindi sono cresciuta qui in una famiglia normalissima: ho due fratelli più piccoli di me, purtroppo mio papà non c'è più. Mi sono sposata e ho una figlia di 16 anni .
A livello scolastico, ho fatto il liceo linguistico a Giaveno, poi mi sono laureata in lingue. Ho iniziato a lavorare per i vari tour operator all'estero per un paio di anni, poi sono tornata in Italia insegnando in una scuola privata. Successivamente ho vissuto a Tenerife, lavorando nella reception di un albergo per 4 anni. Nel 2002, ho deciso di tornare in Italia perché mi mancava la mia famiglia. Ho conosciuto mio marito e abbiamo avuto nostra figlia, che adesso è adolescente.
Ho avuto l'occasione per rilevare un'agenzia di viaggi 18 anni fa che si chiama "MIELE viaggi". Le difficoltà maggiori sono legate alla clientela che a volte si dimostra molto saccente. Altri aspetti negativi sono legati alla burocrazia e alle spese che dobbiamo sostenere con lo Stato. Avere una proprietà a Piossasco non è molto facile, perché è sempre una città dormitorio, però noi riusciamo ad avere una buona clientela. Per me è comunque il lavoro più bello del mondo, viaggiare è la mia passione e lo faccio tanto anche nel mio tempo libero con la mia famiglia.
Nel mio poco tempo libero, mi piace passeggiare, andare in piscina, chiacchierare e andare a prendere gli aperitivi con le amiche. Come passione mi piace tanto leggere, viaggiare, incontrare persone di altre culture. Parlo tranquillamente lo spagnolo, il francese, l'inglese e un po' di tedesco.
A Piossasco, credo che il Comune dovrebbe fare più manutenzione e pulizia delle strade. Facevo parte dell'Associazione commercianti che adesso però non c'è più.
Sono Donatella Ruggieri, ho 68 anni. Sono nata a Monza e vivo a Piossasco dal 1981. Abitavo a Torino e mi sono trasferita qui perché mio marito Giulio ha comprato una libreria qui.
Ho lavorato come insegnate per molti anni e sono anche diventata dirigente scolastica. Ho lavorato prima a Cumiana, a Pinerolo e a Bruino. Non ho quindi mai lavorato a Piossasco, ma l'ho sempre vissuta come abitante e utente dei vari servizi.
A Piossasco mi trovo bene, ma la trovo molto cambiata negli ultimi anni in peggio. Penso sia diventata meno dinamica. Mi spiace tanto vedere decadere il centro storico. Spero che Piossasco torni ad essere più viva, che si rimettano in funzioni alcuni luoghi di incontro e di aggregazione per i giovani e non solo. Una volta c'era anche un festival Jazz. Spero che le iniziative che verranno attivate siano sempre più attente anche all'ambiente. Vorrei che si agevolassero i servizi di trasporti verso la città o l'aeroporto. Vorrei che si costruissero delle piste ciclabile protette, perché tutte le persone possano usare la bicicletta, anche per andare a scuola. Vorrei che ci fossero negozio bio e di prodotti sfusi.
Sono sempre stata una donna attenta ai problemi delle donne, fin da quando ero all'università. Quando sono andata in pensione ho quindi scelto di diventare una volontaria dell' associazione Gaia per le donne. Purtroppo siamo un gruppo di donne di una certa età e vorrei che ci fossero dei nuovi ingressi nel gruppo.
Io sono una appassionata ceramista, ho il tornio e il forno e produco molte cose che spesso regalo. Ho fatto anche dei mercatini. Mi piace anche moltissimo stare all'aria aperta, come il giardinaggio e fare delle camminate.
Mi chiamo Giulio Ameglio e ho 70 anni. Vivo a Piossasco dal 1981. Sono sposato con Donatella e abbiamo avuto due figli, Francesco di 33 anni e Irene di 37. Sono arrivato a Piossasco perché ho comprato una libreria qui. Sono stato un libraio per tre anni e poi ho fatto l'insegnante per tutto il resto della mia vita. Adesso sono in pensione. Insegnavo italiano e storia prima nella scuola media a Piossasco e poi in un liceo a Pinerolo .
Sono sempre stato molto appassionato di fotografia, quindi da quando sono in pensione mi dedico a quello. Faccio anche parte di un'associazione di Pinerolo, nella quale mi occupo di counselling, quindi seguo delle persone in difficoltà, come famiglie, coppie, ma anche adolescenti. Mi piace tanto stare all'aria aperta. Faccio anche parte di "Piossasco a pedali" perché l'idea è quella di mantenere un luogo dove sia i bambini che gli adulti possano godere della città in bicicletta, ma anche a piedi. Infatti mi piacerebbe limitare anche il traffico delle automobili e dei mezzi privati, potenziando gli autobus verso la città ma anche verso la ferrovia.
A Piossasco mi trovo bene perché non c'è il caos della città. Desidero che Piossasco sia sempre più attenta all'ambiente e che il Comune si occupi degli spazi verdi della città, soprattutto dei parco giochi per bambini, che sono fondamentali. Mi piacerebbe che ci fossero degli spazi di aggregazione per giovani e per gli adolescenti. Nel passato esistevano questi luoghi, ma piano piano li hanno chiusi tutti.
Nicoletta Cerrato racconta la sua esperienza politica e il suo impegno come assessore nel comune di Rivalta, descrivendo un percorso ricco di sfide, successi e una forte passione per il bene della comunità. Nicoletta Cerrato è attualmente al suo terzo mandato come assessore a Rivalta, iniziato nel 2007. Durante questi anni, ha ricoperto diversi ruoli, iniziando come Assessore alla cultura e ai giovani (2007-2012), passando poi ad occuparsi anche di pari opportunità, pace e immigrati nel mandato 2017-2021, fino ad arrivare all'attuale incarico che include cultura, biblioteche, pari opportunità e terza età. Nicoletta tiene a sottolineare l'importanza delle sue deleghe, spesso considerate "femminili", ma che lei vede come fondamentali per il benessere delle persone e per diffondere conoscenza e cultura. Per lei, queste deleghe non sono confinate a temi specifici, ma influiscono sul benessere complessivo della comunità, richiedendo un lavoro di coordinamento con scuole, associazioni e altre realtà locali. Uno dei progetti di cui Nicoletta è più orgogliosa è il trasferimento della biblioteca nel castello di Rivalta nel 2017. Questo progetto ha trasformato il castello in un vero e proprio polo culturale, facendo della biblioteca una sorta di "piazza sociale". Qui non si promuove solo il libro e la lettura, ma si organizzano anche laboratori, eventi culturali, e incontri su musica, teatro, letteratura e cinema. La biblioteca è diventata un luogo di incontro e scambio per la comunità, un punto di riferimento culturale e sociale. Nicoletta descrive il suo ingresso in politica come un evento quasi casuale. La sua avventura è iniziata con la partecipazione all'associazione "Rivalta Millenaria" nel 2004, un'associazione dedicata alla valorizzazione dei beni storico-artistici della città. Quando l'assessora uscente ha terminato il suo mandato, Nicoletta è stata segnalata per il suo impegno e le sue competenze, trovandosi così a vivere la carica politica più come una responsabilità verso la comunità che come un ruolo tecnico. Trasformare la biblioteca in una piazza sociale non è stato facile, ma i successi ottenuti sono stati numerosi e significativi. Nicoletta racconta con orgoglio dei laboratori di scacchi, che hanno favorito l'incontro tra diverse generazioni. Evidenzia l'importanza di far dialogare tra loro le varie deleghe, come nel progetto "Femminili Plurali", che ha avvicinato persone di diverse età e background, richiedendo costante cura e attenzione. Un tema caro a Nicoletta è quello delle difficoltà che le donne affrontano in politica e nella società. Riflette su come le donne siano spesso giudicate per il loro aspetto fisico piuttosto che per le loro idee e competenze, un problema che limita il tempo durante il quale sono considerate adeguate per i ruoli di responsabilità. Nicoletta sottolinea come questo giudizio estetico influisca negativamente sulla percezione delle capacità delle donne, evidenziando la necessità di un cambiamento culturale. In sintesi, Nicoletta Cerrato ha utilizzato la sua posizione politica per promuovere la cultura e il benessere della comunità di Rivalta, affrontando con determinazione le sfide di genere e impegnandosi a creare un dialogo continuo con i cittadini e le diverse realtà del territorio. La sua storia è un esempio di come la passione e l'impegno possano fare la differenza nella vita di una comunità.
Mi chiamo Anna Maria, ho cinquantanove anni e attualmente mi occupo di mia mamma, della mia madrina e di me stessa. Cerco di ottimizzare le mie risorse per non pensare ai miei mali, impegnandomi in tutto ciò che faccio. Nella vita mi sono diplomata come ragioniera e ho cercato di proseguire gli studi per diventare ISEF, ma non mi sono mai laureata. Tuttavia, grazie agli esami superati, ho potuto lavorare per ventidue anni con i progetti di attività motoria nelle scuole.
Ho deciso di fare un corso di personal computer per non dipendere dai miei figli e per entrare nel mondo dell'organizzazione di eventi sportivi. Tuttavia, non sono riuscita a realizzare questo progetto poiché mia madre si è ammalata e mi sono dovuta occupare di lei. Ho messo a frutto il corso lavorando prima come stagista e poi presso un CAF di Rivalta. Mi è piaciuto molto perché, in quel periodo, stavo occupandomi del censimento delle case popolari, e mi piaceva l'interazione con l'utenza.
Sono cresciuta a Mirafiori, un quartiere che ho sempre amato. La parrocchia è stata un punto fermo della zona, e mi fa piacere vedere persone che sono cresciute in questo contesto operare oggi all'interno di varie associazioni. Con altre donne, abbiamo fondato un gruppo importante chiamato "Donne in Movimento". È stata un'esperienza bellissima perché cercavamo di coinvolgere altre persone.
Ho sempre imparato grazie a mio padre a vivere il territorio, a partecipare e ad essere attiva, senza dare nulla per scontato. Ho subito un danno ospedaliero dopo un intervento, e nonostante i miei ricorsi, ho ottenuto un'ingiustizia, diventando una persona invalida. Tuttavia, sono fortunata ad avere un marito che ha condiviso ogni mia scelta, dando priorità alla crescita dei nostri figli.
Non sono pentita di ciò che ho realizzato nella vita, e considero i valori familiari molto importanti. Vorrei tanto laurearmi, poiché per tre esami non sono riuscita a completare il mio percorso di studi. Non escludo di poter riprendere a studiare dopo il matrimonio di mio figlio, perché sento di aver lasciato qualcosa in sospeso. Inoltre, per me è fondamentale che, a prescindere da tutto, la donna possa essere economicamente indipendente, poiché questo le consente di avere la mente libera.
Mi chiamo Lorenzo e ho frequentato le scuole a Rivalta. Ho praticato calcio sin dai miei cinque anni presso l'associazione Rivalta Val Sangone. Attualmente continuo a essere coinvolto in questo mondo, non più come giocatore ma come allenatore. Ho sempre fatto sport a Rivalta fino ai sedici anni. Il calcio è sempre stata una passione che mi è stata trasmessa da mio padre.
Rivalta è un paese che mi piace perché è ricco di verde, anche se ho abitato in una zona con una forte concentrazione di abitazioni, ma circondata da prati verdi. Tuttavia, la situazione è cambiata da circa un anno, da quando mi sono trasferito in zona Santa Rita, dove la situazione è decisamente diversa.
Mi sarebbe piaciuto avere un punto di ritrovo per i giovani sul territorio rivaltese, come un bar o un pub aperto la sera. Anche i mezzi pubblici offrivano pochi collegamenti. Attualmente lavoro presso un'azienda sanitaria privata e alleno dei bambini in una polisportiva di Orbassano. La mia mansione lavorativa consiste nella gestione del magazzino centrale, occupandomi dell'uscita e della ricezione di mezzi sanitari che abbiamo in tutto il Piemonte.
Ho sempre frequentato attività con i bambini, poiché mi gratifica molto lavorare con loro. Anche se il calcio è uno sport molto pubblicizzato e popolare, spesso si pensa più al compenso che al divertimento. Tuttavia, ci sono molti altri sport in crescita, come il tennis.
Da bambino avevo il sogno di giocare sempre con gli stessi amici con cui avevo iniziato a cinque anni. Non mi interessava diventare un calciatore famoso, poiché sono una persona piuttosto riservata. Sono aperto a diversi generi musicali e ascolto un po' di tutto. Attualmente, non ho molto tempo libero, quindi le mie attività si limitano al lavoro e all'allenamento dei più piccoli.
Il mio desiderio più grande in questo momento è arrivare a settembre, in vista del mio matrimonio, con tutta la gente che attualmente non sta molto bene di salute, nella speranza che possano essere presenti nel giorno più importante della mia vita.
Mi chiamo Viorel Gravilescu, sono rumeno e abito a Rivalta, dove lavoro dal 2002. Ho tre figli e mi sono sempre trovato bene qui, poiché è una cittadina tranquilla, con molto verde, ed é comoda per me a livello lavorativo.
Nel tempo libero mi piace stare a contatto con la natura, coltivare e curare i fiori. Ho il pollice verde e mi dedico con passione agli spazi disponibili, piantando ogni tipo di fiore o pianta. Purtroppo, non ho spazio sufficiente per coltivare verdure.
Il mio sogno più grande è vivere in pace e serenità, poiché, data la situazione attuale con tutte le guerre nel mondo, non è affatto scontato.
Mi chiamo Sadouk Noureddine e sono in Italia da molti anni. Mi trovo bene, la maggior parte della mia vita l'ho passata sempre qui.
Adesso lavoro in una ditta che si occupa di tubi, dallo stampaggio all'imballaggio, una fumisteria. Vivo a Pasta di Rivalta dal 2004, mi sono trasferito qui da Torino. Più di vent'anni!
Mi trovo bene qua a Rivalta, che è cambiato in positivo grazie a tante iniziative. Ben venga il cambiamento. Dai giardini, alle scuole...ogni città ha i suoi problemi. Ad esempio Torino è una città molto diversa, più grande e con più questioni. Rivalta è una città piccola e si sta meglio.
Spero che ci siano più investimenti sui giovani e più attività volte a orientarli verso un futuro lavorativo. Con l'arrivo Internet, la gente non vuole più fare i lavori che si facevano prima, molti giovani sembrano più interessati alla tecnologia e agli smartphone che al lavoro manuale. Questo cambiamento li rende un po' persi e credo sia necessario offrire loro il giusto supporto per affrontare le sfide della vita reale.
Nel tempo libero mi piace passeggiare per staccare dalla routine lavorativa. I costi elevati e il caro vita hanno cambiato le abitudini, quindi cerco di adattarmi a ciò che posso fare. Sebbene abbia molti sogni, desidero rimanere sul territorio rivaltese perché mi offre la serenità necessaria per vivere bene.
Mi chiamo Aldo Farina, sono un operaio e lavoro da 38 anni. Abito a Rivalta da quarantacinque anni. Mi trovo quasi bene, anche se i servizi disponibili non sono molti e la città appare un po' chiusa. Mancano svaghi per i giovani e prestazioni adeguate per gli anziani, quindi spesso è necessario spostarsi altrove. Vorrei che ci fosse maggiore disponibilità, soprattutto per le persone più grandi.
Rispetto al passato, noto che c'era più libertà; ora la gente è più riservata e chiusa, e non capisco il motivo di questo cambiamento. Ho giocato a calcio per trent'anni e ho praticato molti sport, tranne lo sci, che non mi è mai piaciuto.
Faccio il decoratore e l'ho sempre fatto. Sono nato per questo lavoro. Richiede una buona preparazione, e se non viene eseguita correttamente, il risultato non sarà all'altezza. Utilizzo diverse tecniche, come l'effetto marmorizzato, l'effetto brillantinato, le terre fiorentine, l'arabesque, il rustico e altre. È importante osservare i lavori dei professionisti più esperti e cercare di apprendere i segreti del mestiere. Questo lavoro mi dà molta soddisfazione.
Mi piace molto il karaoke, una passione che praticavo spesso, e sono un grande fan del rock italiano, avendo partecipato a molti concerti. Amo anche il mondo culinario e di solito preparo io i pasti. Purtroppo, ora non ho più il tempo libero di una volta. Vorrei che ci fossero più attività e locali a Rivalta, più vivacità come nei tempi passati; una volta ci si divertiva di più.
Non ho un desiderio specifico per il futuro, dato che ho già vissuto gran parte della mia gioventù. Forse mi piacerebbe avere una compagna per la vecchiaia, poiché non è bello stare da soli.
Mi chiamo Mohamed Fares, vengo dal Marocco e sono arrivato in Italia nel 1988. Ho lavorato in vari posti a Torino come macellaio e poi a Biella. Per molti anni ho vissuto a Rivalta e, dopo, ho lavorato in una ditta che si occupa di fornire tubi per stufe. Dopo i primi quattro mesi, ho subito un incidente e mi sono tagliato le dita. Grazie al supporto fondamentale di mia sorella, che mi è stata vicina durante le varie operazioni, sono riuscito a superare questo periodo difficile.
Nel 2005 mi sono sposato e nel 2006 è nato il mio primo figlio. Successivamente, nel 2010, è nata una seconda bambina. L'Italia mi ha dato tutto ciò di cui avevo bisogno e mi fa stare bene, anche se rimango molto legato alla mia cultura e alle mie tradizioni. Nonostante ciò, non potrei mai cambiare l'Italia con un altro paese.
La ditta per cui lavoro è grande e ha avuto persone a capo molto professionali e umane. Esportiamo all'estero e il nostro team è vario, composto sia da giovani che da persone con esperienza. La mia grande passione è la macelleria e le sue tecniche; infatti, nel tempo libero, vado da un macellaio a Biella, Mosca, per migliorare le mie competenze.
Per i miei figli sogno un futuro qui in Italia. Vorrei che diventassero persone importanti nel loro territorio e che contribuissero positivamente al paese. Il mio desiderio è vederli in mansioni di rilievo o sentire il mio cognome, portato da loro, circolare in Italia, magari in televisione. Questo mi renderebbe molto fiero.
Mi chiamo Marco e abito a Rivalta da quando sono nato. Lavoro qui dal 1993.
Ho visto la città cambiare notevolmente. Sono in corso molte costruzioni e ci sono più persone, anche se sembra che non si vedano molto in giro... La sera e la domenica, il territorio sembra sempre deserto. La gente nuova non si vede, lavorano e poi magari stanno di più in casa e non frequentano la città. È un paese vecchio. All'asilo si vedono le mamme che vengono a prendere i bambini, ma a parte quello...
Rivalta offre tutto ciò di cui si ha bisogno per le prime necessità, a differenza di Torino, che, essendo più grande, presenta difficoltà logistiche. La mia famiglia è storica di Rivalta; abbiamo sempre abitato qui, cambiando casa ma non territorio. I miei familiari hanno assistito alla nascita e alla crescita della cittadina nel corso degli anni, e la trasformazione è stata molto interessante.
Nel tempo libero, mi piace leggere, soprattutto biografie. Il mio desiderio è andare in pensione in buona salute e vedere tutti i miei familiari stare bene fisicamente.
Mi chiamo Giulia, ho 27 anni e vivo a Orbassano. Mi sono laureata da poco in lingue e letterature moderne.
Ho da poco cominciato un lavoro presso il comune di Orbassano presso la segreteria del sindaco e sto cominciando a costruire la mia vita.
Nel tempo libero collaboro con l'associazione AGESCI. Ne faccio parte fin da piccola e crescendo ho deciso di dare anche io il mio contributo come capo scout.
Mi chiamo Martina e sto per compiere 30 anni.
Mi sono trasferita ad Orbassano di recente dal mio compagno perché è una bella città che ti fa sentire parte viva della comunità. Ho lavorato per molti anni in un negozio di Orbassano. Poi ho deciso di tentare con un concorso e ho iniziato un percorso lavorativo presso il Comune di Orbassano.
Negli anni di lavoro, ho anche studiato all'università e da qualche anno mi sono laureata e spero di riuscire a lavorare nell'ambito dei miei studi.
Il tempo libero lo dedico alla mia famiglia, ai miei nipoti.
Orbassano secondo me è una città molto adatta alle famiglie e mi trovo veramente bene qui.
Mi chiamo Francesca, vivo ad Orbassano da quando ero piccola. Sono un'assistente sociale presso il Cidis da circa 20 anni e una consigliera presso il comune di Orbassano.
Dal 2018 mi sono candidata consigliera e per un periodo sono stata anche assessora allo sport.
Dedico la maggior parte del mio tempo alla mia città, Orbassano, in primis come assistente sociale e poi anche come consigliera e come cittadina.
Spero di poter fare la differenza per il prossimo mettendoci impegno e fatica.
Sono Cinzia Maria Bosso, sono nata a Rivarolo a 1966. Sono figlia unica. Sono sindaco dal 2018. Mi sono occupata già in passato di attività politica nella Democrazia Cristiana negli anni '80. Ho capito che occuparsi della politica vuol dire comprendere bene i bisogni delle persone e occuparsi del bene pubblico.
Mi sono occupata del personale, di bilanci, di gestione economico-finanziaria. Direi che ho una buona esperienza nell'ambito amministrativo, cosa che mi ha aiutato molto già da consigliera.
Io sono il primo sindaco donna di Orbassano e il primo sindaco che ha affrontato una pandemia.
E' necessario che tutti si occupino del bene comune. Bisogna spostare la prospettiva. I cittadini si lamentano, ma credo che bisognerebbe partire da cosa può fare ognuno di noi per migliorare il territorio, perché ognuno può fare la differenza.
Mi chiamo Elisa e lavoro presso il Comune di Orbassano sotto l'area istruzione e asilo nido dal 2020. Mi occupo delle politiche educative in particolare della disabilità e del sostegno scolastico dedicato.
Per me è molto importante che tutte le persone riescano a trovare la propria autonomia attraverso il lavoro, per questo mi appassiono al mio lavoro e vorrei occuparmi sempre di più di inserimento lavorativo per le persone più fragili.
I miei genitori mi hanno insegnato che ognuno di noi è bravo a fare qualcosa e questo bisogna sempre valorizzarlo.
Mi chiamo Fabio, lavoro nel Comune di Orbassano, Ufficio Personale dal 2016. Mi piace questo lavoro per il contatto umano che richiede e per la soddisfazione di essere utili.
Prima lavoravo per l'agenzia regionale che si occupa di pagare i contributi comunitari agli agricoltori. Quello era un lavoro più vicino ai miei studi di Scienze Forestali.
Ho una grande passione per il legno e per la natura in generale che mi hanno portato a scegliere l'indirizzo di studi.
Nel tempo libero faccio della falegnameria e coltivo il mio orto.
Sono una persona molto curiosa e con una passione per la manualità che mi hanno fatto esplorare moltissimi hobby e lavori diversi, ad es. ho frequentato un corso professionale per saltatore e carpentiere in ferro.
Sono un' impiegata del Comune di Orbassano e mi occupo di dare supporto al Segretario nella Segreteria Generale. Nello specifico mi occupo della parte finale dei contratti.
Prima di questo, lavoravo in un negozio di musica come responsabile delle risorse umane e successivamente in ASL. Ho lavorato tanto con il pubblico e ci sono dei lati positivi e negativi, spesso ti trovi a confronto anche con persone molto maleducate, ma in altre situazioni ci si sente molto utili.
Per me è una città meravigliosa, non fosse per il clima umido e uggioso e per la mancanza del mare.
Faccio quasi sempre l'abbonamento musei, così siamo molto invogliati ad andare a vedere le mostre. Anche nostro figlio viene con noi e penso gli piaccia proprio. Mi piace camminare, ma nessun'altro sport. Mi piace viaggiare e vorrei farlo di più, per esempio tutta l'area della vecchia Europa.
Mi chiamo Valentina, ho 26 anni e da qualche anno lavoro presso il Comune di Orbassano.
Mi sono avvicinata al diritto già alle superiore perchè ho frequentato il Liceo delle Scienze Umane con specializzazione economico/sociale, poi ho proseguito con gli studi universitari in giurisprudenza nello specifico diritto per le imprese e istruzione.
Questo mio percorso mi ha portato ad intraprendere i concorsi per entrare nella Pubblica Amministrazione. Ad oggi sono molto contenta del mio lavoro. E' un servizio pubblico che se fatto con passione porta a grandi soddisfazioni.
Amo molto l'ambiente di lavoro che ho trovato e il poter essere di aiuto al prossimo.
Ciao sono una donna di 54 anni con due figli adolescenti e lavoro nel Comune di Orbassano nella Segreteria Generale.
Prima di iniziare il lavoro in questo ufficio ero agente di Polizia Locale e amavo molto quel lavoro. Era dinamico, versatile e riuscivo a stare di più all'aria aperta ed a contatto con le persone.
Sono passata ad amministrava per gestire meglio la mia vita familiare. Il lavoro di poliziotta mi manca, ma il lavoro che faccio adesso mi da anche delle soddisfazioni.
Il nostro ufficio lavora sempre in coordinamento e collaborazione con gli altri uffici del comune e questo lo rende stimolante, ma anche impegnativo.
Mi chiamo Domenico e lavoro nel comune di Orbassano da 30 anni circa. Ho cominciato nell'ufficio di edilizia privata per arrivare a quello di cui mi occupo adesso nell'ufficio ambiente, casa, assistenza, istruzione e asilo nido.
Il servizio di cui mi occupo è certamente uno dei più delicati e complessi, ma che svolgo con passione.
Penso che bisognerebbe fare degli eventi o delle attività dedicate ai giovani, per esempio una buona discoteca. Sicuramente non è facile, però servirebbe trovare degli spazi specifici per i giovani.
Mi chiamo Antonio e abito ad Orbassano. Attualmente sono pensionato e consigliere comunale.
Ho lavorato 47 anni nell'arma dei Carabinieri di cui gli ultimi 17 anni come comandante della stazione di Orbassano.
Siamo come carabiniere che come consigliere mi occupo della sicurezza della mia città.
Mi ritengo fortunato perché nella vita ho fatto quello che desideravo fare.
Il mio obiettivo era quello di poter aiutare il prossimo.
Gianni Persico, 65 anni, è pensionato e dopo varie esperienze legate all'associazionismo cattolica, da circa 25 anni si occupa di promozione sportiva attraverso associazioni sportive del territorio. Attualmente è presidente dell'associazione Alter 82 di Piossasco che collabora che Alter associazioni di Rivalta e Orbassano per sviluppare attività sportive per i giovani. La sua realtà è convenzionata anche con CIDIS e hanno dato vita a diverse attività tra cui attività estive per i minori, promozione di pratica sportiva , attività che mirano a promuovere il benessere delle mamme e dei bimbi pre e post partum. Alter 82 fa parte anche di esperienze consortizie, sotto forma di ATS, sia per la gestione di impianti sportivi che per la promozione di corsi, attività sportive rivolte a tutti. Su Piossasco, target di Alter82 è anche la terza età. L'anno scorso è stato dato vita ad un nuovo corso di fitness, in collaborazione con l'associazione LVIA che mirava di dare spazio alle donne adulte con background migratorio. Alter82 è nato nel 1982, grazie ai giovani d'allora che notarono la necessità di sviluppare uno spazio orientato a tutti e di dare spazio ai sport, considerati sport minori come pallavolo, pallamano. Pian piano Alter82 si è concentrata su pallacanestro, che divenne uno dei sport principali dell'associazione.
Gianni Persico è un perito meccanico, ha lavorato per tanti anni nell'ambito automotive, come responsabile commerciale. Ha fatto servizio civile per due anni a Piossasco. A 25 anni è diventato padre, dove ha seguito poi il percorso dei figli che si è dedicato al mondo scout, allo sport. Gianni non è mai stato sportivo, questa passione è nata grazie ai figli.
Il suo desiderio è quello di riposarsi un po' , di dedicare più tempo ai nipoti, di vedere i giovani che crescano più in fretta e che ci sia più spazio di fare volontariato.
Macello Marco ha 58 anni e lavora nel pubblico da 40 anni, di cui 20 anni nel Comune di Piossasco. E' sposato ed ha una figlia di 24 anni. Subito dopo la licenza media ha iniziato a lavorare. E' nato a Frossasco e tutta la sua famiglia vive li.
Ha lavorato come autista scuolabus per 15 anni e attualmente svolge la mansione di messo comunale. Il lavoro come autista scuolabus li e piaciuto particolarmente, in quanto era molto a contatto con i bambini. Adesso passa maggior parte del tempo in ufficio, esce sul territorio soprattutto il pomeriggio. La mattina lavora in ufficio invece, si occupa della registrazione delle pratiche. Si trova bene al lavoro, mancano massimo 2 anni alla pensione. Parla poco l'inglese. La parte più complessa del suo lavoro è la notifica degli atti agli utenti, in quanto non tutti reagiscono in maniera molto semplice.
Nel tempo libero li piace andare a pescare, andare in moto, camminare all'aria aperta e in montagna. Piace anche il mare, ma sceglierebbe più volentieri la montagna. E' donatore di sangue e vorrebbe viaggiare bene in tutta l'Italia.
Il suo desiderio è quello di poter andare in pensione cosi da dedicare più tempo ad altre cose, come per esempio viaggiare, far parte di qualche realtà associativa ecc.
Nata e cresciuta a Piossasco, dove vive ad oggi, ha 52 anni e attualmente è una collaboratrice amministrativa part-time. Dopo la terza media, ha fatto una scuola professionale come parrucchiera ed estetista, professione che ha svolto per poco tempo. Inizialmente ha svolto diversi tirocini presso diversi enti pubblici, e adesso invece è una dipendente dell'ente pubblico.
Ha un suo nucleo famigliare, ancora i genitori viventi, diversi amici che occupano uno spazio importante nella sua vita. Il suo hobby, una sua grande passione sono le piante, vedere la loro evoluzione. Ha il pollice verde. Ama la primavera, in quanto è la rinascita delle piante. Qualche anno fa ha iniziato ad apprezzare anche l'autunno, ritiene che assieme alla primavera siano le stagioni della mutazione della natura. La sue piante preferite sono le orchidee, in quanto le ritiene come piante molto eleganti e dai colori molto accesi. E' diventato un hobby anche la cucina, un po' per necessità, ma si è appassionata di cucina fin da piccola, nello specifico i dolci nonostante non sia molto golosa. Le piace molto anche camminare e andare in bici, le permettono di valorizzare molto di più quello che è a disposizione della natura ed sono gli unici sport che pratica. La vita tra la famiglia e il lavoro le lasciano poco tempo libero a disposizione.
Il lavoro che svolge le piace molto, essendo a contatto con il pubblico quotidianamente e si sente molto fortunata. Il suo desiderio preferito è quello di vedere sua figlia realizzata.
Secondo lei, a Piossasco mancano luoghi di aggregazioni per i giovani, che non siano i bar. Si potrebbe provare a offrire qualche iniziativa, magari qualche locale serale tranquillo.
Raffaele Giuliano ha 23 anni, attualmente frequenta il terzo anno di educazione professionale all'Università di Torino. Da 17 anni gioca a calcio ed è interessato alla musica, al cinema e all'arte, cosa che lo ha portato a interfacciarsi con diverse realtà di Piossasco. E' animatore della parrocchia, dove i suoi animati attualmente sono i 2006, e questo è l'ultimo anno da animatore.
Ha avuto interesse anche per la politica, ma ha deciso di non andare a fondo e ha deciso di essere parte dell'associazione GIOC, realtà che lo ha aiutato molto in diverse fasi della sua vita, soprattutto quella adolescenziale. E' entrato in GIOC molto silenzioso, ma ha sempre cercato quale fosse il significato profondo della GIOC , non fermandosi al essere solo militante. Prima era responsabile di gruppo e dal 2023 è diventato co-responsabile della zona e svolge attività di ogni tipo. E' una sfida molto importante perché si mette in gioca in molto ambiti e lo ha aiutato a capire quale fossero le dimensioni della GIOC. Le sfide più importanti in questo momento secondo lui riguardano fare rete con più associazioni possibili, essere più presenti sul territorio e agganciare ragazzi che si sono un po' persi durante il percorso.
Fin da piccolo è parte di diversi gruppi e apprezza molto lo stare in gruppo. E' uno dei punto su cui vorrebbe provare a fare qualcosa, in quanto nota che sempre di più c'è individualismo e poca partecipazione alla vita di comunità. Secondo lui a Piossasco c'è ancora bisogno di sviluppare maggiormente anche la comunicazione.
Silvio Verruva, 44 anni, attualmente lavora a Rivalta nell'ufficio civile. E' nato a Torino dove ha vissuto per 30 anni, poi si è trasferito a Beinasco, dove vive tutt'ora con sua moglie e le sue due figlie di 8 e 3 anni. Si sente "beato tra le donne" doppiamente, in quanto anche nell'ufficio, cosi come a casa, è circondato da soli donne e si trova molto bene. Silvio è stato avvocato penalista per 12 anni, ma poi dal 2021 lavora nel comune di Rivalta. Conosce Rivalta per motivi lavorativi e partecipa a qualche evento o manifestazione in maniera molto sporadica. Il lavoro riempie molto spazio nella sua vita, ma si sente molto gratificato e contento dal lavoro attuale.
Ha la passione della lettura, il cinema, anche se avendo due bimbe piccole queste due passioni rimangono un po' ferme in quanto dedica molto tempo a loro, che sono una fonte di grande felicita e amore. A Silvio piace molto anche il calcio, è tifoso del Toro. Quando era ragazzino, per un paio di anni andava allo stadio insieme al padre. Ad oggi, invece va molto raramente. Insieme ai colleghi hanno messo su una squadra di calcio a 5 e si comincia a giocare seriamente e punzecchiarci con chi tifa l'altra parta. Non si punzecchia più solo verbalmente, adesso saranno i fatti a parlare!
Un passatempo preferito è leggere romanzi gialli, fantasy, e ogni tanto anche romanzi storici. Rispetto al cinema li piace ka commedia italiano, fantascienza. Una categoria che non ha mai catturato il suo interesse è l'horror, non riesce a concepire come una persona paga per avere paura!
Il suo desiderio principale è la salute della famiglia e delle persone care a lui, seguito poi dal desiderio di essere un ottimo padre e marito.
Maurizio de Conti, 50 anni, è nato a Torino e si è trasferito a Settimo Torinese dove ha vissuto per quasi 35 anni. Si è sposato e si è spsotato a vivere a Mirafiori. Ha un bimbo di 5 anni.
Lavora a Rivalta ed è esperto di comunicazione, di social, grafica. In più è esperto di lavoro e lavora in un centro lavoro dove si occupa di bilancio delle competenze. Maurizio è anche fotografo sociale, dove usa la fotografia per fare azioni sociali e lavora con le persone con parkinson.
Ha tante passioni tra cui pallavolo, suona il basso, suona la chitarra. Con Rivalta ha un legame lavorativo, dove attualmente si occupa della parte di comunicazione, dalla realizzazione del sito alla comunicazione di eventi culturali, festival, sport ecc.
Fiorella Rambaudi, nata a Rivoli, lavora per il comune di Rivalta dal 2001 all'interno dei servizi demografici ed è un settore che le piace molto, in quanto le permette di rimanere in conttato con il cittadino e i diritti primari della vita. Attualmente sta facendo acluni corsi di formazione sulla comunicazione cosi da poter acquisire competenze in più per relazionarsi nel miglior modo con glu utenti.
Per molti anni ha vissuto a Piossasco e poi si è trasferita a Rivalta, dove vive insieme al marito e al figlio.Prima di lavorare per il Comune di Rivalta, ha lavorato presso uno studio di privato dove si è occupata della parte amministrativa. Ha il diploma di Perito Aziendale in lingue estere; parla francese e inglese.
Ha lavorato in modo approfondito con se stessa, con diversi metodi ; metodo di Costellazioni familiari, metodo delle reti, e altri percorsi di crescita personali e li considera molto utili in quanto fanno apprezzare lal vita e gli aspetti meno noti.
A Fiorella piace molto camminare, passeggiare, stare con la famiglia e gli amici.
Simone Franco è nato a Torino e quest'anno compie 41 anni. Ha vissuto a Collegno fino all'eta di 26 anni, quando al primo contratto a tempo indeterminato si è trasferito ad Almese, dove vive tutt'ora. Ha fatto il liceo scentifico a Grugliasco e dopo si è iscritto all'Università in Multidams nel 2002, che era una facolta mista tra dams e informatica. Vorrebbe riprende l'Università e finire il percorso di studio.
Simone è appassionato di cinema e ha fatto un corso della Regione su ripresa e montaggio video, grazie al quale ha intrapreso come percorso lavorativo. Dal 2008 fino al 2014 ha lavorato presso una TV privata di Torino. Per altri due anni ha lavorato con un altro servizio, ma non si è trovato molto bene. In quel periodo ha poi deciso, insieme alla sorella di aprire un minimarket, dove vendevano tutto sfuso. Dal 2017 al 2023 ha portato avanti il negozio, ma poi ha deciso di fare un concorso per gli enti pubblici.
Da giugno 2023 lavora presso il Comune di Rivalta nell'ufficio commercio ed è la prima esperienza nel pubblico. Si trova bene, ma ha molto da imparare.
Si trova bene a Rivalta, in quanto più piccola e più diretta , si ha spazio per avere un rapporti personali più accoglienti e gentili , e anche più diretti con l'amministrazione. I spazi verdi, la ricchezza di eventi in città lo portano a valorizzarlo di più.
Mi chiamo Elena, ho 38 anni e abito a Rivalta dal 2015. Adesso sono separata e vivo con mia mamma, che è invalida, e tre bambini: Noah, che ha 12 anni, Francesca, 8, e Manuela, 6. Noah è in affido singolo indeterminato, fino al 18esimo anno d'età. É figlio di mia sorella, mentre le bimbe sono del mio ex marito. Mi divido tra il lavoro, che svolgo presso l'Ufficio Direzionale di Intesa San Paolo, e le attività di associazionismo, oltre che alla cura dei ragazzi. Ora va meglio, ho avuto un periodo difficile, ho avuto una promozione e mi trovo bene.
Noah ha delle difficoltà, ha una disprassia motoria e la sindrome di Asperger, sono difficoltà legate alle esperienze vissute da mia sorella durante la gravidanza. Per quanto riguarda la scuola, sono soddisfatta dei docenti, ma purtroppo non del contesto sociale. Sono rappresentante di classe e vedo molto bullismo, minacce e cattiverie da parte di bambini e genitori. Ci molta discriminazione contro le persone con disabilità, le persone omosessuali e le persone rom. Nonostante Noah abbia un'intelligenza superiore alla media e sia accompagnato dall'insegnante di sostegno, il contesto sociale è molto difficile. Francesca è autistica e non riesce a comprendere quando viene presa in giro o subisce altri atteggiamenti negativi. Le è stato diagnosticato un autismo grave non verbale, il periodo in cui è emersa la diagnosi è stato particolarmente difficile.
Rivalta si è dimostrata un'isola felice per noi, offrendo un grande supporto. Io non mi trasferirei mai da Rivalta! Il contesto è molto positivo per i bambini con disabilità. Grazie alle cure e al sostegno adeguato, Francesca frequenta regolarmente la scuola, parteciperà alle Paralimpiadi, ha fatto il corso di sci e si impegna in molte attività. Fa tante cose che mi avevano detto che non avrebbe mai fatto.
Purtroppo, sia Noah che Francesca hanno pochi amici, a causa di una grande diffidenza sociale. Credo sia necessario intervenire sui genitori per promuovere l'inclusione, lavorare sulle scuole e ascoltare testimonianze attive per normalizzare la presenza di bambini disabili, rom e di altre culture nella società. È fondamentale anche un intervento sui docenti per diffondere una maggiore conoscenza e comprensione dell'altro. Il richiamo disciplinare deve essere applicato a tutti, come avviene anche in altri ambiti lavorativi.
Mi occupo di tante cose e, avendo avuto una vita complicata, lotto costantemente. Mi rilassa cucinare dolci e creare oggetti manualmente. Vorrei poter avere un po' più di normalità e serenità nella mia vita.
Mi chiamo Luigi Gallo e sono cittadino rivaltese da sempre. Ho vissuto e studiato a Rivalta, e dopo aver completato le scuole, ho iniziato a lavorare al servizio del Comune di Torino. In seguito, sono entrato nel Corpo dei Vigili Urbani, dove ho lavorato per 36 anni prima di andare in pensione. Nonostante il disagio dei trasporti, non ho mai voluto trasferirmi a Torino.
Ho cominciato a fare volontariato sociale all’età di diciassette anni, dedicandomi a un gruppo della parrocchia e a un centro ricreativo assistenziale. Questo gruppo giovanile aveva creato una biblioteca di assistenza per le persone in pensione e io mi occupavo anche della stampa del giornale periodico. Don Bartolo Perlo ha avuto un impatto significativo sulla mia vita e su quella di molti altri rivaltese grazie al suo coinvolgente modo di fare. Con la sua ispirazione, è stata fondata l'Atlavir, e ho ricoperto il ruolo di presidente dell'associazione per circa dodici anni.
Dopo questa esperienza, ho continuato a partecipare al giornale parrocchiale, scrivendo articoli su vari temi. Nel 1993, ho intrapreso una carriera politica attiva, venendo eletto consigliere comunale e assessore all’ambiente. Durante questo periodo, ho sospeso l'attività di giornalismo. Al termine della mia carriera politica, ho ripreso a scrivere e mi è stata proposta l'idea di documentare la storia di Rivalta. Ho scritto cinque o sei libri, basandomi su una rigorosa ricerca e sulle testimonianze degli anziani del paese, che sono state le mie principali fonti. Questo lavoro di documentazione minuziosa è stato molto soddisfacente per me; ritengo che mantenere viva la memoria storica sia fondamentale.
Ho vissuto tutta la trasformazione di Rivalta, da un paese prevalentemente agricolo a una realtà con un numero crescente di aziende e una grande espansione edilizia, che ha comportato anche una trasformazione sociale significativa. Tuttavia, vedo Rivalta ancora come un paese dormitorio, dove le persone si trasferiscono senza un vero coinvolgimento nella vita sociale e culturale della comunità. Questa apatia mi delude, poiché sembra che l'interesse emerga solo quando ci sono questioni economiche in gioco. Anche se molte associazioni organizzano eventi, la partecipazione è spesso limitata ai soliti frequentatori. I vicini sono quasi invisibili, tranne in occasioni gastronomiche che attirano la gente. Credo che sia fondamentale puntare sui giovani e cambiare la mentalità, educandoli a un diverso approccio alla comunità. Mi auguro che ci siano più giovani coinvolti nella ricerca storica a Rivalta.
Mi chiamo Elisa Aresu, sono insegnante di scuola elementare e presidente dell'associazione Il Filo d'Erba. Questa associazione ha una grande importanza per me, sia perché sono cresciuta qui, sia per scelta personale, in quanto mi consente di accompagnare le persone che vivono nella nostra comunità come una grande famiglia.
Il Filo d'Erba è una realtà che esiste da trentacinque anni, facente parte del gruppo Abele. È ospitata dalle suore del Santo Natale, che hanno ceduto il comodato d'uso gratuito a Luigi Ciotti. Originariamente nata come comunità terapeutica, si è evoluta nel progetto che conosciamo oggi. L'associazione dispone di circa nove spazi, di cui quattro sono destinati ai residenti, ovvero persone che scelgono di mettersi a disposizione della comunità.
Non ci sono educatori professionisti dedicati a lavorare qui, ma i residenti offrono il loro aiuto nel tempo libero. Chiunque contribuisce alle spese secondo le proprie disponibilità, e un aspetto fondamentale è la cura reciproca e il rispetto degli spazi comuni. Organizziamo diversi eventi durante la settimana: il venerdì sera, il cibo diventa un veicolo di comunicazione e relazione, e il sabato mattina è dedicato ai lavori condivisi, noto come il "sabato del villaggio".
Una caratteristica particolare del Filo d'Erba è il vivavio, che è sempre stato un luogo di accoglienza lavorativa e una porta aperta a chi ha bisogno. Da tre anni, abbiamo aggiunto una libreria immersa tra i fiori, realizzando così il sogno di unire cultura e natura. Questo nuovo spazio ha generato molte opportunità di socializzazione e ha formalizzato un aspetto sempre presente della nostra attività, diventando una seconda porta aperta per la comunità.
I volontari sono la vera forza del Filo d'Erba: circa sessanta persone collaborano in totale autonomia, rendendo ogni individuo qui dentro un membro della famiglia. Disponiamo anche di spazi che lasciamo a disposizione di altre realtà del territorio. Riesco a conciliare il mio lavoro di insegnante con le mansioni presso il Filo d'Erba grazie all'aiuto reciproco di tutti.
Nel mio tempo libero, dedico gran parte del mio impegno al Filo d'Erba, occupandomi dei bambini, delle famiglie e dell'aiuto verso il prossimo. Il mio grande hobby è stare insieme agli altri. Il mio desiderio è quello di avere uno spazio al chiuso molto grande, un aspetto che attualmente ci manca, per poter accogliere un numero maggiore di famiglie bisognose.
Mi chiamo Lillo Cosentino ho settanttatré anni, da sedici anni sono in pensione. Per occupare il mio tempo libero mi sono interessato molto al mondo dell'associazionismo. Sono iscritto a tre, quattro associazioni. La principale è l'Auser Volontariato di Rivalta di cui sono il presidente. Sono ormai alla scadenza del mio primo mandato e non ho intenzione di ricandidarmi, ma non abbandonerò questa realtà perché mi ha arricchito molto. Si è impegnati in tutto il periodo dell'anno, offriamo servizi di accompagnamento per le persone più anziane, invalide sole o malate per recarsi in ospedali, case di cura, farmacie, visite specialistiche. Uno dei principali problemi dei nostri tempi è che le aspettative di vita sono molto elevate: le donne vivono mediamente circa fino agli ottantasei anni, gli uomini ottantuno, perciò si vive di più, ma ci sono cose di tutti i giorni che non sono note. Il fatto che ci sia un'associazione composta da ottantasei soci di cui inquanta fanno opere di volontariato, con trentasette autisti che si alternano a fare questo lavoro, offrendo aiuto a persone che non si conoscono. Viviamo in una città medio-piccola, ma ricca (solo a Rivalta ci sono settantatre associazioni varie). Molte famiglie non conoscono la nostra realtà, ma grazie al passaparola stiamo avendo sempre più interessamenti. Infatti stiamo ampliando anche il nostro servizio predisponendo un'ulteriore macchina per poter garantire i vari spostamenti. Sono sempre stato impegnato nel sociale nella mia vita. Mi sono iscritto all'università dopo la pensione; per tre anni ho frequentato e ho concluso in bellezza un sogno che avevo. Ho scelto di studiare sociologia, perché credo in certi valori. Tanta gente trova in noi un punto di sfogo, spesso quando vengono accompagnate, svuotano tutto ciò che hanno accumulato. Ho scoperto che a Rivalta ci sono circa 8600 gruppi familiari, 2850 sono composti da una sola persona e non sono persone anziane. La solitudine è un dato di fatto che spesso non viene considerato. Passano gli anni, sembra che cresca il benessere, ma aumentano anche questi dati, perciò penso che sia un bene la presenza del mondo associazionistico. Uno dei miei hobby preferiti è la camminata in montagna. Sognerei un mondo più umano. La vita è cambiata moltissimo, oggi percepisco più veleno e cattiveria. Tempo fa sentivo il calzolaio, il panettiere e le varie persone cantare; purtroppo si stava bene quando si stava male. Nonostante oggi ci siano più possibilità, c'è tanta infelicità.
Mi chiamo Cristina Panero e sono insegnante al CPIA5. Vivo a Rivalta da vent'anni, anche se già lavoravo qui prima di trasferirmi. Ho iniziato a insegnare nella scuola elementare di Pasta e successivamente alla scuola Calvino come insegnante di Sostegno, dove ho avuto grandi soddisfazioni per sette anni. Dopo, ho proseguito per altri due anni finché non sono venuta a conoscenza dell'istruzione per adulti. Ho provato e poi ho richiesto di essere assegnata a un posto per adulti al CTP di via Bologna. La nostra scuola è l'evoluzione delle famose 150 ore di studio/alfabetizzazione per i diritti dei lavoratori, che hanno poi preso forma nei "Centri Territoriali Permanenti per l'Educazione degli Adulti" (CTP). Ho operato proprio durante questo periodo di trasformazione.
Ho vissuto un'esperienza bellissima e divertente, ma anche intensa a causa delle diverse storie difficili che ascolto. Da venticinque anni lavoro nei CTP, principalmente a via Bologna e Piossasco, poi mi sono stabilita definitivamente a Piossasco. Attualmente, il CTP è diventato il CPIA5 da circa cinque anni (Centri Provinciali per l'Istruzione degli Adulti). Il nostro ex responsabile, il signor Sergio Lanza, un professore che ha sempre lavorato con gli adulti, ci raccontava che in passato i corsi erano frequentati da studenti lavoratori, in quanto c’era la Fiat a Tetti Francesi. Con il tempo, l'interesse è aumentato anche da parte delle donne casalinghe, fino ad arrivare a una utenza straniera. Abbiamo avuto sedi anche a Orbassano, Beinasco, Giaveno e per un anno a Rivalta di Torino. Attualmente, il CPIA5 comprende le valli del Pinerolese, Val di Susa, fino ai confini con Beinasco e Rivoli.
Essendo una scuola statale, le problematiche principali riguardano la disponibilità di sedi. Insegniamo italiano L2 e alfabetizzazione, offriamo anche corsi per la licenza media e ampliamenti dell'offerta formativa, come corsi d'inglese e altre lingue. Il mio lavoro è molto interessante perché ogni giorno incontro persone provenienti da tutto il mondo con esperienze di vita diverse. Mi piacerebbe che molti italiani potessero fare questo lavoro, perché è molto gratificante e permette di comprendere meglio realtà diverse dalla propria. Abbiamo a che fare con persone motivate che attribuiscono grande valore alla scuola. Dedichiamo diverse ore del nostro lavoro all'accoglienza, cercando di capire i corsi più adatti per ogni studente. La difficoltà principale è conciliare le esigenze della vita quotidiana con quelle scolastiche. A scuola si crea un'atmosfera molto positiva e generalmente i nostri studenti si sentono subito ben accolti.
Negli ultimi vent'anni, la situazione è cambiata notevolmente: mentre in passato i corsi erano rivolti principalmente agli italiani, ora ci sono molte persone che richiedono asilo politico in Italia o che fuggono da situazioni difficili. Siamo profondamente legati a queste situazioni e spesso è difficile rendersene conto vivendo in luoghi più lontani. Una cosa che mi colpisce sempre è l'atteggiamento di fronte ai problemi della vita: alla domanda "come va?" la risposta è spesso "tutto bene". Ho ballato per anni in gruppi di danze internazionali e questo mi ha aiutato anche a scuola, soprattutto nei rapporti con gli studenti, poiché la musica è un linguaggio universale. Divertirsi è fondamentale e questo è un grande hobby per me. Il mio sogno sarebbe fare ogni anno una gita nei paesi dei vari studenti, per ricordare che non esiste solo un mondo di fame, miseria e povertà, ma anche un lato positivo. Inoltre, vorrei costruire una scuola degna per i miei studenti.
Mi chiamo Patrizia, ho settant'anni e sono piemontesissima da generazioni. Vivo a Rivalta da più di trent'anni. I miei interessi sono sempre stati rivolti al sociale, all'educazione, all'inclusione e alla scoperta di nuove culture e posti. Nonostante le mie radici piemontesi, il mio hobby principale è viaggiare per provare nuovi cibi e conoscere tradizioni diverse.
Ho lavorato nel campo educativo come insegnante di scuola primaria, una scelta che considero fondamentale, poiché ritengo che trasmettere valori culturali ai bambini piccoli sia particolarmente importante, anche se nulla togliendo agli altri gradi scolastici. Mi sono sempre impegnata nel volontariato e nell'associazionismo; una delle esperienze sociali più significative l'ho vissuta all'interno di un'associazione, dove ho conosciuto mio marito e abbiamo cresciuto le nostre figlie. Ci siamo anche dedicati all'associazione delle famiglie affidatarie, e per otto anni abbiamo avuto un ragazzo affidato che ora ha quarant'anni e ci ha regalato tre splendidi nipoti.
Dopo che l'impegno genitoriale è diminuito, ho operato per dieci anni a livello politico come Vice Sindaco, Assessore all'Istruzione, ai Nidi, alla cultura, alle biblioteche e ai servizi sociali, occupandomi di deleghe in anni diversi. Sosteniamo la realtà del Gruppo Abele, frequentando il Filo d'Erba. Negli ultimi vent'anni ci siamo impegnati con un'associazione "Senza fissa dimora" a San Salvario; nonostante la distanza, abbiamo cercato di offrire il nostro supporto quando possibile.
Dal punto di vista educativo, credo che la scuola abbia fatto grossi passi indietro. Ho insegnato e sono cresciuta durante gli anni dell'occupazione, quando molti venivano dal sud parlando solo dialetto e si insegnava con maggiore inclusione, socialità e integrazione. Oggi la scuola è più nozionistica e risponde meno alle realtà familiari. I bambini avrebbero bisogno di una didattica focalizzata non solo sulle conoscenze, ma sulle competenze.
Penso che a livello di inclusione lo stato italiano non stia facendo abbastanza; a Rivalta, pur essendo una realtà più ristretta, qualcosa si fa, ma non è sufficiente. Torino, ad esempio, non offre risposte adeguate alle persone più marginalizzate; basta osservare quante persone dormono per strada o il crescente numero di famiglie che richiedono pacchi alimentari.
Mi piace leggere (romanzi, guide turistiche e saggistica), andare al cinema, partecipare a dibattiti e visitare mostre. Il mio sogno nel cassetto è un mondo più pacifico. Penso di aver avuto una vita ricchissima, circondata da amore e persone simpatiche, e non chiederei altro.
Mi chiamo Giuseppe e sono cresciuto nel quartiere di Tetti Francesi. Mio papà era un operaio della Fiat e ricordo che il quartiere era quasi completamente popolato da operai. Ho avuto la fortuna di vivere in via Trieste, accanto a un campo da calcio, che ha rappresentato molto per me. Ho potuto coltivare la mia passione per il calcio, grazie a bravi allenatori e educatori. Ricordo che il mio ex allenatore andava persino a scuola per controllare i voti dei ragazzi e lasciava in panchina chi non andava bene a scuola. Quando mi affacciavo al balcone e guardavo il campo da calcio, sognavo di giocare in Serie A, anche se quel sogno non si è avverato, ho comunque acquisito i valori educativi dello sport. Gli sport di squadra sono speciali perché si cresce come gruppo, si vince e si perde insieme. Questi valori riflettono la vita, in particolare quella familiare. Giocavamo ovunque, anche sull'asfalto, mettendo due buste per fare le porte. Oggi i servizi sono molto più efficienti.
Ho studiato da perito elettronico e poi ho lavorato in una multinazionale tedesca di auto, grazie al mio allenatore che era responsabile dell'azienda e che fece entrare molti dei giocatori di calcio. Per me, la squadra di Tetti Francesi è come una famiglia. Ho fatto il servizio militare e ho conosciuto mia moglie in vacanza, e ci siamo sposati. Ora, avere delle certezze è importante e mi sento più sicuro. Ho due bambine: una gioca a pallavolo, uno sport di squadra che apprezzo molto, mentre l'altra fa danza.
La società è diventata molto competitiva, e spesso si tende a voler mettere i propri figli nelle migliori squadre. Tuttavia, credo che se si è bravi, il talento emerge da solo. Il quartiere di Tetti Francesi è stato completamente riformato e ora offre tutti i servizi necessari per me e la mia famiglia. A Rivalta ci sono molte associazioni sportive che svolgono un ottimo lavoro, trasmettendo i valori educativi attraverso lo sport e formando i cittadini di domani. Spesso ci si concentra troppo sui risultati sportivi e si dimenticano i valori educativi come il rispetto dell'altro, l’aiuto reciproco e le regole di educazione civica. Mi piace molto andare in bicicletta grazie alle piste ciclabili del territorio, trovo che sia molto rilassante. Sono una persona di paese, mi piace salutare le persone e frequentare i posti vicini.
Il mio desiderio più grande è stare bene con la mia famiglia. Ho paura di accendere la televisione la sera, perché poi devo rispondere a domande complicate delle mie figlie, il che può causare depressione e malessere. Per me, vivere in pace e serenità è la cosa più importante.
Mi chiamo Jacopo Spatola e sono il titolare e gestore del Bicigrill. La mia azienda si occupa di mobilità ciclabile e supporta enti pubblici e privati nella progettazione di cicloturismo. Abbiamo avviato questa attività nel 2013 e abbiamo ufficializzato l'operatività nel 2017, con l'apertura del nostro spazio nel 2018. Abbiamo ricevuto subito un riscontro positivo, grazie alla creazione di un punto di riferimento che rispondeva alle esigenze della comunità.
Il parco in cui siamo situati esisteva già, ma era un'area marginale, poco frequentata. Abbiamo lavorato per trasformarlo, offrendo diversi servizi che hanno attratto la clientela e incrementato i riscontri positivi. Tuttavia, la pandemia ha limitato le nostre attività. Con la riapertura post-COVID, abbiamo visto un aumento nella frequentazione del nostro spazio, poiché le persone cercavano luoghi aperti e avevano cominciato a modificare il proprio stile di vita.
Oggi il Bicigrill è un luogo vivo e animato, integrato nella comunità, rispettando le sue regole (ad esempio, evitando la musica ad alta voce in tarda sera). Abbiamo contribuito a riqualificare l'area in modo sicuro e decoroso, rendendo il parco un luogo accogliente per le famiglie. Il nostro vero successo è merito delle mie collaboratrici, tutte donne, che hanno saputo coccolare i clienti e offrire un servizio di alta qualità. Il nostro parco è frequentato anche da donne di tutte le età, creando un ambiente di sicurezza sociale passiva e contribuendo alla centralità della nostra struttura.
Il Comune ha sostenuto il progetto, favorendo attività nel parco e creando nuova clientela. Abbiamo iniziato con un fasciatoio e ora ospitiamo gruppi numerosi di mamme che organizzano camminate e altre attività partendo dal Bicigrill. Un'altra misura importante è il divieto di fumo nelle aree aperte, che ha ulteriormente consolidato la frequentazione di famiglie e altri tipi di clientela.
Offriamo anche un servizio di ciclofficina, che stiamo ampliando per rispondere alla grande richiesta. Siamo la prima struttura di questo tipo in Piemonte e abbiamo ricevuto interessamenti anche dall'estero, come Amsterdam e Barcellona. Collaboriamo a livello inclusivo, dando opportunità ai migranti con esperienze difficili di lavorare nella nostra ciclofficina. Inoltre, promuoviamo i prodotti locali italiani, rimuovendo annualmente quelli delle grandi multinazionali.
Il nostro obiettivo futuro è consolidare ulteriormente l'azienda e garantire sicurezza e serenità alle mie collaboratrici.
Manuel gestisce una storica salumeria e gastronomia nel vivace Piazzale Martini a Milano. Con oltre 20 anni di esperienza nel settore, la sua attività è un punto di riferimento del quartiere.
Nato a Gorla ma cresciuto a Calvairate, Manuel porta avanti l'eredità commerciale della famiglia insieme alla mamma. La salumeria, nata nel 1987, oltre a rappresentare un'istituzione locale si è sempre distinta per la sua gestione al femminile. Ora si è aggiunta anche la sua personalità giovane; dopo un breve periodo nel settore chimico, Manuel ha infatti scelto di tornare a lavorare nell'attività di famiglia, apprezzando il contatto con la gente e l'ambiente accogliente e stimolante del negozio.
Riguardo ai cambiamenti verificatisi nel quartiere, Manuel ricorda con nostalgia un parco alberato che ora è diventato un parcheggio. Nonostante alcune trasformazioni abbiano impattato non sempre positivamente, nota nel processo di rigenerazione territoriale anche miglioramenti importanti, soprattutto legati al tema della sicurezza.
Per il futuro del quartiere, Manuel spera che rimanga un luogo vivo e accogliente, con negozi che mantengano viva l'identità familiare e di prossimità. L'apertura di nuovi spazi e iniziative, come la Biblioteca di Piazzale Martini, rappresentano risorse preziose soprattutto per la crescita e il consolidamento di luoghi culturali e aggregativi.
Pensando a una comunità ideale, Manuel auspica un clima di serenità e un ritorno a relazioni più genuine tra le persone, dopo i periodi difficili legati alla pandemia.
Manuel partecipa indirettamente a iniziative di quartiere e collabora con progetti come il doposcuola per i ragazzi, una risorsa positiva per i giovani e per le loro opportunità di crescita.
In conclusione, il desiderio è che l'attività commerciale continui a prosperare, magari ampliandosi in spazi più grandi e proponendo iniziative legate alla gastronomia che possano arricchire il quartiere e la comunità locale.
Mi chiamo Cristina Balboni, sono di origini emiliane e abito a Rivalta da molti anni. Qui ho trovato la mia vita, da quando sono in pensione vivo molto di più il territorio.
Sono venuta a conoscenza dell'Associazione "Rivalta Viva" quasi per caso. Mi sono iscritta perciò ad un corso di storia dell'arte, mentre nel secondo anno ero già iscritta a 8 attività diverse. Sono stata poi coinvolta nel fare lavori di segreteria, poi sono stata consigliere e successivamente mi hanno eletta presidente e da otto anni svolgo questo ruolo importante. Siamo una PS (promozione sociale), il nostro scopo è quello dell'aggregazione, con attività culturali.
Abbiamo varie attività didattiche, laboratori di manualità creativa (pergamena arte), il mosaico, pittura su tessuto. Promuoviamo anche attività sportive, come ad esempio passeggiate sulla collina Morenica o a Torino, con visite culturali e guidate, escursioni in montagna (ogni settimana). Abbiamo un gruppo molto affiatato e partecipativo, perciò il nostro scopo aggregativo è raggiunto, anche per contrastare la solitudine.
Siamo volontari, il nostro lavoro è gratuito. I corsi didattici sono diretti da docenti in pensione, con età elevate perché sono coloro che hanno disponibilità di tempo. Le attività in palestra vengono dirette invece da istruttori qualificati retribuiti. Le attività più partecipate sono sicuramente le escursioni che vengono fatte durante l'anno, come le giornate organizzate a Torino e in montagna, relative alla cultura e all'arte. Siamo circa 300 soci di cui un centinaio preferiscono le attività organizzate all'aperto. Vorremmo che ci fosse più partecipazione anche nei corsi settimanali. Vorremmo anche avere più docenti, per esempio per le lingue.
Il rischio nei giovani è che perdano l'interesse per queste escursioni, per il passato. Non abbiamo mai pensato di creare qualche attività per i giovani, abbiamo fatto corsi per bambini (pittura, disegno, lingua). Noi forse avremmo bisogno di una formazione tecnologica, magari i giovani potrebbero insegnarci. Nel futuro, ci piacerebbe organizzare qualche intrattenimento serale, ma non ci è permesso come terzo settore, e continuare a organizzare escursioni sempre a tema culturale.
Sono Antonio Novello, ho 63 anni. Abito a Rivalta dal 1992, ho due figlie e un'altra in affidamento. Attualmente sono in pensione.
Mi piace molto questo territorio poiché è in mezzo alla natura. Avendo vissuto sempre a Torino, Rivalta mi ha dato un nuovo sguardo. Mi è sempre piaciuto fare qualcosa all'aria aperta, per gli altri e per il mondo. Mi piacciono principalmente la natura, la montagna e l'arte, cercando di avere un rapporto con le persone in armonia. A Rivalta ho seguito molti progetti per la difesa del territorio dagli anni Novanta circa.
Opero con i volontari sui boschi della collina Morenica, per proteggere questo patrimonio importante, donato da chi l'ha curato prima e da lasciare alle nuove generazioni, senza che venga invasa da nuove costruzioni. Ci occupiamo anche della pulizia dei boschi, se no sarebbero pieni di rifiuti.
Sono stato attirato dall'arte fin da bambino, ma sapevo che dovevo studiare altro per avere un lavoro, infatti sono diventato un elettronico e ho cercato un altro spazio per l'arte. Ho fatto corsi vari, realizzato diverse opere pittoriche, ho provato diverse tecniche con grandi maestri. Ho imparato anche l'incisione che tutt'ora pratico: è un' arte molto antica, medievale, utilizzata per fare stampe artistiche. L'arte è importante perché crea spazio per esprime la propria creatività. Tutti dovrebbero avere un loro spazio con l'arte, la musica, la pittura,... Ho fatto delle mostre per cercare di comunicare qualcosa al paese e dei concorsi per mettermi in gioco. I miei soggetti sono speso legati alla natura e alla montagna.
Il mio sogno nel cassetto è percorrere tutte le Alpi, camminando o in bicicletta, per far conoscere delle bellezze che abbiamo vicino e che non conosciamo. Contemplare la natura per me è molto importante, seguendo dei ritmi lenti.
Barbara gestisce un parrucchiere per signora nella vivace Piazza Martini a Milano. Dopo aver lavorato per 33 anni altrove, ha deciso di aprire un proprio spazio in cui gestire autonomamente appuntamenti e relazioni con i clienti: nonostante le sfide incontrate durante gli otto anni di attività in Piazza Martini, Barbara si dice soddisfatta del lavoro svolto e dell'accoglienza ricevuta dalla comunità.
Arrivata a Calvairate da una zona più signorile, Barbara ha subito notato un tessuto sociale particolarmente eterogeneo e multietnico, ricco di famiglie e bambini. Nel corso degli anni la zona è entrata in un processo di sviluppo e riqualificazione che, guardando al futuro, potrebbe aumentare la vivacità e l'attrattiva.
Barbara sottolinea con orgoglio l'artigianalità del suo lavoro e del tessuto produttivo in cui opera, apprezza i piccoli negozi di quartiere che contribuiscono a mantenere viva l'identità della zona. Riguardo ai possibili mutamenti futuri, si auspica la sopravvivenza delle piccole realtà di prossimità grazie alle quali si mantengono vivi i rapporti umani e la vita di quartiere.
La riapertura della biblioteca rappresenta per Barbara un punto di incontro e socializzazione fondamentale per la comunità locale di adulti e bambini
Quando immagina una comunità ideale, Barbara pensa alla solidarietà e all'integrazione e spera che il quartiere mantenga questa caratteristica anche in futuro.
Per il futuro della sua attività, desidera che l'artigianalità del suo lavoro e le relazioni umane rimangano al centro dell'esperienza offerta alle clienti, rendendo il parrucchiere non solo un luogo di bellezza, ma anche di condivisione e allegria.
Sono Don Paolo, parrocco da 27 anni a Rivalta e provenivo da 4 anni in Algeria, dove ho imparato e appreso che si può vivere e convivere in un mondo più tranquillo con gli altri gruppi religiosi.
Il mio sogno è che nasca un centro culturale islamo cristiano. Per due anni, la comunità marocchina è venuta a fare la preghiera del ramadan negli spazi dell'oratorio. Le persone che arrivavano provenivano anche dai Comuni vicini. E' stato un ottimo modo per cominciare la nostra relazione. Molta gente non conosce l'islam e il Corano in sé. Ho ospitato alcuni ragazzi che venivano dall'Africa Subsahariana ed erano musulmani, ci sono stati dei rapporti di amicizia e di rapporti sinceri. L'Imam abita nella nostra parrocchia e ha voluto ricambiare l'offerta degli spazi per la preghiera del Ramadan, dipingendo i locali dell'oratorio.
Vorrei che ci fosse più inclusione religiosa e fraternità interreligiosa, partendo da attività basiche per cercare di creare e stabilire una sede fissa che possa essere operativa per la comunità a prescindere da provenienza religiosa. Ho già avuto qualche contatto per progettare delle azioni insieme. Sarebbe opportuno ideare attività e feste tutti insieme, per esempio una partita di calcio, una cena, una festa per la conclusione del Ramadan tutti insieme. Alcune azioni le abbiamo già fatte, ma siamo rimasti lì. I pregiudizi vanno destrutturati per vivere serenamente. Ho viaggiato molto, in particolare in Tunisia e in Marocco perché ero interessato a conoscere le ideologie del paese e la cultura.
Il mio sogno, che spero diventi realtà, è intrattenere rapporti leali con l'altro, non trattare l'altro come diverso; sono esseri umani come noi, come ci insegna la dottrina di San Francesco.
Incontriamo Riccarda nella biblioteca di Ronco Canavese, in mezzo ai suoi amati libri. Riccarda è una maestra in pensione che ha dedicato le sue energie a ricostruire questa biblioteca di montagna.
La sua energia e le sue mille idee subito ci coinvolgono a vedere una paesino con Ronco con occhi nuovi, vederne le sue innumerevoli potenzialità e lo sviluppo del territorio. Partecipa attivamente sul territorio, coinvolgendo i giovani a riscoprire la tradizioni, a stimolarli a attivarsi partendo dalle loro idee senza preconcetti.
Riccarda vorrebbe un turismo responsabile, un turismo che possa riportare le persone al silenzio, ad ascoltarsi di più forse.
Ama la montagna, la collaborazione, la lettura.
Riccarda è un vulcano di idee da scoprire.
Sono Lara, abito da sempre a Rivalta. Abbiamo scelto di aprire la nostra attività di vendita e locazione di immobili qui sul territorio, nonostante operiamo anche a Torino. Lavoro con Roberto da undici anni, mio compagno di vita. Ci siamo conosciuti sul lavoro e abbiamo poi intrapreso la vita assieme, formando una famiglia. Grazie a un confronto con i nostri gruppi durante gli anni ci ha permesso di avere delle solide basi lavorative. Per intraprendere una nuova attività è necessario farsi aiutare con più mezzi possibili di comunicazione. Deve nascere da un desiderio e da una competenza e soprattutto deve cercare di diversificarsi, non seguire la massa, cercare di mettere davanti sempre un rapporto umano, con trasparenza.
Del territorio ho potuto notare i cambiamenti in questi anni. Rivalta è un' isola felice, si vive bene, perciò abbiamo deciso di stabilire qui le nostre radici. In ambito della nostra attività, a Rivalta c'è più rapporto umano; Torino è più occasionale. Io e Roberto cerchiamo tanto il confronto, soprattutto con colleghi che dimostrano professionalità e con cui si può collaborare. Vorremmo creare tante reti. Qui a Rivalta si sceglie la persona prima dell'azienda, a differenza di Torino che si seguono più i franchising. Lo studio sul territorio aprirà entro fine luglio in via Bocca 6, nel centro storico di Rivalta, per vivere ancora di più il centro paese, per stare in mezzo agli altri. Rivalta è a misura d'uomo, ti accoglie, ha tante aree verdi.
I miei hobby sono sicuramente l'attività familiare, quindi cercare attività che interessano tutta la famiglia. Inoltre, in questo modo si conoscono anche altre famiglie e si formano tante relazioni tra i bambini. Il mio sogno nel cassetto è la possibilità di creare una cooperativa edilizia verso i co-housing, che possano ospitare microcomunità, che possano aiutarsi tra loro. Questo potrebbe essere un anello di congiunzione tra Comune e cittadino, che non trova soddisfatti i suoi bisogni per gli ostacoli amministrativi o burocratici.
Sono Turrisi Vito, ho 56 anni, sono uno dei responsabili della Smalbo, un'impresa metalmeccanica che produce componenti per stufe. Esportiamo anche in tutta Europa. Siamo una buona azienda, con dieci dipendenti ad oggi. Abbiamo molti clienti all'estero, che accumulano gli ordini per poi essere mandati ai vari clienti. L'azienda opera da sessant'anni, ma ci sono state molte difficoltà soprattutto nel periodo covid.
Abito a Torino, faccio volontariato in chiesa, mi occupo dell'oratorio e di formazione sportiva; attualmente lavoro molto con le donne in questo ambito. Sono un formatore di difesa personale da trentacinque anni, una disciplina non tanto compresa poiché l'immaginazione dei film lascia molto le persone cadere nell'ignoranza. Il karate è uno sport giapponese, prima mentale e poi fisico, perciò prima si pensa con la testa e poi si agisce con il corpo. Il target di persone è vario, dai più piccoli ai più adulti. Il segreto è praticare per comprendere se si sente qualcosa verso la disciplina. Sono anche preparatore atletico di calcio. Mi occupo di seguire i ragazzi a livello sportivo in vista di competizioni.
Io abito a Torino, ma vedo che a Rivalta, dopo le 17 non vedi più nessuno. Essendo pugliese, penso che al nord la vita sia molto più frenetica, a differenza del sud dove le persone molto più tranquilli, più socievoli. Il mio sogno nel cassetto è che i miei due figli si laureino.
Mi chiamo Gianluca Canavero, ho 42 anni. Ho fatto il liceo classico e poi ho iniziato a fare l'università, giurisprudenza. Lavorando nella libreria di mia moglie, ho conosciuto un macellaio che mi ha chiesto di provare a lavorare con lui. Così ho iniziato a fare questo lavoro e, quando lui è andato in pensione, ho rilevato la macelleria. Avevo 27 anni. Ho fatto questo lavoro perché mi piaceva come tipologia di lavoro perché ti permette di stare in mezzo alla gente, non è ripetitivo perché ci sono tante cose da fare differenti, senza stress, ma sicuramente richiede tante ore di lavoro. I primi anni le difficoltà erano soprattutto dal punto di vista economico e ho chiesto dei prestiti, grazie a mio padre che dava le garanzie.
Nella mia attività, la carne è l'elemento principale, ma cerchiamo di diversificare come un piccolo alimentari.
Siamo contenti di stare a Piossasco, è sicuramente una piazza particolare, non è una grande città ma ci troviamo bene. Aprire un'attività a Piossasco, come dappertutto, non è facile, perché devi tenere tutto tanto sotto controllo, per non incappare negli errori. L'importante è avere bene in mente quello che si vuole fare. Per fare meglio il mio lavoro, servirebbe certamente una semplificazione burocratica e un adeguamento dei costi al guadagno effettivo. Anche per avere i dipendenti ci sono costi esagerati.
Nel mio tempo libero, mi piace leggere, fare sport e andare a cena fuori. Ho tante piccole passioni come dipingere o andare al cinema.
Mi chiamo Concetta Anfuso. Sono a Piossasco dal 1978, ci siamo trasferiti qui perché i miei genitori lavoravano qui.
Sono una ragioniera, ho in una azienda come impiegata per 13 anni, ma poi avevo voglia di avere una mia attività. Ho aperto quindi un negozio di abbigliamento per bambini a Marzo del 2000. Il mio negozio si chiama "Tipi Tosti" perché penso mi rappresenti e che richiamasse il mondo dei ragazzi fino all'adolescenza. All'inizio era un po' diverso, perché c'erano molti più negozi. Le difficoltà sono arrivate più avanti, perché molti negozi hanno chiuso, c'è sempre meno gente in giro, la crisi economica e la concorrenza del mondo online.
Mi piace molto il mio lavoro, ci ho messo tanta cura e tanto impegno. Mi piace che io possa comandare e possa esprimermi totalmente. A livello economico non è soddisfacente come il lavoro dipendente. Gli orari sono molto impegnativi, soprattutto il sabato, e purtroppo si toglie del tempo alla famiglia. Mi piace molto anche avere l'attività nel mio paese, vicino casa.
Secondo me, avere un'attività a Piossasco è facile, perché chi ha voglia di fare questa avventura lo può fare con la liberalizzazione delle licenze. Quello che non è facile è resistere. Il commercio è difficile dappertutto ma a Piossasco di più perché il paese è molto lungo, più di 5 km di città, e ha un centro che non raccoglie la vita cittadina, anche per scelte politiche passate, che non hanno incentivato il commercio e il turismo. E' un centro storico trascurato, tutto ciò che c'è è stato fatto dai commercianti. Bisognerebbe creare bellezza e spazi nel centro storico, in modo che diventi un luogo d'incontro. Si potrebbe pensare a zone pedonali.
Il mio nucleo famigliare è composto da me, mio marito e due ragazzi adulti: Dario di 29 anni e Ilaria di 25 anni.
Nel mio tempo libero mi piace fare le gite per scoprire il Piemonte, Torino o le regione vicine. Parlo bene il francese, perché l'ho studiato a scuola e abbiamo una casa di famiglia in Corsica.
Mi chiamo Mara Bufano, sono nata a Taranto nel 1948, ho vissuto in Calabria per tanti anni e per lavoro mi sono trasferita in Piemonte. Abito a Piossasco dal 1981 e ho due figli grandi e tre nipotini.
Ho lavorato come dirigente scolastica, in una scuola di Piossasco, dove ho lavorato con insegnanti preparatissimi. Mi sono trovata bene da subito perché Piossasco è una città accogliente e stimolante.
Nel 2009 sono andata in pensione e due anni dopo ho iniziato questa attività di volontariato presso le scuole medie. Abbiamo creato questo gruppo per lo studio assistito, con il quale aiutiamo ragazzini soprattutto di etnia Rom. Ho avuto quindi occasione di conoscerne le tradizioni. Ho anche ricevuto molto, perché è una realtà molto generosa di persone allegre, nonostante vivano spesso situazioni di disagio economico. Mi aiuta per sentirmi attiva e gratificata. Si creano proprio dei legami che durano nel tempo. Ci sono a volte delle difficoltà nell'agganciare i ragazzi per cui devo trovare delle strategie per poi interessarli alle materie scolastiche.
Nel mio tempo libero, sto con il mio nipotino e mi ritrovo con le amiche. Ci incontriamo per chiacchierare e leggere un libro che poi commentiamo insieme. Ho anche fatto un corso di dizione, che si è concluso con una performance teatrale.
Come desiderio, spero di sentire meno la solitudine. Spero di trovare iniziative con occasioni per incontri anche informali.
Sono Stefano, nato nel 1969 a Moncalieri. Ho avuto una vita normale, ho fatto anche l'Università dopo il militare. Anche la leva militare sicuramente mi ha cambiato e mi ha insegnato molto. Intorno ai 50 anni ho raggiunto una stabilità più matura. All'Università ha scelto Scienze Politiche.
Ho fatto il concorso per funzionari al Comune di Orbassano, quindi dal 1997, sono 27 anni che sono qui come capo ufficio. Ho sempre lavorato per creare un ambiente dell'ufficio armonioso, come rapporti tra i colleghi.
Penso ci siano sempre delle migliorie da fare sul territorio. Io sono appassionato dei regolamenti, ma penso che non si dia troppo importanza a questa cosa, invece ci aiuterebbe a lavorare molto meglio.
Il cittadino si lamenta spesso, ma bisognerebbe essere più consapevoli dei propri diritti. Le persone dovrebbero partecipare maggiormente alla vita cittadina. Spesso votano e poi delegano tutto all'ente, mentre invece i cittadini dovrebbero proprio partecipare.
Sono Giuseppe. Con mia moglie ci siamo sposati prestissimo. Io ho passato un'infanzia abbastanza da solo, perché i miei genitori erano sempre via per lavoro. Ho vissuto anche in Svizzera in un collegio e poi sono tornato a Lecce per finire il liceo scientifico. Ho due figlie grandi oramai, ma mi ricordo quando andavo a prenderle di notte in discoteca.
Ho studiato al politecnico di Torino. Per 10 anni, sono stato direttore commerciale quindi ho viaggiato tanto per lavoro tra Roma e Milano, ma poi sono tornato a Torino nel ruolo di amministratore delegato di una società, perché mi mancava vivere la mia famiglia. Dopo il 2006, ho cominciato la mia carriera da temporary manager.
Mi piace molto leggere, la musica, specialmente quella classica. Mi sono anche improvvisato orticoltore.
Ad Orbassano mi trovo molto bene, ma vedo pochi posti di aggregazione per i giovani. A parte l'oratorio, anche se in realtà le mie figlie l'hanno frequentato da giovani, ma dopo un po' non sono volute più andare. Non so bene cosa fosse successo, forse non era un ambiente per loro.
Mi chiamo Angela, ho 55 anni, e sono mamma di due figli e nonna di tre nipotini. Mi sento realizzata del mio percorso di vita, nonostante tutte le problematiche della vita. Essere nonna mi fa sentire preziosa, perchè possiamo trasmettere tutto il nostro bagaglio.
Nella mia famiglia di origine eravamo 4 sorelle e la nostra mamma, che era giovanissima, si è occupata di tutto, facendo tanti sacrifici.
Feci un corso di naturopatia 15 anni fa. Ho sempre letto tantissimo e questo argomento mi ha sempre interessato molto. Ho fatto poi altri corsi sempre sul benessere olistico. Mi appassiona l'equilibrio mente-corpo.
Ho anche imparato a sciare e ciaspolare, soprattutto per ammirare dei paesaggi che altrimenti non vedresti.
Nella vita quotidiana di oggi non ci si dedica tanto alla parte emotiva delle persone, nelle famiglia si fa solo più la parte logistica e organizzativa. Bisogna insegnare ai nostri figli il rispetto degli altri, per se stessi, per il mondo.
Mi chiamo Monica e sono la titolare dell' Agenzia di Viaggi "Wellness Tour" a Orbassano dal 2010. Non ho sempre fatto questo lavoro, subito dopo il diploma ho lavorato come amministrativa ed ho continuato fino ai miei primi 40 anni. Ho però sempre avuto la grande passione dei viaggi ed è per questo che ho deciso di provare ad unire la passione al lavoro.
Io e i miei collaboratori non ci definiamo semplici agenti di viaggi, ma veri e propri consulenti. Quello che più amo, oltre a viaggiare per lavoro, è consigliare e guidare i clienti a vivere la migliore esperienza possibile dal loro viaggio.
Trovo importante affidarsi ad un professionista per prenotare un viaggio, specialmente se non si è pratici del posto in cui si vuole andare. La nostra esperienza ci permette, non solo di consigliare il posto migliore per il cliente, ma anche di seguirlo passo passo fino al suo ritorno.
Consiglio ai giovani di viaggiare molto e se ne hanno la possibilità di fare esperienze studio all'estero. Questo permette di avere una visione del mondo ed una apertura mentale migliore. Permette di saper apprezzare ciò che abbiamo, ma allo stesso tempo di sognare.
Sono Anna Dusi. Sono di Brescia. Ho abitato a Torino per un po' di tempo e quando mia figlia aveva 6 o 7 anni siamo venuti qui. Ho due figli. Mio marito è stato malato per tanto tempo, con l'Alzheimer.
Abbiamo cominciato all'Unitre nell' '87 ed eravamo in pochi. Ad oggi facciamo corsi di tutti i generi, ma adesso abbiamo tante difficoltà a reperire i locali dove tenere le nostre attività. Le persone che frequentano i nostri corsi oramai non sono più solo le persone anziane. Un altro problema grande è che il Comune proprio non risponde, anche mandando delle PEC.
Mi piace molto viaggiare e fare delle belle passeggiate nella natura.
Qui ad Orbassano non so cosa ci sia per i bambini, per i giovani. Una volta si facevano tante attività, anche all'oratorio, adesso mi sembra che manchino un po' di attività. Anche per gli anziani non c'è chissà cosa.
Raffaella, Alessandra e Tebana sono membri attivi dell'Associazione Todo Modo, un'organizzazione nata nel 1980 a Milano. Raffaella si occupa di comunicazione online, Alessandra è esperta in progettazione culturale e attivazione di comunità, mentre Tebana è un'educatrice teatrale.
Todo Modo è stato uno dei primi locali di Milano, situato in Via Savona, fondato da un membro scomparso dell'associazione negli anni '70. Originariamente era un luogo dedicato a concerti, mostre, teatro e cabaret. Con il passare degli anni, l'associazione si è riformata per adattarsi ai nuovi tempi e alle esigenze della comunità circostante. Nel 2023 si è costituita come Ente del Terzo Settore con l'obiettivo di promuovere la cultura e la coesione sociale nel quartiere di Calvairate.
Le iniziative dell'associazione includono feste di quartiere, progetti artistici e culturali. Tra i soggetti più significati con cui hanno mantenuto un dialogo aperto e sinergico c'è sicuramente il Laboratorio di Quartiere, insieme al quale hanno coltivato l'interesse a raggiungere quante più persone possibili (nonostante - a volte - i pochi mezzi a disposizione). Il "metodo" di Todo Modo si esprime nell' "interazione dal basso" con le persone, e nell'utilizzo di una comunicazione artistica capace di arrivare e far leva sulla dimensione emotiva.
L'Associazione ha sempre partecipato alle iniziative più grandi e collettive, tra cui ad esempio:- "Open City", un progetto europeo che ha coinvolto persone over 30 di formazione socio-culturale;- "Il Quartiere che vorrei", iniziativa durante la quale è stato chiesto ai bambini di disegnare i mostri - (ovvero le paure e le ansie percepite) - per esorcizzare e avvicinare anche gli aspetti più complessi del vivere quotidiano;- "Sguardami", un progetto fotografico che ha invitato i residenti a fotografare luoghi significativi del quartiere attraverso passeggiate di quartiere, in collaborazione con lo IED.
L'associazione ha promosso - e continua a sostenere - molte iniziative pensate per la valorizzazione e la cura del senso di appartenenza alla comunità, e tra le quali ricordano: "Antro Day" (in collaborazione con l'Istituto di Antropologia), la "Green Week" e "Book City"
Uno dei progetti più ambiziosi è il "Distretto dell'Inclusione", un'idea nata da "Open City" per creare un luogo di incontro e condivisione per la comunità locale. In questa occasione hanno provato ad attivare un lavoro di rete con le altre associazioni attraverso un linguaggio comune di cura e partecipazione. Nonostante le sfide, l'associazione continua a credere nell'importanza di questo obiettivo.
Ognuna delle membri ha un legame affettivo con il quartiere: Tebana ha vissuto per 16 anni nelle case popolari, Mentre Alessandra e Raffaella hanno sviluppato una relazione profonda e affettuosa verso la zona a partire dal lavoro svolto negli anni, dalle persone conosciute nel corso del tempo e dalle storie che hanno via via raccolto.
Il quartiere è cambiato nel corso degli anni, diventando più multietnico e affrontando sfide legate allo sviluppo urbanistico. Tuttavia, l'associazione si impegna a preservare l'identità e a promuovere il senso di comunità tra i residenti, anche attraverso il recupero delle memorie storiche tramandate dagli anziani.
Roberto, proprietario e gestore del Bachelite Club situato in Piazzale Martini, si dice in equilibrio tra una "doppia vita": di giorno lavora come consulente del lavoro, seguendo un'attività di famiglia, e da dieci anni gestisce il Bachelite Club, un luogo nato originariamente come bar e laboratorio di eventi culturali, ma che si è poi caratterizzato per gli eventi di musica dal vivo.
La scelta di questo quartiere e del luogo del locale è stata lunga e accurata, influenzata dall'idea di voler trovare un posto non troppo vicino alle case, per evitare disturbi, ma che permettesse comunque di costruire una clientela appassionata di musica e cultura. Calvairate infine è stato scelto perché considerato al di fuori delle zone più frequentate, offrendo la possibilità di creare una clientela autentica e consolidata. Roberto, che vive e conosce il quartiere da diverso tempo, lo ha visto trasformarsi nel corso degli anni, passando da una zona periferica a una più residenziale, con una ricca integrazione etnica e culturale.
Tra gli aspetti di possibile fragilità, Roberto sottolinea il desiderio di una maggiore coesione e iniziative pubbliche più diffuse. Vorrebbe che luoghi come l'ex Macello non venissero distrutti ma riqualificati per ravvivare l'identità storica e la vivibilità della zona.
Ha frequentato la biblioteca di quartiere e ritiene importante avere luoghi culturali accessibili per promuovere la lettura e altre iniziative: chiudendo gli occhi immagina un quartiere con più spazi sociali e culturali, come campi per giochi e spettacoli all'aperto.
Quanto alla comunità ideale, vede la necessità di preservare e promuovere piccole attività e negozi di quartiere, che sono i veri punti di incontro e scambio sociale. Si auspica un'azione più propositiva da parte dell'amministrazione locale per favorire la crescita e la coesione del quartiere.
In conclusione esprime il desiderio che il suo locale continui a essere un punto di incontro e animazione per il quartiere, contribuendo alla sicurezza e al senso di comunità delle persone che lo frequentano.
Max, fondatore e responsabile della palestra "University of Fighting", è una figura di riferimento per i ragazzi di Corvetto, Calvairate, ma anche di Ripamonti e Vigentino. La sua storia da atleta di successo, con vittorie nei campionati mondiali ed europei di vari sport da combattimento come la boxe e il full contact, lo ha reso famoso nella zona.
Max parla della sua esperienza sportiva e del suo impegno attuale come insegnante. La sua palestra è diventata un punto di riferimento nella periferia, dove spesso i ragazzi possono sentirsi abbandonati o lasciati senza guida. Lui crede che questi sport siano formativi e insegnino valori importanti, che talvolta le famiglie non sono in grado di trasmettere.
La sua passione per l'aiuto ai giovani è evidente quando parla, con emozione e coinvolgimento, delle difficoltà che molte famiglie affrontano nella zona: a volte si considera un po' come un secondo padre per molti ragazzi che frequentano la sua palestra, soprattutto per coloro che non hanno un punto di riferimento familiare stabile. In situazioni di particolare fragilità ha offerto lezioni di addestramento gratuito per giovani in difficoltà, dimostrando un forte impegno sociale oltre che sportivo
La palestra di Max non è solo un luogo di allenamento ma anche di aggregazione e sostegno; racconta di aver visto ragazzi problematici trasformarsi grazie all'impegno e alla disciplina che gli sport da combattimento insegnano. Uno degli obiettivi che lo ha sempre guidato in questa attività di formatore e tutor sportivo è proprio quello di coltivare una comunità solida e positiva per i giovani della zona, soprattutto per quelli più "soli" in mezzo a sfide complesse di povertà relazionale, culturale e affettiva.
In conclusione Max riflette sulla multiculturalità della zona, sottolineando le sfide e le opportunità che essa porta: nonostante le difficoltà che talvolta si verificano, si impegna a mantenere la sua palestra come un luogo di accettazione e formazione per tutti, indipendentemente dalla loro origine.
Leandro è un giovanissimo commerciante presso il mercato rionale di Calvairate, animato dalla passione e dall'impegno verso la qualità dei prodotti offerti. L'attività, chiamata Sentiero dei Sapori, propone infatti specialità provenienti da tutto il mondo con attenzione agli antipasti sott'olio e sott'aceto, alla frutta secca e ai legumi di alta qualità.
La passione per il mercato è una tradizione di famiglia, tramandata da suo padre che opera nel settore da oltre 35 anni. Per Leandro, lavorare in questo contesto significa essere libero e mettersi in contatto con le persone: è difficile descrivere la soddisfazione che si prova nel vedere ritornare, settimana dopo settimana, i propri clienti felici e appagati dai loro acquisti. Il mercato è secondo lui un luogo eterogeneo, vivace e ricco di esperienze: ogni giorno impara qualcosa di nuovo dai suoi clienti e dai colleghi, respirando un'atmosfera di integrazione e condivisione.
Rispetto al quartiere nel suo insieme, per come ha modo di conoscerlo attraverso la sua esperienza lavorativa, identifica elementi di ricchezza così come di maggiore fragilità:
Tra le risorse
- Diversità e Cultura: apprezza la varietà di persone e culture presenti nel quartiere che contribuiscono a renderlo ricco di esperienze e tradizioni
- Mercato come Punto di Aggregazione: riconosce il mercato come un importante punto di incontro e di socializzazione
- Integrazione e Scambio: evidenzia il reciproco insegnamento tra le persone di diverse nazionalità, che arricchisce la vita quotidiana e promuove un senso di comunità inclusiva.
Tra gli aspetti più difficili,
- sostenere le forti disuguaglianze socio-economiche che possono manifestarsi attraverso condizioni di vita contrastanti e accesso differenziato alle risorse
- la necessità di rafforzare il lavoro di rete e il dialogo per affrontare le sfide comuni e promuovere il benessere della comunità
- l'importanza di preservare l'identità e la socialità storica del quartiere
Per Leandro l'idea di comunità significa aiutarsi reciprocamente e lavorare insieme per il bene del territorio, sostenendo le piccole aziende e creando una rete di persone che contribuiscono alla crescita del quartiere. Sarebbe favorevole a partecipare a iniziative di incontro e dialogo per sostenere la comunità e ritiene che solo attraverso il confronto e la comunicazione si possano risolvere le lacune e migliorare.
Per il futuro, Leandro auspica un ritorno del mercato come luogo di socialità e aggregazione, l'ultimo baluardo di umanità in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia e dall'isolamento virtuale.
Mattia, giovane proprietario di un banco al mercato specializzato in salumi, formaggi e prodotti di alpeggio di produzione familiare, ci racconta che l'attività è nata durante il periodo del Covid. Di madre bergamasca e padre siciliano, si trasferisce a Milano con la famiglia da Foppolo, un piccolo paese con limitate opportunità educative e lavorative. Per preservare la tradizione e l'eredità di una malga di famiglia che rischiava di essere chiusa, durante il lockdown Mattia ha scelto di tornare nel paese di origine per prendersi cura dell'attività.
Così è nata l'idea di aprire un banco presso i mercati rionali della città, tra cui quello di Piazzale Martini, per valorizzare i prodotti ricercati e faticosamente realizzati attraverso un lavoro familiare di qualità. Mattia frequenta il mercato di Calvairate da un paio d'anni e descrive la sua sua esperienza come positiva, anche se questo mercato in particolare ha delle caratteristiche proprie e specifiche: si trova in una zona meno centrale e più popolare che porta sicuramente una grande affluenza di persone; di contro i clienti trattano molto sui prezzi e sono sempre più esigenti: qui ad esempio serve principalmente signore anziane che contano ogni centesimo e persone che lavorano duramente per guadagnarsi da vivere. E' comunque uno dei suoi mercati preferiti. Al contrario, nei mercati di via Calvi e Porta Romana, la clientela non bada a spese, è mista ma anche avanguardista e internazionale (più che multietnica) con tanti stranieri e professionisti di diversi settori che apprezzano e ricercano soprattutto l'artigianalità bio dei suoi prodotti.
Per Mattia una comunità è fatta di persone e di punti di incontro come il mercato, che rispecchia le caratteristiche della zona circostante.
Per il futuro, Mattia spera che la situazione a Milano continui a migliorare e che le persone mostrino maggiore rispetto per chi lavora nei mercati. Troppo spesso, i comportamenti e gli atteggiamenti di alcuni clienti non sono adeguati né alla compravendita né alla società in generale. Mattia auspica un cambiamento di mentalità, con un maggiore rispetto per chi lavora, non solo nei mercati ma in tutte le attività commerciali.
Nicholás, un giovane di 32 anni, racconta la sua storia iniziando dal periodo scolastico e dai primi eventi significativi nella sua vita in quartiere. Nato e cresciuto in diverse vie della stessa zona la sua esperienza si è svolta serenamente fino ad un episodio drammatico avvenuto durante gli anni del liceo: è stato aggredito mentre tornava a casa da scuola, subendo gravi lesioni e affrontando un significativo trauma emotivo e psicologico. Questo evento ha avuto un impatto profondo sulla sua vita. In seguito ha infatti interrotto temporaneamente gli studi, che ha poi ripreso presso un liceo artistico della città dopo aver maturato un forte interesse per l'arte, in particolare per il disegno e le arte grafiche-visive. Durante questo capitolo Nicholás ha trovato un ambiente stimolante ricco di persone con passioni simili alle sue: si è così avvicinato al mondo del writing, pur non praticandolo direttamente. Ciò in cui infatti ha voluto cimentarsi e specializzarsi è stata l'arte dei tatuaggi che coltiva tutt'ora, sperando un giorno di diventare un tatuatore formato e affermato.
Per motivi di salute mentale Nicholas ha frequentato - e ricevuto il supporto - per molti anni del Centro di Psicologia Sociale (CPS). Nonostante la fatica del primo periodo, durante il quale ha affrontato diverse diagnosi e terapie, con esiti spesso frustranti e sfibranti, con la maturità e la consapevolezza di oggi egli riconosce come questo servizio territoriale sia stato un prezioso punto di riferimento: il percorso terapeutico lo ha infatti aiutato moltissimo nel processo di comprensione e accettazione delle difficoltà incontrate..
Nicholas coltiva la sua passione per il tatuaggio lavorando in vari studi come apprendista. Nonostante le difficoltà economiche e le sfide del settore, è riuscito a sviluppare stile e competenze, iniziando a sperimentare con tatuaggi semplici e commerciali, per poi specializzarsi nel black tattoo, apprezzando i contrasti di luce e ombra e le linee pulite. Il suo stile si ispira anche a elementi geometrici e surreali, come quelli dell'artista Escher.
Oltre al tatuaggio, Nicholás ha una forte passione per la musica, che lo ha portato a stringere amicizie significative nel mondo artistico. Crede che l'arte, in tutte le sue forme, abbia il potere di creare comunità e di offrire un mezzo di espressione e riflessione personale.
Riguardo al quartiere in cui vive, lo apprezza per la diversità sociale e culturale di cui è portatore, nonostante le sfide. Crede che la comunità locale possa essere una fonte di supporto e stimolo, ma anche che ci siano aspetti da migliorare, come la sicurezza e il supporto alle vittime di violenza.
In conclusione, Nicholás si definisce un tatuatore con un progetto artistico personale in continua evoluzione. Il suo obiettivo è aprire un proprio studio di tatuaggi, dove possa esprimere pienamente la sua creatività e offrire un servizio di qualità ai suoi clienti. La sua storia è un esempio di resilienza e passione, in cui l'arte diventa un mezzo per superare le difficoltà e realizzare i propri sogni.
Simone, nato e cresciuto a Corvetto e Calvairate, è il più giovane di quattro fratelli e si definisce scherzosamente la "pecora nera" della famiglia. Fin dalla giovane età ha esplorato la musica come una passione naturale, nata spontaneamente durante un periodo particolarmente difficile della sua vita come fonte di conforto e ispirazione. In seguito ha conosciuto Giorgio/Josh che lo ha introdotto ulteriormente al mondo musicale, facendo nascere progetti artistici interessanti e una relazione di amicizia importante.
Per Simone, la musica è stata un mezzo per esprimere e raccontare la propria vita e le sue esperienze. Non ha mai cercato attivamente il successo musicale, utilizzando invece la musica per comunicare ciò che non riusciva a esprimere a parole. Dopo circa dieci anni di attività ha scelto di interrompere questa carriera poiché percepiva che il pubblico cercava in lui soprattutto l'immagine di "delinquente" che però non desiderava incarnare. Quando oggi riceve richieste di collaborazioni accetta solo per piacere personale e in condizioni particolari.
La musica ha rivelato un lato molto sensibile della sua personalità, una parte di sé che né lui né gli altri conoscevano. Prima infatti era visto come un'anima ribelle del quartiere, immagine che gli piaceva perché attirava le attenzioni delle persone. Tuttavia, con il tempo ha deciso di utilizzare il linguaggio artistico per mostrare la sua vera natura e raccontare la sua storia.
I legami nel quartiere sono stati fortemente influenzati dalla musica: molte delle persone che frequenta derivano da questo ambiente, prima ancora che il rap diventasse popolare in Italia. Le prime canzoni pubblicate su YouTube hanno avvicinato molti abitanti del quartiere, creando un forte senso di comunità. Tuttavia, Simone ha scelto di allontanarsi dalle persone famose che lo avevano contattato, ritenendo quell'ambiente falso e interessato solo alla visibilità.
Essendo nato e cresciuto a Corvetto, Simone ha frequentato meno la vicina Calvairate, sebbene ne riconosca diversi punti di contatto e continuità, da un punto di vista urbanistico e culturale. I due quartieri secondo Simone, hanno tutto ciò che serve essendo vicino al centro di Milano e offrendo vari comfort e servizi. Tuttavia, sente la mancanza di un punto di incontro per i giovani, un luogo dove possano esprimersi e sviluppare le loro passioni. Simone ritiene che i ragazzi del quartiere avrebbero bisogno di una guida e di un supporto per seguire i loro sogni senza vergogna.
Per Simone, il senso di comunità è difficile da esprimere a parole, trovando più facile comunicarlo attraverso la musica. Pensa che la comprensione, l'ascolto e l'amore verso gli altri siano elementi fondamentali per una comunità. Il conflitto, secondo lui, può essere gestito mettendo da parte la gelosia e cercando di capire gli altri.
Guardando al futuro, Simone desidera trovare serenità nella sua vita personale e spera che il quartiere possa migliorare la propria immagine, abbandonando gli stereotipi negativi.
Gianfranco, conosciuto da tutti come MisterG, è il giovane titolare dell'edicola "MisterG" situata nei giardini di Piazza Insubria. Da quattro anni gestisce questa attività, che ha rilevato dopo un percorso professionale completamente diverso. Originario della Sardegna, Gianfranco si è trasferito a Milano sette anni fa, e prima di aprire l'edicola ha lavorato come insegnante di musica e poi come responsabile amministrativo in un'azienda. Tuttavia, desideroso di un cambiamento e di una maggiore indipendenza, ha deciso di intraprendere questa nuova avventura.
L'edicola ha attirato la sua attenzione per la sua posizione, circondata dalla natura della piazza. Sebbene non conoscesse bene il quartiere all'inizio, ha imparato a conoscerlo giorno dopo giorno. Ha scoperto che il quartiere è molto multietnico, con una varietà di storie, culture e religioni che convivono, il che rende il lavoro a contatto con il pubblico sia stimolante che impegnativo. Gianfranco ha notato un declino nel quartiere negli ultimi anni, con un crescente abbandono da parte delle istituzioni, maggiore sporcizia e una sensazione di insicurezza.
Secondo Gianfranco, uno dei principali problemi è la mancanza di supporto per i nuovi arrivati in Italia. Crede che sia fondamentale fornire corsi di formazione e aiuti per imparare la lingua, affinché possano integrarsi meglio e trovare lavoro. Sostiene che il rispetto reciproco sia essenziale, indipendentemente dalla provenienza o dal background culturale delle persone.
Nonostante le difficoltà, si dice molto legato al quartiere e ai suoi clienti, che considera quasi come una seconda famiglia. Ogni anno durante il periodo natalizio organizza una festa di Natale, raccogliendo giochi e libri di seconda mano che poi vengono distribuiti ai bambini da Babbo Natale. Questo evento è per lui un esempio concreto di comunità e solidarietà.
Gianfranco ha grandi ambizioni per il futuro, sia a livello personale che per il quartiere. Desidera che il quartiere trovi un equilibrio e che gli abitanti possano convivere in armonia, superando le differenze e la rabbia che spesso causano tensioni. Vorrebbe vedere più iniziative ed eventi che coinvolgano l'intero quartiere, non solo le aree centrali, per creare un senso di appartenenza e migliorare la qualità della vita per tutti.
In conclusione, Gianfranco spera che il suo impegno e quello di altri commercianti contribuiscano a rendere il quartiere un posto migliore, dove le persone possano trovare il loro equilibrio e vivere serenamente.
Giuseppe è uno dei tre titolari della Merceria e Sartoria "Bruna," situata in piazza Insubria. Commerciante esperto, gestisce il negozio da 24 anni insieme ai suoi soci. La merceria si distingue per la vendita di abbigliamento per uomo e donna, inclusi intimo e calze, anche se un tempo offriva anche abiti per bambini, un settore che ora hanno abbandonato.
Nel corso degli anni, Giuseppe ha visto molti cambiamenti nel quartiere. Quando hanno iniziato l'attività nel 2000, il lavoro era abbondante e il negozio prosperava. Tuttavia, con il passare del tempo, il lavoro è diminuito e il quartiere ha subito un deterioramento. Molti negozi hanno chiuso e la clientela è cambiata notevolmente. L'aumento del costo della vita ha ridotto il potere d'acquisto, soprattutto dei pensionati che una volta erano una parte importante della loro clientela. Ora, molti di loro devono sostenere economicamente figli e nipoti, riducendo le spese personali.
Giuseppe nota che la presenza crescente di stranieri nel quartiere ha cambiato la dinamica della comunità. Anche se molti di loro crede siano brave persone non ha potuto sperimentare in prima persona una relazione più approfondita perché non sono soliti frequentare il negozio. Questo, insieme alla perdita della vecchia clientela milanese, ha reso il lavoro più difficile. Nonostante tutto, Giuseppe crede ancora nel valore della comunità, che per lui significa aiutarsi a vicenda. Tuttavia, sente che la coesione sociale di un tempo è diminuita, anche a causa delle diverse origini culturali dei nuovi abitanti.
Pur non vivendo nel quartiere, al di là dell'oratorio, non vede molti progetti o attività che promuovano l'aggregazione tra residenti e commercianti.
Guardando al futuro, Giuseppe esprime preoccupazione per la situazione generale, riflettendo le ansie dei suoi clienti riguardo alle incertezze economiche e politiche. Spera in un miglioramento delle condizioni, ma è consapevole delle difficoltà attuali. Nonostante tutto, nota che ci sono momenti di solidarietà tra le persone del quartiere, anche se sporadici.
Concludendo, Giuseppe spera che le cose migliorino, ma riconosce che la preoccupazione è palpabile tra la gente, soprattutto tra i più anziani. Questa tensione riflette le sfide che affrontano quotidianamente, sia a livello locale che globale.
Yuri, di origini ucraine, lavora da sette anni al mercato rionale di Calvairate, presso un banco pugliese di pane e formaggi. Questo banco è gestito dal suo responsabile, che si occupa del panificio e dell'approvvigionamento dei prodotti da vendere. Nonostante la fatica di stare in piedi tutto il giorno e sopportare il freddo, Yuri trova questo lavoro meno pesante rispetto ad altri mestieri fisicamente più impegnativi. Per persone immigrate come lui l'offerta lavorative disponibile a volte si presenta come particolarmente dura e spossante; il mercato è per lui esperienza umanamente piacevole, ricca d incontri e relazioni familiari e affettuose.
Parlando del quartiere di Calvairate, Yuri osserva che negli ultimi anni le cose sono cambiate e con amarezza sottolinea come l'aumento dei costi abbia portato molti commercianti a lasciare la propria attività, ma non solo: la precarietà economica a cui sono soggette le piccole produzioni locali influisce anche sulla qualità e la proposta dei prodotti (alcuni diventano inaccessibili e altri vengono direttamente tolti dal listino) e di conseguenza sulla soddisfazione dei clienti, che sempre più spesso condividono una certa frustrazione.
Quando gli viene chiesto cosa significa per lui essere parte di una comunità, Yuri esprime un po' di confusione iniziale, ma alla fine risponde che la famiglia è la prima e più importante comunità per lui. Ha tre figli di cui è molto orgoglioso e sottolinea che, per lui, la famiglia viene sempre prima di tutto.
Coumba, una signora senegalese, è una figura familiare e sorridente al mercato rionale di Calvairate, dove - insieme al marito - lavora come commerciante da diverso tempo.
Da 18 anni vive in Italia, dove si è trasferita dal Senegal insieme alla sua famiglia. Gestisce una bancarella di borse e gioielli con suo marito la cui attività prosegue bene, sul piano delle vendite e delle relazioni con i colleghi e la clientela.
Quando le viene chiesto delle sue passioni, risponde che un suo grande sogno è di tornare al suo paese natale, Dakar, in Senegal, una volta anziana. Tuttavia, problemi burocratici legati ai documenti le hanno finora impedito di fare ritorno.
A Milano Coumba ha trovato una comunità di altri senegalesi con cui celebrare le festività tradizionali, organizzando momenti di incontro e condivisione in sale affittate per l'occasione.
La parola "daira" in Senegal significa comunità, un concetto che per Coumba implica stare insieme, aiutarsi a vicenda e celebrare insieme. Anche a Milano, sebbene lontana da casa e dalle sue origine, sente di star costruendo un senso di appartenenza e di fiducia all'interno della comunità.
Eleonora è una sociologa e ricercatrice presso il laboratorio "Percorsi di Secondo Welfare", nato nel 2011 all'interno dell'Università degli Studi di Milano. Questo laboratorio si occupa di vari temi, offrendo formazione, informazione e accompagnamento. Il filo conduttore delle loro attività è il Secondo Welfare, una serie di interventi collaterali a quelli statali, che coinvolgono attori di natura economica, sociale, pubblica e privata, compreso il terzo settore e la comunità locale. L'obiettivo è trovare soluzioni innovative per i bisogni e i rischi sociali attuali.
Nel laboratorio, Eleonora si occupa principalmente di disuguaglianze educative e di genere, soprattutto nel mondo del lavoro. Il suo tema principale è la conciliazione tra vita e lavoro, sottolineando che il benessere delle persone non è solo legato a dinamiche familiari, ma anche a una dimensione personale di autorealizzazione e relazioni con gli altri.
Eleonora osserva che la pandemia ha evidenziato la necessità di conciliare vita e lavoro, mettendo in luce il benessere delle persone, compresi i minori e gli anziani. Durante la pandemia, ci sono state esperienze comunitarie significative, come i negozi di quartiere e i vicini di casa che si sono attivati per supportare le persone anziane.
Percorsi di Secondo Welfare collabora con molte altre realtà, tra cui associazioni locali e università, per sviluppare soluzioni innovative ai bisogni del territorio. Eleonora sottolinea l'importanza della coprogettazione e della co-programmazione, basate su prossimità, ricerca e confronto.
Appena trasferitasi in un nuovo quartiere di Milano, Eleonora nota positivamente la presenza di spazi verdi, che favoriscono l'aggregazione sociale. Auspica che la comunità futura possa essere caratterizzata dal confronto e dall'ascolto attivo, con luoghi di dialogo accessibili a tutti. Crede che sia lei personalmente, sia Percorsi di Secondo Welfare, possano contribuire a creare e ampliare spazi di dialogo e ascolto
Tati, proprietaria e gestore del locale Sapurì French Tacos, in via Visconti 14, ci accoglie col sorriso caloroso e l’entusiasmo che ben rappresentano lo spirito fondante di quest’attività.
Nata in provincia di Varese, da un padre italiano veneto e una madre etiope, Tati cresce in una famiglia che le ha trasmesso apertura e sensibilità per il rispetto e l’amore per le persone e la diversità. E’ cresciuta conoscendo l'Africa e l'Italia, entrambe bellissime nelle loro peculiarità, afferma. La sua formazione, tra l'educazione rigorosa della madre e la mentalità commerciale del padre, la prepara alla vita imprenditoriale. Nel 2010 incontra suo marito, di nazionalità tunisina, con il quale condivide un percorso di crescita personale e spirituale, avvicinandosi alla religione musulmana. Dopo aver avuto due meravigliosi figli, Yussef e Meriem, Tati e suo marito decidono di avviare insieme il Sapurì, un locale che rappresenta la loro famiglia e la loro cultura. "Siamo una grande famiglia qui. Ognuno di noi porta il proprio contributo, ci aiutiamo reciprocamente", spiega.
Quando il Sapurì apre nel 2020, l'accoglienza calorosa e il successo inaspettato da parte della comunità locale e non solo li sorprendono. "Non pensavamo di avere questo successo, ma siamo grati per l'affetto e il supporto che riceviamo", aggiunge. Il locale offre una cucina variegata, dal kebab alla pizza, fino al French tacos e piatti nordafricani, rispecchiando le esperienze e le influenze culturali di Tati e suo marito. "Abbiamo sperimentato e abbiamo trovato il nostro punto di forza", sottolinea.
Calvairate, per Tati, è un quartiere multietnico e vivace, ricco di storie e di persone provenienti da diverse parti del mondo. La componente multiculturale è una delle sue principali ricchezze. Qui si possono osservare persone di varie etnie convivere, scambiare esperienze e arricchirsi reciprocamente. Questo scambio culturale è un aspetto meraviglioso del quartiere, che rende ogni giorno unico e stimolante. La comunità di Calvairate è particolarmente accogliente e solidale secondo Tati che ricorda come sin dai primi giorni di apertura del locale i residenti si siano mostrati curiosi e affettuosi, sostenendo lei e suo marito durante le difficoltà della pandemia. Le persone venivano a bussare alla porta chiusa, chiedendo quando avrebbero aperto. Questo sostegno è stato fondamentale per loro.
Tuttavia, come ogni quartiere, anche Calvairate ha anche le sue fragilità. Una delle principali sfide è la mancanza di spazi adeguati per favorire l'integrazione e il dialogo tra le diverse comunità: spesso manca il supporto necessario per aiutare le persone straniere a integrarsi completamente, soprattutto per quanto riguarda l'apprendimento della lingua italiana. L’abbattimento delle barriere linguistiche e culturali, così come la loro comprensione e trasformazione, potrebbero rappresentare una risorsa preziosa per il benessere e la convivenza dei cittadini. Un altro tema è la percezione di insicurezza in alcune aree del quartiere. Ci sono zone che vengono percepite come meno sicure, e questo può influenzare negativamente la qualità della vita delle persone. Tuttavia, Tati sottolinea che il senso di comunità e la solidarietà possono contribuire a superare queste difficoltà. Quando ci si conosce e ci si aiuta a vicenda, anche le sfide più grandi possono essere affrontate con maggiore serenità.
Forse è proprio questo spirito inclusivo e solidale uno dei tratti distintivi di Tati e del suo Sapurì French Toast, qualcosa di più di un ristorante: è un luogo di incontro, di scambio e di comunità, spiega orgogliosamente lei. "Qui non c'è differenza tra etnie, siamo una famiglia. Siamo tutti qui per imparare dagli altri", aggiunge.
Sapurì è infatti un punto di riferimento per molte persone del quartiere, per i residenti storici come anche per le nuove generazioni di giovani e stranieri. E a proposito dei giovani, verso cui sembra mostrare un grande senso di fiducia e attaccamento, Tati racconta di una inclinazione crescente verso il senso di comunità e la solidarietà. Molti dei ragazzi partecipano attivamente a progetti locali e iniziative sociali, dimostrando una grande attenzione ai problemi del quartiere e una volontà di contribuire al suo miglioramento. Questo spirito di iniziativa è un segno positivo per il futuro, indicando che i giovani sono pronti a prendere in mano le redini del cambiamento.
Parlando di talenti e ricchezze, Tati osserva una grande varietà di capacità e inclinazioni tra i giovani: alcuni sono infatti particolarmente dotati nel campo artistico e musicale, così come nelle attività sportive. Inoltre, forti sono l’orgoglio e la resilienza dei giovani che, cresciuti in un contesto non sempre facile, hanno sviluppato una particolare capacità di adattamento e di autodeterminazione che li rende capaci di affrontare le difficoltà con coraggio e creatività. Questa resilienza è fondamentale per costruire un futuro solido e prospero.
In generale Tati vede in Calvairate un quartiere pieno di potenzialità e di ricchezze, dove la diversità culturale è un valore aggiunto. Il dialogo e il rispetto reciproco sono fondamentali per costruire una comunità forte e coesa. Se si riesce a valorizzare le differenze e a supportarsi l'un l'altro, si possono fare grandi cose insieme.
Guardando al futuro, Tati si concentra sui giovani e sulla loro capacità di guidare il cambiamento. "Sono loro il futuro. Stanno facendo tutto loro, e lo stanno facendo bene", conclude, guardando con ottimismo ai prossimi capitoli della sua attività e della sua comunità.
Mattia, conosciuto come Rey Rouge nel settore musicale, è cresciuto tra Viale Molise e Corvetto. Ha notato alcuni cambiamenti nel quartiere nel corso degli anni, specialmente nelle dinamiche sociali anche grazie all'avvento della tecnologia.
Prima, racconta, c'era meno propensione a umiliare gli altri tramite video o prepotenze digitali: la mentalità si poteva definire diversa, e un atteggiamento prepotente veniva tipicamente malvisto, ora sembra più culturalmente accetto e diffuso. Ripensando agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, ricorda come i punti di ritrovo più diffusi tra i ragazzi fossero l'oratorio e i cortili comuni, dove si passava il tempo insieme. I cortili aperti – in particolar modo - favorivano l'interazione e la socializzazione e si interroga sulle conseguenze che chiuderli e sorvegliarli rigidamente possa esacerbare. Ora infatti questi luoghi sono meno frequentati rispetto al passato e, anche dopo il Covid, la socializzazione sembra essere diminuita, con i ragazzi che preferiscono piccoli gruppi e il contatto tramite i social media. Mattia sottolinea che la comunità in cui è cresciuto è sempre stata solidale e complessivamente serena, anche se influenzata da uno stretto rapporto con le forze dell'ordine diventate con il tempo sempre più prepotenti.
Quando gli viene chiesto cosa significa per lui essere parte di una comunità, Mattia sottolinea l'importanza della meritocrazia e della democrazia. Desidera un futuro in cui i suoi figli siano orgogliosi di lui e possano essere persone migliori.
Riflette infine sul cambiamento nei comportamenti dei ragazzi delle periferie, notando un'associazione sempre più comune tra l'uso della droga e la percezione di sé come delinquente.
In conclusione Mattia desidera un futuro di successo e soddisfazioni professionali e personali unite ad uno sguardo generativo in cui poter rendere fieri e orgogliosi i suoi figli, in una comunità coesa e ricca di benessere
Stefano, conosciuto come Piso tra gli amici, è cresciuto in una zona di confine tra Calvairate e Viale Argonne, un quartiere quest’ultimo che definisce "un po' meno popolare, sicuramente meno difficile" di altre realtà più periferiche.
Con i suoi 27 anni, Stefano offre una visione viva e personale della sua esperienza nel quartiere, osservando come nel corso degli anni siano emerse numerose realtà musicali e gruppi di ragazzi che hanno cercato di emergere nel panorama musicale locale, spinti più dalla passione che da uno scopo commerciale. Essendo sempre stato un appassionato di musica rap e trap, Stefano ha vissuto l'evoluzione di questo movimento nel tempo, notando un crescente interesse da parte dei giovani e una sempre maggiore presenza di artisti locali nel panorama musicale. La musica e l’arte, in questo senso, sono un forte elemento di condivisione tra i giovani, un campo di lavoro e sperimentazione in cui identità e spirito di appartenenza maturano a contatto con le nuove influenze e le trasformazioni culturali.
Riflettendo sulla trasformazione del quartiere nel corso degli anni, Stefano nota cambiamenti positivi così come segnali di divisione e conflittualità, anche tra i giovani. La musica, linguaggio eletto e simbolico di altri temi trasversali, può diventare secondo Stefano un amplificatore delle diverse singole individualità: gli artisti, tuttavia, devono riuscire a trovare un equilibrio tra la loro immagine, la musica e il marketing per avere successo nel mondo contemporaneo.
Guardando al futuro, Stefano auspica di poter realizzare i suoi sogni nel mondo della musica e di poter contribuire a creare nuove realtà positive nel quartiere, portando avanti messaggi autentici e solidi. Augura alla zona di vedere nascere nuovi movimenti e nuove comunità vere e solide, che portino avanti un messaggio vivificante e autentico, contribuendo a un cambiamento positivo nel quartiere.
Mattia e Stefano, membri e fondatori, hanno aperto le porte di Only Space One (@only.space1) quasi 5 anni fa, collaborando con numerosi artisti di diversi generi provenienti da tutta Italia. Si concentrano principalmente sulla musica urban, dalla trap, al rap e al reggaeton, offrendo una vasta gamma di servizi legati alla produzione musicale, alla promozione e alla distribuzione.
Il team di Only Space è composto da vari professionisti, inclusi producer, fonici e artisti che collaborano per fornire un supporto completo agli artisti che lavorano nello studio. Oltre alla produzione musicale, offrono servizi di promozione e marketing per far conoscere la musica dei loro clienti attraverso diverse piattaforme online e live.
L'idea di creare Only Space è nata da subito con l'obiettivo di offrire un ambiente accogliente e professionale per gli artisti, contrastando l'atmosfera talvolta opprimente di altre realtà. L’idea fondante è che gli artisti si sentano a proprio agio per esprimere al meglio la loro spinta creativa.
Mattia e Stefano riflettono anche sull'importanza della musica come mezzo di espressione e aggregazione sociale: per loro ad esempio la musica è comunicazione, libertà e incontro. Hanno condiviso le loro esperienze personali, sottolineando come la musica abbia avuto un impatto positivo sulle loro vite, aiutandoli ad affrontare sfide e a trovare la propria identità.
Parlando della diversità culturale e sociale, sottolineano che la musica dovrebbe essere un mezzo per unire le persone, superando le divisioni geografiche e sociali. Per questo motivo criticano l'uso della musica e dei media per creare divisione anziché promuovere l'unità e l'empatia. Nel loro studio desiderano sostenere gli artisti emergenti, offrendo loro non solo servizi professionali ma anche supporto umano e quotidiano. Vogliono che Only Space Studio sia un luogo di crescita e di condivisione, dove ogni artista si senta parte di una comunità coesa e inclusiva.
Rispetto al quartiere, alle sue ricchezze e fragilità, Mattia e Stefano condividono l'opinione che il quartiere rappresenti una realtà complessa, caratterizzata da una mescolanza di elementi ricchi e difficili, tipica dei quartieri milanesi. Da un lato, riconoscono la presenza di varie etnie e culture, sottolineando come questa diversità sia sempre stata parte integrante della loro esperienza e della realtà del quartiere. Tuttavia, identificano anche una sorta di divisione, spesso basata su stereotipi e pregiudizi, che può alimentare tensioni e divisioni anziché favorire l'integrazione.
Di nuovo, la musica diventa per loro una risorsa per l’aggregazione e l’espressione dei giovani, indipendentemente dalle differenze culturali o socio-economiche, in una rete comunitaria più ampia. La musica come prevenzione contro il divisionismo e la competitività tossica; sostegno e motore di valori positivi e unità.
Per Mattia e Stefano quindi è fondamentale evitare di alimentare divisioni e stereotipi attraverso la musica o altri mezzi di comunicazione, cercando piuttosto di promuovere un dialogo aperto, inclusivo e rispettoso tra tutte le comunità, lavorando insieme per superare le sfide e valorizzare le ricchezze di ogni quartiere e di ogni individuo.
Ivan, conosciuto come “Big” nel mondo dei tatuaggi, frequentatore abituale del quartiere e cresciuto nella zona di confine con Via Salomone, ricorda vividamente la forte unità e solidarietà della comunità a cui appartiene. Comunità protagonista di forti cambiamenti e sviluppi, teatro anche di esperienze dolorose sul versante personale e familiare.
Raccontare la sua esperienza nella zona è per Ivan l’occasione di parlare di dinamiche sistemiche, diffuse, storicamente radicate negli ambienti che conosce: le disfunzioni e le relazioni complicate con le “autorità” così come la divisione, a volte nettissima, tra zone residenziali e popolari, non hanno compromesso un’atmosfera generalmente unita e integrata grazie a cui, spiega, ha potuto sentirsi a casa in “entrambe” le realtà.
Parlando della sua esperienza di vita, ha raccontato della necessità di prendere decisioni difficili e di adattarsi alle circostanze instabili per sopravvivere, sia nella vita quotidiana che nel mondo degli affari.
Per quanto riguarda Calvairate, pur non condividendo opinioni specifiche, esprime la percezione di elementi diversi e più “funzionali” rispetti alle strade della sua prima infanzia, in termini di risorse, vivibilità, coesione sociale e livelli di disagio.
Riguardo al suo futuro, Ivan ha espresso il desiderio di trovare stabilità economica e mentale, oltre al raggiungimento di un senso di giustizia.
Giulia, addetta al banco rosticceria "Lo Spiedo Rovente", si è presentata durante l'intervista come una donna che lavora su quel camion da quasi quattro anni. Ha descritto il mercato di Talberate come uno dei più difficili della zona, a causa della presenza di case popolari e agglomerati demografici molto diversi, che portano ad una clientela spesso difficile e situazioni di litigi e maleducazione.
Durante l'intervista, Giulia ha ammesso di non aver vissuto esperienze particolarmente belle o significative durante il suo lavoro nel mercato. Ha evidenziato alcuni problemi sociali profondi, come il disagio nelle case popolari, la mancanza di assistenza per anziani soli e le difficoltà derivanti dall’incontro di gruppi sociali e culturali poco integrati.
Quando le è stato chiesto di definire l'idea di comunità, Giulia ha rivelato un approccio individualista, derivato anche dalla sua esperienza di vita solitaria e dai lunghi periodi trascorsi all'estero. Tuttavia, ha sottolineato la sua propensione ad aiutare gli altri quando necessario, anche se non si identifica pienamente con il concetto di comunità.
Per quanto riguarda il futuro dell'attività e della zona, Giulia ha espresso il desiderio che la situazione in Italia migliori, affinché le persone non debbano più lamentarsi dei costi elevati e possano vivere con maggiore benessere economico.
Claudio, commerciante di capi d'abbigliamento al mercato rionale di Piazzale Martini, ha dedicato 38 anni della sua vita a questa attività. Originariamente specializzato in merceria e vendita di calze per uomo, donna e bambino, ha visto il quartiere e il mercato trasformarsi nel corso degli anni.
Riflettendo sugli elementi più significativi che ha osservato nel quartiere nel corso degli anni, riferisce un cambio di mentalità e della composizione della popolazione, con l'arrivo di persone di diverse etnie e un conseguente aumento demografico multiculturale. Inoltre, si dice preoccupato per il degrado verso cui stanno andando alcune zone poco curate e sovraffollate.
Sottolinea infatti l'importanza della pulizia e della sicurezza nel quartiere, auspicando leggi più severe per contrastare coloro che creano problemi e diffondono odio. Chi per Claudio rappresenta una vera ricchezza del quartiere sono le persone anziane, le memorie storiche del territorio.
Parlando del senso di comunità, Claudio enfatizza l’importanza di aiuto reciproco tra i commercianti del mercato e di una condivisione valoriale e progettuale tra le persone.
Guardando al futuro, Claudio si dice preoccupato per il quartiere e la sua attività, a causa dell'avanzata delle multinazionali e dei cambiamenti economici. Critica l’europeizzazione estrema dell’identità locale, e sottolinea la necessitò di lottare per mantenere la qualità e la dignità del lavoro tradizionale contro il dilagare delle grandi catene commerciali.
Giorgio, noto come Josh nelle sue attività di rapper e tatuatore, ha vissuto principalmente a Corvetto e nelle zone di confine con Calvairate, sorella territoriale figlia di una grande e comune tradizione urbanistica e culturale.
Josh descrive il suo passato difficile, segnato dai litigi familiari e dalla separazione dei genitori. La musica e il tatuaggio diventano per lui una via d'uscita, evitandogli il rischio di cadere nella delinquenza di alcuni ambienti problematici e disfunzionali.
Nel corso degli anni, si appassiona alla musica hip hop, inizia a tatuare e diventa poi un tatuatore professionista. Molte sono le esperienze e gli spostamenti nei diversi quartieri di Milano, dove la musica rappresenta con continuità un denominatore comune di orientamento e significati: nelle canzoni e nei testi che ha prodotto, così come colleghi attuali e del passato continuano a fare, è affrontando temi come il degrado, la droga e la ricerca di una via d'uscita dai problemi che diventa possibile esorcizzare i limiti e le paure spesso presenti nei contesti più periferici. In ambito musicale, sottolinea la differenza tra essere un rapper e un trapper, criticando l'immagine negativa associata a quest'ultimo. Nonostante le difficoltà e gli ostacoli, incontrati anche in ambito scolastico all’interno di progetti di sensibilizzazione, continua a fare musica e a organizzare eventi musicali.
Parlando della sua comunità infatti, Josh ricorda un periodo in cui si impegnava per organizzare eventi e corsi per i giovani del quartiere, cercando di offrire alternative positive alla vita di strada.
In conclusione discute della sua visione della comunità e della sua esperienza a Calvairate-Corvetto, sottolineando la necessità di risorse come la piscina e gli oratori, ma anche la mancanza di un senso di comunità che, a suo parere, si è perso nel tempo.
Inacio si presenta con grande solarità e calorosità, e racconta la sua storia con particolare sensibilità verso le origini e il percorso di vita che lo hanno reso l’uomo che è oggi. Il suo cognome, fa notare, in Italia è più comunemente usato come nome anziché come cognome, mentre per lui è un segno distintivo della sua identità. Da queste prime battute emerge subito una forte riflessività circa la propria identità e il legame che essa intesse con i luoghi e le esperienze in cui matura.
Nato nel nord dell'Angola, parte di un'area che faceva parte dell'antico regno del Congo, Inacio racconta di un’infanzia segnata dalla guerra civile che ha devastato il suo paese per molti anni, riducendo drasticamente la popolazione. Questo contesto di guerra ha influenzato profondamente la sua crescita, costringendolo a trasferirsi nella capitale Luanda appena nato.
L’impatto della guerra sulla popolazione stimata, passata da circa 40 milioni negli anni '70 a circa 8 milioni nel 2008, ha segnato indirettamente anche la sua vita che – sebbene protetta tra le mura della capitale – si è poi spesa e rivolta verso temi complessi, politici ed esistenziali.
Durante l’infanzia la sua vita è stata sempre legata al calcio fino a quando un infortunio lo ha costretto a cambiare direzione: questo evento inizialmente frustrante lo ha condotto a scoprire il teatro, diventato poi una vera e propria passione trainante in termini anche di crescita personale e culturale.
L'impatto della sua esperienza con la guerra civile e il suo coinvolgimento nelle attività culturali lo hanno portato a sviluppare una consapevolezza politica e sociale. Ha lavorato attivamente in progetti umanitari, combattendo l'HIV/AIDS e promuovendo la democrazia nel suo paese.
Il suo viaggio lo ha portato in Italia, dove ha intrapreso gli studi universitari a Firenze e poi a Milano. Qui ha trovato una nuova comunità e si è impegnato nel contribuire al miglioramento del quartiere in cui vive, evidenziando la necessità di maggiori iniziative culturali e di una maggiore cura delle infrastrutture e degli spazi pubblici.
Infine, Inacio riflette sul concetto di comunità, evidenziando l'importanza della collaborazione e della solidarietà tra le persone che vivono in un determinato contesto. Suggerisce che, nonostante le sfide dell'individualismo e della burocrazia, un coinvolgimento più attivo da parte di tutti potrebbe portare a un miglioramento tangibile della qualità della vita nella comunità.
Per il futuro, ad un livello personale, desidera concludere il suo percorso di studi universitari perché qualcosa a cui tiene moltissimo. Per la comunità desidera maggiori iniziative sociali e culturali, capaci di coinvolgere e mettere in relazione le persone che vi abitano. Guardando ai progetti futuri, si augura che la nuova Biblioteca Europea offra spazi e risorse per tutti, e che sia aperte e accessibile 24/h per garantire quella condivisione sana e positiva che produca benessere individuale e collettivo.
Donatella, responsabile di Giacimenti Urbani, condivide la missione dell'associazione e il suo impegno nella riduzione dello spreco di risorse. Fondato nel 2014, l'obiettivo principale di Giacimenti Urbani è quello di mettere in rete soggetti interessati alla riduzione degli sprechi e al riciclo, promuovendo l'innovazione e la partecipazione civica.
L'associazione si propone di sensibilizzare sulla responsabilità ambientale e di creare spazi dove cittadini e istituzioni possano interagire. Le attività di Giacimenti Urbani sono state pianificate nel tempo, coinvolgendo iniziative legate al riciclo, al riuso e all'accessibilità.
Tra queste, il festival di Giacimenti Urbani di Cascina Cuccagna, organizzato durante la settimana europea della riduzione dei rifiuti, ha coinvolto vari soggetti attivi sulle tematiche ambientali.
Donatella sottolinea l'importanza della collaborazione e dell'aggregazione dei soggetti per realizzare attività condivise e per favorire una gestione responsabile delle risorse.
Un altro importante progetto è la raccolta e la redistribuzione di beni usati per evitare lo spreco e promuovere una circolarità degli oggetti. Donatella esprime il desiderio di potenziare questo progetto, magari organizzando laboratori di recupero dei materiali.
Nel dialogo con la comunità, Giacimenti Urbani ha ampliato la sua prospettiva, integrando l'aspetto ambientale con quello sociale. Donatella vede il futuro dell'associazione nell'implementare ulteriori progetti di sensibilizzazione e recupero, come ad esempio laboratori di riutilizzo con artigiani.
L’associazione cerca di valorizzare le risorse presenti sul territorio, sia materiali che immateriali. Parte del lavoro infatti consiste nel coinvolgere la comunità locale nella gestione delle proprie risorse, offrendo sostegno e opportunità per il riutilizzo e il recupero di beni. Questo approccio mira a promuovere un senso di responsabilità collettiva verso l'ambiente e a migliorare la qualità della vita nel quartiere.
Pensando al territorio Donatella riconosce elementi di fragilità, come la difficoltà di integrazione di alcune comunità straniere. Giacimenti Urbani sta cercando di trovare modi per includere tutte le realtà presenti nel territorio, ad esempio attraverso l'apertura di uno sportello per la gestione dei beni e per favorire l'incontro tra le persone.
Infine, evidenzia l'impegno dell'associazione nel ridurre l'overpackaging e sensibilizzare sulla gestione responsabile dei rifiuti, un tema cruciale per la sostenibilità ambientale e il benessere della comunità.
Igor è arrivato a Milano nel 1962 e si è trasferito nel quartiere Calvairate con i suoi genitori intorno al 1973-74. Da allora, ha vissuto qui e ha sviluppato una profonda conoscenza del quartiere. Igor ha studiato e lavorato in vari settori, inclusa una lunga carriera in una multinazionale durata più di 21 anni. Nel 2019, dopo un problema di salute, ha deciso di cambiare vita e ha avviato una nuova attività di cucina di strada, “Burghetta”, rigorosamente vegana, che si muove per la citta in modo ecologico e innovativo.
La sua attività si concentra in pochi metri, su un veicolo ecologico a tre ruote, dotato di una piccola cucina, una piastra di cottura, un frigorifero, un lavamani e altri elementi essenziali. Propone piatti semplici come burger vegani, hot dog, hummus con pane tostato e verdure. Nonostante le difficoltà incontrate, come le restrizioni comunali e la concorrenza, Igor ha trovato il suo spazio in diverse zone della città, tra cui Città Studi, Via Celoria, Via Golgi e dietro la Fondazione Prada.
Igor comunica la sua posizione quotidianamente su Instagram e TikTok, utilizzando questi canali per mantenere i clienti informati e fidelizzati. Nonostante il primo anno di attività non sia stato economicamente positivo, Igor vede in questo secondo anno una possibilità decisiva per far decollare il suo progetto. A parte l'aspetto economico, Igor trova grande soddisfazione nel lavorare all'aperto, connettersi con le persone e creare reti di contatti.
Igor ha una lunga storia di impegno politico e sindacale, sostenendo l'importanza del rispetto delle leggi e delle regole per una convivenza civile. Ha rappresentato colleghi e ha avuto un ruolo attivo in organizzazioni sindacali, imparando molto e crescendo personalmente attraverso queste esperienze. Ha anche una passione per la musica, avendo lavorato come batterista e tastierista, e ama cucinare, viaggiare e andare a funghi.
Per Igor, una comunità è un insieme di persone con interessi comuni che cercano di convivere e aiutarsi reciprocamente. Crede che l'isolamento non sia naturale per gli esseri umani e che le connessioni tra le persone arricchiscano la vita. Ha sempre avuto la capacità di mettere in contatto le persone tra loro, intuendo chi ha di fronte e creando legami significativi.
Il quartiere di Calvairate, secondo Igor, è sempre stato multietnico. Quando era giovane, il quartiere era caratterizzato da una forte presenza di milanesi, con le porte delle case sempre aperte e un senso di comunità molto forte. Tuttavia, il quartiere ha vissuto periodi difficili, come l'epidemia di eroina e la presenza di malavita. Nonostante ciò, Calvairate rimane un quartiere interessante con molte contraddizioni, ma anche con un grosso potenziale e una forte comunità.
Igor osserva che negli ultimi anni c'è stato un cambiamento nella composizione etnica del quartiere, con una presenza crescente di diverse etnie, tra cui i rom. Questo cambiamento ha alterato la dinamica del quartiere, portando nuove sfide ma anche opportunità di convivenza e integrazione: da persona e imprenditore attento alla sostenibilità e al benessere, Igor racconta di un episodio positivamente emblematico di tali ricchezze. Delle diverse comunità etniche appartenenti al quartiere è particolarmente legato a quella cinese. La trasformazione del tessuto sociale e culturale ha accompagnato la contaminazione e la rigenerazione di pratiche e conoscenze nella vita delle persone ma anche del commercio. La qualità e la varietà dei prodotti e delle verdure è cambiata, ed è ora possibile trovare ingredienti rari e interessanti in luoghi decentrati dalla bottega alimentare cinese dal centro, nelle vie di Paolo Sarpi.
Igor crede fermamente che con una buona gestione politica e comunitaria, il quartiere possa continuare a essere un luogo accogliente e vitale per tutti.
Francesco, 27 anni, ha sempre vissuto nel quartiere di Corvetto-Calvairate. Fin da piccolo ha mostrato un carattere vivace e un po' casinista. Crescendo in una zona spesso caotica, come quella di Piazzale Ferrara, ha osservato varie situazioni di crisi, talvolta sperimentandole in prima persona.
Durante l'infanzia, Francesco si è dedicato all'arte urbana, sviluppando un forte interesse per il writing. Ha partecipato a numerosi progetti locali, collaborando con bambini, adolescenti e giovani adulti, alcuni dei quali cercavano di redimersi da errori passati. In queste esperienze, ha lavorato insieme a figure di spicco della comunità, nomi che ritiene importanti.
Francesco si definisce un pensatore solitario, spesso perso nel proprio mondo. Pur conoscendo e essendo conosciuto da tutti nel quartiere, si sente come un "fantasma" perché preferisce evitare i contatti con persone che tendono a pensare negativamente. Tuttavia, vede Corvetto (e i territori limitrofi) come una "miniera d'oro", un quartiere che soffre di stereotipi negativi a causa della sua natura popolare. Secondo lui, se si riuscisse a togliere questa maschera, si potrebbe rivelare la vera bellezza della zona, che va oltre il cemento e include molto verde e bambini che giocano.
Parlando delle sue passioni, Francesco è molto legato alla street art, anche se ora è meno attivo per problemi personali. La musica è un altro grande interesse, che vive costantemente ascoltando e creando ritmi. Per lui, queste attività sono una forma di autoterapia. Inoltre, Francesco si considera un "nerd" appassionato di anime e parte di una squadra di e-sport, in cui ricopre il ruolo di team manager.
A livello sportivo, ha praticato Brazilian Jiu Jitsu fino a ottenere la cintura nera, ma ha dovuto smettere per problemi fisici, specialmente alle ginocchia. Parlando del rapporto con il quartiere, sottolinea che conosce bene anche Calvairate, grazie alla vicinanza e alle persone che frequenta in quella zona.
Secondo Francesco, gli artisti di Corvetto-Calvairate condividono una determinazione comune: sfruttare la propria passione per creare uno stile di vita. Crede che le zone come queste possano formare il carattere di una persona, offrendo sia sfide che opportunità di crescita. Vede un grande potenziale nel quartiere, ma riconosce che la forza di volontà è essenziale per superare le difficoltà.
Francesco ha trovato spazi per esprimere la sua arte collaborando con associazioni locali, ma sottolinea che spesso queste opportunità non sono facilmente accessibili senza connessioni. Parlando di musica, menziona persone come Josh della MCK e Cisky, un attore conosciuto per il suo ruolo in "Blocco 181", come esempi di individui che credono nel potere della musica e dell'arte.
Tra le risorse del quartiere identifica:
Tra le fragilità più evidenti:
Per lui, la comunità ideale è basata sulla collaborazione. Crede che, lavorando insieme, gli abitanti potrebbero smantellare i pregiudizi che gravano su Corvetto. Immagina iniziative che coinvolgano diverse generazioni, come progetti artistici o attività di pulizia del quartiere, per promuovere la solidarietà.
Francesco sogna una vita semplice: una famiglia, un buon lavoro e il benessere per la sua comunità. Vorrebbe vedere il quartiere migliorare dal punto di vista delle infrastrutture e spera che la gente del posto diventi più leale e unita, creando un ambiente migliore per tutti.
Lily Lopez è la proprietaria di Costa Fish, un ristorante giappo-peruviano situato nel quartiere Calvairate, vicino alla vivacissima P.le Tito verso il centro della città. Racconta che il suo ristorante offre una varietà di piatti, che includono specialità peruviane, giapponesi e anche italiane. Lily nota con piacere che molti clienti italiani sono curiosi di provare il lomo saltado e altre pietanze tipiche peruviane, spesso ordinando direttamente dalle foto del menu. L'idea di creare Costa Fish nasce dalla collaborazione con un socio in Perù, che le ha suggerito di proporre una fusione di cucina peruviana e giapponese, aggiungendo anche alcuni piatti italiani per accontentare una clientela più ampia. Questa varietà, che include persino cotolette di carne con patatine, molto apprezzate dai bambini, è stata ben accolta dagli abitanti del quartiere.
Il riscontro del quartiere è stato positivo. Anche se Costa Fish ha dovuto chiudere temporaneamente per rinnovare gli interni con una nuova pittura, i clienti hanno ripreso a frequentare il locale soprattutto la sera, quando il ristorante offre spesso musica dal vivo in occasione di compleanni e prenotazioni speciali. Tuttavia, Lily osserva che a mezzogiorno c'è meno affluenza, anche se spera che i pranzi aziendali possano migliorare la situazione.
Lily ha scelto Calvairate per aprire Costa Fish ispirata da un precedente ristorante peruviano che frequentava. Nonostante le difficoltà economiche, come l'aumento degli affitti, è determinata a portare avanti il suo progetto, pur consapevole dei sacrifici necessari.
Originaria del Perù, Lily è arrivata in Italia nel 1995 per offrire un futuro migliore ai suoi figli. La vita in Italia, seppur costosa, le ha permesso di lavorare e costruire una nuova vita. Dopo nove anni come badante e un corso per diventare operatrice socio-sanitaria, ora lavora in una casa di riposo, alternando i turni con la gestione del ristorante. Ricorda con affetto la comunità peruviana, caratterizzata da un forte senso di unione e condivisione, specialmente durante le festività. Per lei, la comunità significa sostegno reciproco e coesione, valori che cerca di trasmettere anche nel suo piccolo.
Nonostante le difficoltà, Lily è grata per le opportunità avute in Italia e spera di poter viaggiare di più per conoscere meglio il paese, magari insieme ai suoi figli. Desidera vedere Roma, Venezia e altre città italiane, avendo già visitato Verona, la Sardegna e Palermo.
Conclude l'intervista con gratitudine, felice del sostegno ricevuto dai clienti italiani e soddisfatta di aver creato un luogo dove la cucina peruviana e cinese sono apprezzate. Nonostante le sfide, è determinata a continuare il suo percorso, sperando in un futuro luminoso per lei e la sua famiglia.
Emma, responsabile della Biblioteca di Calvairate in Piazzale Martini 16, è Milanese di nascita e formazione. Pur non essendo appassionata della città, preferendo spazi aperti come mare e montagna, ha scelto di vivere e lavorare a Milano per necessità. Il suo rapporto con la città è di amore-odio, e pur lavorando per il Comune di Milano lavorare ama vivere in un luogo più tranquillo in cui evadere facilmente.
Emma è bibliotecaria da molti anni, avendo vinto un concorso a Milano poco dopo la laurea in lettere. Lavora in questo settore da oltre dieci anni con grande passione e con il desiderio di applicare le competenze maturate in modo pratico e concreto. Crede fermamente nel servizio pubblico e gratuito, nonostante le difficoltà legate al lavoro in un'amministrazione pubblica. Apprezza l'investimento nella cultura da parte del Comune di Milano, pur riconoscendo che ci sono ancora molti aspetti, come l'ambiente e la mobilità, che necessitano di miglioramenti.
Emma considera il ruolo del bibliotecario non solo come una professione ma anche come parte di una comunità lavorativa forte: crede della promozione del cultura, della lettura e del servizio al pubblico. Ritiene che la biblioteca debba essere un luogo aperto e accessibile a tutti, un punto di ritrovo sicuro e gratuito dove ognuno possa trovare il proprio angolo, sia per stare da solo che in compagnia.
Rispetto ai servizi offerti dalla Biblioteca essi includono non solo il prestito tradizionale ma anche iniziative di promozione della lettura per diverse fasce d'età. La biblioteca infatti offre uno spazio per attività culturali, che vanno dai giochi alla musica, agli incontri di lettura e presentazione di libri. Sta anche cercando di sviluppare un progetto legato alla sostenibilità e al rapporto con l'ambiente, con l'obiettivo di coinvolgere la comunità nella cura dello spazio verde esterno.
Riguardo al quartiere in cui si trova la biblioteca, Emma lo descrive come molto milanese, con anime diverse. È un quartiere in trasformazione urbanistica e culturale che esprime un sempre più marcato cambiamento nelle dinamiche sociali. Storicamente legato alle case popolari, il quartiere ora presenta una varietà di realtà culturali e demografiche significative. Emma vede il quartiere come un luogo molto pedonale, dove la biblioteca, situata al centro, può essere un punto di riferimento importante.
La multiculturalità è un tema presente nel quartiere e la biblioteca cerca di esserne luogo di intercettazione, espressione e integrazione; ci sono infatti molte mamme arabe che frequentano lo spazio con i loro bambini e corsi di lingua a disposizione dei cittadini. Queste risorse sono importante risposte al bisogno di incontro e comprensione della diversità.
Per Emma il senso di comunità è rappresentabile da un gruppo di persone diverse che si prendono cura di qualcosa insieme. In questo senso si auspica che la biblioteca possa attivare progetti che promuovano la cura reciproca tra la biblioteca e il quartiere. A livello personale, desidera rimanere nella sua attuale posizione per un po' di tempo, per vedere come evolverà la situazione.
In conclusione, per lei è importante prendersi cura della Biblioteca, contribuendo a farne un luogo di incontro, integrazione e cura per la comunità.
Liu, conosciuta da tutti come Monica, è il volto dietro al Barrio Café in Piazza Tito a Calvairate. E' arrivata in Italia a soli dieci anni dalla regione cinese dello Zhejiang.
Dopo aver completato gli studi superiori, ha scelto di iniziare a lavorare e di proseguire contemporaneamente la sua formazione. Non aveva mai lavorato nel settore della ristorazione fino a quando ha incontrato il suo compagno, che invece era già esperto nel campo. Insieme hanno deciso di avviare un’attività, e la scelta è ricaduta su un bar in un quartiere che Monica conosceva già grazie al negozio di sartoria della madre, situato proprio nella piazza dove ora sorge il Barrio Café.
Monica non torna in Cina dal 2013 e sente molto la mancanza dei suoi parenti, soprattutto della nonna materna. Vive in zona Loreto, ma ha scelto Calvairate per aprire il bar per via del legame affettivo con la zona e per le esperienze positive avute con la clientela locale, che ha sempre dimostrato gentilezza e disponibilità.
Parlando del quartiere, Monica sottolinea come la diversità culturale e generazionale sia un aspetto positivo, con una clientela che va dai pensionati ai giovani. Calvairate è un luogo strategico e storico, con il bar che ha sempre rappresentato un punto di riferimento per la comunità locale, dato il suo affaccio sulla piazza e il verde circostante.
Monica ricorda con affetto i momenti in cui aiutava la madre nel negozio di sartoria, imparando l'italiano grazie alla pazienza e alla disponibilità dei clienti. Questo spirito di comunità è una delle caratteristiche che apprezza di più del quartiere.
Sebbene Monica e il suo compagno siano nuovi del quartiere, hanno notato iniziative come la pulizia del parco organizzata dai giovani, un’idea che lei considera molto positiva. Tra le sfide, però, evidenzia la necessità di migliorare la pulizia e la manutenzione del verde pubblico, spesso trascurato e pieno di rifiuti.
A livello personale, Monica ammette di non essere una grande appassionata della movida, preferendo invece dedicarsi al lavoro e al “buon mangiare”. Ama mangiare, soprattutto piatti italiani come gli spaghetti al ragù e le lasagne, e pietanze cinesi, come i ravioli e vari tipi di carne, sebbene non le piaccia cucinare frequentemente.
Esprime il desiderio di migliorare l’area esterna del bar, magari con un progetto per valorizzare il giardino e renderlo più accogliente per i clienti. Un giardino curato è essenziale per mantenere l’area sicura e piacevole per i clienti e i loro animali domestici.
Monica e il suo compagno stanno anche considerando di trasferirsi più vicino al bar per facilitare la gestione dell’attività, riducendo i tempi di spostamento e lo stress correlato. Dopo un anno di lavoro intenso senza pause, Monica ha finalmente deciso di prendersi una mezza giornata di riposo ogni settimana, un piccolo ma significativo passo verso un maggiore equilibrio tra vita e lavoro.
Nonostante le sfide, si sente soddisfatta e fortunata per il supporto ricevuto dalla comunità locale, che ha contribuito a rendere il Barrio Café un punto di riferimento per il quartiere.
Giovanni, con il suo banco di biancheria per la casa, rappresenta la terza generazione di una tradizione famigliare radicata nel mondo del mercato.
Descrive il lavoro come una parte significativa della sua vita, essendo crescendo tra i banchi rionali e le vie della città e gli risulta difficile immaginarsi altrove. Con un velo di amarezza e nostalgia, riconosce che i tempi sono cambiati e il mercato ha subito una trasformazione profonda, con una riduzione delle soddisfazioni economiche e un maggiore focus sulle vendite a basso costo.
Secondo Giovanni, il cambiamento nel sistema del mercato è stato influenzato dalla variazione dei titolari delle attività e dalla crescente concorrenza da parte di centri commerciali, outlet e vendite online. Questi mutamenti hanno portato a una perdita di clientela abituale e a una maggiore enfasi sul prezzo a discapito della qualità.
Parlando del quartiere nel suo complesso, Giovanni riflette sulla sua natura popolare e sulla presenza storica di una comunità coesa. Tuttavia, nota che negli anni ci sia stato un declino del senso di comunità, con una riduzione degli scambi sociali e della solidarietà tra vicini di casa.
Guardando al futuro, Giovanni si augura che il quartiere possa riprendersi, attrarre nuove famiglie che credano nei valori della tradizione e dell'artigianato locale. Conclude sperando in un ritorno alle radici dell'Italia come paese di commercianti artigiani e una maggiore preservazione delle identità locali.
La famiglia Arrigoni è una presenza storica nei mercati milanesi, tra cui quello di Piazzale Martini, dove da oltre 40 anni offre salumi e formaggi con dedizione e passione. Passeggiando lungo l'anello del mercato che tutti i mercoledì mattina accende la piazza di colori e sapori vibranti, tra stoffe colorate e prodotti gastronomici di tutto il mondo, è possibile incontrare commercianti appassionati e solari, come Gloria, Claudio e Pamela. Artigiani e imprenditori mossi da un credo intimo e solerte verso il loro lavoro. Famiglie, coppie e giovani lavoratori che con il passare degli anni intessono profonde relazioni di "vicinato" con i colleghi che vedono crescere i figli gli uni degli altri, che chiamano per nome i loro clienti e per i quali rappresentano un piacevole appuntamento fisso. Il mercato di Piazzale Martini è un piccolo micro-cosmo, una città nella città, catalizzatore ed espressione dei tratti identitari così come delle evoluzioni che caratterizzano questo quartiere.
A questo proposito, Gloria e sua figlia Pamela, orgogliose di portare avanti l'eredità familiare, riflettono sulle sfide che il mercato ha affrontato nel corso degli anni: con il declino economico, la qualità dei prodotti e l'atmosfera del mercato sono cambiati. Tuttavia, nonostante le difficoltà, il mercato rimane un punto di riferimento per una clientela variegata, sia giovane che anziana.
Per la famiglia Arrigoni, la comunità è un concetto che ha perso un po' del suo significato originario. Una volta c'era un senso di reciproco sostegno e collaborazione, ma oggi sembra essere svanito. Ciononostante, il mercato continua a rappresentare un luogo di incontro e di scambio umano, dove è possibile condividere conversazioni e creare legami con i clienti.
Guardando al futuro, Gloria si augura un cambiamento positivo. Anche se non è del tutto convinta che le cose miglioreranno, spera in un futuro migliore per l'attività e per la comunità nel suo insieme. Nonostante le sfide, rimane la speranza che il mercato continui a essere un luogo accogliente e vitale per tutti.
Il racconto di Mohamed e Fatima, commerciati di abiti e stoffe presso il mercato rionale di P.zza Martini, rivela una storia commovente di impegno, resilienza e speranza. Dopo molti anni di attività nel mercato, entrambi riflettono sulle sfide incontrate, soprattutto dopo l'emergenza sanitaria del Covid-19 che ha gravato ulteriormente sulle loro già difficili condizioni finanziarie.
Mohamed e sua moglie lamentano l'eccessivo carico fiscale e le crescenti spese che rendono sempre più difficile mantenere uno standard di vita dignitoso. La loro esperienza rispecchia quella di molti altri commercianti che lottano per sopravvivere in un mercato sempre più difficile da affrontare. È attraverso questa lente specifica e circoscritta che riflettono sul territorio e la comunità più ampi che li circondano.
Originari del Marocco, entrambi condividono un profondo radicamento nel mondo del commercio, ereditato dalle rispettive famiglie. Questa tradizione lavorativa è per loro una vocazione sacra, basata sull'integrità e sul rispetto per i clienti. Pur riconoscendo le sfide del mercato italiano rispetto a quello marocchino, entrambi si sforzano di mantenere viva la loro passione per il commercio, considerandolo un'attività sacra che va oltre il mero scambio di merci.
Parlando della loro esperienza come immigrati in Italia, Mohamed e Fatima riflettono sul concetto di comunità e sull’esperienza vissuta come stranieri in un paese adottivo: si sentono integrati nella comunità italiana ma, dopo molti anni lontani dalla quotidianità di casa, si percepiscono stranieri nel loro paese d'origine, il Marocco. Questa dualità li spinge a confrontarsi rispetto ai temi complessi di identità e appartenenza.
Guardando al futuro, Mahomed e Fatima esprimono il desiderio che i loro figli ricevano un'educazione solida e sviluppino empatia e propensione verso gli altri. Per loro, infatti, la vera ricchezza risiede nella felicità interiore e nella capacità di connettersi con gli altri, piuttosto che nel possesso di beni materiali.
Roberto, classe ’96, è specializzato come tecnico del suono e lavora presso uno studio di registrazione di Milano. La musica è senz’altro la sua più grande passione, vissuta pienamente tra il lavoro e le simpatiche sessioni di karaoke, ma coltiva anche un fortissimo interesse per lo sport e i videogiochi. Si è trasferito a Calvairate, in corrispondenza di Piazzale Cuoco, intorno agli anni 2000. Il legame con il quartiere è profondo, sentito, intenso. Prima di iniziare il dialogo si è infatti gentilmente offerto come Cicerone, guidandoci in una piacevole passeggiata antropologica lungo le vie della "sua zona". Ci ha raccontato della sua relazione con bar, ristoranti, attività commerciali e luoghi di ritrovo (pubblici come i parchi e le piazze), istituzionali e informali (come scuole e oratori) che lo circondano, di come li ha visti durare e cambiare allo stesso tempo, in un valzer di radicamento, appartenenza, tradizioni, mutamenti, instabilità e sfide sociali.
Racconta che le principali trasformazioni del quartiere a cui ha assistito, ad esempio, riguardano l’estetica dei luoghi, i cambiamenti dei servizi e dei titolari che li gestiscono e soprattutto la composizione demografica, sociale e culturale. Aumento e diversificazione del tessuto sociale sono elementi chiave delle trasformazioni attuali. Se da una parte parla con entusiasmo delle aree verdi come luoghi di incontro e condivisione, al contempo riconosce anche aspetti di fragilità: la sfida contro la microcriminalità e lo spaccio di droga, ma anche la mancanza di strutture di aggregazione giovanile. Individua la necessità di iniziative e progetti che possano riaccendere il senso di comunità e di appartenenza molto presenti negli anni passati.
Parlando del senso di comunità, Roberto evoca l’immagine di un vicinato solidale basato sul rispetto reciproco e sulla condivisione. Per lui comunità sono i sentimenti di appartenenza e orgoglio esperiti nel sentire nominare le vie del suo quartiere nei testi delle canzoni; è il desiderio di proteggere il legame identitario con questi luoghi.
Rivolgendosi al futuro, Roberto esprime speranze personali, auspici per il quartiere e Milano nel suo complesso. Desidera realizzare il suo potenziale nel settore musicale e contribuire positivamente allo sviluppo della sua città, verso cui prova un legame unico e irripetibile. Esprime una certa preoccupazione per il futuro per quanto riguarda una possibile "americanizzazione" e uno snaturamento del tessuto sociale milanese, ma rimane ottimista sulle possibilità di miglioramento e di crescita.
Clara è nata e cresciuta a Calvairate, in corrispondenza di P.zza Tito. Crescendo, dal periodo delle elementari in poi, ha iniziato a esplorare il quartiere e ad apprezzarlo profondamente, soprattutto per alcuni luoghi di ritrovo per lei iconici, come il Parco Motta e la gelateria Mela Verde.
Attualmente lavora come bar manager al Panino Giusto di Porta Venezia, un lavoro che trova stimolante nonostante lo stress che comporta. La sua passione per lo sport, in particolare per le moto, la porta spesso a fare giri in bicicletta, ad allenarsi all'idroscalo e a vivere la città - il quartiere - in modo dinamico.
Riflettendo sui cambiamenti che ha osservato nel quartiere nel corso degli anni, sottolinea la necessità di riqualificare alcune aree e migliorarne la sicurezza, nonostante lei personalmente non abbia mai sperimentato situazioni problematiche. Racconta una visione positiva del quartiere e spera che venga apprezzato e valorizzato per le sue caratteristiche uniche, anche al di fuori dei suoi confini. Calvairate, secondo Clara, ha molto da offrire: grandi spazi verdi e vivaci - come il Parco Motta e Piazza Insubria, ottimi per lo svago e il relax dei residenti residenti. Inoltre, la vicinanza con l'Università Statale e la presenza della Biblioteca rendono il quartiere attraente per gli studenti e gli amanti della cultura. Tra altri aspetti da migliorare, il problema del traffico intenso in alcune strade, come Via Sparta e Via Pistrucci, può inoltre compromettere la circolazione e causare disagi alla comunità locale.
Per quanto riguarda il senso di comunità, Clara lo associa a persone unite da legami sociali, morali e culturali, che condividono tradizioni e frequentano gli stessi luoghi. Personalmente si sente parte di diversi piccoli gruppi di amici e in ciascuno cerca sempre di aiutare chiunque ne abbia bisogno.
In futuro Clara si auspica una riqualificazione del quartiere e sogna di acquistare una casa nella zona. Vorrebbe anche viaggiare e aprirsi a quante più esperienze possibili.
Nicola, classe '89, si è trasferito a Milano nel 2016 vivendo in diversi appartamenti all'interno della cerniera di confine tra il quartiere Calvairate e Via Cadore/P.zza Cinque Giornate. Originario di Napoli, ha frequentato la facoltà di Giurisprudenza a Roma e si è poi spostato a Milano per motivi di studio, intraprendendo la carriera di avvocato. Oltre alla sua professione, Nicola ha una serie di interessi che definisce "nerd", tra cui fumetti, videogiochi, giocattoli Lego e oggettistica vintage. È un appassionato di giochi da tavolo e di società, e ha una particolare predilezione per "Magic the Gathering", un gioco di carte a cui gioca da oltre vent'anni.
Riguardo alla zona di confine Calvairate- Piazza 5 Giornate, Nicola ha notato diversi cambiamenti nel corso degli anni. All'inizio, è stato sorpreso dall'efficienza dei mezzi pubblici milanesi, cosa che non aveva sperimentato nelle città in cui aveva vissuto in precedenza. Ha visto la zona trasformarsi da residenziale a un luogo più vivace e di passaggio, con un aumento delle attività commerciali e dei locali ben tenuti. Tuttavia, ha evidenziato la mancanza di spazi pubblici adeguati per l'incontro e la socializzazione. Tra i luoghi che Nicola frequenta abitualmente, El Piba, steak house e birreria argentina, nota anche per la musica dal vivo e un'atmosfera accogliente. A proposito di locali e luoghi di riferimento, egli sottolinea l'importanza di avere più spazi dedicati alla comunità, dove le persone possano incontrarsi e socializzare liberamente.
Parlando di comunità, Nicola ha notato che la zona ha una popolazione prevalentemente anziana e che manca un senso di appartenenza per i giovani residenti. Desidererebbe che la zona diventasse più inclusiva e dinamica, simile ad altre aree come City Life, dove la socializzazione è favorita da spazi pubblici ben curati e attività comunitarie. Complessivamente, la forte proposta commerciale e di locali, unita ad una variegata, sempre più partecipata e vivace "clientela", insieme alla presenza di spazi pubblici, come piazze, parchi e aree verdi favoriscono, secondo Nicola, una socializzazione, attrattività, appartenenza e benessere verso il quartiere.
Di contro, accanto agli spazi pubblici aperti mancano però luoghi informali di incontro dove le persone possano ritrovarsi per socializzazioni più mirate; insieme all'allegro fermento che accompagna lo sviluppo del territorio, si verifica però anche l'incremento del traffico veicolare, soprattutto durante le ore di punta, e una conseguente mancanza di parcheggio. Le zone più residenziali vedono una preponderanza di popolazione anziana e laddove non ci sono proposte attrattive e dinamiche, il rischio di senso di isolamento aumenta per tutti i diversi residenti.
In sintesi, Nicola vede nel quartiere una serie di ricchezze culturali e sociali, ma anche alcune fragilità legate principalmente alla mobilità, all'età della popolazione e alla mancanza di spazi di incontro informali.
Guardando al futuro, Nicola auspica un miglioramento della qualità della vita nella zona e che le trasformazioni in corso portino ad un ambiente più vivace e coinvolgente per tutti i residenti.
Per Nicola, il senso di comunità è un concetto che abbraccia l'idea di incontrarsi e condividere esperienze con le persone che vivono nella stessa area. Vede la comunità come un luogo di incontro informale, dove le persone possono socializzare liberamente senza necessariamente avere uno scopo preciso. Questo spazio di convivialità è caratterizzato da una dimensione più umana e autentica, dove l'obiettivo principale non è tanto avere ragione, ma piuttosto condividere e scambiare idee in un clima di apertura e rispetto reciproco. Il senso di comunità si traduce perciò nell'idea che gli spazi pubblici non siano solo luoghi di transito, ma veri e propri punti di ritrovo e condivisione, gestiti e tutelati dalla stessa comunità. Si tratta di un sentimento di appartenenza e partecipazione attiva alla vita del quartiere, dove ogni individuo si sente coinvolto e responsabile del benessere collettivo.
Cristina è una ex maestra di Pont Canavese, molto conosciuta e molto amata.
Ama il suo Paese, fa parte di gruppi storici e attiva su tantissime attività del territorio, passione che ha tramesso anche ai suoi allievi.
Ricorda con nostalgia quando Via Caviglione era la via del commercio, attiva e piena di vita.
Negli anni 80 ricorda la scuola con classi numerose, che man mano sono andate sempre più a diminuire.
Sogna una città con risorse per i ragazzi, spazi di ritrovo a misura di adolescente.
Il turismo dovrebbe essere potenziato, sia con strutture ricettive, sia valorizzando zone come "la goioa" la spiaggia dei i pontesi.
Ama la lettura, il cinema, il teatro e la danza popolare.
Mi chiamo Roberto e sono un medico di famiglia a Orbassano da circa 25 anni e negli ultimi anni anche consigliere comunale.
Ho scelto la carriera di medico perchè amo stare in mezzo la gente, ma più di tutto amo ascoltare e poter aiutare le persone. Motivo che mi ha spinto anche a diventare consigliere. La mia priorità è stare in mezzo alle persone.
Amo gli sport all'aria aperta come nuoto, mountain bike, barca a vela ecc..
Orbassano è una bella città che funziona. L'esigenza che maggiormente si sente è quella di tutelare le persone affette da malattie geriatriche. Servirebbe un centro diurno per i malati di Alzheimer e demenza senile. Inoltre, anche i giovani dovrebbero avere più spazio per loro, come momenti di aggregazione. Una volta c'erano gli oratori, adesso andrebbero implementate le attività sportive e le attività in biblioteca.
Sono una persona positiva e faccio il mio lavoro con grande passione.
Mi chiamo Khadija, sono di origine marocchina e vivo in Italia da 15 anni. Lavoro con mio marito nella sua tabaccheria a Orbassano e abbiamo un figlio. La mia famiglia di origine è numerosa e vive in Marocco. Sono molto legata alle mie origini e alla mia famiglia. Torno in Marocco ogni volta che posso, dove ci sono ancora sia mia mamma, che mio fratello e mia sorella, altri due sono in Italia e un altro in Francia.
Venire in Italia era il sogno che avevo da bambina e sono arrivata qui per studiare. Poi ho conosciuto mio marito e sono rimasta per amore.
Sul territorio ho la mia piccola comunità con cui organizziamo piccoli eventi per rafforzare il nostro legame e per aiutarci reciprocamente.
Nel mio piccolo cerco di trasmettere il bello della mia cultura e di abbattere i pregiudizi per un'integrazione migliore.
Mi chiamo Daniela e sono da sempre Orbassanese. Fin da ragazza avevo il sogno di aprire un bar nella mia città e da qualche anno l'ho realizzato. Prima sono stata barista di altri bar e ho lavorato in fabbrica, ma a 40 anni ho deciso di buttarmi e ho aperto Atomico Café. Il nome viene da un bambino che quando segnava un goal, come esultanza urlava "Atomico".
Amo la mia città e non andrei mai altrove. Qui ho famiglia e amici che mi sono di grande supporto per la mia attività.
Sono felice di aver aperto a Orbassano perché mi sento sicura e a casa. Del mio lavoro amo molto il contatto con le persone che valorizza il mio carattere.
Amo anche molto la musica e la corsa. Mi piacciono molto le serata organizzate nel paese.
Mi chiamo Domenico Gerace, vivevo ad Orbassano fino a un anno fa e ho un negozio di fotografia in Orbassano da circa 25 anni. Convivo con la mia compagna e ho due gemelli. La mia famiglia d'origine è calabrese, ma già mio fratello nacque qui. Mia mamma faceva la sarta, mentre mio papà il carpentiere. Adesso purtroppo non c'è più.
Ho cominciato come laboratorio di fotografia e di stampe fotografiche, negli anni il lavoro è cambiato e ora il negozio offre anche altri servizi tra cui gadget personalizzati e corsi di fotografia. E' un momento florido per l'attività in questo momento, ci conoscono in molti. In passato però c'era un'attenzione più alta per i commercianti rispetto alle loro difficoltà. Le iniziative per il commercio che ci sono spesso non sono adatte o mal organizzate, anche perché non chiedono il parere dei commercianti.
In passato, avevamo aperto anche un negozio di articoli etnici, ma era molto difficile gestire le due cose in contemporanea. Successivamente, 12 anni fa abbiamo anche cominciato a gestire una mensa scolastica a Rivoli, quindi nel settore dell'alimentazione.
Sono una persona molto curiosa e che ama informarsi, infatti ho imparato molto del mio lavoro autonomamente e non smetto mai di imparare.
Prima di questo ho fatto molti altri lavori ed ognuno di esso mi ha lasciato qualcosa.
Vorrei vedere un cambiamento nella gestione dei commercianti che mi faccia tornare la voglia di partecipare.
Mi chiamo Elisa e vivo ad Orbassano da più di 20 anni. Sono sposata e ho un figlio adolescente.
Prima vivevo a Torino e mi sono laureata in economia. Ho lavorato in un ufficio fino alla nascita di mio figlio, poi ho dovuto lasciare il lavoro per lo stesso motivo per cui molte neo mamme sono costrette a farlo.
Ho sempre amato i cani e ne ho sempre avuti a casa. Insieme a mio marito facevo anche volontariato in canile ed ho deciso di provare ad unire la mia passione ad uno sbocco lavorativo. Ho frequentato un corso da educatore cinofilo professionalizzante e mi sono abilitata. Ho cercato e con fatica ho trovato un pezzo di terra in affitto a Piossasco, per avviare la mia scuola di educazioni cani che svolgo tutt'ora.
Il mio scopo è quello di educare, non solo i cani, ma soprattutto i proprietari di cani e di fare divulgazione nel rispetto di tutti. Nella speranza di una convivenza serena tra cani e umani, compreso chi non ama i cani.
Il mio amore per i cani si è poi trasformato in un amore più generale per tutte le specie animali. Ho cominciato una dieta completamente vegetale, che mi ha migliorato l'umore e la salute fisica.
Con la mia famiglia, abbiamo proprio scelto di vivere ad Orbassano perché ha una dimensione che mantiene il contatto umano e ha tutti i servizi. Penso si potrebbero potenziare le attività educative ma divertenti più strutturate per i giovani e adolescenti.
Mi chiamo Teresa Mendicino e sono una commerciante da tutta la vita. Abito a Rivalta, ma ho l'attività qui ad Orbassano. Sono arrivata qui negli anni '60 con tutta la mia numerosa famiglia calabrese. Ho vissuto la mia infanzia, le scuole, le amicizie a Orbassano. Mio padre era una persona onesta ed un gran lavoratore e siamo stati sempre ben accolti dalla comunità.
Mi sono sposata ed ho avuto figli molto giovane e con mio marito abbiamo aperto la nostra prima attività di frutta e verdura a Orbassano nel 1974, finché mio fratello non prese un locale in Strada Piossasco e io e mio marito decidemmo di metterci in società con lui per aprire la nostra prima pizzeria. Così è cominciata la nostra lunga carriera nella ristorazione ad Orbassano, che portiamo avanti ancora oggi.
Abbiamo avuto, tra alti e bassi, molti locali ad Orbassano. Per citarne alcuni: Solaris, Holiday Planet, Le Braci ed infine ZI Teresa che ancora oggi è un punto di riferimento per il territorio. Amo il mio lavoro e l'ho sempre fatto con grande passione. Le persone che ci conoscono lo hanno sempre riconosciuto ed apprezzato e questo è ciò che ci ha sempre dato la forza di continuare.
Oggi il nostro Ristorante Pizzeria è gestito da nostro figlio Gabriele che ha ereditato da noi la nostra passione e la dedizione al lavoro che ci ha sempre contraddistinto.
Mi piacerebbe che ad Orbassano si organizzassero più eventi.
Mio marito si diletta anche nella scrittura di libri di diversi generi. A me piace molto viaggiare, quando ero giovane riuscivo a farlo di più.
Mi chiamo Mauro Reale, sono nato ad Orbassano e gestisco dal 1995 la tabaccheria di famiglia qui sul territorio di Orbassano. La Tabaccheria Reale è una delle attività più longeve di Orbassano e l'ho rilevata da mio papà che la gestiva dal 1956.
Ho una visione molto positiva del territorio e della sua comunità, l'ho vissuta fin dalla nascita e la amo molto. Trovo che Orbassano sia molto ben amalgamato nella sua comunità e anche persone con background diversi sono ben integrate. Sono sposato con una donna originaria del Marocco ed ho un figlio di 9 anni. Mia moglie in primis, oltre a lavorare con me, è molto attiva nella società ed è rappresentante della sua piccola comunità con la quale organizza occasioni di incontro cittadino.
Ho sempre amato molto lo sport e lo pratico anche ad oggi.
Credo sia importante non fermarsi mai, continuare a costruire il nostro futuro e continuare ad organizzare eventi e occasioni di incontro cittadino per il bene del nostro territorio e dei suoi abitanti.
Quello che consiglio alle nuove generazioni è di non adagiarsi e di permettersi di inseguire i propri sogni.
Il mio sogno ora è quello di veder crescere mio figlio e di godermi una meritata pensione.
Mi chiamo Giovanni Pedrali, sono il titolare della caffetteria Pedrali di Orbassano, che ho aperto 6 anni fa. Ho sempre fatto questo mestiere, in tanti campi diversi. Mi sono diplomato all'alberghiero.
Ho sempre vissuto tra Torino e Milano, ma ho anche fatto una stagione in Francia.
Aprire un'attività propria è sempre stato il mio sogno. Mi auguro di essere un buon titolare, ma il problema maggiore è trovare il personale. Secondo me, non c'è la volontà di imparare un lavoro manuale come il barista o di fare la gavetta, ma serve perché così si imparano ad affrontare le difficoltà. E' fondamentale anche portare delle innovazioni sul territorio, continuando a studiare.
I miei genitori sono sempre stati dei grandi lavoratori. Mio padre aveva un'officina di metalmeccanica, dove ho lavorato per qualche tempo, ed è stato il mio modello di lavoratore. Mio fratello invece ha acquisito un modello di lavoro diverso, più tranquillo.
Ho cominciato a conoscere bene Orbassano da quando ho aperto questa attività. Può offrire tanto ai cittadini, ma viene trascurata. Bisognerebbe incentivare lo svago cittadino, sia per le azienda che per la vita sociale, abbellire le strade e velocizzare la burocrazia.
Sono Cinzia Virano, ho l'attività qui ad Orbassano da 10 anni. Io sono nata e cresciuta a None, i miei genitori erano già ottici da 45 anni e hanno passato la passione a me e a mio fratello. Mi sono poi iscritta alla scuola di Ottica e Optometria a Bergamo e ho colto l'occasione di aprire questo negozio ad Orbassano. Lavoriamo insieme a Lawrence e Angela.
Mio nonno viveva ad Orbassano, quindi la conosco abbastanza bene. Io ho vissuto qui due anni. Stare all'area aperta è ciò che mi piace di più, quindi durante le pause pranzo prendevo sempre la bicicletta e facevo la pista ciclabile dal Parco del Sangone. Ho conosciuto l'associazione Agafh, che aiuta persone in difficoltà, ma anche raccoglie abiti e cibo e li distribuisce.
Ho sempre avuto la passione per le lingue, vorrei praticarle di più. Adoro viaggiare, sto coinvolgendo anche mia figlia di 2 anni, e riesco ad associarla con il lavoro. Mi piace molto anche il trekking, anche andare nei rifugi di montagna. Abbiamo una casa di famiglia vicino a Bussoleno, quindi ho sempre frequentato la montagna con mio nonno.
Mi sarebbe piaciuto suonare uno strumento. Mi piacerebbe ci fosse la metropolitana per Torino. Mi sembra che manchino delle occasioni di incontro per le neo mamme, che tendono ad isolarsi, per confrontarsi.
Mi chiamo D'Aloia Michele e faccio il parrucchiere ad Orbassano dal 1972. Ho sempre fatto questo lavoro da solo. Ho provato ad avere qualche aiutante, ma non andavano bene.
Mi sono sposato, ho due figli e tre nipoti. I miei genitori hanno sempre vissuto in provincia di Potenza. Mia mamma era casalinga e mio padre faceva il pastore. A 10 anni avevo già il mio negozio. Sono venuto qui a 18 anni a Torino, dovevo andare a lavorare alla Fiat, ma non mi hanno preso e ho continuato a fare il parrucchiere.
Orbassano è cambiata tanto. C'erano 12.000 persone e in questa strada passavano le mucche. Una volta ci conoscevamo tutti tra parrucchieri, andavamo a mangiare insieme. Adesso non è più così con i nuovi. Si è perso il dialogo, anche con i clienti.
Si potrebbe migliorare la pulizia delle strade.
Mi chiamo Rugiada Bottero, ho 49 anni e vivo a Piossasco da circa 20 anni. Ho scelto Piossasco perché è un paese immerso alla natura. La mia vita si divide tra la mia famiglia che amo, composta da mio marito, i miei tre figli che stanno ormai crescendo, i miei genitore e i miei suoceri, e il mio lavoro: sono un medico quasi da 20 anni. E' sempre un lavoro molto impegnativo e che mette molti dubbi. Adesso lavoro all'ospedale San Luigi.
Da piccola, passavo molto tempo in un paesino di montagna con mia nonna e io andavo in bicicletta dappertutto. Ho avuto una malattia abbastanza importante quando andavo alle superiori, così ho vissuto qualche giorno in ospedale e ho conosciuto dei medici molto bravi e ho deciso di fare il loro lavoro. Ho studiato medicina e poi ho fatto la specializzazione. Durante l'università ho partecipato alle associazioni di studenti, che mettevano in comunicazione studenti di tutto il mondo, e per questo ho fatto uno scambio in Germania.
Anche mio marito è un medico, quindi abbiamo trovato tante difficoltà sopratutto nella gestione dei miei figli, a causa degli orari di lavoro. I nonni ci hanno aiutato tanto.
La bicicletta è la mia passione, per me e mia famiglia è un oggetto magico che mi ha accompagnato per tutta la mia vita. Vado in bicicletta anche al lavoro perché mi aiuta a ricaricare la carica umana e arrivare dalla mia famiglia con il buon umore. Con la mia famiglia, abbiamo fatto anche un viaggio solo in bicicletta con la tenda. Abbiamo anche creato dei gruppi di famiglie di Piossasco, da cui è nata "Piossasco a pedali" come impegno sociale, per promuovere questo stile di vita più lento. Mi piace anche leggere libri, ascoltare la musica e quando ero piccola suonavo il pianoforte. Mi piacerebbe riprenderlo.
A Piossasco mi trovo bene perché ci sono persone valide e un ambiente ancora molto tranquillo. Mi piacerebbe però trovare qualche iniziative in più per i ragazzi giovani, dalle scuole superiori. Per i ragazzi più piccoli c'è molto più. Per loro penso che servirebbe facilitare di più gli spostamenti con il trasporto pubblico e iniziative che li coinvolgano.
Sono Fabrizio Varetto, titolare della Tecnofoto Piossasco. Sono un fotografo grafico da 36 anni.
Sono cresciuto a Torino. Mi sono diplomato in fotografia e arti grafiche, perché mi piaceva il fatto di produrre qualcosa di mio e di trasmetterlo con le immagini. Dopo la scuola, ho iniziato a fare il fotografo nel settore del turismo come fotografo di villaggi vacanze. Successivamente, con un mio compagno di scuola abbiamo iniziato la nostra avventura qui a Piossasco, ormai 32 anni fa. Ho avuto altre società sempre nel campo fotografico e attualmente ho rilevato anche la parte del mio socio storico.
Le difficoltà che ho incontrato sono sicuramente legate al restare aggiornato con le mie competenze e i macchinari. Lavorare a contatto con tante persone, con diversi modi di pensare è sia un aspetto positivo che negativo nel mio lavoro.
Ad oggi, avere un'attività a Piossasco non è facile, perché la zona è influenzata dalle opportunità online e dalla concorrenza delle grandi città, perché c'è timore di non incontrare la stessa professionalità. Anche la politica non aiuta, perché non favorisce le piccole attività.
A Piossasco mi trovo bene perché ho sviluppato una rete di amicizie anche al di fuori dell'attività. Ho costruito la mia famiglia e ho comprato una piccola abitazione. Non è stato facile trovare equilibrio tra la famiglia e il lavoro, infatti non ho potuto seguire mio figlio come avrei voluto, anche se ci siamo molto avvicinati grazie al basket. Sono infatti appassionato di basket da più di 30 anni. Non gioco più, ma faccio l'allenatore dei ragazzi qui a Piossasco.
Come desideri, vorrei trovare più giustizia, più onesta e serenità per tutti. Come servizi, penso che manchi il servizio di trasporto pubblico efficace, per poter collegare Piossasco con altre città più grandi. Vorrei anche che ci fosse anche più manutenzione ai centri sportivi.
Sono Gerardo Bianca, sono nato nel 1954 e mi sono trasferito da piccolo a Torino in San Salvario, dove ho fatto tutte le scuole. E' un quartiere molto vivo, con tanti scambi culturali. Mi sono diplomato e ho fatto un paio di anni di università, poi ho deciso di iniziare a lavorare. Ho fatto prima il magazziniere e poi ho vinto un concorso alle poste italiane a Torino. Poi ho chiesto il trasferimento a Cumiana.
A 20 anni ho conosciuto Pina, mia moglie, ci siamo innamorati e ci siamo sposati. Il nostro primo figlio Lorenzo è nato a Torino e dopo poco abbiamo deciso di comprare una casa. Abbiamo scelto Piossasco perché le case costavano di meno e diversi amici si erano trasferiti qui. Dopo poco è nata anche la nostra seconda figlia Carolina. Ci siamo trovati subito molto bene perché abbiamo conosciuto un bel gruppo di persone con cui abbiamo fatto amicizia. Mia moglie ed io ci siamo poi spostati a lavorare a Pinerolo, sempre con le Poste Italiane, fino al 2017 quando sono andato in pensione e Pina nel 2020.
Non sono una persona che si dedica a molte attività, ma seguo molto volentieri lo sport. Mi interessa anche la vita politica e mi piace partecipare quando c'è qualcosa di interessante, però non faccio parte di nessuna associazione. Mi piacciono le iniziative culturali e con mia moglie siamo appassionati di montagna, per fare delle passeggiate in mezzo alla natura. Un'altra delle nostre passioni è il cinema.
Mi trovo bene a Piossasco per la rete di amicizie e perché essendo molto legato anche alla città, da qui è facile raggiungere Torino. Io penso che Piossasco dovrebbe tornare a essere una città più viva. Quando noi siamo venuti qui, c'erano molte più occasioni d'incontro e feste, sopratutto organizzate dalle comunità di immigrati da altre Regioni. Grazie alle nuove migrazioni, forse si sta riprendendo questo scambio di culture che a me personalmente piace molto.
Jacopo Bianchi nato a Rivoli, ha 48 anni e lavora presso l'ufficio comunicazione del comune di Rivalta. Ha iniziato la sua carriera lavorativa con un tirocinio su TV torinese, dove ha avuto una piccola carriera professionale molto soddisfacente.
Ha origini astigiane, i nonni sono della provincia di Asti e ha un ottimo rapporto con quel territorio, in quanto ha ancora la casa di famiglia.
Ha studiato lettere e filosofia all'Università di Torino, ha iniziato subito a lavorare per 15 anni ha lavorato presso un TV torinese. Ha poi cambiato lavoro perchè il luogo di lavoro precedente ha avuto una crisi e da 7 anni "Comunica agli altri le attività che svolge l'ente". Con il lavoro nel comune di Rivalta ha rivalutato i comuni piccolo. " Ho scoperto che anche le città attorno a Torino sono ricche di opportunità" .
Jacopo racconta che con Rivalta è nato un piccolo legame, anche se l'unico rapporto che ha con il territorio è quello lavorativo.
Rosalba Rinella ha 49 anni e lavora per la Cooperativa Sociale ORSO nel Comune di Rivalta da 10 anni. Si è laureata in Scienze naturale. Inizialmente ha lavorato a Rivalta solo nelle biblioteche ma poi come servizio informa lavoro, informa giovani e dopodichè sportello del cittadino all'interno del Comune di Rivalta. Vive nel comune di Psicina, ma è nata a Torino , a Mirafiori Sud. Si è laureata all'Università di Torino.
E' molto in contatto nelle scuole grazie al lavoro nelle biblioteche dove riesce a mettere a disposizione le sue capacità tecnico-scientifiche e grazie al lavoro nello sportello del cittadino invece riesce a mettere molto del suo lato personale.
Ritiene Rivalta un buon territorio per vivere, con alti e bassi. Ci sono delle mancanze ma in linea di massimo le piace molto.
Quando ci si trova a dialogare con Noemi e Alexandra, Custodi Sociali in Viale Puglie, la passione e la dedizione verso il loro lavoro sono immediatamente evidenti. Noemi, custode sociale da circa un anno, racconta con entusiasmo il suo percorso: di come si sia avvicinata a questo contesto attraverso il Servizio Civile (nella zona di Via Salomone) in uno spazio anziani gestito da un'altra associazione e di come poi, attraverso la cooperativa La Strada, sia entrata a far parte del Progetto 4x4. Alexandra, che lavora nel settore da molti più anni, aggiunge come il servizio abbia una lunga tradizione nel territorio e che se in principio era stato creato esclusivamente per le fragilità de tessuto popolare, negli ultimi due anni è stato attraversato da diversi cambiamenti e aggiornamenti.Il progetto 4x4, in cui operano, coinvolge quattro sportelli in diversi punti della zona 4 di Milano: Viale Puglie, Via Salomone, Via Monte Cassino a Ponte Lambro e in via Piazzetta in zona Corvetto. Noemi e Alexandra, presso lo spazio di Viale Puglie, si interfacciano con una varietà di persone e soggetti:
1. Forniscono sostegno e assistenza agli anziani, aiutandoli a superare la solitudine e l'isolamento sociale e facilitando l'accesso ai servizi di assistenza domiciliare.2. Si rivolgono a persone adulte e anziane che vivono situazioni di fragilità economica, sociale o psicologica, offrendo loro sostegno e accompagnamento nei percorsi di inclusione sociale e di accesso ai servizi.3. Offrono supporto alle persone con disabilità, facilitando la loro partecipazione alla vita sociale e culturale del quartiere e garantendo loro l'accesso ai servizi di supporto e assistenza.4. Accolgono e supportano tutti i cittadini che si rivolgono agli sportelli, indipendentemente dalla loro situazione, fornendo loro informazioni, orientamento e sostegno in base alle loro esigenze.
Attraverso il loro sportello si impegnano a promuovere una gamma di servizi e attività mirati a rispondere ai bisogni emergenti e a promuovere il benessere e l'inclusione sociale nel quartiere:
Accoglienza e Orientamento: accolgono e forniscono orientamento a tutti i cittadini che si rivolgono agli sportelli, indirizzandoli verso i servizi e le risorse più adatte alle loro necessità
Assistenza Sociale: si occupano di pratiche amministrative, accompagnamento agli uffici pubblici e sostegno nell'accesso ai servizi sociali, sanitari e abitativi
Supporto agli Anziani e Disabili: offrono assistenza agli anziani e alle persone con disabilità, aiutandoli nelle attività quotidiane e nell'accesso ai servizi di assistenza domiciliare
Promozione del Benessere Sociale: organizzano attività di socializzazione, incontri di quartiere, eventi culturali e sportivi per favorire la coesione sociale e il benessere della comunità
Collaborazione con le Associazioni: lavorano in sinergia con le associazioni del territorio per promuovere progetti e iniziative a beneficio della comunità: Alexandra ci tiene infatti a sottolineare che "Il Municipio 4 è molto ricco di iniziative e, grazie al progetto 4x4, c'è uno scambio di informazioni più vasto tra le varie associazioni rispetto al passato."
Noemi e Alexandra individuano descrivono il quartiere come un luogo variegato e diversificato. Tra le ricchezze presenti sottolineano:
Tra le fragilità emergenti evidenziano:
Alla domanda cosa significhi per loro lavorare con la comunità, Alexandra risponde con passione: "Lavorare per la comunità è renderti disponibile, condividere le risorse umane che hai. La comunità, per me, è accogliere l'altra persona, offrendo aiuto." Noemi, nonostante la minore esperienza, sente già l'importanza del suo ruolo: "Mi sento soddisfatta quando riusciamo ad aiutare una persona anche solo per una piccola cosa, come ottenere lo SPID. Sentirsi dire grazie per qualcosa di così semplice è molto gratificante."
Parlando della loro relazione con il quartiere, Alexandra esprime un forte legame: "Questa è la mia seconda casa. Ho sempre vissuto vicino al lavoro e conosco questa zona dal 2000." Noemi, invece, ammette di essere ancora in fase di scoperta: "Non vivo nel quartiere e l'ho conosciuto facendo servizio civile. Abbiamo uno sportello molto frequentato e a volte è difficile esplorare il quartiere."
Per il futuro del loro lavoro e della comunità locale entrambe sperano che la popolazione possa acquisire una maggiore consapevolezza circa le risorse e le potenzialità del quartiere, attraverso partecipazione attiva alla vita di comunità.
Auspicano un maggiore coinvolgimento dell'utenza anziana e una maggiore apertura verso nuove esperienze e opportunità, specialmente per coloro che sono più restii al cambiamento. Desiderano che il quartiere diventi un luogo più inclusivo e dinamico, dove tutti possano sentirsi accolti e valorizzati. Per Alexandra, è fondamentale che il progetto 4x4, di cui fanno parte, possa essere confermato anche nel futuro, estendendo la sua efficacia anche ad altre zone della città. Spera che il lavoro svolto possa continuare a crescere e ad essere apprezzato, contribuendo al benessere e alla coesione sociale non solo nel quartiere, ma anche in altre realtà.
In sintesi, entrambe le custodi sociali nutrono la speranza che il loro impegno possa contribuire a rendere il quartiere un luogo più solidale, inclusivo e consapevole delle sue risorse, promuovendo il benessere e l'integrazione di tutti i suoi abitanti.
Mariangela e Valeria sono le anime pulsanti dell'Associazione Luisa Berardi. Entrambe vivono a pochi isolati di distanza dal centro in cui operano, permettendo loro di essere sempre a stretto contatto con la comunità con cui lavorano. Con dedizione e passione, si occupano quotidianamente di coordinare le attività e di ascoltare le esigenze dei residenti, costruendo rapporti di fiducia e reciproca collaborazione.
L'Associazione Luisa Berardi è nata dall'esigenza di creare un punto di riferimento nel quartiere Calvairate, a Milano. Il suo obiettivo principale è promuovere l'inclusione sociale e culturale attraverso una serie di servizi che vanno dal doposcuola per i bambini ai corsi di italiano per donne immigrate. La particolarità dell’associazione risiede nel suo approccio partecipativo: le attività non vengono imposte dall'alto, ma sono frutto di un dialogo costante con la comunità. Questo metodo permette di rispondere ai bisogni reali degli abitanti, rendendo le iniziative più efficaci e apprezzate.
Il quartiere Calvairate è caratterizzato da una forte diversità socio-culturale. Le risorse e i punti di forza includono una rete di solidarietà molto attiva e una crescente partecipazione alle attività comunitarie. Tuttavia, non mancano le sfide: tra i bisogni emergenti spiccano la necessità di spazi aggregativi per i giovani, il supporto per le famiglie in difficoltà e l'integrazione linguistica e culturale per le donne immigrate. Le fragilità principali sono legate alla povertà educativa e alla precarietà lavorativa dei residenti impiegati in lavori poco stabili e mal retribuiti.
Per Mariangela e Valeria, il senso di comunità è un valore fondamentale: credono fermamente che vivere in buone relazioni con gli altri renda la vita più ricca e significativa. La loro idea di comunità si basa sulla condivisione, sul rispetto reciproco e sulla partecipazione attiva. L'associazione è un luogo dove le persone possono esprimere i loro desideri e bisogni, contribuendo alla costruzione di un ambiente accogliente e solidale.
Guardando al futuro, Mariangela e Valeria sperano di vedere una comunità sempre più coesa e resiliente. Desiderano che l'associazione continui a crescere e a rispondere ai bisogni emergenti del quartiere, offrendo nuove opportunità di apprendimento e integrazione. Un altro obiettivo è rafforzare la rete di collaborazione con le scuole e le altre realtà locali, creando un sistema di supporto ancora più solido per le famiglie e i bambini. In definitiva, aspirano a un quartiere in cui ogni individuo possa sentirsi parte di una grande famiglia, capace di affrontare insieme le difficoltà e di celebrare i successi comuni.Principali servizi, attività e iniziative promossi dall'Associazione:
Nel quartiere Calvairate, nei pressi della Parrocchia San Pio V, Cati (diminutivo di Caterina, con cui lei stessa è solita presentarsi) è diventata una figura centrale grazie al suo impegno presso il centro di ascolto. Con una storia ricca di passione e dedizione, Cati ci racconta il suo percorso e il suo profondo legame con la comunità.
Nel 2020 Cati si è tornata ad operare nella parrocchia in cui si era sposata nel lontano 1968. Con il centro di ascolto in crescita, ha voluto colmare il vuoto lasciato da una suora che se ne andava, prendendosi a cuore il servizio delle residenze anagrafiche. Si è da subito appassionata a questo lavoro, nonostante all'epoca molti non comprendessero l'importanza di assistere gli stranieri e coloro che attraversano situazioni di difficoltà. Questa attenzione al prossimo, un prossimo anche "diverso", scorre da sempre in Cati: ha lavorato con rifugiati politici dal 1985, contribuendo alla creazione di una cooperativa di soli stranieri per gestire i primi centri di accoglienza a Milano nel 1989. Ha sempre mostrato quindi una particolare sensibilità alle problematiche degli stranieri e si è battuta per migliorarne le condizioni di integrazione.
Oggi Cati continua a gestire le residenze anagrafiche, ma il suo ruolo si è ampliato all'interno del centro di ascolto: oltre alle necessità materiali come bollette e affitti, si occupa anche di questioni legate alla cittadinanza e alla solitudine degli anziani. Ha fondato il gruppo "La Ginestra" che si occupa di sostenere e rafforzare un ambiente solidale e inclusivo per gli anziani del quartiere, offrendo sostegno emotivo, opportunità di socializzazione e promuovendo il benessere complessivo della comunità anziana. Cati spera che "La Ginestra" possa crescere andando oltre gli eventi culturali e promuova sempre di più l'interazione tra giovani e anziani; crede infatti fermamente che i giovani, se coinvolti, possano fare la differenza nella comunità.
Guardando indietro alla sua esperienza, Cati nota che poco è migliorato nel lavoro a contatto con gli stranieri, nonostante sia ormai appurata che la valorizzazione della diversità e della multipotenzialità siano essenziali nel recupero e nell'integrazione delle persone. Nonostante l'individualismo crescente percepito, è proprio all'interno della popolazione, tra gli abitanti, che Cati ritrova speranza per i processi d'inclusione, come nell'amicizia tra persone di diverse etnie, specialmente tra i bambini che incuranti delle loro "differenze" si divertono a giocare insieme.
Cati sottolinea alcuni elementi di ricchezza nel quartiere, come:
Tra gli aspetti di fragilità riconosce invece:
Per Cati, il senso di comunità si basa sull'accettazione del prossimo, il supporto reciproco, il coinvolgimento dei giovani e l'aggregazione tra le persone. Spera che il quartiere possa crescere insieme, creando una vera e propria comunità inclusiva.
Per il futuro Cati si fa portatrice di diversi auspici, tutti volti alla crescita di una comunità sempre più coesa, attiva, inclusiva e solidale. Nello specifico desidera una maggiore solidarietà e accettazione verso la diversità e la fragilità, una maggiore integrazione interculturale e intergenerazionale, un progressivo miglioramento delle condizioni di vita (accesso ai servizi pubblici, sicurezza delle strade e qualità dell'ambiente urbano) e l'aumento di iniziative volte alla socialità tra i cittadini.
Marco, giovane psicologo di quasi 28 anni, lavora sia in ospedale che come libero professionista, dedicandosi a varie attività nel campo della salute mentale e del benessere.
La sua passione per la psicologia va oltre il semplice lavoro e rappresenta una vocazione intima, profonda. Segue con interesse il calcio e coltiva un discreto interesse culturale per l'arte. Durante la pandemia ha scoperto un forte interesse per la cucina, attività che allena con grande entusiasmo.
Si è trasferito recentemente vicino a Corso 22 Marzo, un’area che collega Calvairate verso il centro della città. Sebbene il cambiamento sia stato inizialmente difficile, soprattutto per il legame affettivo con il vecchio quartiere di Lambrate, Marco ha apprezzato il nuovo ambiente. Il parco di Marina d'Italia, con il suo verde rigoglioso, rappresenta per lui una risorsa preziosa, così come la vicinanza a Piazzale Grandi. Pensando a Calvairate nel suo complesso, Marco ha un'opinione piuttosto positiva: pur non avendolo frequentato assiduamente in passato, conosce bene la zona e ha partecipato a varie attività. Ha visitato il Macao, ora chiuso, per eventi culturali e concerti, e giocato a calcetto in quella parte della città. Ha anche frequentato il mercato del pesce e l'ortomercato. Riconosce che Calvairate ha un carattere simile al quartiere di Lambrate, dove ha vissuto per molto tempo, ricca di negozi e piccole realtà commerciali che alimentano il senso di appartenenza condiviso. Per lui infatti Calvairate mantiene un forte senso di comunità così come un'identità di quartiere ben definita; qualità che avvicinandosi via via verso il centro tendono a sfumare, secondo lui, in un ambiente dispersivo adibito per lo più al transito e al lavoro d’ufficio.
Marco ha sempre considerato il senso di comunità un valore fondamentale e lo identifica con una rete di relazioni e supporto che, oltre ad amici e familiari, coinvolge anche persone meno conosciute ma con cui si condivide un territorio, una quotidianità e un’identità condivisa.
Guardando al futuro, spera che si possa fare di più per promuovere il senso di comunità a Milano, magari attraverso iniziative che coinvolgano i residenti nei loro quartieri. Inoltre, desidera che il traffico nella sua zona venga regolamentato meglio per ridurre rumore e inquinamento.
Personalmente, Marco è soddisfatto del percorso che sta seguendo nella vita. Spera di mantenere sempre l'entusiasmo e la motivazione per il suo lavoro e di continuare a dedicare tempo alle sue passioni e ai suoi amici. In conclusione, esprime il desiderio che la comunità milanese possa riscoprire e valorizzare il concetto di quartiere, mantenendo vivi quei piccoli ma preziosi punti di riferimento che fanno sentire ogni residente parte di una famiglia allargata.
Nel cuore di Calvairate, tra case popolari e scorci di un tempo che fu, c’è un piccolo angolo di bellezza e serenità: "Il Giardino di Sarah". Sarah, fiorista appassionata, ha aperto il suo negozio 19 anni fa, prima in affitto e poi acquistando lo spazio attuale, superando sfide e difficoltà legate al trasferimento e alla gestione dell'attività.
Sarah non ha iniziato la sua carriera tra piante e fiori. Laureata in lettere, con una breve esperienza lavorativa in ufficio, ha poi trovato nella sua passione per il verde un nuovo percorso. Dopo aver frequentato un corso alla scuola agraria di Monza, ha deciso di aprire il suo negozio a Milano, supportata inizialmente dai genitori, che abitavano a San Donato.
La scelta di aprire l'attività in un quartiere periferico come Calvairate ha comportato non poche sfide. Il quartiere, pur essendo ricco di storia e comunità, è caratterizzato da case popolari spesso mal gestite, un alto tasso di abusivismo e problematiche legate alla sicurezza e al decoro urbano. Tuttavia, Sarah ha trovato il modo di rendere il suo negozio una piccola oasi di bellezza e speranza. La sua vetrina, piena di fiori e piante, porta un tocco di colore e vitalità in un contesto spesso grigio.
Nonostante le difficoltà logistiche, come il parcheggio problematico e l’alta tassa sui rifiuti, Sarah è determinata a rimanere. Il negozio non è solo un luogo di commercio, ma un punto di riferimento per la comunità. La fioraia racconta di persone che entrano per sfuggire a chi le segue, di anziani soli che trovano conforto nelle chiacchiere con lei, e di giovani che la considerano una figura familiare.
Sarah è ben consapevole delle dinamiche sociali del quartiere: molti anziani italiani, famiglie nordafricane, giovani coppie e studenti attratti dagli affitti ancora accessibili. Questa diversità crea un tessuto sociale ricco, ma anche frammentato, con una netta separazione tra il centro vetrina di Milano e le sue periferie dimenticate.
Per Sarah, la bellezza e l'importanza del suo negozio vanno oltre il semplice commercio di fiori. Lei sogna un quartiere più integrato, dove gli eventi cittadini raggiungano anche le periferie e dove le istituzioni siano più presenti e attive. Crede fermamente nel valore della comunità e nel potere di piccoli gesti quotidiani per migliorare la qualità della vita di tutti.
Alla fine della giornata, tra cactus, gerani e rose, Sarah trova anche il tempo per coltivare le sue altre passioni: la lettura, il teatro e la scrittura. Racconta con ironia di come, scrivendo sulla sua pagina Facebook, trovi un modo per affrontare le giornate più difficili, trasformando i dialoghi surreali con i clienti in storie divertenti e riflessioni personali.
"Il Giardino di Sarah" non è solo un negozio di fiori, ma un microcosmo dove la bellezza, la comunità e la resilienza si intrecciano, mostrando che anche nei luoghi più inaspettati può sbocciare qualcosa di straordinario.
Il Laboratorio di Quartiere, iniziativa promossa dal Comune di Milano attraverso la Direzione Casa e l'Area Politiche Innovative di Sostegno Abitativo, rappresenta un fondamentale Servizio di Accompagnamento Sociale. Coordinato dall'Unità Programmi Integrati di Quartiere, il progetto mira a migliorare la qualità della vita e dell'abitare nelle aree della città che affrontano gravi disagi abitativi e sociali, con una forte presenza di edilizia residenziale pubblica.
L'obiettivo dell'Amministrazione Comunale è di creare presidi territoriali capaci di coordinare azioni e progetti locali, favorendo così il benessere della comunità. Dal 2006, i Laboratori di Quartiere sono attivi in cinque zone di Milano, tutte situate in edifici di edilizia popolare. Questi spazi diventano punti di riferimento per la comunità, offrendo servizi di informazione, comunicazione, mediazione dei conflitti, intercettazione dei bisogni e sviluppo di comunità.
Le sedi attuali dei Laboratori di Quartiere sono:
In questi spazi, ogni giorno si lavora per supportare lo sviluppo del progetto di riqualificazione urbana, contribuendo così a costruire una Milano più inclusiva e vivibile per tutti i suoi abitanti.
Stefania è direttore responsabile del mensile Quattro (dal nome del municipio in cui operano) e presidente dell’omonima associazione che si occupa di promuoverne la pubblicazione. Quattro nasce nel 1997 dal desiderio condiviso di un gruppo di amici di creare un progetto culturale e dopo più di vent’anni l’associazione continua a crescere occupandosi di aree sempre più ampie e articolate.
Per raccontare il quartiere Calvairate, Stefania inizia innanzitutto delineandone i confini: il cuore è rappresentato da Piazza Insubria e Piazza Martini. La chiesa di San Pio, inizialmente situata in Piazza Martini, è stata poi trasferita in Via Sant'Egno. Il quartiere si estende tra Viale Umbria, Viale Molise, e arriva fino all'area dei macelli e all'ortomercato.
Per quanto riguarda la composizione sociale e architettonica, Calvairate è caratterizzato da un mix sociale: vi è una presenza significativa di case popolari costruite in due distinti lotti, uno in zona Via Tommè - Piazza Insubria con uno stile architettonico più antico, e l'altro verso Piazzale Cuoco con edifici in stile razionalista degli anni '30, originariamente costruiti per le famiglie degli operai e dei lavoratori. Tuttavia, nel tempo, la composizione sociale è cambiata anche grazie all’aumento dei flussi migratori e dei soggetti fragili nel campo della salute mentale (seguiti quest’ultimi dai servizi psichiatrici in Viale Puglie). La convivenza tra le diverse componenti sociali è in generale buona, anche se recentemente ci sono stati episodi di criminalità e violenza.
Un tema centrale del dialogo riguarda l'area dell'ex macello: dopo anni di abbandono e inattività è stato avviato un progetto di riqualificazione, grazie al bando "Reinventing Cities", che mira a garantire qualità e sostenibilità. Questo progetto prevede un mix di edilizia residenziale sociale, la nuova sede dell'IED (Istituto Europeo di Design), funzioni terziarie, un albergo e un museo. L'obiettivo è di creare un'area che mantenga elementi storici, come i capannoni utilizzati per la vendita del bestiame, ma che sia anche innovativa e funzionale. Altre sfide riguardano la gestione delle palazzine Liberty lungo Viale Molise, che hanno subito occupazioni e degrado, e per le quali è necessario un piano di azione affinché si eviti un ulteriore deterioramento.
La passione di Stefania per la storia dell'ortomercato e del macello inizia durante la sua esperienza politica come consigliera di zona. Ha scritto un libro sulla storia dell'area, frutto di anni di ricerca tra i documenti degli archivi comunali e di interviste con operatori e lavoratori dell'ex macello. Il libro serve come risorsa per chiunque voglia approfondire la storia dell'area.
La direttrice sottolinea l'importanza di valorizzare Calvairate come cerniera tra i quartieri più popolari e le aree più residenziali e benestanti. I nuovi progetti di edilizia residenziale sociale dovrebbero rispondere alle esigenze della comunità locale, offrendo case a prezzi accessibili e mantenendo un equilibrio tra le diverse componenti sociali del quartiere.
Per Stefania Aleni, il senso di comunità è profondamente radicato nella storia e nella coesione sociale del quartiere ed è possibile rintracciarlo nei seguenti aspetti:
In sintesi, il senso di comunità a Calvairate si basa su una combinazione di storia condivisa, diversità sociale, partecipazione attiva e amore per il proprio quartiere.
Mi chiamo Elisa Caldara, sono nata a Torino 44 anni fa e vivo a Piossasco. Ho fatto tutti gli studi a Piossasco, ho frequentato il liceo scientifico a Pinerolo, e ho iniziato l'Università a Torino, con due anni di Lettere.
Nel frattempo, ho avuto la possibilità di rilevare questa libreria nel 2001, quando avevo 21 anni. Prima era solo una stanza, nel 2007 abbiamo comprato il negozio a fianco, abbiamo fatto la libreria da una parte e la caffetteria dall'altra. Così è stata per dieci anni. Poi, quando io e mia sorella abbiamo avuto figli, abbiamo tolto il bar e abbiamo ampliato la libreria. Facciamo tanti laboratori con bambini. Il lavoro mi prende tanto tempo, ma mi piace molto. Gli aspetti positivi del mio lavoro sono sicuramente essere la capa di me stessa e poter scegliere liberamente i libri da vendere. Questo mi dà molta libertà. Non sempre però la mole di lavoro è controbilanciata dallo stipendio e dalle comodità. A mio avviso, i lati positivi sono più importanti di quelli negativi. Per fare meglio il mio lavoro, servirebbe la collaborazione con le scuole, le biblioteche, con le varie istituzioni, organizzare incontri con gli autori.
La nostra libreria si chiama "Libreria 55" perché il numero civico del negozio è 55. Inoltre, i metri quadrati del negozio erano 55. Siamo appassionate di numerologia: il 55 è il numero magico nella cabala, associato alla musica e ai libri. Per tutto questo abbiamo scelto questo nome: "Libreria 55".
Sono contenta di avere la libreria proprio qui a Piossasco, dove sono cresciuta, per poter dare la possibilità anche ai bambini di scoprire il mondo dei libri. Adesso che l'acquisto su internet è così diffuso, i miei clienti mi hanno sempre sostenuto.
Oltre ai libri, mi piace viaggiare, mi piace la fotografia, mi piace il vino e mangiare prodotti tipici di tutte le culture e camminare nei boschi.
A Piossasco spero di trovare più persone che si rendano conto che il piccolo negozio del paese è una ricchezza e che facciano scelte più etiche.
Sono Rosalda Chiabrando, ho 46 anni e abito a Piossasco da sempre. I miei genitori sono degli anni 40 e provenivano da famiglie piemontesi di contadini, ma poi mio papà è stato assunto alla Fiat.
Ho avuto un'infanzia serena e tranquilla; ero una bambina timida e silenziosa e in adolescenza questo aspetto ha creato quei momenti particolari di difficoltà, ma nel senso buono. Dopo le medie sono andata al liceo a Pinerolo, poi ho frequentato l'università nella facoltà di Lettere e ho fatto l'Erasmus in Francia. Per me è stata un'esperienza formativa fondamentale, mi ha aperto le prospettive. Ho seguito anche alcuni corsi professionali come tecnico per la comunicazione che permettono anche di fare piccoli tirocini, come in biblioteca e in una agenzia di comunicazione. Ho svolto anche il servizio civile nazionale nel settore culturale. Dopo tutto questo, ho vissuto un'esperienza bellissima a Pinerolo presso la Comunità Montana dove aiutavo ad organizzare eventi culturali per giovani.
Successivamente, ho frequentato la scuola per diventare insegnante e ora sono 17 anni che insegno letteratura e italiano ai ragazzi dagli 11 ai 13 anni. Adoro il mio lavoro: interagire con i ragazzi attraverso la materia che insegno è una cosa bellissima. Le difficoltà sono quelle di imparare a gestire le relazioni con i ragazzi, capire quale sia la giusta distanza da tenere con loro, gestire le relazioni con i genitori, con le colleghe e anche tutta la burocrazia.
Nel mio tempo libero cerco di passare molto tempo con la mia famiglia, composta da me, mio figlio e mio marito, e i miei amici. Ultimamente ho iniziato ad avvicinarmi un po' ad associazioni di volontariato, per esempio "L'emporio 5 pani", perché mi piace il principio della sostenibilità. Amo leggere, scrivere, la letteratura, ascoltare podcast di storia o attualità, passeggiare con la mia famiglia in montagna e in bicicletta e attività di orticultura.
A Piossasco mi trovo molto bene perché ci sono tante aree verdi e tanta natura, come il parco del Monte San Giorgio. In futuro mi piacerebbe vedere che Piossasco diventasse una città più aperta, arricchita dalla multiculturalità, dalle esperienze e dalla conoscenza tra cittadini di culture differenti, mantenendo il rispetto per la natura e l'ambiente.
Mi chiamo Maria Cristina Abrami, ho 70 anni e sono nata a Bologna. Abito a Piossasco dal 1992. Ho una figlia di 42 anni che vive negli Stati Uniti. Mio padre faceva un lavoro che lo portava a girare per l'Italia, quindi ci siamo trasferiti a Torino quando avevo 3 anni. Non ci siamo sentiti accolti bene. Il progetto era quello di tornare a Bologna, ma quando morì mio padre e i miei due fratelli più grandi si erano già integrati, siamo rimasti qui. A Piossasco io sono venuta già da adulta, quando avevo una bambina, per vivere fuori città. Qui ci siamo integrati subito perché abbiamo cominciato a fare cose sociali e si vive in maniera più umano.
Mi sono diplomata in lingue straniere, conoscevo inglese e tedesco. Ho fatto tante cose: mi sono occupata di traffico marittimo, ero attiva nel sindacato, nel settore metalmeccanico e ho fatto politica. Sono stata assessora per tanti anni nel partito dei verdi ed è stata una bellissima esperienza. Poi ho lavorato in biblioteca per la Regione.
Nel 2015 abbiamo fondato l'"ANPI" (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) a Piossasco, in ricordo della Resistenza. Portiamo le classi a visitare i luoghi della Resistenza, come la casa di Mario Davide, un partigiano ucciso, o facevamo gli incontri con i partigiani. Organizziamo la Festa della Liberazione il 25 aprile e partecipiamo alle feste nazionali. Facciamo un lavoro di cultura e politica. Il lavoro amministrativo è molto e c'è anche una grande mancanza di giovani collaboratori, penso sia perché la società sia diventata più individualista.
Sono anche un'ambientalista. Mi sono sempre occupata del Monte San Giorgio. C'è un piccolo gruppo di esperti del parco, organizziamo camminate e ce ne prendiamo cura. Ho avuto un cancro 15 anni fa e nel 2018 e questa cosa mi ha cambiato la vita: ho dato più importanza a certi valori umani e ai rapporti familiari.
Mi piace camminare, nuotare, guardare film e leggere. Io adoro Piossasco, qui sto bene, conosco tutto e mi sento a casa mia. Sto in mezzo alla natura e spero che Piossasco resti così aperta e si affermi nuovamente come una città aperta, perché questo ti fa stare bene.
Marina è la responsabile della cooperativa Ciesse Servizi, nata dal desiderio di dare un opportunità di lavoro soprattutto alle donne, spesso relegate al ruolo di casalinga e madre.
Una storia familiare importante per il Paese, ma non solo per le donne, ci sono molte opportunità anche per gli uomini.
Purtroppo in paese le possibilità di lavoro si sono ridotte, i servizi di pulizia industriale ormai non servono più, avendo chiuso le tantissime attività che una volta rendevano popoloso il territorio.
Investendo sul turismo forse questa rotta di abbandono del paese forse si potrà invertire, molti giovani credono ancora nel paese e hanno aperto attività con prodotti tipici del territorio.
Marina ama camminare e vorrebbe riscoprire i vecchi sentieri ed arricchirli per poter diventare una meta ambita sul territorio.
Mi chiamo Barbara, ho 44 anni. Sono nata a Torino, ma ho sempre vissuto qui a Piossasco. Sono figlia unica di una coppia di genitori che mi ha avuto un po' tardi e per questo sono stata molto coccolata da tutta la famiglia e ho avuto un'infanzia molto felice. Facevo ginnastica artistica e nuoto e andavo a sciare con mio papà e i miei cugini. Ho vissuto con loro fino a quando mi sono sposata nel 2006, relazione da cui è nato mio figlio che oggi ha 12 anni.
Ho frequentato l'istituto magistrale a Pinerolo, perché mi sentivo più portata per il sociale e meno per i numeri. Poi mi sono iscritta all'università, facendo un anno di scienze dell'educazione, ma l'anno dopo ho fatto il passaggio a scienze della formazione primaria. E' stato molto arricchente, grazie ai tirocini e agli insegnanti che ho conosciuto.
Nel 2006 è stato mi sono laureata e mi sono sposata. Ho fatto delle belle esperienze relative all'insegnamento, come educatrice nei doposcuola nelle scuole private e coordinatrice nei centri estivi. Successivamente mi sono iscritta al corso di specializzazione per il sostegno per bambini con handicap. Alla fine sono passata di ruolo ad Orbassano, dove lavoro anche oggi. Sono diventata referente dell'handicap di tutto l'istituto ed è un lavoro che mi piace perché mi porta a stare in rete con altre professioni e mi gratifica molto. Ad oggi, penso che la grande difficoltà nel mio lavoro sia la burocrazia, che toglie tempo alle esigenze concrete dei bambini.
Mi trovo molto bene a Piossasco, ma penso che ci siano diverse mancanze e vorrei trovare più persone disponibili a mettersi in gioco, invece che lamentarsi.
Come passione, ho seguito dei corsi di animazione teatrale e didattica musicale e ho cresciuto un gruppo a livello volontario con cui preparavamo ogni anno uno spettacolo teatrale. Penso che il canale espressivo possa essere molto utile sia per i bambini che per gli adulti nell'espressione e nell'elaborazione delle emozioni.
Sono Carla De Stefani, ho 68 anni e abito a Piossasco dal 1987. Sono laureata in pedagogia e ho fatto l'insegnante di scuola media e poi di scuola superiore. Adesso invece sono in pensione da oramai sei anni. La mia famiglia è composta da quattro persone, con mio marito e due figli: ormai grande uno è sposato e l'altro abita comunque per conto suo.
Mi sono sempre occupata di vari progetti di volontariato. Don Giacomo aveva questa chiesetta sconsacrata e non sapeva come impiegarla, così insieme ad un gruppo di persone è nato questo progetto, che abbiamo chiamato "Emporio boutique solidale". Abbiamo costituito un'associazione che si chiama Alvà, di cui la presidentessa si chiama Francesca Ferraresi. Il progetto parte proprio dall'idea di una boutique di abiti. Solitamente alle persone che sono in difficoltà gli abiti vengono donati dalla parrocchia, noi invece pensiamo che anche alle persone in difficoltà debba essere riconosciuta la dignità e devono poter scegliere gli abiti belli secondo il loro gusto.
Questo emporio ha due obiettivi principali: fornire gratuitamente abiti a chi ne ha bisogno e dall'altra parte promuovere una moda secondo il principio della sostenibilità. A coloro che ne hanno necessità, vengono fornite delle tessere a punti, invece chi desidera può anche acquistare gli abiti e sostenere il progetto, comprando le tessere.
L'emporio è aperto tre mezze giornate durante la settimana.
Daniela ci accoglie nell'ufficio turistico di Pont Canavese, che si affaccia sulla piazza centrale del paese e gode della vista delle Torri e della Chiesa parrocchiale.
Daniele è vulcanica, tantissima la passione e la cura per la storia di Pont Canavese; ne conosce bene la parte legata ai monumenti che sono innumerevoli e forse ancora poco conosciuti.
La sua passione per la vita sociale la vede inserita in vari contesti associativi; inoltre lei è la voce narrante di Pont, la presentatrice di molti eventi del Paese.
Ama camminare, leggere, suonare nella filarmonica e sogna di creare momenti di aggregazione anche per i giovanissimi.
Lara ci accoglie nella sua erboristeria officinale, e siamo inebriati dal profumo delle sue erbe che sembrano quasi magiche!
Ci racconta di questa sua grande passione, che si divide tra l'erboristeria e la passione per la montagna, passione che traspare in ogni angolo del suo negozio, di come ha scelto di aprire qui a Pont Canavese, il suo paese natale che ama tanto e dove ha voluto investire, per dare nuova vita e nuova linfa.
I suoi progetti per il paese sono molti, come le sue collaborazioni che escono al di fuori della sua attività e vanno in giro per le scuole, a contatto con eventi culturali.
Sogna un paese che creda in se stesso, sulle sue risorse e sul turismo, che le persone possano parlare di più e collaborare insieme, tra persone di tutte le età.
Ama molto leggere e camminare in montagna, nei posti più selvaggi e incontaminati.
Parlare con Claudio è come fare un viaggio nella storia di Pont canavese; conosce moltissimo di questo paese, ne conosce le preziose risorse storiche e culturali, è testimone dei cambiamenti del territorio.
Abbiamo chiaccherato nella saletta della Società Operaia di Mutuo Soccorso, dove ha raccolto il testimone nel 1978 come presidente; associazione che una storia di 155 anni, essendo nata nel 1869 ed è stata la prima di ambosessi e nel nostro dialogo ci spiega il perchè, un altra grande lezione di storia del paese.
Grande impegno della SOMS è quello della biblioteca di Pont, ospitata nel loro edificio storico e di promozione culturale, oltre all'aiuto dedicato ai suoi soci, tramite il sostegno mutualistico.
Per Pont canavese sogna di valorizzare la sua cultura, la sua storia, di poter valorizzare l'aspetto; una facoltà all'interno della Torre asd esempio, rilanciare il territorio attraverso gli aspetti turistici, poterebbe un grande indotto per il paese.
Un altro grande desidero è quello di arginare la solitudine sociale, un grande impegno per avvicinare le persone, per farle ritrovare insieme, con qualche attività, come il cucito, la dama, qualcosa che dia la scusa di uscire di casa e stare insieme.
Mi chiamo Costanza Germina, ho 67 anni e abito a Piossasco. Sono una donna vedova, però vivo circondata dalla mia famiglia perchè abitiamo in diverse case che affacciano sullo stesso cortile.
Sono nata a Torino in una famiglia piemontese. Sono figlia unica e anche per questo sono stata una ragazza molto coccolata, soprattutto da mia mamma. Mi sono diplomata ragioniera. Ho lavorato a Torino presso uno studio da commercialista e nel frattempo ho incontrato mio marito, nel 1975. Innamoratissimi, ci siamo sposati poco dopo.
Nel 1978, ho vinto un concorso pubblico a Cumiana e nello stesso anno è nato il mio primo figlio. Alla nascita, mi è stato detto che il mio bambino aveva delle problematiche neurologiche ed è stata la prima esperienza di dolore e sofferenza. Con il tempo invece, Andrea ha cominciato a parlare, a camminare ed è cresciuto come tutti gli altri bambini.
Nel 1998 mio marito ha avuto un incidente sul lavoro e questo ha stravolto il nostro percorso. Sono stati mesi di dolore, ma ci hanno anche regalato relazioni nuove. Abbiamo avuto la grande fortuna di avere una figura con noi, Bianca, noi diciamo badante, ma per noi è stata una figlia. Abbiamo scoperto il mondo del Perù, Paese dal quale lei proviene, e abbiamo contribuito alla costruzione di una scuola in questi luoghi. Non abbiamo mai abbandonato le nostre passioni: la musica, il cinema, il teatro, i viaggi con il nostro furgone.
Nel 2015 Bruno è mancato, ma io non mi sono lasciata andare. Ho continuato a fare la nonna e a trascorrere il tempo con gli amici. Oggi partecipo a un laboratorio di cucino con l'Uni3 di Piossasco e mi appassiona molto. Mi piacerebbe contribuire a costruire qualcosa sul territorio per chi arriva da lontano o per chi passerà qui almeno una parte del suo tempo.
Abbiamo incontrato Marina nel Museo Etnografico di Pont Canavese, dove sembra di viaggiare nel tempo attraverso le ambientazioni che riproducono gli antichi mestieri e i costumi tipici, che tutto il Gruppo dell'associazione Il Canteir indossa durante le uscite sul territorio.
Questa associazione è presente a Pont Canavese fin dal 1978, il suo nome significa "trave portante" e richiama ad un elemento della casa più resistente e indistruttibile.
I racconti di Marina ci portano indietro nel tempo, nelle vecchie tradizioni contadine che erano il quotidiano di queste zone montane, con uno sguardo importante sulle nuove generazioni e sui bambini, ai quali vorrebbe trasmettere questi antichi valori. Il suo entusiasmo e la sua energia è contagiosa, il gruppo è molto unito e molto presente durante le manifestazioni, lei ringrazia di cuore tutti i figuranti che partecipano per tenere viva la tradizione.
Ci racconta anche la vecchia leggenda di Madama Rua, personaggio della leggenda del paese.
Ma il suo impegno nel sociale non è solo nel Canteir; è una oss, cura una colonia felina, fa la volontaria in CRI e vorrebbe mettersi in gioco sul territorio, tornando a danzare i balli occitani, con gruppi di decoupage, pizzi e ricamo con i giovani, basterebbe trovarne il tempo forse...
Supporto, integrazione, prevenzione. Sono queste le parole chiave che caratterizzano l'Unione Ciechi Ipovedenti di Biella, nata come sezione staccata dalla provincia di Vercelli nei primi anni '50. Adriano Gilberti è l'attuale presidente, nonché il quarto della storia dell'associazione. Da Brescia a Biella, passando da Padova. Il lavoro lo ha portato a vivere in diverse città. Dopo tanti anni di servizio in ospedale, oggi è in pensione e si può dedicare completamente alle attività dell'unione, un luogo che vuole essere un punto di riferimento per chi, come lui, ha una disabilità visiva. 110 sono i soci che fanno parte della sezione di Biella, fortunatamente per lo più anziane, segno che le cure sempre più avanzate e la prevenzione, che loro stessi portano avanti con dedizione nelle scuole, stanno portando i loro frutti.
Sono passati esattamente 180 anni dalla fondazione dell'Istituto La Marmora di Biella, scuola paritaria cattolica primaria e secondaria di primo grado. 180 è anche il numero di alunni che attualmente frequentano l'istituto. Oggi, a capo di questa importante realtà, che ha visto crescere generazioni di alunni, c'è la direttrice Daniela Rosso. Il suo sguardo è rivolto al futuro ma con una grande consapevolezza del passato, della storia che è racchiusa in quelle mura. Un patrimonio che verrà presto valorizzato e raccontato alla cittadinanza con una mostra all'interno dello Spazio Cultura della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella.
Mi chiamo Luca Colombo e ho origini lombarde. Sono nato e cresciuto in provincia di Novara. Prima ero un libero professionista, poi sono diventato funzionario pubblico presso enti territoriali piemontesi, lavoro che svolgo da oltre 30 anni. Sono sposato e ho tre figli. Nel tempo libero mi dedico a diverse passioni, che spaziano dallo sport ai motori e al mondo dell'hobbistica; in particolare mi interessa quello che viene chiamato antiquariato minore.
Cesare, nato a Biella il 20 giugno 1955. Sposato, tre figli. Diplomato al Liceo Classico. Ho lavorato da giovane per cinque anni e mezzo al centro per disabili Anffas di Gaglianico avviando alcune collaborazioni giornalistiche e fondando con alcuni amici nel 1977 la società Biella Rugby club di cui in seguito sono stato anche presidente dal 1997 al 2008 e dal 2021 al 2022.Giornalisticamente ho collaborato con varie testate locali e nazionali fino al 1992 quando sono stato assunto da “il Biellese” come praticante e successivamente, superato l’esame di Stato, come professionista fino al 2017. Attualmente ho l’incarico di direttore editoriale del bisettimanale “la Provincia di Biella”In ambito sportivo sono stato consigliere federale della Federazione italiana rugby dal 2008 al 2012 e dal 2009 ricopro l’incarico di dirigente accompagnatore della Nazionale under 20 di rugby.
Lorenzo , classe 2000. Torinese di origine e biellese di adozione. Dopo aver frequentato il Liceo Classico Massimo D'Azeglio, decide di trasferirsi a Biella, patria del tessile, per inseguire il suo sogno professionale: diventare commerciale di un lanificio. Frequenta l'ITIS TAM (tessibile, abbigliamento, moda), un percorso post diploma biennale, dove si diploma con il massimo dei voti. Intreccia così, come la trama e l'ordito, la formazione umanistica a quella tecnica. Durante il suo percorso scolastico, arricchisce il suo curriculum facendo esperienze lavorative in diverse realtà tessili, per approdare poi da Zignone, proprio nell'ufficio commerciale, come back office. E' anche capogruppo Fai Giovani di Biella, realtà che raggruppa ragazzi dai 18 ai 35 anni, molta attiva nell'ambito della valorizzazione e della tutela del territorio biellese.
Simonetta Falla Gazet, diplomata in ragioneria. Ci racconta che le sue passioni più grandi sono, viaggi, montagna e ultimamente anche la danza jazz. Per tutto ciò che riguarda la sua origine e quindi anche la sua cultura, si è sempre stata interessata alle mostre, conferenze, lettura di libri e a tutto ciò che riguarda il mondo dell'informazione, come il seguire varie trasmissioni televisive legate alla cultura. Nata a Biella, ma ha sempre vissuto in un paese limitrofo vicino a Biella, Candelo, fino ad arrivare ad oggi che vive a Biella nel vero e proprio centro città. Secondo il suo punto di vista, Biella è una piccola città in cui si vive molto bene e vi è una giusta dimensione di vita.
Chiara Marinaro, vive a Biella da ormai cinquantasei anni, è arrivata a Biella dalla lontana Basilicata quando era ancora piccola, quindi si può dire che è biellese per adozione. Ha quattro fratelli e una sorella, e sono tutti quanti sparpagliati per l'Italia. Uno dei suoi più grandi desideri è quello di ritornare al sud e andare a vivere al mare. Ha lavorato per molti e molti anni per la famiglia Roj, in Elbis ad oggi non c'è più e in Roj, è cresciuta all'interno di questa azienda, partendo dalla banale gavetta arrivando poi ad essere responsabile di reparto, seguiva le lavorazioni interne, seguiva il distaccamento in Tunisia e seguiva i terzisti e sostiene di non potersi lamentare, perché ha sempre svolto un lavoro che le piaceva e che a sua volta le portava grandi soddisfazioni.
Sostiene che negli ultimi anni Biella sia arrivata ad un punto di degrado.
Filippo Zotti, vive a Ronco Biellese, un paese situato in provincia di Biella. Ha conseguito sia il diploma ISEF, che la laurea in Scienze motorie. Di recente ha partecipato al corso CLIL, un corso che permette a tutti i docenti e insegnanti delle scuole, di poter contribuire e supportare i propri alunni parlando la lingua inglese durante le lezioni. Dopo aver conseguito la laurea in scienze motorie, a suo tempo aveva scelto un percorso diverso da quello dell'insegnamento; ha conseguito anche il Master delle fibre nobili, un master qui a Biella, finanziato dalle aziende biellesi. Prima di svolgere il lavoro di insegnante ha lavorato per quattro anni in un'azienda tessile biellese, altri due anni in un'altra azienda, una multinazionale giapponese ed infine altri quattro anni in una piccola azienda, sempre del territorio biellese, ma nell'ambito della produzione e del biologico; Non soddisfatto del lavoro che faceva, si è rimesso in gioco, ricominciando a studiare, iniziando a dare esami per poter entrare nel mondo della scuola, fino ad arrivare ad oggi che svolge il lavoro che ha sempre desiderato fare, l'insegnante di scienze motorie nei licei.
Marisa Furlan, sessant'anni appena compiuti, vive a Biella, si è diplomata all'Istituto Eugenio Bona, dunque ha conseguito il diploma di ragioneria. Personalmente Marisa è figlia unica, con cinque figli, le sue passioni più grandi a suo tempo, prima di avere cinque figli, erano lo sport in generale, come camminate in montagna, sci di fondo.
Ad oggi è responsabile dell'ufficio di amministrazione di un'autoagenzia situata nel centro dei Biella.
Ettore, nasce a Biella nel gennaio del 1958. Gli anni di formazione lo vedono diplomarsi come perito tessile presso l'Istituto Tecnico Industriale di Biella. Successivamente frequenta un master in marketing aziendale prima di essere assunto presso l'Azienda FILA Sport. Dopo due anni ha l'opportunità di continuare la propria professione presso l'ufficio prodotto di Cerruti 1881 Sport; questo gli permette di affiancarsi alla figura fortemente carismatica di Nino Cerruti, il quale diverrà suo mentore, e lo porterà a intraprendere la carriera di stilista indipendente. È nel 1995 che Ettore Veronese apre il suo primo studio di progettazione stilistica pret-a-porter Uomo e Donna.Nel 2004 viene citato nel Dizionario della moda pubblicato da Baldini e Castoldi grazie al suo progetto di reworking sartoriale Donna “Papier de Chine”.Nel 2009 fonda FashionGroup, uno spazio creativo e progettuale dove ricopre il ruolo di Art Director.Attualmente lavora con brand nazionali ed internazionali, è consulente per il mercato Cinese ed Egiziano e segue collezioni total look di alto segmento. Appassionato di Arte Antica, nel suo studio ha costituito una galleria d'arte a cui lui si affida per prendere spunto e da cui è in continua ricerca la sua aspirazione osservando i suoi quadri, e non solo, coltiva la passione per la musica classica e per il teatro, si dedica al canto lirico nel tempo libero.
“Cucinando per altre persone regali delle emozioni, è un modo per entrare in contatto con l’anima delle persone”
Sabrina Beltrando si è trasferita a Biella dal Canavese, è mamma e imprenditrice. Si occupa di sicurezza sul luogo di lavoro da quasi vent’anni presso il suo studio di consulenza Blue Impresa. Biologa di formazione ha cominciato il suo lavoro dal tavolino del soggiorno di casa per arrivare oggi ad avere tre dipendenti e collaborare con una decina di consulenti. Sabrina parla della difficoltà di conciliare gli impegni famigliari di madre e quelli lavorativi e crede che ci sia bisogno di incentivi e più servizi sul territorio per incoraggiare l’imprenditoria femminile. La cucina è la sua grande passione e per un periodo Sabrina ha offerto cene a domicilio e fa tuttora torte su richiesta. Ama anche il giardinaggio e la musica, fa parte di un coro. Anche se per lungo tempo si è puntato molto sul tessile Sabrina crede che Biella abbia tante potenzialità e che si debba puntare maggiormente sul turismo.
Roberta Bacchi è responsabile dell’area educativa della cooperativa Tantintenti e responsabile dei servizi del progetto Cascina Oremo, un progetto voluto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Biella rivolto ai giovani e ai ragazzi con disabilità che vede coinvolte quattro organizzazioni: Filo da Tessere, Sportivamente, Tantintenti e Domus Laetitiae. Oltre ad essere un centro inclusivo per lo sport Cascina Oremo svolge attività di educazione e orientamento e vuole essere un luogo di riferimento sul territorio sui temi dell’educazione e dell'inclusione. La Cooperativa Tantintenti, co-fondata da Roberta è una cooperativa che si occupa di educazione da zero a diciotto anni tramite servizi all’infanzia, doposcuola, accompagnamento e tempo libero; di supporto alla disabilità attraverso percorsi individuali e una comunità alloggio; di accoglienza ai migranti e di sportelli legali e progetti per i carcerati. Roberta ha studiato Scienze dell’Educazione, ama la corsa e la montagna, ha sempre avuto una passione per le relazioni e per la progettazione.
Una vita dedicata al volontariato quella di Elisa Guarini Incoronato, presidente dell’associazione “Insieme è…di più” e consigliera del Centro Territoriale per il Volontariato di Biella. La sua voglia di aiutare i più fragili si manifesta già in giovanissima età, quando porta di nascosto i suoi oggetti a famiglie bisognose che abitano vicino a lei. A soli quattordici anni inizia a frequentare l’Ospizio di Biella, dove prima gioca con i bambini, reduci da situazioni famigliari delicate, e poi, in età più adulta, aiuta nella gestione della struttura. Abbandona il liceo per dedicarsi al lavoro e aiutare economicamente la madre. Mentre vive svariate esperienze lavorative, dove riesce a raggiungere buone posizioni con impegno e dedizione, coltiva in parallelo la sua passione più grande: quella per il volontariato. Parte come volontaria a Valona, durante la guerra del Kosovo, è tra le prime quattro volontarie della Lilt di Biella e nel 2007 fonda insieme ad altri genitori “Insieme è…di più”, una realtà che si occupa di educazione in senso ampio, attraverso progetti sociali e artistici e convegni rivolte alle scuole, con lo scopo di fornire ai bambini e ai ragazzi dei punti fermi, delle regole sane con cui crescere in modo altrettanto sano.
Daniela è presidente Angsa Biella (Associazione nazionale genitori persone con autismo), realtà che ha fondato nel 2007 insieme ad altre persone per creare un punto di riferimento sul territorio. All’epoca erano quindici, oggi sono una novantina di soci e ormai da qualche anno, grazie ai fondi raccolti, hanno aperto la Casa dell’autismo di Candelo, un luogo dove tanti ragazzi autistici con le loro famiglie possono sentirsi a casa, trovando servizi di vario tipo: dai gruppi di mutuo aiuto ad attività educative mirate, cucite attorno alla persona. Ma non solo: Angsa Biella offre anche aiuto per gestire pratiche burocratiche, organizza convegni di sensibilizzazione per la comunità e di formazione per gli educatori. Collabora con diversi enti del territorio e in particolare con la Domus Letitiae, una cooperativa di Sagliano che si prende cura di persone con disabilità intellettivo-reazionale/mentale. Gli obiettivi di Angsa? Migliorare la vita delle persone con autismo, creare una rete di sostegno intorno alle loro famiglie e abbattere i taboo e gli stereotipi che ancora esistono intorno a questa tematica.
Sonia Caronni, laureata in Giurisprudenza con un master in criminologia delle dipendenze, ha frequentato la scuola superiore di criminologia "Gian Vittorio Pisapia", criminologia di comunità. Sposata, ha una figlia di 14 anni, di origine milanese ma vive a Biella perché ha sposato un biellese. Le sue passioni sono, prima di tutto il diritto, in secondo piano ha una grandissima passione rispetto tutta una serie di discipline olistiche. Ama approfondire il valore dei simboli nei sogni secondo proprio le teorie di Jung. Ha conseguito anche un Master in Consueling nella relazione d'aiuto a Bologna. Vive a Biella da ormai 15 anni ma lavora in Lombardia in quanto sembrerebbe che la sua professione non riscontri i bisogni del mondo del lavoro anche se secondo lei non è assolutamente così, semplicemente succede perché da un parte non si vuole registrare quelli che in realtà sono i fenomeni che iniziano ad essere tanti, presenti sul territorio e dall'altra parte non vi è tutto questo impeto nel costruire progetti, da una parte di prevenzione sia all'uso di sostanze, ma anche soprattutto alle dipendenze affettive, da cui poi generano tutti i reati come stalking, molestie per poi finire in femminicidi. Sonia crede che invece sul nostro territorio vi sia una grandissima possibilità per costruire progetti di questo tipo anche interagendo con le varie scuole e istituti del territorio. A Biella svolge un ruolo pubblico, svolge la funzione di Garante dei diritti delle persone ristrette nelle libertà per il comune di Biella, è una funzione a titolo gratuito, ciò che l'ha spinta a svolgere questo ruolo è la passione che coltiva per il mondo all'esecuzione delle pene, in cui crede, sostiene che il carcere possa servire ma solo in parte per le rieducazione delle persone.
Claiudia nata a Torino a sei ani comincia lo studio della danza classica. Dalla classica passa alle tecniche jazz e contemporanea e diventa danzatrice professionista con la compagnia Adriana Cava Jazz Ballet. Negli anni ’90 apre una scuola di danza presso il teatro comunale di Cossato mossa dal desiderio di trasmettere il suo sapere. Con la crescita della scuola nasce la necessità di uno spazio più grande, anche grazie alla collaborazione con l’Istituto Civico Musicale di Cossato e viene individuato l’edificio di archeologia industriale dell’Opificio di Biella dove, con l’Istituto Civico Musicale di Cossato, Teatro Patatrac e la scuola di danza di Claudia nasce il progetto Opificio dell’Arte. L’idea di partenza era quella di creare un’offerta puramente didattica ma grazie la collaborazione tra i partner del progetto e altre associazioni del territorio l’Opificio ha poi cominciato a portare avanti progetti dedicati al sociale, alla disabilità e varie fasce di età, anche attraverso laboratori scolastici. L’ Opificio riunisce professionalità che oltre ad insegnare e trasmettere danza, teatro e musica si occupa di ricerca fondi e progettazione. L’obiettivo dell’ Opificio è anche quello di portare danza, teatro e musica al di fuori dei contesti usuali attraverso manifestazioni in città.
Claudia trova che Biella sia una bellissima città a misura d’uomo, una città da danzare che ha i suoi luoghi nascosti, un città viva anche a livello culturale.
L’Opificio vuole essere sia un luogo che crea talenti che opportunità di crescita per tutti. Un luogo di riferimento per la città, un luogo per ritrovarsi al di là dell’arte. Un luogo che aiuti la città dove si trattano temi che portano ad un confronto, che aiutino a crescere e dialogare con i ragazzi. Chi entra in Opificio trova una porta aperta, la possibilità di intrecciare percorsi formativi tra teatro, danza e musica, anche per chi decide di approcciarsi ad una di queste arti in età avanzata. All’Opificio l’arte passa anche dal benessere e dall’equilibrio: vengono offerti anche corsi di danza educativa nelle scuole, accompagnamento alla salute e al benessere, incluso il Tai chi e lo Yoga bimbi e lo stare in natura.
Massimiliano, laureato in storia, successivamente ha conseguito dottorato di ricerca in storia contemporanea, master in storia del '900 e diploma di abilitazione all'insegnamento. Una delle sue grandi passioni, è direttamente collegata a ciò che fa, tutta la sua vita ruota intorno allo studio della storia un po' meno della filosofia. Oltre al ruolo come professore e docente della scuola superiore di secondo grado, ha proseguito nel tempo l'attività di ricercatore, in collaborazione con vari istituti come l'Università di Torino, l'università di Milano, e sul territorio con il Centro studi biellese "Docbi", ed infine con l'istituto per la storia della Resistenza di Varallo. Di fatto quando è libero dagli impegni che riguardano la scuola, scrive o fa ricerca per tutta una serie di progetti che poi successivamente sfociano in testi, pubblicazioni e conferenze.
Mariagrazia Sforzini, nata a Voghera il 7 agosto del 1960, è la prima di quattro figli, infatti è l'unica nata a Voghera nel paese di suo padre. È rimasta nella sua città nativa fino all'età di sei anni successivamente la sua vita ha avuto parecchi spostamenti, l'ha vista trasferirsi a Milano con i suoi genitori, successivamente ritornare a Voghera dai noni, che hanno cresciuta ed infine ritrasferirsi a Roma. Ha frequentano l'istituto di ragioneria, terminato, è subito andata a lavorare in uno studio di un commercialista a Milano fino all'anno 19844 quando si è sposata con un biellese e si è trasferita definitivamente a Biella, città in cui abita tuttora, dove ha sempre continuato a svolgere lo stesso lavoro, per questa volta per conto proprio ha deciso di aprire un centro contabile e dopo 7 anni ha avuto la sua prima e unica figlia, Alice. Una delle sue più grandi passioni sono gli animali, racconta di riservare un bene immenso verso gli animali a tal punto che dedica e passa molto tempo con loro. Un tempo, quando il lavoro non la impegnava la maggior parte del tempo coltivava anche la passione per la cucina, amava sperimentare.
Chiara, laureata in lettere classiche e dottorato di ricerca in filologia classica. Le lettere classiche, materie che insegna al liceo classico di biella fanno farte di una delle sue più grandi passioni, oltre alle varie formazioni che ha in ambito didattico, ha passioni legate alla famiglia, anche una forte passione per giardinaggio e per l'orto. È nata ad Ancona, si è trasferita a Biella nel 1999, per questioni di lavoro e di familigia/amore. Nel territorio di Biella si trova bene dal punto di vista professionale, ma evidenzia di non appartenere a questo territorio in quanto respira una mentalità di chiusura totale. Non vede il territorio come esclusivo e non si aspetta nulla di più di quanto abbia già, ma si sente di di appartenerci non totalmente ma solo parzialmente. Sostiene che debbano essere valorizzate maggiormente delle attratività per i giovani.
Daniela Zoppello, laureata in filosofia, con una tesi sulla filosofia teoretica. La sua famiglia è una famiglia abbastanza tradizionale, in quanto è sposata con due fili, entrambi frequentano l'università; uno sta finendo il percorso universitario, l'altro invece è al secondo anno. Ama moltissimo la montagna anche se il suo primo approccio, non è attraverso le Alpi Biellesi, in quanto la sua famiglia non perveniva dal biellese. A livello di cultura e origine, i suoi genitori, uno proveniva dalla zona del cunese e l'altro era originario di Vicenza, quindi dal Veneto, giunto in Piemonte negli ultimi anni degli anni '50, quando il Veneto pativa la fame e quindi la sua famiglia si era dovuta trasferire. Suo padre, aveva una cultura sostenuta dai fratelli, perché era l'unico fra i figli che aveva potuto studiare grazie al fatto che fosse il più piccolo e i fratelli più grandi avevano investito nella sua cultura e nei suoi studi permettendogli di studiare in un collegio.
Davide, laureato in Giurisprudenza ormai dieci anni fa. Nato e cresciuto in Sicilia abita a Biella da 6 anni. A biella si trova molto bene, ma desidera fare una premessa, lui ha conosciuto biella 20 anni fa in quanto abitava già sua mamma con i suoi fratelli, quindi ha conosciuto una realtà diversa da quella di adesso riguardo Biella. Sostiene che Biella per un ragazzo di vent'anni sia tragica in quanto non ci sono molte attività per i giovani, non vi è nulla di attrattivo per i giovani di età compresa tra i 15- 30 anni.
Pietro è un cuoco con la passione per la botanica, le piante spontanee e la cultura gastronomica del territorio. Lavora in un ristorante in centro Biella dove, soprattutto in primavera, cerca di utilizzare erbe spontanee. Pietro ha fondato un’associazione: Ethnobotany and Gastronomic Diversity of the Alps (Etnobotanica e Diversità Gastronomica delle Alpi) che attraverso la programmazione Erbass si occupa di promozione e divulgazione delle conoscenze legate al patrimonio della botanica, delle tradizioni gastronomiche e in particolare alle tradizioni fitoalimurgiche.
La rassegna di eventi della Primavera Gastronomica che si tiene ogni primavera è il cuore delle attività di EGDA/Erbass ed è dedicata alla diffusione delle conoscenze tradizionali legate alle erbe spontanee. Un altro progetto dell’associazione sarà il Giardino fitoalimurgico presso il comune di Vermogno che sarà un luogo di riferimento per le attività di divulgazione e aggregazione.
“All’inizio è meglio andarci molto cauti con il turismo se la comunità non è strutturata e non è forte anche della sua identità: si costruisce nel tempo con la fiducia e conoscendosi, organizzando eventi insieme…e ora la comunità è pronta.”
Nazarena proviene dal mondo di Slow Food dove ha lavorato per 8 anni come coordinatrice d’area per Nord Africa e medio oriente. Tornata nel Biellese nel 2007 in cerca di un luogo per finire la sua tesi di dottorato incontra la Trappa che non ha più lasciato.
A Biella ha avviato nel 2019 Slow Food Travel Montagne Biellesi, un progetto basato su un lavoro di mappatura e formazione e ispirato alla modalità della rete museale biellese: un progetto che si rinnova ogni anno grazie ai suoi membri. L’idea di base è di far conoscere il Biellese tramite escursioni e degustazioni dei suoi gusti ed eccellenze artigianali. Le escursioni hanno portato insieme siti della rete Museale Biellese, produttori/ristoratori e guide locali. Il Biellese con le sue cinque valli molto diverse l’una dall’altra ha tantissimo da offrire e la criticità principale è avere le risorse per creare una strategia di comunicazione adeguata.
Tramite l’iniziativa del Biellese in un Piatto, per un giorno tutti i membri della rete hanno un ruolo: dai produttori ai ristoratori, è un gioco di incastri di ingredienti e proposte gastronomiche dove ristoratori e produttori si incontrano e collaborano. Slow Food Travel Montagne Biellesi tramite un gruppo di acquisto solidale facilita anche l’approvvigionamento degli ingredienti per i ristoratori.
“Qualcuno dice che non esistono librerie, esistono librai”
Enrico è libraio dal 1996 e abita a Biella da 30 anni. La sua famiglia ha radici profonde nel il territorio Biellese. La Libreria Robin che ha co-fondato è nata dall’idea di creare una nuova libreria con un approccio innovativo centrato più sul cliente che sul prodotto e di creare una libreria multimediale con un approccio trasversale. L'approccio della Libreria Robin è di intendere la realtà che circonda la libreria come territorio e non come semplice mercato ma piuttosto come un insieme di soggetti, risorse, di relazioni, di consapevolezze e di ricchezze, con un approccio che cerca una relazione con tutte queste realtà. Secondo Enrico la libreria è uno strumento per mettere a disposizione le proprie risorse e accogliere ciò che ci circonda. Crede che uno dei temi importanti del momento sia di individuare strumenti a livello territoriale che in maniera non retorica promuovono una ricerca del futuro positiva.
“C’è bisogno di persone vere e autentiche. Non esistono i supereroi che cambiano il mondo. Ognuno di noi con le proprie piccole azioni può cambiare il mondo. “
"Il Biellese è n territorio molto ricco ma non manifesto"
Fabio è dottore forestale ambientale e ha insegnato parecchi anni nella scuola pubblica agraria. Offre attività formative a scuola e opera come libero professionista. I suoi interessi e campi di conoscenza spaziano dalle agricolture sostenibili alle piante spontanee, dal verde terapeutico al rilevamento sentieri. La sua missione è un po’ quella di sensibilizzare a quella che è l’importanza di un rapporto non conflittuale con la natura che ci circonda e questo crede sia importante soprattutto con i bambini. Fabio crede che ci si la necessità per un cambio di paradigma, l'umanità intera deve cambiare direzione, dice. Spera che si possa creare maggiore consapevolezza dell’importanza di ciò che è essenziale e riuscire a trovare un equilibrio tra tornaconti monetari e gli approcci corretti.
Dal 2007 Fabio collabora con il progetto dell’orto in carcere: all’interno del carcere di Biella ci sono delle serre e dei terreni gestiti e coltivati dai detenuti, in particolare dalla sezione di detenuti Ricominciare dove ci sono persone che hanno commesso reati legati alle dipendenze. I prodotti coltivati in carcere vengono sia donati a Caritas che veduti a privati. Fabio nota come l’orticoltura e il fatto di doversi prendere cura delle piante aiuti a migliorare la capacità della persona di interagire con gli altri e la società esterna. Inoltre alcuni detenuti imparano abilità che possono mettere a frutto una volta usciti. C’è la possibilità di lavorare come volontario nel progetto.
“Il Biellese è capace di essere una piccola corte … un cortile ristretto ma dove si può giocare a pallone e nello stesso tempo capace di grandi slanci anche internazionali”
Ruggero coordina l’ufficio Ambienti di Apprendimento e Formazione di Cittadellarte che si occupa di implementare consapevolezza rispetto ad una funzione educativa e comunitaria anche nei luoghi non deputati alla formazione ed educazione formale. Il loro obiettivo è anche creare e rendere accessibili centri con vocazioni diverse sul territorio. Tra i progetti che coordina c’è la scuola parentale, la Open School del Terzo Paradiso e Learning Archipelago che connette tutti i luoghi con vocazione comunitaria educativa creando sinergie anche con la scuola statale. Laureato in Archeologia Ruggero si è poi appassionato ai temi dell’arte e del contemporaneo e ha iniziato ad occuparsi di formazione e didattica. Nel 2007 ha fondato Associazioni di Idee con l’obiettivo di rilanciare il metodo Montessori e nel 2013 ha co-fondato Montessori Italia. Il suo approccio cerca di congiungere la ricerca in ambito pedagogico con quella in ambito artistico. Ha anche collaborato con il programma di residenze artistiche UNIDEE e dal 2010 collabora con Michelangelo Pistoletto per quanto riguarda le pubblicazioni. Community School, uno dei progetti principali di cui Ruggero si occupa, nel 2018 si apriva con una domanda: come immaginiamo il Biellese tra 10 anni: a Ruggero piacerebbe che tutta una serie di luoghi ad alta vocazione comunitaria ed educativa come la Trappa, Cascina Oremo, Fondazione Zegna e Cittadellarte possano diventare estensioni del sistema scolastico locale e che si possano raggiungere questi luoghi in tanti modi, ad esempio camminando e andando in bicicletta. Vorrebbe che il Biellese diventasse un laboratorio educativo a cielo aperto.
"Comunità non è solo accoglienza ma anche quello che c'è oltre l'accoglienza, una volta che sei accolto cosa c'è dopo? Comunità vuol dire far sentire a casa."
Valentina abita a Biella da poco e si è trasferita per essere più vicina al lavoro che svolge presso un negozio di attrezzatura per apicoltura. Prima di rientrare in Italia e trasferirsi a Biella ha vissuto a Londra per otto anni dove lavorava nella ristorazione. Trova che Biella abbia comunità piccole ma interessanti e inaspettate e che sia ricca nel suo patrimonio culturale, artistico e naturale delle le sue valli. Valentina ha fatto il liceo artistico e voleva fare la restauratrice, ha studiato per qualche anno scienza dei materiali ed è appassionata di pittura. Le piace particolarmente dipingere fiori. Per Valentina una delle priorità è far parte di una comunità e per lei comunità è far sentire le persone a casa, va oltre l'accoglienza. Tutti pensano che a Biella siano tutti "orsi" ma un realtà Valentina ha trovato molta cura tra le persone. Le piace quando ci sono eventi con molta gente e cibo in condivisione. Vorrebbe aprire un atelier piccolo, molto pieno e colorato dove esporre e vendere le sue opere e dove le persone possano sentirsi libere di esplorare. Vorrebbe condividere la sua arte in modo inclusivo e fare delle proposte che abbiano risonanza sul territorio.
Luz è nata e cresciuta a Biella, è metà colombiana e studia arte e arte terapia. Dice di provare a fare l’artista e che per mantenersi fa la cameriera. Dopo periodi all’estero in città come Amsterdam e Londra Luz è tornata a Biella e non sa quanto resterà però sta scoprendo una Biella nuova attraverso l’arte, meno chiusa rispetto a quella che è sempre stata la sua percezione del luogo.
Ama essere vicino all’acqua e nella sua vita quotidiana desidera trovare dei luoghi di incontro dove conoscere persone, leggere e osservare la gente, che siano bar o piazze. A Biella mancano questi luoghi. Biella è faticosa, dice non è molto spontanea, rimane comunque molto chiusa e un luogo difficile in cui creare qualcosa di diverso. Luz ha sempre amato la danza in tutte le sue forme, dall'età di 4 anni e con Hydro sta lavorando a dei progetti musicali. Al momento per la sua tesi di laurea sta esplorando come il cibo possa unire le persone, lo stare insieme e la condivisione. C’è la voglia di condividere la propria vita ma mancano i luoghi per farlo. Luz è anche interessata alla parte della città invisibile come il dormitorio e la mensa per persone che sono rese invisibili a causa della marginalizzazione.
Maria Olivetti, ex dirigente scolastico di una scuola paritaria, in cui ha esercitato quest'attività per 10 anni. Nata a biella il 2 gennaio 1956, ha una figlia che ormai ha 37 anni, sposata e vive a Londra e da due mesi circa ha un nipotino. Dunque questa necessità di comunicazione con l'ambiente britannico, l'ha portata a dover conoscere meglio la lingua inglese, per poter comunicare sia quando va a Londra sia con suo genero essendo canadese, in quanto all'inizio non conosceva la lingua italiana, successivamente passo a passo glielo ha insegnato, essendo stata a sua volta insegnante di italiano e latino; ha frequentato il liceo classico a Biella, si è laureata in filologia classica a Torino. Terminato il percorso universitario ha iniziato subito ad insegnare al liceo, insegnava italiano e latino, infine gli ultimi dieci anni della sua attività scolastica, li ha ricoperti con il ruolo di dirigente scolastico, dopodiché ha deciso di ritirarsi poiché desiderava seguire i suoi interessi e purtroppo questo tipo di attività le assorbiva troppo tempo e di conseguenza non avrebbe potuto seguire le sue peculiarità, passioni.
STORIA DI OMARA ABDELAZIZ
OMARA è un ragazzo egiziano di 18 anni.
Due anni fa, in cerca di un futuro migliore rispetto a quello che poteva costruire nella sua terra, ha deciso di lasciare il suo Paese e la famiglia.
Il viaggio è stato difficilissimo e affrontato con molta paura.
Giunto a Catania è stato inserito nella Comunità Marianella Garcia, dove vive tutt’ora.
In Comunità si sente accolto e supportato, ma a causa della sua indole molto timida, non è facile abituarsi a questa nuova cultura e costruire relazioni tra i pari e adulti significative.
Omara, non ama molto parlare di sé, ma nel tempo ha imparato ad ascoltare e smussare questa sua rigidità nelle relazioni.
Un grande aiuto lo ha ricevuto dal graduale avvicinamento al laboratorio teatrale delle Milizie dell’Immacolata, tutto il gruppo gli ha lasciato tempo e spazi di adattamento, divenendo per lui un punto di riferimento e leggerezza, nonostante l’impegno massacrante delle prove, quando si avvicina la data dello spettacolo da mettere in scena.
Frequenta il CPIA, a giugno dovrebbe conseguire la licenza media
Da gennaio, come beneficiario del progetto Tempo al Tempo, ha finalmente iniziato il suo tirocinio lavorativo di 6 mesi presso "A Putia dell’Ostello", un luogo gestito da persone che credono fortemente all’inclusione tra le diverse culture, e per questo ben disponibili ad accogliere e offrire un’opportunità di crescita a questi ragazzi con vissuti difficili.
L'incontro con lo chef Sandun e l’aiuto cuoco Alexander è stato sin da subito positivo.
Omara racconta che che all’interno della cucina e della sala tutto ha un ritmo, lui si sta impegnando e cerca di imparare e svolgere le proprie mansioni con molta attenzione, un aiuto significativo lo riceve anche dai ragazzi della brigata, alcuni stranieri come lui e con la quale ha stretto bellissimi rapporti di amicizia.
Ad oggi le sue giornate sono molto intense, spera tanto di conseguire la licenza media e di svolgere il tirocinio nel migliore dei modi, non sa ancora cosa farà da grande e se rimarrà a Catania.
La sua nuova vita gli piace, se ripensa a ciò che ha affrontato e alle opportunità che ha ricevuto l'unica cosa che lo intristisce e la lontananza dalla sua famiglia.
LA STORIA DI ALEXANDER E SAMDUN- A PUTIA DELL'OSTELLO
Il ristorante “A Putia dell’Ostello” a Catania è un luogo magico, suggestivo che si affaccia sulla bellissima piazzetta Currò, nel cuore della città, circondata da palazzi e chiese barocche, nei suoi sotterranei vi scorre il fiume Amenano.
Antistante alla struttura troviamo allestito un accogliente spazio all’aperto, all’interno invece ci sono diverse sale, una di esse ricavata all’interno della Grotta dell’Amenano, risalente all’Imperatore Federico II di Svezia, resa fruibile circa 25 anni fa durante i lavori di ristrutturazione.
I nuovi gestori hanno ridato all’Ostello nuova linfa, ogni giorno i clienti molti dei quali turisti, possono trascorrere momenti piacevoli degustando buonissimi piatti in un ambiente accogliente, grazie ad uno staff di sala e cucina giovane e attento.
L'Ostello, propone una cucina mediterranea che guarda alle diverse culture, greca, normanna e araba, vengono inoltre preparati buonissimi aperitivi.
- Alexander è nato a Messina, Il suo sogno sin da piccolo era di lavorare in cucina, per inseguire questa sua passione a 15 anni ha lasciato la scuola, in seguito si è traferito a Catania, città che ha imparato ad amare per la sua generosità, bellezza e dove risiedono i suoi affetti più cari.
La grande occasione professionale gli è stata offerta dalla Putia dell’Ostello, affiancando in cucina nella preparazione dei piatti lo chef Sandun.
- Sandun, originario dello Sri Lanka, vive in Italia da 25 anni, ha iniziato subito a lavorare nelle cucine come lavapiatti e poi negli anni grazie alla sua passione e alle sue capacità è diventato uno chef.
Comanda la sua brigata con il supporto di Alexander, dividendosi quotidianamente spazi e incombenze, affinchè la loro cucina, trasmetta agli occhi e al gusto del cliente tutta la loro passione nel prepararli.
Anche lui ama ed è riconoscente alla città di Catania.
Qui si è formato e cresciuto grazie ai lavori che si sono susseguiti in tutti questi anni, fino a trovare la sua grande rivalsa come chef riconosciuto e apprezzato nella cucina dell’Ostello.
Nel poco tempo libero a disposizione si gode la famiglia, gli amici e il mare.
Entrambi con molto entusiasmo, seguono i ragazzi che arrivano all’Ostello per imparare l’arte della cucina, grazie ai tirocini-lavorativi proposti dai progetti dalle Comunità per MSNA del territorio.
Raccontano che in tutti questi anni nel loro ristorante che crede in una Comunità accogliente e inclusiva, hanno lavorato e lavorano diversi ragazzi stranieri, con storie difficili e dolorose.
Alcuni dei ragazzi conosciuti in questi anni quando erano ospiti delle Comunità, dopo i sei mesi di tirocinio hanno ottenuto un contratto lavorativo a tempo indeterminato, divenendo per la brigata elementi indispensabili, tra questi Cisse, Sheik e Mina ormai giovani adulti, ben integrati nel tessuto lavorativo e sociale.
Dal mese di gennaio nel loro ristorante, ha iniziato il suo tirocinio lavorativo Omara Abdelazziz, ospite della Comunità Marianella Garcia, beneficiario del progetto Tempo al Tempo.
Sandun e Alexander, sono molto contenti di Omara, puntuale e volenteroso, nonostante sia molto timido si spende molto nel lavoro e nel rapporto con gli altri ragazzi della brigata, osserva e cerca di eseguire al meglio i compiti che gli vengono affidati.
Il tirocinio si concluderà a fine luglio, entrambi sperano che in questi mesi possa acquisire le competenze di base e di entrare a far parte della grande famiglia della" A Putia dell’Ostello."
Martina è nata e ha vissuto a Biella, è cresciuta nel quartiere del Vandorno e fa l’insegnante presso il CPA (Centro Provinciale di Istruzione Adulti). Biella le piace perché trova che sia tutto comodo. Dopo aver trascorso alcuni anni a Torino e all’estero per perseguire i suoi studi in lingue ha sentito la mancanza di Biella e delle sue montagne che abbracciano il territorio ma gli permettono anche di guardare lontano. Per Martina Biella è montagna, pianura, collina, torrenti, verde ma anche grigio, il grigio delle fabbriche che hanno condizionato tanto la società biellese dal punto di vista socio-economico. Biella non è un luogo facile per i giovani, dice, non sono molto supportati, gli affitti sono alti e manca la cultura del condividere gli appartamenti. Vivere con i propri genitori in età adulta non ci piace ma è difficile costruire qualcosa di proprio. Biella ha anche un'interessantissima e varia rete museale ed eco-museale.
Il teatro per più di dieci anni ha spinto Martina ad esplorare fuori Biella e anche se al momento non sta lavorando attivamente a livello teatrale il teatro rimane una delle sue più grandi passioni: vorrebbe riprendere e far partire un progetto teatrale a livello locale.
Silvia gestisce una libreria di libri usati vive fuori città con i suoi due cani e ama vivere a contatto con la natura. L’ha riportata a Biella la famiglia e prima di rientrare ha passato dei periodi all’estero e ha frequentato una triennale al DAMS per poi specializzarsi in Multimedialità e Cinema. Dopo esperienze di vendita itinerante di libri decide di partecipare al bando delle botteghe di Via Scaglia del comune di Biella e apre Libri in Movimento nella piccola bottega in cui ci troviamo. Pensa che il futuro sia l’usato, in ogni campo, anche a causa della difficoltà di smaltimento dei rifiuti. A suo parere in ambito ecologico ognuno dovrebbe iniziare da sé con le scelte di tutti i giorni.
“Vivere bene vuol dire costruire relazioni”
Giorgio vive nel quartiere del Vernato nella casa costruita dal nonno che si occupava di edilizia e ha frequentato le scuole nel quartiere, la parrocchia e l’oratorio dove si è appassionato di sport arrivando a praticare la pallavolo e la ginnastica artistica. Ricorda anche il tantissimo tempo trascorso a giocare all’aperto nella cascina dei nonni non lontano da casa. Fisioterapista, psicomotricista e counsellor Giorgio ha lavorato per molto tempo presso l’istituzione Domus Letitiae. Giorgio organizza anche dei corsi sulla poesia per bambini. Ha sempre fatto parte del comitato del quartiere e proprio sul quartiere ha fatto ricerche e pubblicato numerosi libri basati su numerose interviste con i vecchi Vernatesi, tra cui 80 con i contadini storici della borgata. Giorgio è appassionato anche di disegno, pittura e di libri. Alcune delle ricerche da lui svolte vertono sulle vecchie canzoni delle bettole del quartiere e sull’esperienze delle vecchie residenti del vecchio ospizio. Giorgio ha visto avvenire moltissimi cambiamenti: il Vernato è diventato un quartiere degli affari e residenziale, da campagna è diventato città. In passato venivano coltivati pioppi, c’erano vigneti. Nonostante il cambiamento il quartiere è rimasto un bel posto in cui vivere con un’associazione molto attiva, gli Amici del Vernato che ha creato una guida al quartiere e organizza il carnevale e la tradizionale fagiolata. In passato l’associazione delle famiglie fondata da genitori che si erano conosciuti portando i figli alla scuola dell’infanzia era molto attiva e Giorgio la ricorda come un grande supporto nella crescita dei suoi quattro figli per i quali organizzavano molte iniziative tra cui campeggi, gite, passeggiate e spettacoli per i figli. Il futuro del quartiere rimane incerto, l’identità locale è sempre meno forte, gli edifici storici sono abbandonati a loro stessi e i servizi per l’infanzia diventano sempre meno, così come i negozi con il risultato che si cammina sempre meno per il quartiere. Se da una parte c’è un centro incontro anziani, sembra esserci poca attenzione per i giovani. Ci sarebbe bisogno di un luogo di incontro e di opportunità per conoscere i propri vicini: ci sarà una fine a questa corsa in cui o si lavora troppo o si sta a casa, si dovrà tornare alla socialità, dice Giorgio.
Marida è fotografa e vive a Biella. Ama gli esseri umani ascoltare e raccontare la la loro vita e loro storie e proprio per questo ha deciso di diventare foto-giornalista e in seguito di occuparsi di fotografia terapeutica. Nel suo lavoro Marida fa un percorso con le persone che le permette di ridare loro qualcosa, rispetto a quello che accade nel foto-giornalismo in cui rimane una certa distanza tra chi fotografa e chi viene fotografato. Marida si è sempre occupata di volontariato in vari ambiti, incluso quello dei diritti umani. Architetto del paesaggio di formazione, Marida è stata fondatrice e membro della redazione della rivista Mondocapovolto che trattava di immigrazione, diritti e cultura. Vede il cibo come un ponte tra culture e ha spesso utilizzato il parlare di cibo per raggiungere la vita delle persone e farsi raccontare le loro storie. Marida è anche molto legata alle montagne e ai boschi del Biellese in cui è cresciuta e dove ama trovare quiete e silenzio. Pensa che a Biella l'accoglienza delle persone ci sia ma non venga offerta, bisogna cercarla. Un luogo di aggregazione per tutte le età da rendere proprio come i pub della Gran Bretagna le è sempre mancato, dice. Percepisce molta noia, soprattutto tra i giovani. I suoi desideri per il futuro sono di continuare a lavorare con la fotografia, le persone e le emozioni.
Don Emanuele Lampugnani, sacerdote del Cottolengo, attualmente responsabile pastorale del Cottolengo oltre che superiore locale della comunità dei preti. Conosce la lingua de segni. È entrato in seminario subito dopo le superiori, momento in ha sentito il desiderio e la vocazione di diventare prete. Sente forte il valore della fede, essere prete per lui significa avere la fede a cuore, conoscere il valore della carità, il cercare di aiutare chi ha bisogno, e chi si trova in difficoltà.
"L'applicarsi allo studio della realtà più vicina non è nient'altro che un modo di rapportarsi al mondo. Questo è lo spirito con cui ci muoviamo."
Marcello è presidente dell'associazione DocBi (Documentazione Biellese) e professore in pensione. Laureato in filosofia e insegnante, Marcello comincia il suo percorso all'interno dell'associazione scrivendo e dedicandosi all'editoria. Il DocBi è stato fondato nel 1985 da Giovanni Vacchino e si occupa di ricercare e valorizzare il patrimonio locale Biellese in tutte le sue sfaccettature. La ricerca è la base essenziale di tutte le attività dell'associazione accompagnata dallo studio, documentazione e valorizzazione della cultura locale con la sua storia sociale, politica, linguistica e la storia dei territori stessi. Il lavoro di documentazione e studio si è dedicato molto al comprendere come le montagne con le loro attività tipiche, tra cui spicca la pastorizia e il tessile, hanno influenzato il paesaggio e lo spirito del luogo. Il DocBi si è occupato anche di attività di recupero del patrimonio industriale legato all'industria tessile, ad esempio fondando la fabbrica della ruota presso l' ex lanificio Zignone, così come della classificazione e archiviazione di più di 70 fondi di aziende tessili cessate. Ogni hanno allestisce mostre e pubblica un bollettino annuale con articoli di taglio sia scientifico che divulgativo in due riviste dedicate. Come centro di studi e documentazione l'associazione si dedica alla molteplice identità del Biellese e alla sua varietà culturale, dedicandosi anche a ricerche sulla devozione popolare: dalle pitture a sfondo religioso al censimento dei santuari biellesi, alla sacralità dell'acqua. DocBi promuove anche il territorio e la sua storia attraverso la divulgazione tramite il teatro collaborando con la compagnia teatrale Teatrando, oltre a dedicarsi al monitoraggio e alla ricerca, specialmente nell'alta Val Sessera, la più selvaggia del Biellese.
Nato e cresciuto nel quartiere di Riva a Biella Alessandro lavora in ambito sanitario nel laboratorio analisi dell’ospedale ed è musicista nel tempo libero. Parla di Riva come di un quartiere molto vivo. Crescendo ha frequentato molto l’oratorio, anche per attività sportive. Vorrebbe vedere più spazi dedicati alla musica dal vivo e dove coltivare non solo le sue aspirazioni artistiche ma anche quella per la natura.
Kamis è nato in Egitto 18 anni fa. Nel 2022, la voglia di una vita migliore, anche se piena di paure e incertezze, lo ha spinto a lasciare il suo Paese e la famiglia per intraprendere un lungo e difficilissimo viaggio.
E’ giunto a Catania nel settembre dello stesso anno, ed è stato accolto e vive ancora oggi nella Comunità per minori stranieri, Marianella Garcia a San Giorgio.
Kamis, è un ragazzo allegro, educato, attento alle regole, ha instaurato un buon rapporto con gli educatori e gli altri ragazzi della casa, certo in tutti questi mesi ha vissuto momenti difficili legati alla lontananza dei suoi cari, alla difficoltà della lingua e all’approccio ad una nuova cultura, ma ha cercato di reagire e superarli, senza mai abbattersi. Catania gli piace, si è creato una fitta rete amicale, con la quale trascorre il suo tempo libero, ama andare al mare e fare sport.
Frequenta con ottimi risultati il CPIA, a giugno dovrebbe finalmente sostenere gli esami di licenza media.
Da marzo di quest'anno, dopo un lunghissimo iter burocratico, ha iniziato il suo tirocinio lavorativo di sei mesi presso Plante Lab, un laboratorio fast casual di cucina vegetariana.
Opportunità che gli è stata proposta come beneficiario del progetto TEMPO AL TEMPO, che Kamis ha accolto da con grande entusiasmo.
L’Incontro con MATTIA, uno dei soci fondatori di Plante Lab e gli altri ragazzi della brigata è stato sin da subito più che positivo. Racconta di imparare quotidianamente tante cose, si sente accolto e gratificato, il lavoro è impegnativo, richiede attenzione e precisione, ma l’atmosfera che si respira in cucina e in sala è sempre allegra e leggera.
Tra la scuola la mattina e il tirocinio il pomeriggio, di tempo libero ne ha ben poco, ma non gli pesa, imparare un mestiere, sentirsi parte attiva di un gruppo di lavoro e guadagnare dei soldi non solo lo gratifica, ma gli permette di aiutare la famiglia.
Da grande non sa ancora cosa farà è presto per decidere, si immagina cuoco o forse idraulico che è un' altra sua grande passione, sa solo che non vuole mollare.
Mentre si racconta e sogna ,sorride davanti la telecamera, si augura tanto di essere sempre felice, in qualunque parte del mondo la vita lo porterà.
Mattia, è un giovane imprenditore della ristorazione catanese.
Dopo gli studi, grazie alla sua grande passione per la cucina e per la ristorazione ha lasciato la sua amata Catania, spinto dalla voglia di conoscere e sperimentare nuove tecniche, nuove culture che potessero arricchirlo, non solo umanamente ma anche professionalmente.
Ha vissuto in diversi paesi europei, ma è soprattutto Londra, la città che gli ha dato nuovi stimoli, dove ha appreso nuove forme e tecniche di cucina ed è da esse che ha poi deciso di intraprendere nuovi percorsi culinari, non più legati al mondo animale, ma alla cucina vegetariana ed eco-sostenibile.
La svolta definitiva è avvenuta nel 2019, anno in cui dopo un lungo girovagare, è rientrato a Catania ed insieme ad un gruppo di amici storici, ha deciso di intraprendere una nuova avventura. Nasce cosi PLANTE, un home-restaurant, che organizza cene ed eventi privati, specializzato in “alta cucina vegetariana”.
Il loro focus sta nella ricercatezza della materia prima e nella sua trasformazione in qualcosa di unico, attraverso un percorso naturale ed estremamente sostenibile.
La città di Catania, attiva e sempre pronta alle belle novità, risponde alle loro proposte con grande attenzione e partecipazione, per cui in Mattia e i suoi soci nasce la voglia di evolversi e alimentare nuovi progetti.
Nel 2021, prende così vita il progetto PLANTE Lab. Un laboratorio fast casual di cucina vegetariana, moderna e gustosa, in una bellissima viuzza di Catania, via S. Anna, in pieno centro storico, vicino al Duomo e di fronte la Casa–Museo di Giovanni Verga.
Non più quindi solo eventi privati, ma un luogo dove quotidianamente i catanesi e i turisti, possano gustare piatti particolari, accolti con professionalità e gentilezza da tutto il giovane team.
Mentre si racconta, si evince subito che Mattia è una persona molto carina, gentile e piena di entusiasmo, crede molto nel lavoro fatto con cura e attenzione verso il prossimo, l’ambiente e il suo gruppo di lavoro.
In PLANTE lab, si respira un’aria leggera, goliardica ma non per questo poco professionale, come già detto precedentemente, in cucina troviamo un team giovane e di diverse nazionalità, ognuno porta la sua storia e la sua voglia di sperimentare e la “leggerezza” aiuta a dare il meglio di se.
Mattia, crede nell’inclusione tra le diverse culture e spera tanto che i giovani che vivono questa esperienza all’interno del suo locale, possano fare tesoro di ciò che quotidianamente imparano non solo a livello culinario ma soprattutto umano.
Racconta che durante le pause del pranzo o della cena, tutta la brigata si siede attorno al tavolo, mangia, ride e scherza come se si fosse una grande famiglia e nel contempo si organizzano turni e mansioni per offrire il meglio ai clienti che verranno.
Il locale è molto frequentato dai catanesi e dai turisti di varie età.
Da marzo, Mattia ha accolto nel suo locale come tirocinante KAMIS ELSEADY, un giovane egiziano, ospite della comunità Marianella Garcia e beneficiario del progetto Tempo al Tempo.
Kamis, gli è piaciuto subito per il suo bellissimo sorriso, educato, attento ed empatico, ogni giorno gli dimostra di avere tanta voglia di imparare, ha legato sin dai subito con gli altri ragazzi, accetta e mette in pratica con dedizione i compiti che gli vengono assegnati.
Spera e si augura tanto che in questi sei mesi, questa sua voglia di esserci, non scemi e gli possa far acquisire valide competenze di base, per poter chissà continuare il suo percorso lavorativo in questo luogo intriso di magia.
Per Mattia, tutti i ragazzi meritano attenzione, ascolto e gratificazioni, per diventare adulti responsabili, vogliosi di imparare, di sperimentare, di spendersi per gli altri e rispettosi dell’ambiente, tanto deturpato dall’incuria delle vecchie generazioni.
A conferma di ciò che siamo detti e raccontato PLANTE Lab, si è aggiudicato il premio di” MIGLIOR RISTORANTE ECOSOSTENIBILE”, durante la quarta edizione del “JUST EAT AWARDS 2023”.
Camilla ha 28 anni, vive a Biella ed è attrice, regista, conduttrice di laboratori teatrali e scrittrice per il teatro. Collabora con l' Opificio dell’Arte di Biella. Si occupa prevalentemente di teatro per adolescenti, in generale di teatro sociale e teatro terapia. Con vari progetti lavora in carcere e con persone in ambito psichiatrico e di disabilità. É anche parte della rete TRAME che si occupa di restituzione alla comunità attraverso il teatro a partire da un'interazione con uno dei tanti ecomusei d'Italia, così come di incoraggiare la ricerca dell’autonomia con partecipanti con disabilità. Nel suo lavoro Camilla vuole creare uno spazio per ridare dignità al teatro sociale con attori con disabilità. La sua formazione è passata dal teatro fisico, alla storia dell’arte e più recentemente allo psicodramma. Camilla collabora ogni anno anche con un Festival di teatro di strada internazionale dove sta facendo pratica con lo Spagnolo e Inglese. Lettura. Ama il cinema e l'arte contemporanea e pensa che la stagione teatrale a biella sia poco varia ma che non manchino occasioni per produzioni teatrali interessanti organizzate dalle realtà piccole indipendenti locali. Camilla vorrebbe portare più teatro sociale a Biella e pensa manchi la fruizione del teatro sociale da parte di un pubblico che difficilmente ne riconosce la dignità.
Donata è un operatrice shatsu e fondatrice dell'associazione InContromano. Dopo esperienze di volontariato all'estero e soprattutto in Mozambico Donata decide insieme ad altre donne di fondare un'associazione che dapprima si occupa di raccolta fondi per poi creare uno spazio e un'offerta di servizi sul territorio di Biella a supporto di migranti ed in particolare donne migranti e bambini. Nel tempo l'associazione ha creato una buona rete con le altre associazioni presenti sul territorio e fa parte del Tavolo Migranti e Tavolo del Carcere di Biella.
InContromano è un luogo dove si intrecciano storie: il venerdì pomeriggio il loro spazio è aperto a chiunque voglia condividere i propri racconti di vita. Diversi materiali sono a disposizione di chi partecipa, dai giocattoli per bambini a materiali per cucire e lavorare a maglia e la merenda è offerta. La condivisione è al centro delle attività dell'associazione che offre anche spazi di sostegno all'apprendimento della lingua italiana, orientamento (creazione SPID, ai servizi, ricerca lavoro, burocrazia, documenti) e sostegno all' apprendimento dell'inglese per ragazzi. Durante gli incontri del venerdì pomeriggio di InContromano si parlano almeno sette lingue diverse come Francese, Inglese, Bambara e Arabo. L'associazione si occupa anche di raccolta di abbigliamento per bambini e svolge attività con giochi, favole e laboratori sulla multiculturalità per i bambini delle elementari.
Per Sonia ridere è il modo di affrontare le sue paure. Da vent’anni partecipa alle attività del Naso in Tasca che oltre alle visite presso le corsie dell’ospedale includono progetti con anziani, adolescenti, di supporto emotivo in situazioni di emergenza come ad esempio durante il terremoto dell’Aquila. Con la volontà di trasformare la difficile esperienza di un tumore in qualcosa di positivo decide di diventare volontaria presso l’associazione il Naso in Tasca e di cominciare il corso dei clown dottori dell’associazione dove oltre alle classiche attività clownesche impara l’importanza dell’ascolto e del “entrare in punta di piedi” nella vita e nel dolore delle persone.
Marco fa il calzolaio e nella sua bottega si occupa di riparazioni di tutti i tipi. Dopo un periodo come falegname Marco ha avuto la possibilità di diventare apprendista del precedente calzolaio e proprietario della bottega che gestisce ora, un caro amico del nonno che gli ha insegnato il mestiere prima di andare in pensione e cedergli l’attività nel 2014. Grazie alla sua passione per lo sport e l’arrampicata ha cominciato ad inserire nuovi servizi nella sua attività dove risuola anche le scarpette per l’ arrampicata. Trova che le nuove generazioni siano interessate al riuso e che il Biellese sia un territorio con una mentalità particolarmente parsimoniosa. Purtroppo Marco nota come ci siano sempre meno persone che fanno il suo mestiere, nonostante l’importanza del riparare e riutilizzare sia particolarmente rilevante in questo momento storico. Una delle ragioni è anche la difficoltà ad avere apprendisti a causa di una realtà fiscale e legale che non permette di creare le condizioni economiche necessarie per la trasmissione del mestiere.
Valeria, nata e cresciuta a Borgo Franco d'Ivrea nel 1988, si è trasferita a Pont Canavese dove attualmente vive con il marito e le figlie. Dopo aver conseguito il diploma presso il Liceo Artistico Faccio a Castellamonte intraprende il percorso per diventare educatrice di prima infanzia. La passione di Valeria è la creazione e la gestione di laboratori creativi ed espressivi per bambini. Questa dedizione nasce molti anni fa, addirittura quando alle superiori le viene chiesto dalla madre e dalla zia di badare alcuni pomeriggi alle sue cugine più piccole. Attraverso questa esperienza, ha scoperto la sua passione per l'educazione, i libri illustrati e il mondo dei bambini. Alcuni anni fa si decide a provare a ritagliarsi uno spazio lavorativo per sé e fa richiesta per lavorare part-time all'asilo nido, iniziando contemporaneamente a diffondere i suoi laboratori, in particolare nella biblioteca, alle elementari e alla scuola dell’infanzia di Pont Canavese. Oltre alla sua attività presso la biblioteca, Valeria ha lavorato per un lungo periodo come tata, integrandolo alle sue giornate all’asilo. Durante i suoi laboratori, Valeria pone poche regole, privilegiando la libertà espressiva dei bambini e delle bambine, incoraggiandoli a pensare in modo creativo e fuori dagli schemi. La sua passione per il bricolage e la creatività si riflette nelle attività proposte, dove la fantasia gioca un ruolo centrale. Inoltre, Valeria è una delle fondatrici dell'associazione Mom's, che si impegna a fornire sostegno alle mamme locali attraverso una rete di mutuo aiuto e solidarietà partecipa ed è la referente del progetto nati per leggere per il quale organizza delle letture tematiche con i bambini e le bambine. Con il passare del tempo, Valeria si è appassionata all'arte terapia, integrando questo approccio nelle sue attività con i bambini e le bambine. La sua missione è quella di promuovere l'educazione creativa e il benessere emotivo dei bambini, offrendo loro uno spazio sicuro per esplorare ed esprimere sé stessi attraverso l'arte e la creatività.
Barbara, assessore comunale della città di Biella.
Nel 2004, grazie alla conoscenza fatta con il Dott. Donatelli la famiglia degli aiutanti della Banca del Giocattolo si è allargata anche alla responsabile organizzativa Barbara che concretamente contribuisce alla raccolta dei fondi economici a favore delle famiglie che versavano in particolari difficoltà e comincia a sviluppare il numero degli sportelli e la promozione di questa straordinaria banca il cui motto diviene “chi versa gioia...preleva amore”.
Ai bambini che portano i doni viene consegnato un simbolico assegno, sponsorizzato dalla Biverbanca che attesta la donazione recando il principio che regna nei cuori di chi sostenendo l’iniziativa diviene un prezioso anello di una meravigliosa catena mirata a regalare un sorriso, con un dono di Natale ad ogni bambini che ne ha bisogno.
Sono un'associazione di volontariato giovanile con sede a Biella. Vogliono portare la speranza e la condivisione nelle aree emarginate della nostra città.
Armona Pistoletto, Presidente e fondatrice dell'associazione Let Eat Bi.Let Eat Bi è un progetto avviato insieme ad una fitta rete di partner tra associazioni, cooperative, imprese sociali e comunità territoriali, che coniuga coltura, cultura e convivialità, con particolare attenzione all’inclusione sociale e sulla base di un forte legame con il territorio. Let Eat Bi ha come progetto principale Terre AbbanDonate, una piattaforma web, che ha l’obiettivo di favorire l’incontro tra i soggetti proprietari di terreni di cui non vogliono o non possono più prendersi cura e quei cittadini che vorrebbero coltivare un terreno, ma non lo hanno a disposizione.
L’obiettivo della sua associazione è creare un prodotto, sano e locale, con una storia sociale, coinvolgendo soggetti in situazione di fragilità sociale, psicologica ed economica. Al centro sono poste le capacità di queste persone, stimolate a diventare esse stesse generatrici di buone pratiche di innovazione sociale.
l Movimento Donne Impresa si propone di dare un valido supporto a tutte le aderenti in modo da facilitare il loro ingresso nel mondo imprenditoriale, organizzando iniziative di tipo culturale, assistenziale e sociale, promuovendo contatti e scambi.
Costituito nel 1994, Donne Impresa è il Movimento promosso da Confartigianato e attivo in tutta Italia per rappresentare le specifiche esigenze delle imprenditrici che in Italia rappresentano uno dei punti di forza del sistema economico.
Il Movimento, che dà voce alle istanze e alle potenzialità di 361.000 aziende, si occupa di promuovere lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile e di favorire la conciliazione tra lavoro e cura della famiglia, compito difficile in un Paese, come l’Italia, che investe poco in servizi sociali.Donne Impresa si batte per affermare una significativa rappresentanza delle donne nelle istituzioni e nelle sedi decisionali e per costruire un sistema di welfare che permetta alle imprenditrici di esprimere nel lavoro e nell’impresa le proprie potenzialità, realizzando un percorso di crescita personale ed offrendo il proprio contributo allo sviluppo economico e sociale.
Annalisa , nata a Trivero quindi è biellese al 100%, ha frequentato il liceo linguistico, terminato il percorso di studi al liceo, ha iniziato a lavorare in un'azienda giapponese di Biella che si occupa di tessile, subito dopo ha lavorato nel gruppo tessile "Ermenegildo Zegna", dal quale deriva la sua formazione legata al territorio biellese, grazie alla fortuna di aver trovato lavoro subito dopo aver terminato il liceo, ha deciso di non frequentare l'università, sulle spalle porta un'esperienza di 40 anni, successivamente si è trasferita a Milano, in uno store in cui ricopriva il ruolo di store manager, successivamente per motivi familiari è dovuta rientrare nel biellese, ha pensato di dover ricominciare da capo con un'idea diversa da quando aveva lasciato il territorio, ovviamente torna con un'esperienza diversa sulle spalle che ha maturato durante il periodo in cui ha lavorato a Milano, l'idea era quella di avere la curiosità di scoprire il nostro territorio nel suo piccolo per lungo e par largo ed imparare a conoscerlo sotto tanti vari aspetti... che prima non riteneva importanti... e rietine che nelle mentalità biellese, l'unica cosa che manchi sia il desiderio di scoperta di nuovi luoghi....
La Fondazione dialoga e coopera abitualmente con diversi enti a livello locale, regionale e nazionale, per migliorare il servizio al territorio, in particolare attraverso la partecipazione attiva alle associazioni di cui fa parte e a diverse società, tra cui la più importante è Città Studi, società strumentale della Fondazione stessa. Compatibilmente con le risorse ogni anno disponibili la Fondazione svolge un ruolo di supporto attivo di tutte quelle iniziative volte a favorire la crescita culturale, economica e sociale della Provincia di Biella e a salvaguardarne il patrimonio artistico, storico e ambientale.
Gianluca, dirigente scolastico da ormai 12 anni, attualmente dirige l'istituto Quintino sella, un liceo che offre tre indirizzi, classico, linguistico e infine quello artistico, in precedenza ha svolto il ruolo di dirigente scolastico anche all'istituto tecnico Quintino Sella sempre a Biella e prima ancora, dell'istituto Eugenio Bona, tecnico e commerciale. Negli ultimi trent'anni, ha sempre adoperato nell'ambito della scuola e dell'istruzione, prima ha svolto il lavoro di commercialista, ma per poco tempo, in quanto è laureato in Economia e Commercio ed è anche stato dipendente di un'azienda privata che si occupa di commercio estero.
Alessandra, è un'educatrice, è la referente della cassa rifugio per le donne vittime di violenza, gestita dall'impresa sociale Anteo, società per cui lavora, si occupa anche di servizi psichiatrici, servizi domiciliari di psichiatria e infine gestisce tre gruppi appartamento legati sempre alla psichiatria del territorio biellese. Laureata in scienze dell'educazione con l'indirizzo che le permette di essere un'educatrice, è anche un'operatrice dei servizi antiviolenza e di anti-discriminazione, per questo è anche referente sia per la società anteo, che per l'ASSOCIAZIONE groviglio, un' associazione che si occupa dei diritti delle persone LGBTQ+, del nodo dell'anti-discriminazione della provincia di Biella.
Presidente e fondatrice dell'associazione Undergroung, nata nel settembre 2014, con lo scopo di promuovere azioni orientate in via prioritaria ma non esclusiva alla prevenzione ed alla risposta ai bisogni di persone in condizioni di svantaggio fisico, psichico e sociale, anziani e minori, donne vittime di violenza, coinvolgendo cittadini, possibili utenti dei servizi, volontari.
L’Associazione prevede specificatamente interventi a favore delle donne vittime di violenza di genere e ai loro bambini ed è una Organizzazione di Volontariato ONLUS con sede a Biella.
Underground, negli anni, ha attivato corsi di formazione per le nuove volontarie, svolge attività di volontariato con le donne e i bambini inseriti in Casa Rifugio in collaborazione e sintonia con gli operatori, si occupa di campagne di sensibilizzazione con la finalità di far conoscere questa preziosa risorsa, cerca opportunità economiche per dare continuità agli interventi della Casa Rifugio in caso di mancato finanziamento istituzionale, sostiene progetti specifici per le donne e per i bambini, come ad esempio la raccolta di materiale didattico, di kit di emergenza.
Negli ultimi anni, collaborando con altre associazioni sensibili alle difficoltà delle donne ed attive sul territorio biellese, ha organizzato numerosi eventi di sensibilizzazione. Di notevole importanza è il progetto della Casa Rifugio ad indirizzo segreto, che va ad inserirsi in un percorso che la Rete Antiviolenza della Provincia di Biella offre alle donne vittime di violenza di genere. Il progetto prevede un servizio di accoglienza per le donne vittime di violenza di genere e i loro figli che si trovano in situazione di pericolo; un servizio di accompagnamento al reinserimento sociale e al sostegno della genitorialità e ai minori vittime di violenza assistita e la strutturazione di collaborazioni tra i diversi servizi della rete che operano in questo ambito.
Simona, psicologa psicoterapeuta di professione, possiede una laurea magistrale in psicologia clinica e di comunità, possiede anche ulteriori specializzazioni come quella in psicoterapia, sessuologia, psicologia giuridica ed infine è un didatta e supervisora a livello europeo. Una delle sue passioni più grandi oltre a quella per il suo lavoro, è viaggiare, ha viaggiato in tutto il mondo e continua a farlo; ha una passione particolare per la giustizia, "per le cose fatte bene", le stanno a cuore i diritti delle persone. Adora cucinare, in particolare ama la cucina "fusion", viaggiando spesso ha avuto l'opportunità di scoprire tante varietà di cibo, di ogni paese visitato, recentemente ha avuto modo di assaggiare dei cracker ai grilli. Sente forte il desiderio della pace nel mondo. Visto che una delle sue più grandi passioni è quella di occuparsi degli altri a titolo di volontariato, nel 2014 insieme ad altre sue colleghe ha ideato e fondato l'associazione Paviol "Percorsi antiviolenza APS", è la presidente dell'associazione da allora, nel suo ruolo di presidente si ritrova spesso a fare tutta una serie di operazioni, interventi, di partecipare ad eventi culturali che promuovano il contrasto della violenza di genere, e partecipa anche a tutti gli eventi che riguardano la prevenzione.
Marina, Presidente dell'associazione Voci di Donne da alcuni anni, il cui scopo principale è la sensibilizzazione sulla violenza contro le donne, e non solo, è un'insegnante della scuola superiore di secondo grado, ma lavora principalmente sul sostegno.
L’Associazione nasce nel 1989, inizialmente con il nome di “Gruppo Donne Mafalda” con lo scopo di intervenire nel sociale anche attraverso iniziative culturali e partendo dallo specifico femminile.Nel 2009 l’Associazione ha modificato la propria denominazione in Mafalda-VocidiIDONNE .
L'associazione, è formata da un gruppo di donne, di età diverse, che hanno deciso di incontrarsi per dare voce ai pensieri, alle parole, alle storie, alla rabbia, al dolore, alla gioia, alla determinazione, alla voglia di lottare e di non arrendersi, alla voglia di giustizia nostra e di molte altre donne!
Michele ha vissuto e lavorato nel quartiere di Riva e dintorni per gran parte della sua vita e, in pensione dopo una carriera nel tessile tra Fila Sport e Cerruti, vive ancora affacciato sullo stesso cortile dove da piccolo si era trasferito con la famiglia.
Michele ricorda come crescendo l'oratorio di San Cassiano fosse il centro del quartiere e della comunità, una comunità difficile in cui vivevano migranti provenienti da tutta Italia. L'oratorio accoglieva e aiutava tantissimi ragazzi che dovevano affrontare situazioni familiari difficili ed era una comunità auto-educante: si imparava l'uno dall'altro e soprattutto dai più grandi, dice. Michele ricorda anche lo scoutismo come un importante realtà educativa, di supporto e aggregazione. È molto rattristato nel vederi i campi sportivi dell'oratorio vuoti rispetto alla vivacità di un tempo, crede davvero che manchino opportunità di aggregazione giovanile valide. Crede che siano cambiati tanto sia lo stile di vita che il rapporto tra genitori e tra vicini, una volta si prestava più attenzione l'uno all'altro in quartiere, ci si controllava e ci si interessava di più, nel bene e nel male.
Riva però rimane un quartiere vivo e attivo nonostante tutto, dice Michele, ci sono tante attività in città per chi se le può permettere. Lui però il weekend preferisce passarlo all' aria aperta in montagna.
"Per me Biella è una città che ha smesso un po' di vivere"
Giliola vive nel quartiere di Riva ed è a Biella da 44 anni anche se ora che è in pensiona sogna di vivere in campagna e si rifugia nella sua casa di montagna ogni volta che gli impegni di nonna e di madre glielo permettono. Le piace passare il tempo leggendo e occupandosi di ricamo, uncinetto e della creazione di bambole.
Ha sempre lavorato nel tessile, prima in una fabbrica di filati e poi come rammendatrice. Racconta del quartiere di Riva descrivendolo come un quartiere tranquillo dove vorrebbe vedere più feste e più opportunità di aggregazione, ricorda una bella iniziativa nel quartiere di qualche anno prima dove la comunità marocchina aveva servito cibo tradizionale accompagnato da musica.
"Attraverso i libri passa la vita delle persone. Nella Libreria tutto può succedere...è un luogo che crea una piccola comunità".
Dal Giardino Maria Giusta Catella del Piazzo Chiara raconta di essere libraia dal 1998 e che non cambierebbe il suo lavoro per niente al mondo. Dopo esperienze come educatrice in ambito assistenziale e psichiatrico Chiara decide di studiare Russo e si trasferisce a Firenze, dove lavora anche presso una casa editrice. Ritornando a Biella per caso un'estate le viene chiesto di diventare la libraia del Ristoro e Libreria Civetta del Piazzo e dopo presso la Libreria Robin, dove lavora tuttora. Si sente parte del quartiere del Piazzo dove i nuovi devono adattarsi alla comunità: se il Piazzo resta un luogo identitario dove lavora i vecchi abitanti sono spariti nel cambiamento, dice. Una piccola libreria deve occuparsi un po' di tutto e questo ha fatto sì che Chiara abbandonasse le sue ricerche personali per cui vorrebbe ritrovare il tempo. Quando non è immersa nei libri Chiara ama dedicarsi al suo orto.
Renata abita a Biella in Via Italia e ha sempre vissuto in centro. Ha lavorato come fisioterapista per 40 anni presso l'Ospedale e il Poliambulatorio di Biella. Da due anni è in pensione e si ritaglia un giorno alla settimana per fare passeggiate insieme alle amiche in montagna e nei dintorni mettendo in comune le loro conoscenze del territorio. In pensione Renata ha ripreso a lavorare a maglia, regolarmente pratica il nuoto e pilates, ama viaggiare e per questa ragione si è iscritta ad un corso dell'Università Popolare di Biella di "inglese per viaggiatori". Le attività culturali non mancano ma le occasioni per incontrare altre culture sono un po' da scovare. Forse, dice, mancano momenti di aggregazione per la comunità.
Renata racconta che vivendo in centro è molto comodo spostarsi in bicicletta e a piedi. Purtroppo però la cultura della bicicletta, il rispetto degli automobilisti e le proposte ciclabili mancano a livello territoriale. I suoi figli crescendo hanno usato spesso la bicicletta ed è un peccato che i bambini in questo momento storico non abbiano la libertà che c'era prima, nel tempo il clima tra i genitori è peggiorato, dice, ora viene data poca autonomia ai bambini limitando la loro capacità di crescere con più indipendenza. Nota che anche i servizi pubblici all'infanzia sono limitati rispetto ad un tempo.
"Non saprei come fare a far capire alla gente che il pensiero può cambiare le cose: se noi al posto di lamentarci godessimo della sacrosanta pace che abbiamo qua...Tutto parte dal pensiero".
Nicola lavora da quando è ragazzino nella bottega orafa di famiglia. Da sempre sapeva che voleva fare esattamente questo, come suo nonno e suo padre. Ama i lavori manuali. La bottega esiste dal 1972. Dice di essere rimasto sia per scelta che per dovere: quando il padre va in pensione Nicola sceglie di prendere in mano la bottega in parte anche per il momento sfavorevole alla chiusura durante l'entrata in vigore dell'euro. Nicola dice che lavorare in una bottega in Italia è difficile, il sistema capitalistico non funziona che non aiuta le botteghe. Inoltre la bottega non è mai stata vista per il suo potenziale in Italia, dice, nonostante le botteghe abbiano fatto la creatività italiana. Per Nicola avere bottega vuol dire avere un mestiere in mano ma devi essere portato, voler bene a quello che fai e metterci dedizione e tempo e non guardare solo al guadagno. Nicola è solo in bottega, prendere un apprendista vuol dire dedicargli del tempo. L'apprendistato esiste in Italia ma è difficile potersi permettere di pagare qualcuno che sta imparando, per questo lo stato dovrebbe supportare contribuendo allo stipendio dell'apprendista. Una volta ha avuto come apprendista una ragazza di Napoli e per un po' hanno partecipato all'iniziativa bottega scuola dell'Eccellenza Artigiana Piemonte. Nicola vorrebbe assumere personale ma faticherebbe a coprire i costi nel contesto di un mercato troppo imprevedibile.
Liuteria Minuta è la bottega di Carolina Venturin, una giovane artigiana con la passione per la costruzione degli strumenti musicali a pizzico, in particolare di chitarre classiche con decorazioni dal gusto antico. Dopo sei anni di formazione a Milano e Bergamo Carolina è tornata a Biella durante la pandemia del 2020 in cerca degli spazi giusti per aprire il suo laboratorio e che ha poi trovato nel quartiere in cui è cresciuta. La vicinanza alla famiglia e alle montagne è una delle cose che Carolina apprezza di più dell'essere a Biella. Ritiene la possibilità di evitare l'auto e di spostarsi a piedi in città un grande vantaggio. Le montagne sono spesso menzionate da Carolina che ama poter accedere alle valli biellesi con rapidità dopo una giornata di lavoro. Apprezza molto anche la rete di produttori locali amici e la presenza dei mercati cittadini e ritiene che questi aspetti e l'avere più tempo rispetto a quando viveva a Milano l'abbiano riavvicinata alla sua passione per la cucina e la pasticceria.
Da piccola le piaceva andare a scuola a piedi da soli o "in branco" con gli altri bambini e poter giocare in cortile con gli amici del quartiere. A 18 anni quando stava finendo il liceo artistico si sentiva in gabbia, non ero molto facile, dice, tutto le sembrava piatto a Biella. Forse è ancora così ma ora si sente più tranquilla e ama il suo quartiere. Una volta in questo quartiere c'erano molte persone con storie difficili, ora la situazione è cambiata ma le piace ancora il contatto con la diversità locale. Le manca però il senso di comunità molto bello del quartiere in cui viveva a Milano dove c'era un progetto di mutuo aiuto tra gli abitanti dei palazzi popolari che coinvolgeva anche alcune comunità rom ed ex carcerati. Le manca anche la diversità nell'offerta culturale locale.
Le piacerebbe parlare altre lingue e recarsi di più all'estero. In futuro si vede più attivista e radicata nelle battaglie personali, come era già qualche anno fa. Attiva per tutto ciò che riguarda la montagna, la tutela dell'ambiente e la preservazione del patrimonio del territorio. Vede un futuro grigio e vorrebbe spostarsi in mezzo ai boschi, crede che Biella sia un buon compromesso per connettersi con la natura. Vorrebbe trasferirsi in montagna, si vede in mezzo al verde e non più in città ma non sa se trasferirebbe la sua attività. La bottega si trova presso un locale del comune, in una via dove ci sarebbe la volontà di creare un distretto artigianale e che dista solo 5 minuti dal primo bosco raggiungibile a piedi ma purtroppo gli altri locali rimangono sfitti.
Antonio Marco Camurati, giovane studente della ESCP Business School, un'università internazionale che permette agli studenti che la frequentano di cambiare sede di università ogni anno nel corso dei tre anni. Antonio, non è solo un giovane studente, ma è anche il Presidente di Bi young, un'associazione giovanile, formata principalmente da studenti liceali e universitari biellesi, che insieme hanno unito le forze e la voglia e nel lontano ormai 2014 hanno fondato questa associazione no profit; si occupano principalmente di promozione culturale, sociale ed artistica del territorio biellese; la loro missione principale è quella di valorizzare la città e la Provincia di Biella, organizzando eventi di ogni tipo, dall'orientamento universitario per gli studenti liceali che una volta finito il liceo, se decideranno, dovranno intraprendere il percorso universitario, e quindi dar loro la possibilità di seguire un vero e proprio orientamento universitario al quale partecipano più di un centinaio di università di tutta Italia, al cinema drive in e tante altre attività....
Carolina, fondatrice dell'associazione Donne Nuove, un'associazione nata del 2004 dall'unione di un gruppo di amiche che condividevano lo stesso passaggio ad una nuova fase di vita: la menopausa. L'associazione è nata proprio a scopo personale in quanto era preoccupata di questo periodo nuovo: la menopausa, da lì è iniziato tutto l'iter, sono iniziati i vari confronti tra amiche, i vari incontri passati a parlare e a confrontarsi tra di loro ed insieme hanno deciso di fondare questa associazione.
Hanno iniziato organizzando incontri, eventi, conferenza sulla menopausa e da lì hanno capito che l'esigenza di conoscere e avere informazioni su questo argomento non fosse solo un loro bisogno, ma il bisogno di tante altre donne... e da lì è nato il tutto.
Paola, nata a Biella, sposata da ormai quasi 33 anni, con due figli, Marta e Andrea, in passato ha lavorato presso una concessionaria di automobili per quasi 16 anni, si occupava di contabilità a contatto con la clientela nonostante abbia solo il diploma di licenza media, successivamente ha deciso di andare a lavorare nell'attività del marito, un bar che oggi compie 36 anni, con gli orari che svolgono all'interno del bar riescono a conciliare sia il tempo da dedicare alla famiglia sia il tempo da dedicare all'attività, hanno una clientela prettamente giovane in quanto sorgono vicini a due licei.
Secondo Paola, Biella non viene valorizzata nel modo adeguato, sia per quanto riguarda l'aspetto turistico, che anche quello in quanto dovrebbero innanzitutto esserci molte più attività rivolte ai giovani, che piano piano se ne stanno andando...
Nicoletta, nata a Biella il 21 agosto del 1968, laureatasi in giurisprudenza nel 1993, svolge il lavoro di avvocato, concentratasi specialmente nella materia del diritto penale e del diritto di famiglia, materie che in qualche modo le interessavano di più, perché riguardano gli aspetti un po' più umani delle persone e i momenti della vita particolarmente più complicati a cui certe volte si viene messi di fronte. Prima di iniziare a fare l'avvocato proprio a tempo pieno, ha insegnato per un certo periodo in quella che all'epoca era la scuola che si occupava della formazione delle segretarie d'azienda. Evidenzia notevoli cambiamenti per quanto riguarda il sistema giustizia che è in continuo aggiornamento.
Nel cuore del centro storico di Reggio Calabria, c’è una piazza multietnica che ormai è diventata luogo di incontro per i tanti stranieri che vivono a Reggio Calabria.
Qui da alcuni anni ci sono i volontari che insegnano, gratuitamente, italiano agli stranieri. Una scuola in piazza, a piazza Sant’Agostino, senza banchi, ma con le lavagne, le sedie e la voglia di stare insieme e creare relazioni.
Ida Triglia è la presidente della associazione Mondo in piazza nata nella primavera del 2023 con il nobile fine di aiutare chi arriva nel nostro territorio ad integrarsi al meglio.
Ida Triglia spiega però che l’associazione è nata dopo l’esperienza di un gruppo di docenti volontari, ad agosto del 2020, con l'obiettivo, centrato, di realizzare dei corsi di italiano all'aperto per stranieri. Due volte la settimana ecco che si svolgono le lezioni in piazza ma quando è inverno ecco che la scuola si sposta al chiuso. Nei mesi invernali le lezioni sono state svolte presso alcuni locali messi a disposizione dalla Chiesa degli Ottimati.
I volontari “stabili” sono circa una decina, cui si aggiungono di volta in volta persone che vogliono collaborare, e si occupano di didattica di italiano per stranieri e di attività culturali basate comunque sull’integrazione.
Stefania, presidente dell'associazione Marco Falco Onlus, una piccola fondazione a condotta familiare, sono nati da poco, nel recente 2020, quindi sono attivi da poco sul territorio, essa prende nome, in ricordo del fratello Marco che si è tolto la vita qualche anno fa, da questo momento lei e suo fratello Paolo hanno deciso di fondare questa associazione, per ricordarlo e per aiutare bambini ed adolescenti del territorio che vivono e affrontano momenti di difficoltà, qualsiasi essa sia. A parte qualche piccola eccezione, non hanno progetti loro, ma finanziano progetti di altre associazioni che adoperano sul territorio da tanto tempo sempre con adolescenti e giovani. Hanno collaborato con enti pubblici, e collaborano sul territorio con tante altre realtà.
Simone , giovane imprenditore nel campo della ristorazione, gestisce due noti Bristot del nostro territorio biellese, particolarmente apprezzati; la sua prima attività storica, sorge ad Oropa, è situata nella meravigliosa cornice del Santuario d'Oropa, nel cuore delle suggestive alpi Biellesi; per quanto riguarda la sua seconda attività, nonché la più recente, nata e inaugurata il 5 ottobre 2023, la quale è situata, all'interno di Palazzo Ferrero, un palazzo storico che sorge nella parte medioevale e alta della città di Biella, zona chiamata Biella Piazzo.
Nicholas ci racconta la storia di Hydro, realtà consolidata nel territorio biellese dal 2016. Nata come associazione di promozione sociale, ad oggi è costituita da un gruppo forte e consolidato di volontari che ogni giorni si occupa di pensare e organizzare organizzare eventi musicali, culturali e di promozione sociale. Nicholas racconta come hydro trova ispirazione dal fiume cervo che da sempre è stata visto come elemento amico/nemico. Nicholas fa anche l'educatore e si occupa di Visual e formazione.
Raffaella Iaselli, direttrice della Fondazione Olly, con sede a Biella, la loro fondazione è attiva sul territorio da più di dieci anni, grazie al volere delle fondatrici, Olga e Lidia Barruscotto che hanno devoluto il loro patrimonio a questa fondazione; si occupano prevalentemente di benessere scolastico, quindi, di tutto quello che è collegato al disagio dei giovani e all'abbandono scolastico, ovvero come prevenire e come far si che la scuola, sia un luogo in cui si possa apprendere in modo costruttivo e sereno, oltre a questo mirano tanto ai corsi di formazione per i genitori, per i docenti in modo che tutto ciò possa incentivare alla collaborazione. Sul nostro territorio, sono presenti ormai in più di 11 istituti scolastici, partendo dal ciclo di scuola primaria arrivando poi agli istituti compresivi e infine agli istituti che si occupano dell'istruzione secondaria di secondo grado.
Paola Cossutta, presidente dell'associazione Gattopoli Made in Biella, con sede in via Felice Piacenza, a Biella; è un'associazione che si occupa solo ed esclusivamente di gatti e dei bisogni del territorio, come le sterilizzazioni delle colonie feline. La loro associazione è stata fondata nel 2018 ma da dieci anni prima un gruppo di volontari già se ne stava occupando. Insieme ad altri volontari hanno unito le forza in maniera tale che ci fosse la possibilità di poter dare spazio anche a questi poveri animali che vengono scartati.
Cristiano Gatti, Presidente di Confartigianato Biella, ricopre sempre nel campo delle imprese artigiane il ruolo di Vice Presidente Regionale, sempre di Confartigianato ma in questo caso Confartigianato Piemonte. Sul territorio biellese, ricopre altri incarichi, come quello di Vice Presidente dell'organo di indirizzo della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella ed infine anche quello di Vice Presidente di Città studi. Cos'è Confartigianato? Confartigianato è un'associazione che raggruppa sia piccole che microimprese, prevalentemente nel campo artigianale, ed è attiva sul territorio di Biella a partire dal 14 dicembre 1945, si occupa principalmente della tutela dell'imprenditore, la tutela delle varie caratteristiche che ogni impresa ha, ed fa si che il piccolo imprenditore segua per filo e per segno tutte le regole che vengono abitualmente cambiate e rinnovate e lo si accompagna e aiuta a non trasgredirle. Cos'è Fondazione Cassa di Risparmio di Biella? e di cosa si occupa? è un tipo di ente nato dopo lo scorporo dalle aziende bancarie delle originarie Casse di Risparmio per il raggiungimento delle finalità sociali delle stesse; svolge un ruolo di supporto attivo di tutte quelle iniziative volte a favorire la crescita culturale, economica e sociale della Provincia di Biella e a salvaguardarne il patrimonio artistico, storico e ambientale.
Dalla passione di Irene per il territorio biellese e la sua storia nasce l'associazione culturale White Rabbit.
L'associazione si pone lo scopo di portare informazione facendo conoscere alle persone che abitano il territorio e ai turisti la storia antica di Biella che nel tempo è stata dimentica o è diventata patrimonio di pochi. Dalla scrittura del suo primo romanzo Irene ha colto la passione e la curiosità crescente nei suoi lettori, traducendo questo bisogno in quella che oggi è White Rabbit, un luogo di incontri e scambi dove viene data la possibilità di partecipare a conferenze con ricercatori e scrittori, ma non solo. Attraverso la ricerca e mettendo insieme fonti scritte le attività principali sono i tour sia nel territorio biellese che fuori e tutte le domeniche Irene incontra i turisti nazionali e internazionali per portarli alla scoperta di misteri, storie dimenticate e luoghi ancestrali.
Dal 2020, con l'inaugurazione della sede, l'associazione organizza settimanalmente eventi a scopo formativo e didattico e ospita altri professionisti che si occupano del benessere della persona, è stata messa a disposizione dei soci una biblioteca, un'area relax e un aggiornamento continuo attraverso il sito web e i video su YouTube.
Malak è un ragazzo egiziano di 18 anni. È arrivato a Reggio Calabria circa 3 anni fa ed ha imparato ad essere responsabile del suo futuro. Inizialmente è stato affidato ad una Casa Accoglienza per MSNA poi è stato trasferito in una comunità per maggiorenni. Ha avuto l’opportunità di studiare e formarsi, concludendo la licenza media. Attualmente vive un’esperienza di coabitazione con altri ragazzi e si impegna nel lavoro che ha sempre fatto: il macellaio.
Sin da quando era in Egitto ha lavorato in macelleria ed anche qui, grazie alla sua pregressa esperienza, ha iniziato a lavorare come macellaio intraprendendo un percorso lavorativo che gli ha permesso di imparare nuove tecniche e maturare esperienza per il suo futuro. Malak, nel corso della sua permanenza a Reggio Calabria, ha trovato persone che si sono messe al suo posto e che l’hanno aiutato molto. Oggi si sente cambiato, più cresciuto e responsabile delle azioni che fa. Ha degli amici con cui condivide parte del suo tempo libero e che lo supportano e lo aiutano nelle scelte da prendere.
Gli piace lavorare, giocare a calcio e soprattutto studiare perché la cosa più importante è la lingua italiana che può aiutarlo ad inserirsi, ancor di più, nelle dinamiche relazionali e lavorative. Malak ha dei sogni nel cassetto, aprire una macelleria o un ristorante. Con la sua audacia non si arrenderà ma farà di tutto pur di raggiungere i suoi sogni.
Nuurta è nata in Somalia ma vive in Italia da moltissimi anni. Quando è arrivata aveva ventuno anni ed ha subito trovato lavoro in un albergo: “erano tempi diversi anche in Italia – ci dice, era più facile trovare lavoro”. Ha poi sperimentato diversi impieghi, tra cui babysitter, badante e operatrice sanitaria in una casa di cura. Ora lavora come mediatrice culturale e interprete e traduttrice per il tribunale, per cui fa da mediatrice ad alcuni ragazzi rifugiati che non conoscono la lingua, oltre a lavorare come volontaria in un centro di accoglienza.
Da qualche anno Nuurta ha fondato l’associazione “Shukran Somalia Onlus”, che ha partecipato a diversi progetti nazionali con enti no profit come Fondazione Ismu oppure l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, per l’inserimento lavorativo di giovani somali e somale. L’associazione è nata per fornire un sostegno ai rifugiati somali in Italia, sia linguistico che burocratico (ad es. per il disbrigo di pratiche legate al permesso di soggiorno). L’associazione organizza anche delle attività culturali volte a far conoscere la cultura somala, come la Milan Somali Week, che affronta ogni anno un tema di attualità differente e che coinvolge istituzioni pubbliche, scrittori ed altre personalità di rilievo somale – tra cui molte donne- e notiziari internazionali.
Il desiderio di Nuurta è però quello di ampliare il raggio d’azione dell’associazione e promuovere delle iniziative anche in Somalia. La Somalia è un paese devastato da trent’anni di guerra civile. Lei è potuta tornare per la prima volta nel 2013, diciassette anni dopo esser partita per l’Italia, ed ha visto molta povertà: chi non ha soldi non può mandare i figli a scuola e difficilmente può pagare le cure mediche. Così l’associazione ha promosso l’iniziativa “adotta un insegnante”: pagando lo stipendio degli insegnanti, possono garantire la scuola gratuita per una trentina di famiglie povere. Ora Nuurta vorrebbe acquistare un terreno ad una sessantina di kilometri da Mogadiscio, per costruirvi un ospedale con anche un reparto per donne incinte: a differenza della capitale, molti villaggi non hanno infatti né ospedali né scuole.
A Milano l’associazione opera in diversi municipi, anche se è basata alla Casa delle Associazioni in Municipio 5. Si tratta di una bellissima iniziativa – ci dice- perché molte piccole associazioni non possono permettersi di pagare l’affitto e la scarsità di spazi per le attività ricreative e culturali è un problema molto sentito. Il fatto di condividere i locali favorisce inoltre il lavoro in rete e la nascita di iniziative comuni. E’ poi importante riuscire a coinvolgere i giovani nelle iniziative e far vivere il quartiere, un po’ come all’occasione della festa delle associazioni che si tiene ogni anno al parco di Chiesa Rossa. L’associazione Shukran promuove quindi anche diversi momenti di incontro e socializzazione, in cui le persone ballano, cantano, condividono un pasto. Se pensa ad una comunità, Nuurta pensa al paese dove abita, Baranzate: un piccolo paese dove sono presenti oltre settanta etnie. Per creare comunità ci vuole impegno, richiede essere presenti nel quartiere, organizzare delle attività coinvolgendo le persone, anche piccole iniziative di socializzazione. Sempre a Baranzate, l’associazione ha organizzato dei laboratori di cucito per donne che sono stati molto apprezzati e in molte le chiedono quando ne verranno organizzati altri.
Per concludere chiediamo quale consiglio si sentirebbe di dare ai giovani stranieri che arrivano in Italia. “Innanzitutto imparare la lingua e i tuoi diritti”: conoscere la lingua facilita molto, anche nella ricerca del lavoro, e conoscere i propri diritti è importante perché questi non vengano calpestati. Il consiglio è anche quello di mettersi a studiare: lei quando è arrivata ha preso il diploma di operatrice turistica. Avrebbe poi voluto iscriversi all’università ma non era conciliabile con gli impegni lavorativi. Per il futuro, oltre all’impegno per la costruzione di un ospedale in Somalia, Nuurta vorrebbe fare avviare delle iniziative nelle carceri. Ce n’è infatti un gran bisogno, perché molti migranti detenuti non hanno modo di contattare il proprio paese di origine, per cui è fondamentale prendere contatto con i consolati per informare le famiglie, che spesso non hanno notizie di dove si trovino i loro ragazzi.
Raffaella e Ida sono docenti di scuola secondaria di primo grado all’istituto Fabio Filzi e sono referenti di plesso del sostegno e della funzione strumentale dell’inclusione. Hanno scelto questo istituto perché qui viene sperimentato un progetto innovativo per l’inserimento di alunni con autismo e altri disturbi del comportamento, per cui alunni che altrimenti sarebbero difficilmente scolarizzabili altrove, qui possono frequentare l’orario scolastico completo come i compagni. Il progetto si chiama “Differente non da meno” e nasce nel 1999 grazie all’impegno di una loro collega della scuola primaria, per favorire l’inserimento di un bimbo autistico nella scuola primaria dell’Istituto Filzi sito in Via Ravenna.
Il progetto nella scuola secondaria di primo grado dove Raffaella e Ida insegnano, nasce per creare una continuità e garantire che i ragazzi della scuola primaria potessero proseguire il loro percorso di apprendimento con il passaggio alla secondaria.
I ragazzi frequentano la scuola come i compagni, ma dispongono di aule dedicate, in quanto partecipano a diverse attività laboratoriali, di musica, motoria, arte e attività manuali, e nei processi di apprendimento viene favorito l’utilizzo di immagini e supporti tecnologici come delle applicazioni. Gli alunni beneficiano anche di momenti di apprendimento uno a uno, oltre a percorsi volti a stimolare le loro autonomie. Si tratta di un progetto molto ricercato, che poche scuola hanno in Italia. Per questo ricevono molte richieste dalle famiglie, provenienti da tutte le zone di Milano e hinterland , che però non sono in misura di soddisfare, in quanto le classi non possono essere troppo numerose. In molti docenti hanno scelto l’istituto e questo ha permesso di garantire continuità ai ragazzi, per i quali è importante avere figure di riferimento stabili.
L’istituto è anche capofila della una rete “Differente non da meno” volta a condividere le buone prassi: fare rete quando si lavora con le disabilità è infatti fondamentale. Oltre a collaborare con altri istituti, i docenti e gli educatori hanno instaurato una relazione proficua con le famiglie dei ragazzi e gli istituti sportivi e ricreativi da loro frequentati nel doposcuola, perché quando una strategia si rivela funzionale, è importante che venga applicata dall’insieme delle persone che si interfacciano con i ragazzi.
Negli anni l’istituto ha saputo tessere legami con il territorio in cui è situato: in seno al progetto è nata ad esempio l’associazione Fabula Onlus che si è radicata nel quartiere e che può contare su educatori ben formati. Il Comitato Genitori è anche molto attivo – organizza infatti una festa di fine anno che coinvolge tutto il quartiere- e attento ai bambini più fragili, sostenendo ad esempio l’acquisto di materiali. I ragazzi che Raffaella e Ida seguono hanno bisogno di fare molto movimento, per cui attualmente stanno cercando chi possa donare tapis roulant e cyclette, attrezzi a circuito e da palestra. La Dirigente e il consiglio d’istituto sono molto ricettivi rispetto alle istanze da loro portate, motivo per cui preoccupa il ridimensionamento dell’istituto ed un possibile cambio di Dirigenza. E’ infatti previsto che l’istituto venga scorporato e che il plesso dove ci troviamo di Via dei Guarneri venga accorpato ad un altro istituto più piccolo, con conseguenze sul progetto che vede una continuità tra la scuola primaria e quella secondaria, permettendo di seguire i ragazzi con fragilità fino alle superiori. Immaginare di creare il progetto ex novo in un altro istituto non è scontato, perché richiede tempo, risorse umane ed economiche e spazi fisici dove poter svolgere i laboratori dei ragazzi. L’auspicio è quindi che il progetto possa continuare e che arrivino risorse e persone che abbiano voglia di dedicarvisi.
Chiedendo infine come dovrebbe essere la comunità secondo la loro esperienza: “inclusiva, trasparente … e pronta all’ascolto”.
Achille è nato in Via Rogoredo il 24 dicembre del 1928. Ha seguito la scuola qui in quartiere e poi ha frequentato la scuola dei lavori in Via Daverio, da cui è stato espulso assieme a due suoi compagni perché, in occasione della visita alla scuola del Ministro del Lavoro del Terzo Reich, erano stati indisciplinati … non è un caso se ancora oggi lo chiamano monello!
Una volta espulso dalla scuola, Achille ha costituito assieme ad altri amici, tutti giovanissimi, un piccolo nucleo partigiano qui a Rogoredo: si ritrovavano in una officina qui in quartiere e leggevano L’Osservatore Romano, che all’epoca era un giornale di orientamento politico differente rispetto al governo. Si erano infatti riproposti di voler informare le persone, per cui distribuivano i giornali nelle strade e organizzavano dei comizi nelle fabbriche, stando attenti a non essere scoperti dalle brigate fasciste (in quartiere ce n’erano un paio). Si procuravano anche i medicinali per soccorrere i compagni feriti, come ricorda nel caso di un compagno che si era ferito alla mano e che avevano medicato a casa di un pittore di Rogoredo. Organizzavano poi dei disarmi, in cui portavano via le armi ai fascisti per darle ai partigiani ma, durante uno di questi disarmi avvenuto in Piazza Medaglie d’Oro, ci fu uno scontro a fuoco ed alcuni partigiani furono catturati. Sotto tortura, i prigionieri hanno “cantato”, facendo i nomi dei compagni che avevano partecipato all’operazione e così, il 24 dicembre del 1944, i fascisti hanno circondato il posto dove Achille ed altri si erano nascosti e sono stati catturati. In quella occasione gli hanno rotto il naso con il caricatore di un mitra, da cui l’appellativo di “il nason” con cui lo chiamano. Portati a Como Borghi, sono stati presi a bastonate ed è stato indetto un processo, a seguito di cui cinque suoi compagni sono stati condannati a morte e sono stati fucilati, uno dei quali era giovanissimo, aveva ventuno anni. Achille invece è stato condannato a sedici anni di prigione ed è stato portato nel carcere di Como, poi a San Vittore a Milano e infine nel carcere di Alessandria.
Il 24 Aprile del 1945 i partigiani assaltarono il carcere di Alessandria e Achille riuscì a scappare. Non sapendo dove andare ed essendo la zona pattugliata dalle SS, fu ricatturato dai nazisti e portato in carcere, dove riuscì nuovamente a scappare quando la città venne liberata il 25 Aprile. Finita la guerra, Achille ha fatto parte per qualche tempo della Militar Police americana: gli Americani avevano infatti bisogno di persone che conoscessero il territorio per controllare la situazione.
Poi Achille è tornato a Rogoredo ed ha trovato lavoro in una piccola officina, poi alla Caproni e infine alla Redaelli, dove è rimasto per venticinque anni. Quando la fabbrica è stata chiusa, è stato Achille, in quanto rappresentante del sindacato, a gestire la vertenza di chiusura e ci dice con orgoglio che tutti gli operai della Readelli sono stati ricollocati in altre fabbriche e nessuno è rimasto senza lavoro. Si sono poi costituiti in cooperativa ed hanno acquistato dalla fabbrica le case dove abitavano gli operai e le hanno rivendute ai lavoratori che hanno quindi potuto rimanere a vivere nel quartiere.
Quando c’era la fabbrica, “c’era un certo non so che” - ci dice Achille: quasi tutti gli abitanti di Rogoredo erano infatti lavoratori delle fabbriche (oltre alla Readelli e la Caproni ve ne erano alcune altre nel quartiere) e si ritrovavano dopo il lavoro al Mondini, al Cral o alla Rogoredo84. Con la chiusura delle fabbriche è stato come se si fosse sfasciata una casa e il quartiere è cambiato: un nucleo di lavoratori è rimasto grazie all’acquisto delle case con la cooperativa ma sono arrivate nuove persone. E’ stato costruito il quartiere di Santa Giulia sul terreno della fabbrica dismessa, è arrivato Sky, il quartiere si è popolato di famiglie ed è in qualche modo migliorato, diventando un bel quartiere per il ceto medio. Oramai il terreno è stato tutto edificato, ricoperto da case … mentre Achille vorrebbe vedere più spazi verdi, curati. Anche di luoghi di ritrovo non ce ne sono più, a parte i bar e le pizzerie.
Quando gli chiediamo un suo auspicio per il futuro, Achille ci dice che il suo unico desiderio è quello di passare gli ultimi anni della sua vita qui, a Rogoredo.
Storia AZIENDA FAMILIARE- SUPERMERCATO in COOP
Il Supermercato "in COOP" , con la sua sede di Montepalma, quartiere periferico di Catania, nasce nel 1989, grazie all’intraprendenza della famiglia Cipriano, che sognava di creare una piccola impresa familiare, in un quartiere per certi versi difficile, ma pieno di voglia di riscatto e dopo 35 anni anche se il supermercato ha assunto varie insegne, l'attività è sempre più riconosciuta e vissuta come punto strategico dagli abitanti del quartiere
Alla in Coop, prima di tutto si viene accolti, ci si sofferma e ci si racconta il proprio quotidiano e si condividono gioie e dolori, come le “vecchie botteghe di un tempo”, si creano e si organizzano azioni ed eventi per il bene della comunità e naturalmente si acquistano ottimi prodotti.
I proprietari della in COOP, circa 20 anni fa iscrivendo la loro prima figlia nella nostra struttura, hanno conosciuto la Cooperativa Marianella Garcia e i suoi operatori, a suo tempo eravamo l'unica realtà che suppliva con i nostri servizi rivolti ai più piccoli e le loro famiglie, l'assenza e l'insufficienza nella zona di strutture e asili nido comunali.
Negli anni, oltre ad ingrandire la loro attività, hanno instaurato un rapporto sempre più significativo e di fiducia per il nostro lavoro rivolti ai minori e al quartiere, che pian pianino ha cambiato immagine, preso vita e messo in atto azioni e servizi per tutta la comunità
Divenendo essi stessi, i paladini dell’ INCLUSIONE SOCIALE.
Grazie alla loro attenzione verso i più deboli è stato naturale proporre e collaborare con i nostri progetti, che avevano come azione l’inserimento di minori stranieri nella loro azienda come tirocinanti.
Tra le varie borse lavoro istituite, quella di MAKANDIAN, minore straniero non accompagnato della nostra comunità, ad oggi è la loro esperienza più bella e significativa.
Makandian, in questi 12 anni,, con la sua timidezza, educazione e voglia di fare, è divenuto un giovane adulto, che conosce bene il suo lavoro, è ormai un bravissimo magazziniere, ha una sua casa nel quartiere, una fitta rete amicale e un contratto con l'azienda a tempo indeterminato.
Per questo, quando si è ripresentata l’opportunità di inserire un altro minore straniero come tirocinante, hanno subito accettato e accolto DOAOUDA DIALLO, beneficiario del progetto Tempo al Tempo.
Il suo tirocinio dopo il faraginoso l’iter burocratico affrontato insieme ai colleghi di idea lavoro, ha avuto inizio il 4 settembre, e avrà la durata di 6 mesi cosi come da progetto.
Sono contenti di DIALLO, soprattutto Makandian che lo ha seguito e lo segue tutt’ora come tutor,
Diallo è dolce, educato, puntuale e si spera possa diventare durante questi mesi un bravo magazziniere.
Come ho già scritto, negli ultimi mesi, il supermercato in Coop, si è ingrandito, ha acquisito una immagine più elegante, moderna, offre molti servizi, quali edicola e telefonia, ma la cosa più significativa è che le persone che lo gestiscono e ci lavorano da anni sono sempre accoglienti e non hanno mai smesso di rivolgere la loro attenzione a chi ne ha più bisogno e a tutto il quartiere di Montepalma.
Barbara e Andrea lavorano rispettivamente per il Centro di ascolto Caritas a Morsenchio – presso la parrocchia della Beata Vergine Addolorata- e Rogoredo – presso la parrocchia della Sacra Famiglia. Si tratta di luoghi fisici situati all’interno dei locali delle rispettive parrocchie, che si rivolgono alle persone che attraversano momenti di difficoltà. I Centri di ascolto svolgono in primis un ruolo di ascolto rispetto ai bisogni immediati, come richieste di aiuto alimentare o urgenze economiche, e di reindirizzamento ai servizi del territorio … ascolto che gli operatori trasformano poi in progetti individuali integrati volti a far uscire le famiglie dalla condizione di fragilità. A seconda delle situazioni, il sostegno dei Centri può variare da un accompagnamento per la regolarizzazione dei documenti e per la ricerca di un lavoro o di una soluzione abitativa, ad un indirizzamento per l’apprendimento della lingua italiana … Lavoro che richiede agli operatori anche di saper essere creativi nel trovare le soluzioni ai problemi. In questi ultimi anni si è rilevata una diminuzione del numero delle persone che si rivolgono ai centri d'ascolto ma l’accompagnamento per la soluzione delle situazioni è diventato più duraturo e continuativo nel tempo.Certamente si tratta di un lavoro difficile, ma le situazioni a lieto fine sono quelle che spingono gli operatori a continuare il loro lavoro. Ad esempio, un ragazzo che ha trovato lavoro ha scritto una bellissima lettera di ringraziamento ed il papà di una famiglia che hanno aiutato per tempo con i pacchi alimentari si è poi presentato da loro carico di borse della spesa dicendo: “Mi avete aiutato per tanto tempo, ora aiuto io voi!”.Oltre ai pacchi alimentari, che i Centri distribuiscono grazie alle donazioni parrocchiali ed alla collaborazione con il Banco Alimentare, le rispettive parrocchie ospitano servizi di doposcuola e corsi di Italiano per stranieri. Il problema abitativo è uno dei più urgenti. Nei rispettivi quartieri di Rogoredo e Morsenchio, la rivalutazione immobiliare ha fatto schizzare i prezzi degli affitti, mettendo molte famiglie in difficoltà, in alcuni casi lasciandole per strada … Barbara e Andrea ricordano ancora le difficoltà legate agli sfratti durante il periodo della pandemia, dove le persone non sapevano dove andare, ma la collaborazione con i servizi del Comune e la generosità di tanti parrocchiani hanno permesso di aiutare queste persone anche in questa situazione.Rispetto a chi si rivolge a loro, affermano che si tratta per la maggior parte di stranieri ma che in questi anni sono aumentati anche gli italiani in situazione di difficoltà: da chi non ha né un lavoro né una pensione, a chi ha problemi di debiti. Per poter dare una risposta efficace, oltre a fare rete con le altre realtà della Caritas Ambrosiana, fanno rete con le scuole e le associazioni del territorio: in particolare con l'aggravarsi della situazione economica e occupazionale, è diventato urgente che tutta la società civile si occupi maggiormente delle povertà, supportando gli sforzi delle diverse realtà del terzo settore che operano nel territorio.In quanto parrocchia, si definiscono una comunità accogliente e, dalla loro esperienza, le persone hanno ancora sete di relazioni vere e comunità che accolgono. Motivo per cui la parrocchia è frequentata da molte famiglie che arrivano per la catechesi dei bambini e poi si affezionano alle persone ed ai luoghi e continuano a frequentarli. Allargando alla comunità del quartiere, Rogoredo è una realtà ricca di associazioni che organizzano diverse iniziative culturali e sportive e lavorano in rete. Per chi vuole, ci sono diverse possibilità di rendersi attivo partecipando alla vita del quartiere, anche se nel tempo si è rilevato che la partecipazione alle iniziative è un po’ calata: questo probabilmente perché nella società di oggi, frenetica e disgregata, è difficile trovare del tempo oltre alla vita lavorativa e familiare. Rogoredo è rimasta una realtà a misura di persona, un paese, e l’auspicio è che rimanga un luogo dove è possibile mantenere dei rapporti umani, dove resti in vita lo spirito di comunità, dove questo spazio di relazioni che esiste ancora oggi non venga soffocato dall’efficientismo milanese, dove il tutto viene ridotto alla sua utilità e funzionalità.
Rouben si occupa di progettazione sociale e comunicazione orientata al fundraising: ovvero, sviluppo di progetti in ambito sociale e ricerca di finanziamenti. In passato si è interessato di inclusione di persone con disabilità e progetti artistico - culturali: nello specifico, Rouben è appassionato di community music, movimento ancora poco conosciuto in Italia che valorizza la musica in quanto ‘strumento’ per far incontrare le persone e fare comunità. Ora Rouben è il legale rappresentante dell’associazione Trottola Urbana, che ha come obiettivo quello di promuovere il gioco, da intendersi come pratica umana universale diffusa in tutto il globo e quindi adatta a tutte le fasce d’età. E’ infatti riconosciuto come il gioco possa avere benefici a livello fisico come anche contrastare lo sviluppo di malattie neurodegenerative negli anziani. Tuttavia, per l’associazione il gioco è innanzitutto uno strumento di coesione sociale e di dialogo intergenerazionale e interculturale.
Il gioco può svolgere un ruolo importante in una comunità in quanto veicola valori che stanno alla base di qualsiasi convivenza: nel gioco infatti ci si affronta nel rispetto delle regole, in quanto si riconosce il valore del proprio avversario, senza il quale il gioco non potrebbe esistere. Il gioco è inoltre uno strumento di coesione sociale, in quanto fa incontrare le persone: nel progetto Itinerari unici, l’associazione ha infatti creato una ludoteca mobile in cui si può sedere a giocare con persone che non si conoscono.
Pur rivolgendosi a tutto il Municipio 4 ed alla città nel suo insieme, l’associazione nasce a Rogoredo per ragioni sentimentali, in quanto la compagna di Rouben e socia fondatrice dell’associazione è cresciuta qui, da cui il desiderio di restituire qualcosa al quartiere. Oltretutto, il quartiere è un terreno vivace, con molte possibilità: un luogo ricco nonostante abbia subito uno stigma da parte della città di Milano. Negli anni il quartiere si è allargato con la costruzione di Santa Giulia e Merezzate e Rouben auspica che ci sia una maggiore continuità tra i quartieri: continuità non solo urbanistica ma anche di persone, che vivano il territorio come un unico grande quartiere. Il conservatorio in costruzione, che sorgerà tra la Rogoredo vecchia e Santa Giulia, svolgerà a tal proposito un ruolo importante. Il desiderio è anche che i luoghi vengano vissuti maggiormente, con più eventi all’aperto: se infatti da un lato l’isolamento di Rogoredo è da sempre stato una sua caratteristica, questo potrebbe diventare una potenzialità. Si potrebbe infatti immaginare di chiudere il quartiere per un paio di giorni, giocare nelle strade e poi riaprirlo.
Per il futuro, l’augurio è che l’associazione possa essere costruttrice di legami e di tempo di qualità, di esperienze e di possibilità per il territorio, anche lavorative. Quindi, che Trottola Urbana possa crescere con Rogoredo, diventando un punto di riferimento e di orgoglio per il quartiere perché si dica che a Rogoredo si fanno cose belle.
LABorà è una bottega di prodotti sfusi situata in Via Melotti a Santa Giulia: prodotti locali, etici e … sostenibili! Il nome si rifà alle parole “Lab” e “Agorà”: la prima sta ad indicare la vocazione della bottega ad ospitare nei suoi spazi laboratori di recupero e di sensibilizzazione sul tema ambientale, la seconda invece fa riferimento alle agorà greche, piazze che nell’antichità erano luoghi di incontro e socializzazione. In bottega si possono trovare alimenti sfusi - come cereali, legumi, farine, pasta … e tante spezie, tisane ed infusi - e poi detersivi alla spina, detergenti per il corpo, shampoo e bagnoschiuma tutto zero waste, oltre ad un ottimo caffè macinato che ci viene calorosamente offerto.
In negozio ci accoglie Sabina, architetto di interni e designer, che ha ristrutturato ed arredato il negozio con un tocco unico ed un’attenzione alla sostenibilità. Diventata mamma ha visto come, con l’allargarsi della famiglia, sia aumentata anche la produzione di rifiuti, ed essendo da sempre sensibile ai temi ambientali, ha iniziato a frequentare i negozi di prodotti sfusi fino alla decisione di aprirne uno nel suo quartiere, a Santa Giulia. Sabina è infatti un’abitante storica: si è trasferita qui quando il quartiere era ancora un cantiere, per cui il suo primo ricordo sono le strade sterrate e senza nome. Quando poi sono comparse le targhe delle vie, la sua gioia è stata grande, in quanto Melotti è uno scultore che lei apprezza molto, come anche il movimento artistico del Futurismo a cui è dedicata un’altra via. Quello che la lega a Santa Giulia è quindi un legame molto forte con il territorio: il desiderio di fare qualcosa per il suo quartiere ed un substrato fertile, con molte famiglie giovani e sensibili ai temi ambientali. Della Santa Giulia odierna apprezza particolarmente la promenade dove fare gli aperitivi, mentre di Rogoredo il suo posto preferito è la piazzetta centrale antistante alla chiesa.
Da sempre Sabina è attiva nel quartiere: appena arrivata, si è attivata subito per creare delle reti social tra abitanti, volte ad aiutarsi l’un l’altro, ed ora partecipa all’organizzazione di ronde di pulizia al Parco Trapezio. Ha fatto anche parte del GAS di quartiere per diverso tempo, da appassionata di cibo sano: suo papà produce infatti dell’ottimo olio extravergine d’oliva! Il suo contributo alla comunità potrebbe quindi essere quello di prendersi cura del quartiere con delle iniziative di pulizia, oltre a promuovere attivamente la riduzione di rifiuti con i suoi prodotti zero waste.
Per Sabina una comunità dovrebbe essere innanzitutto coesa e attenta al bene comune: in questo vede che a Santa Giulia ci sono molti cittadini che hanno a cuore il decoro urbano del proprio quartiere. Tuttavia ci vorrebbe una maggiore consapevolezza rispetto all’impatto ambientale di alcuni nostri gesti, come buttare i mozziconi di sigarette a terra, oppure le cartacce.
L’augurio per il futuro è che le persone vengano numerose a visitarla, anche solo per scambiare due chiacchiere. Quello che apprezza maggiormente del suo lavoro è infatti la relazione personale instaurata con i clienti, che lei consiglia e che poi passano in negozio a ringraziarla perché, ad esempio, “questa tisana che mi hai dato mi ha proprio sgonfiato!”. L’invito è quindi quello di venire a scoprire i suoi prodotti: sani e scelti da una filiera corta ed etica, da persone che all’ambiente ci tengono come lei.
Silvia ha aperto il negozio Sbarluccico in Via dei Guarneri da poco più di un anno. Ha scelto questo posto perché vicino casa -non deve quindi fare lunghi viaggi per andare e tornare da lavoro- e perché è una zona tranquilla, con belle persone. Precedentemente ha fatto diversi lavori: ha lavorato in ufficio come tecnica al merchandising e, dopo una pausa dovuta alla nascita dei suoi figli, ha iniziato a lavorare in un negozio che vendeva componentistica per bigiotteria, dove si è specializzata nelle diverse tecniche e dove teneva dei laboratori.
La bigiotteria è da sempre stata la sua passione, da quando era ragazza. Ora, all’alba dei cinquant’anni, ha coronato il sogno di aprire una sua attività. Oltre ad avere dimestichezza con la gran parte delle tecniche di bigiotteria, ultimamente si è data al cucito da autodidatta: passione che le sta dando delle grandi soddisfazioni con la realizzare di borse artigianali. Oltre a trovare le componenti sfuse per la realizzazione di gioielli, in negozio si può partecipare a dei laboratori di bigiotteria che Silvia tiene su richiesta, come le è capitato recentemente con una mamma e una figlia che hanno realizzato un gioiello assieme. Oltre a ciò, Silvia realizza gioielli su misura, fa restyling di bigiotteria e riparazioni. In occasione delle festività -come Natale, Halloween e Pasqua- ha tenuto diversi corsi per i bambini.
Prima di aprire il negozio qui, Silvia ha frequentato un po’ il quartiere grazie ad un’amica che lavora a scuola e l’ha colpita subito la bella atmosfera. Ora le molte ore passate a lavoro, non le consentono di vivere a pieno il quartiere, anche se le è capitato di fare degli aperitivi nei bar della zona e l’anno scorso ha partecipato alla festa di fine anno della scuola antistante al negozio donando un pacco regalo per la lotteria. La festa ha rappresentato un bel momento che ha coinvolto l’intero quartiere. A parte ciò, apprezza la tranquillità, anche se dove si trova lei non è un punto di passaggio e per il futuro auspica che ci siano più negozi a rallegrare la via. Tuttavia il passaparola sta funzionando molto bene, ed è è stata ben accolta sia dai commercianti vicini che dai clienti, che si sono mostrati contenti che in quartiere abbia aperto un’attività un po’ diversa dal solito.
Il desiderio è che le persone vengano ad acquistare in negozio, che il quartiere rimanga com’è - bello e con persone gentili- e che gli abitanti dei palazzi nuovi si integrino con il resto del quartiere. Che sia quindi una comunità in cui regna l’armonia e unita.
Tiziana ha tre figli ed è maestra di scuola primaria. Fin da piccola ha sempre desiderato fare la maestra ed ha iniziato ad insegnare appena finite le superiori. Da studentessa non amava particolarmente l’Italiano, la materia che ora insegna, motivo per cui con i bambini ha un approccio di insegnamento differente ed è contenta che loro non debbano sentire lo stesso imbarazzo che sentiva lei di fronte ad un foglio bianco. Le piace molto insegnare ai bambini e nel suo lavoro si diverte, anche se riconosce che è un mestiere impegnativo, in quanto ci si porta a casa le storie dei bambini e delle loro famiglie, motivo per cui suo marito, scherzando, spesso la rimprovera di avere la testa altrove. Quando ha iniziato, non aveva molta fiducia nelle proprie capacità, mentre ora riconosce il contributo importante che in quanto insegnante può dare alla sua comunità. Da insegnante per lei è importante stimolare le capacità intellettive dei bambini ed accettarli così come sono, nelle loro diverse sfaccettature.
Tiziana abita nel Vigentino dal novanta e del quartiere apprezza il verde e la dimensione da grande paese dove in poco tempo si possono conoscere molte persone. Venire a vivere qui ha quindi capovolto lo stereotipo che descrive Milano come una città chiusa e poco accogliente: specialmente grazie al lavoro a scuola, ha infatti conosciuto molte persone, stretto legami importanti ed è entrata a far parte dell’associazione di genitori della Wolf Ferrari con la compagnia dei “Geniattori”, anche se per poco tempo. Questo è un posto dove, chi vuol dare il proprio contributo, ha l’occasione di farlo e di attivarsi: attualmente stanno infatti organizzando le ramazzate, occasioni in cui si puliscono gli spazi pubblici con sponsor che forniscono gadget ai bambini che partecipano. C’è poi la festa di fine anno della scuola con moltissimi giochi e laboratori che coinvolgono gli abitanti ed i commercianti del quartiere. Ha poi partecipato alla firma del patto di collaborazione sul sentiero della biodiversità, in cui i bambini si sono fatti protagonisti nel reinventare gli spazi in cui vivono. A tal proposito, la principale necessità che era emersa da queste coprogettazioni con i bambini è stata quella di disporre di spazi di ritrovo all’aperto come al chiuso, per quando fa freddo o c’è brutto tempo. Purtroppo, specialmente dopo il Covid, gli spazi della scuola non sono di facile accesso fuori dall’orario scolastico, per cui mancano dei luoghi di aggregazione per i giovanissimi ed i giovani, al di là della scuola, dell’oratorio e dei centri sportivi. Ad esempio, i suoi figli che sono adolescenti si ritrovano sotto i portici del palazzo, generando il malcontento dei condomini. I bar del quartiere infatti ad una certa ora chiudono, per cui gli unici posti in cui ritrovarsi sono gli spazi all’aperto.
Per Tiziana ci vorrebbero quindi degli spazi di aggregazione al chiuso, come una biblioteca, una ludoteca, oppure uno spazio come quello dove ci troviamo, lo spazio comune Living, dove gli adolescenti possano passare del tempo tra di loro sotto la supervisione degli adulti. Guardando questo grande spazio comune, Tiziana immagina anche delle attività ludiche di educazione all’utilizzo degli strumenti grafici per i più o meno piccoli, essendo lei specializzata in educazione al gesto grafico.
Quando invece chiediamo come dovrebbe essere una comunità, Tiziana ci risponde accogliente, empatica e positiva, ovvero capace di valorizzare le proprie risorse. L’augurio per il futuro è perciò che le persone siano più partecipi e capaci di lavorare assieme, in quanto ognuno può fare qualcosa nel suo piccolo. Rispetto invece alle esigenze più sentite, oltre alla mancanza di spazi di aggregazione, Tiziana ritiene che il Vigentino abbia un po’ perso la sua identità: prima vi era infatti la festa del tartufo che si teneva in autunno e primavera in via Ripamonti ed era molto partecipata. L’impressione è quindi che il quartiere stia diventando un po’ un dormitorio, in cui si costruiscono nuovi palazzi ma per fare delle attività bisogna spostarsi altrove. A tal proposito questo grande spazio comune per le attività fa molto ben sperare.
Andiamo alla Casa delle Associazioni e del Volontariato situata a Gratosoglio, nel Municipio 5. Troviamo un ambiente familiare ed accogliente, con una biblioteca, un salottino e diverse sale polifunzionali.
Le Case delle Associazioni sono realtà aperte a tutta la cittadinanza, luoghi dove incontrarsi, fare rete e sviluppare progettualità condivise. Nella loro idea originaria, le Case sono state pensate per fornire degli spazi gratuiti per le tante associazioni di quartiere che non dispongono di una sede fisica e non hanno luoghi dove incontrarsi. Nel tempo, le Case sono diventate luoghi dove anche i cittadini attivi possono mettersi a disposizione della cittadinanza, valorizzando i loro saperi. E’ il caso di molti pensionati che si sono proposti di tenere attività e laboratori gratuiti, fornendo un servizio agli altri e a loro stessi, in quanto si sa che il volontariato fa bene innanzitutto a chi lo fa! Attualmente sono ottantasette le associazioni iscritte alla Casa e che a rotazione usufruiscono degli spazi. Tra le attività a cui è possibile partecipare, ci vengono menzionati corsi di ballo (liscio, mazurca, tango, balli caraibici e balli etnici), corsi sportivi (yoga, ginnastica dolce), corsi di arte terapia, corsi di informatica, doposcuola per ragazzi provenienti da famiglie fragili e laboratori di lingua italiana dove poter fare pratica per le situazioni del quotidiano. Diverse sono poi le iniziative volte a creare integrazione, come i laboratori di cucina dal mondo, in cui si prepara il cibo e poi, una volta cotto, lo si consuma assieme. Tra i servizi offerti, vi è il sostegno ad adulti con fragilità psichiatrica ed uno sportello di sostegno psicologico per familiari e persone affetti da Alzheimer.
La Casa è aperta tutti i giorni, anche al di fuori degli orari d’ufficio, in quanto viene data la possibilità alle associazioni che firmano il patto di collaborazione di usufruire in autonomia degli spazi, nel rispetto delle regole del condominio dove ci troviamo. Chiediamo perché la Casa sia situata qui a Gratosoglio e ci viene detto che lo spazio era ideale e, diversamente da altri che necessitavano di ristrutturazioni per essere fruibili, questo è potuto essere attivato in breve tempo. Diverse iniziative, come Prendiamoci cura della Casa, coinvolgono i cittadini e le associazioni nel prendersi cura del luogo, ritinteggiando i locali e personalizzando gli spazi.
Rispetto al quartiere, Gratosoglio è molto popoloso, quasi una piccola città nella città. Tra le criticità, ci vengono menzionate la mancanza di spazi di aggregazione come questo e la difficoltà nel coinvolgere le persone in periferie come questa, dove alcune famiglie vivono in una situazione di disagio economico e “non hanno tempo” per partecipare alle attività. Fortunatamente loro possono contare su di un numero cospicuo di associazioni con un forte legame con il territorio e con le molteplici comunità straniere presenti in quartiere. L’auspicio per il futuro sarebbe quello di farsi maggiormente conoscere: il Comune investe già delle risorse nella comunicazione ma il passaparola rimane la migliore pubblicità.
Samuele è stato un quadro funzionario per Regione Lombardia. Attualmente in pensione, è attivo con diverse associazioni di volontariato, tra cui Quei del Tredesin, Auser e Anteas. Con Quei del Tredesin ha curato un progetto, in convenzione con il Comune, per la realizzazione di orti all’interno delle scuole, tra le quali anche quelle del quartier Vigentino. Si tratta di un momento laboratoriale all’area aperta molto apprezzato dai bambini, un momento di educazione ambientale a contatto con la natura. Con Anteas e Auser invece partecipa ad un’iniziativa di pedibus per cui lui e quella che definisce “una banda di nonni e nonne” accompagnano i bambini all’ingresso di scuola e li vanno a prendere all’uscita. In questo modo offrono alle famiglie un servizio sociale completamente gratuito, oltre a trarne beneficio loro stessi. Molti sono infatti i nonni che si sono mostrati grati di questa esperienza perché permette loro di essere a contatto con i più giovani e di tenersi aggiornati sui tempi che cambiano. Con Anteas hanno anche un’attività nelle scuole in cui raccontano delle favole ai bambini in occasione delle feste natalizie e pasquali, secondo un tema che viene scelto annualmente: quest’anno il tema era quello della diversità e delle disuguaglianze.
Nel Vigentino Samuele frequenta le scuole per l’attività degli orti ed ha tenuto degli incontri nelle classi di sensibilizzazione sulla raccolta differenziata. Sorridendo ci dice di avere poi avuto un feedback da un genitore che si è lamentato scherzando in quanto i bambini adesso sono molto ligi nel fare la raccolta differenziata a casa. Quest’esperienza gli ha dato quindi la convinzione che se si fa educazione ambientale con i bambini, questi assimilano facilmente i contenuti.
Il quartiere Vigentino sta molto cambiando, con progetti di riqualificazione come quello di scalo romana o come quello che prevede il rifacimento dello spazio antestante alla chiesa di Sant’Andrea, con un giardino dove zia Carla potrà sedersi a “ciacolare” con le amiche finita la messa. Samuele ritiene che l’esigenza più grande per il quartiere sia quella di avere delle strutture ricreative e formative per i giovani, oltre alle scuole e agli oratori.
Rispetto alla comunità, Samuele ritiene che debba innanzitutto saper integrare. I bambini di adesso crescono in ambienti multiculturali e con una mentalità diversa dagli adulti della sua generazione. Samuele ricorda anche con piacere un evento in Via Bligny in cui, all’interno di un condominio, è stata organizzata una festa in cui ognuno portava un piatto del proprio paese e tutti i continenti erano rappresentati. Si è trattato di un bel momento ricreativo di incontro tra culture. In questa comunità inclusiva anche i nonni come lui possono dare un loro contributo, trasmettendo i loro saperi ai più giovani. Tuttavia, dice Samuele, non tutti i nonni hanno le energie per dare, in quanto i più han bisogno di assistenza perché con l’età si diventa fragili.
L’augurio per il futuro è che si intensifichino i momenti di dialogo, integrazione e accoglienza, “perché ne abbiamo bisogno tutti, per sentirci più umani”. Il desiderio è anche quello di vivere una vita piena al di là dell’affanno per il lavoro e dei problemi economici che attanagliano le molte famiglie che non arrivano a fine mese.
Salvatore e Letizia sono proprietari del bar Angolo 24 e del parrucchiere e centro estetico Leclò Style, situati in Via dei Guarneri. Salvatore è arrivato in quartiere nel 2001 mentre Letizia è nata e cresciuta nel Vigentino, motivo per cui hanno deciso di stabilire la loro attività qui. Il quartiere è cambiato moltissimo negli anni: quando è arrivato Salvatore qui era tutta campagna, non c’erano questi palazzi e anche attorno alla chiesa c’era solo prato. Tempo fa questo era un quartiere non molto sicuro, poi negli anni la zona si è molto rivalutata, anche se recentemente è tornato un po’ di degrado.
Nonostante le nuove costruzioni, è rimasta la dimensione da grande paese ed è quello che a Salvatore piace di più: ci si conosce un po’ tutti e anche lui che vive qui da pochi anni, in poco tempo ha conosciuto molte persone. Non è quindi un quartiere dormitorio, ma un quartiere di persone che vivono i luoghi anche di giorno, forse in ragione dell’età media degli abitanti che è abbastanza elevata. E’ anche un posto ricco di servizi: molte sono le scuole – nidi, asili, elementari e medie, ci sono supermercati, ed in poche fermate di tram si arriva in centro. Più che immaginare cose nuove, ci sarebbe quindi da migliorare quello che già c’è nel quartiere: le aree giochi per bambini e le aree cani, un po’ trascurate, le piste ciclabili, … sarebbe bello tornassero anche i vigili di quartiere che ora non girano più e che contribuirebbero a migliorare la sicurezza.
Salvatore ricorda con nostalgia le vecchie sagre del tartufo che si facevano in Via Ripamonti: momenti di convivialità, occasioni di incontro in cui si scambiavano due chiacchiere anche con i vicini di casa con cui generalmente si parla poco. Fare comunità è questo: divertirsi assieme, organizzare dei momenti ludici in cui si mette da parte la politica, che invece divide le persone.
Per il futuro Salvatore auspica la salute ed il lavoro. I negozi di quartiere come il suo sono fondamentali in una comunità, in quanto svolgono un ruolo sociale che le grandi superfici commerciali, per quanto ricche di offerta a buon prezzo, non fanno. Un esempio è stato durante il Covid, quando i suoi clienti, con cui ha instaurato un rapporto personale, gli inviavano le ordinazioni su WhatsApp che lui, munito di mascherina, andava a consegnare a domicilio.
Elena è educatrice e coordinatrice socio-pedagogica per la Cooperativa Lo Scrigno, che da oltre vent’anni opera nel quartiere di Gratosoglio con progetti per giovani, bambini, adulti ed anziani. Tra le iniziative della cooperativa, vi sono infatti dei centri di aggregazione per ragazzi delle medie e delle superiori, progetti di socializzazione per mamme con bambini, attività di doposcuola, progetti di assistenza domiciliare per minori, oltre ad attività di assistenza sanitaria e sociale domiciliare per anziani e disabili. Recentemente la sede della Cooperativa ospita al suo interno uno Spazio WeMi: uno sportello attivo quindici ore a settimana che rappresenta un interfaccia del Comune sul territorio, in quanto fornisce supporto nel disbrigo di pratiche amministrative ed orientamento ai servizi del territorio. Oltre al presidio fisico, uno spazio accogliente allestito visivamente secondo il format degli spazi WeMi, il servizio è attivo anche con uno sportello online. Gli spazi WeMi offrono inoltre la possibilità di sviluppare dei servizi condivisi sulla base delle esigenze della cittadinanza, come ad esempio dei doposcuola a prezzo calmierato.
La Cooperativa Lo Scrigno fa anche parte della rete QuBì, un’iniziativa nata qualche anno fa con il contributo di Fondazione Cariplo ed algtre Fondazioni del territorio, per fornire sostegno ai minori in situazione di povertà con proposte educative e socializzanti, oltre a promuovere sistemi integrati di presa in carico dei beneficiari e realizzare azioni specifiche di contrasto alla povertà alimentare. Elena è la referente per la rete QuBì Gratosoglio da cinque anni e si occupa quindi di promuovere le sinergie tra le diverse realtà che si occupano di contrasto alla povertà infantile, come i centri di ascolto, le società sportive, gli enti del terzo settore, i comitati genitori, gli operatori sociali.
Il Municipio 5 tiene da diversi anni dei momenti di confronto tra associazioni e gruppi informali di cittadini, con un Tavolo Territoriale che si svolge una volta al mese e che si organizza in diversi sottotavoli tematici, come il tavolo minori, il tavolo disabilità, il tavolo lavoro, il tavolo delle pari opportunità ed il tavolo povertà che Elena coordina. Il tavolo povertà , tavolo storico del Municipio, si riunisce anch’esso con cadenza mensile, al fine di scambiarsi informazioni sulle risorse del territorio, condividere delle chiavi di lettura sulla povertà e far nascere nuove progettualità condivise. Il Municipio mette inoltre in campo delle risorse materiali, come delle tessere cultura e delle tessere per la spesa, che le realtà aderenti al tavolo distribuiscono poi sul territorio a seconda dei bisogni.
Rispetto al quartiere, Elena apprezza la presenza di servizi e scuole, le aree pedonali e le aree verdi, oltre alla ricchezza di iniziative locali. Vi sono ad esempio diversi presidi educativi e sociali, come un centro per anziani, mentre ci sarebbe bisogno di maggiori proposte per i giovani: il doposcuola ad esempio, è un bisogno molto sentito e per il quale ci sono lunghe liste d’attesa. Nonostante la ricchezza di proposte, quello di Gratosoglio è un quartiere in cui il decoro urbano è peggiorato negli ultimi anni e in cui la percezione della sicurezza ha portato le famiglie a chiudersi negli spazi privati. E’ un quartiere molto popoloso, con un buon numero di case popolari di edilizia pubblica e con una parte della popolazione che vive una situazione di fragilità. Per questo diventa ancor più fondamentale saper lavorare in rete, ottimizzare le risorse evitando sovrapposizioni di proposte e, soprattutto, costruire delle progettualità che abbiano una continuità nel tempo.
Secondo Elena, in una comunità è importante che ci siano dei riferimenti anche informali, come dei professionisti che possano ascoltare e orientare le persone più fragili, e che questi riferimenti garantiscano una continuità, cosa non sempre possibile nel settore sociale.
Chiudiamo la nostra chiacchierata con un auspicio: quello che rimanga tra i cittadini e le associazioni una sensibilità per le fragilità e che si continui a lavorare in rete, in quanto l’unione fa la forza e soltanto assieme si può superare il sentimento di solitudine e impotenza di fronte alle tante difficoltà portate dai cittadini. Rispetto al luogo in cui ci troviamo, si tratta di uno spazio molto amplio e polifunzionale, che potrebbe offrire molte possibilità alle diverse fasce d’età.
Il nome “anima e corpo” evoca la filosofia degli antichi Greci, per i quali entrambe queste dimensioni erano fondamentali per l’essere umano ed intrinsecamente connesse: allenare il corpo ha benefici sull’anima, così come allenare l’anima ha benefici sul corpo. Il nome riprende inoltre quello di un’associazione storica del territorio e poi chiusa, riprendendone in qualche modo la tradizione ed il legame con il quartiere.
Caterina, tra le fondatrici dell’associazione sportiva dilettantistica “anima e corpo”, si è occupata per diversi anni di marketing e vendite ed ora insegna economia e commercio. Si è avvicinata allo sport dopo un incidente che le ha procurato un trauma alla caviglia e per il quale, dopo l’operazione, si è reso necessario un percorso di recupero. L’allenamento ha cambiato la sua vita, facendole realizzare che allenarsi non fa solo bene al fisico ma rende anche le persone più felici.
La possibilità di aprire una palestra a Merezzate si è presentata quando, uscendo dalla Lidl, ha visto l’apertura di una nuova pasticceria. Caterina si è quindi informata se ci fosse la possibilità di spazi commerciali, ha poi presentato un progetto ed oggi ci troviamo a pochi giorni dall’apertura della palestra. La palestra si ripropone di colmare un vuoto nei quartieri di Rogoredo – Santa Giulia – Merezzate - Ungheria, ovvero la mancanza di un posto dove potersi allenare in sicurezza.
La palestra offrirà una sala pesi con macchinari di ultima generazione attenti all’ambiente, in quanto l’energia sarà prodotta dalle persone stesse senza necessità di fonti di energia altre, una sala campus dedicata a corsi musicali, cardio, gag, pilates, yoga ed approfondimenti legati ad una corretta alimentazione ed una sala cross per allenamenti di impatto maggiore volti a sviluppare forza e resistenza. Ci saranno anche dei gruppi di mutuo aiuto in quanto la comunità è innanzitutto aiuto reciproco.
Ci saranno abbonamenti diversi dedicati a donne, over sessantacinque e teenager, con attività e fasce orarie mirate. L’auspicio è quello di poter attrarre i giovani ed offrire un’alternativa sana, di allenamento e di sfogo, al fine di prevenire devianze e dipendenze che talvolta interessano i giovani.
Il desiderio è quindi che l’attività prenda piede nel quartiere e diventi più di una palestra, un luogo dove condividere esperienze di vita sana e momenti di felicità. A tal proposito l’associazione ha partecipato alla giornata sportiva del quartiere, animando gli attrezzi con lezioni di trazione, gag e allenamento funzionale ed ha avuto una buona risposta dagli abitanti. Il quartiere offre molti spazi verdi pedonali per cui nel periodo primaverile ed estivo l’idea è di poter organizzare degli allenamento all’aria aperta.
Per Caterina una qualità del quartiere è sicuramente quella di essere multietnico e, siccome la passione per il cibo accomuna tutti, vorrebbe ci fossero occasioni di scambi culinari tra cucine dei diversi paesi, oltre a degli approfondimenti di cucina salutare e naturale e, perché no, magari una gelateria.
STORIA DI DIALLO
Diallo è un ragazzo che viene dal Senegal, ha 20 anni, nel suo paese ha lasciato tutta la famiglia, per costruirsi una vita migliore
Con questo desiderio, nel 2018 ha infatti intrapreso un viaggio lungo e difficile ed è giunto a Catania
Qui è stato accolto nella comunità per MSNA, della Cooperativa Prospettiva, divenuto maggiorenne è stato poi trasferito nello Sprar adulti, dove vive tutt’ora.
Allo Sprar si trova benissimo, ha un ottimo rapporto con Laura, responsabile della struttura e con gli operatori.
Si è creato la sua cerchia di amici, ama molto questa città e continua a sentire regolarmente la sua famiglia.
E’ un ragazzo timido ed educato, con tanta voglia di vivere e imparare.
Sorride spesso.
Frequenta con ottimi risultati il quarto anno dell’ERIS, una scuola di formazione con indirizzo- cucina.
Nonostante la scuola, aveva espresso più volte il desiderio di lavorare per poter aiutare la famiglia, ma anche per crearsi un futuro, dopo la fine del suo percorso all’interno della struttura che lo accoglie.
L’occasione si è presentata e concretizzata grazie al progetto Tempo al Tempo, che tra le tante azioni prevede per i beneficiari l’attivazione di tirocini-lavorativi, presso le aziende del territorio.
Dopo tutto l'iter burocratico, Diallo il 4 settembre ha iniziato il suo tirocinio di tre mesi, rinnovabile a sei, presso la COOP 3 C, una azienda familiare che ha sede a Lineri.
E' felice di questa opportunità, gli piace il lavoro di magazziniere, ogni giorno grazie al supporto dei colleghi, impara cose nuove e diventa sempre più autonomo.
Il supermercato gli piace, si sente accolto, riconosciuto e voluto bene da tutti.
Sente di aver fatto la scelta più giusta anche se dolorosa, sogna un giorno di ritornare nel suo paese, ma solo per rivedere la famiglia.
E' a Catania che vuole lavorare e creare nel tempo una sua famiglia.
Roberta è insegnante di religione nei tre plessi scolastici di Via Wolf Ferrari, Via Toscanini e Via Ravenna. Negli anni passati lei ed altre maestre sono state molto attive in iniziative di contrasto alla dispersione scolastica a Vaiano Valle, dove erano presenti famiglie in condizione di grande fragilità, senza patente o macchina, che avevano difficoltà ad accompagnare i loro bambini a scuola con percorsi in sicurezza. L’iniziativa “costruiamo un ponte” si riproponeva quindi di costruire un “ponte” per far arrivare i bambini a scuola attraverso il parco della Vettabbia. L’idea di costruire un percorso attraverso il parco, che collegasse anche i tre plessi scolastici, è nata dal progetto del “giardino dei desideri”, co-creato con Spazio Pensiero nell’ambito dell’iniziativa La città intorno finanziato da Fondazione Cariplo. Questo progetto prevedeva uscite didattiche nel quartiere e l’individuazione di luoghi che necessitavano di cura, luoghi da rigenerare. I bambini hanno scelto il parchetto antistante al plesso di Via Ravenna, molto frequentato, provando a re-immaginarlo. Con la scuola sono stati fatti dei piccoli interventi nel giardino, che poi però sono stati oggetto di diversi atti vandalici volti a danneggiare i giochi, il canestro, i murales, la recinzione … ed ogni volta i bambini venivano coinvolti in azioni collettive volte a risistemare i danni, accompagnati dagli adulti. Si è trattato di una vera prova di educazione alla non violenza, in cui i bambini hanno appreso a reagire in modo costruttivo, lavorando assieme. Rispetto invece alla seconda iniziativa ideata dai bambini, l’idea di un percorso nel verde che unisse i plessi attraverso la Vettabbia, si è arrivati alla firma di un patto di collaborazione con diverse associazioni ed il Comune, che si impegnava ad aprire una recinzione perché i bambini non dovessero camminare sul ciglio della strada e mettere sicurezza un vecchio ponte: azioni che necessitano di un finanziamento e per cui si sta cercando uno sponsor che abbia interesse per la cura del verde pubblico. Con alcune classi pilota hanno iniziato a fare eventi con altre associazioni volti a vivere il parco, con iniziative come la piantumazione di fiori e di grano, la costituzione di un pollaio sociale che permette di adottare delle galline e azioni di pulizia.
L’idea del percorso era nata anche dalla necessità di facilitare l’accesso a scuola delle famiglie del campo rom di Vaiano Valle, col fine di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica, problema molto sentito in questa zona. In pandemia è poi caduto un ulteriore filtro tra le famiglie e la scuola, in quanto Roberta ed altre insegnanti si son trovate a recarsi fisicamente al campo, facendo porta a porta per distribuire tablet ed altro materiale didattico. In quell’occasione, caffè dopo caffè, hanno avuto modo di conoscere meglio le famiglie ed instaurare un rapporto di fiducia con loro. Così si sono accorte di altri bisogni che necessitavano di risposte, come la necessità di una mediazione linguistica e culturale, per cui loro insegnanti si sono trovate a leggere insieme dei documenti che allora riguardavano la possibilità, offerta dal Ministero, di un ricollocamento dei bambini con i loro nuclei familiari in delle case, cosa che poi è avvenuta. Roberta è stata poi referente per l’intercultura e la dispersione scolastica per diverse anni e, lavorando in molte classi, ha avuto modo di ricompattare il corpo docenti e fare gruppo, per cui, nell’affrontare i temi della grave marginalità, si è sentita supportata dalla scuola, oltre che dalle istituzioni e dalla Caritas per cui è volontaria.
Da questa esperienza Roberta ha appreso l’importanza che i bambini si approprino del proprio quartiere, conoscendolo e vivendolo. L’istituto scolastico ha poi il vantaggio di essere situato in prossimità del verde, un luogo di frontiera fra città e campagna. Rispetto al parco della Vettabbia, è un luogo di cui la cittadinanza si sta riappropriando pian piano, con le famiglie che ora portano qui i bambini e diverse associazioni che presidiano il territorio. Questo ha fatto sì che siano calati in questi ultimi tempi gli sversamenti di rifiuti.
Rispetto all’idea di comunità che ha Roberta, questa dovrebbe essere formata da adulti autorevoli ed educanti, oltre ad essere aperta, interculturale e sufficientemente eterogenea, perché nella diversità si possono trovare soluzioni innovative a problemi complessi. Nella comunità la scuola ha un ruolo centrale, in quanto unisce le persone attorno ad un interesse comune, quale il bene supremo del bambino, e rappresenta il primo presidio educativo e di legalità. L’auspicio per il futuro è che possa essere completato il percorso nel parco e che si trovi una soluzione creativa che tenga uniti i tre plessi di Wolf Ferrari, Toscanini e Ravenna in seguito alla recente riorganizzazione scolastica che prevede la separazione dei tre plessi con l’accorpamento a due istituti scolastici differenti.
Stefania è nata e cresciuta nel Quartiere Vigentino e da due anni è Consigliera Delegata alle Pari Opportunità per il Municipio 5. Segue quindi il Centro Milano Donna sito in Via Savoia, che definisce un presidio di empowerment femminile, un luogo per le donne e delle donne, una “casa” aperta alle donne che propone servizi di accoglienza e orientamento, occasioni di incontro e socializzazione, iniziative, corsi di formazione rivolti a donne di tutte le età. Per quanto riguarda il reinserimento nel mercato del lavoro, il Municipio 5 ha attivo anche lo Sportello Rete Lavoro Cinque, che si rivolge a quanti, donne e non, abbiano difficoltà ad orientarsi nella ricerca del lavoro, rappresentando un punto di accoglienza in grado di seguire le persone e riorientarle sul territorio con l’organizzazione di diversi colloqui individuali. Presso la sede del Municipio in Viale Tibaldi è anche attivo lo Sportello Aiuto Donna, uno sportello che si rivolge alle donne vittime di violenza e che lavora in rete con i diversi Centri Antiviolenza della rete antiviolenza del Comune di Milano.
Il Municipio 5 è quindi un territorio ricco di iniziative volte a promuovere il lavoro in rete con i diversi servizi e associazioni del territorio. Ne è un esempio il Tavolo Territoriale, un tavolo di politiche sociali a cui afferiscono tutte le associazioni del Municipio 5 che si occupano di diverse fragilità: dalle povertà, agli anziani, ai minori, alle persone con disabilità e problemi di salute mentale, alle pari opportunità. In questo il Municipio 5 rappresenta un modello: per la ricchezza di associazioni, ma anche per la collaborazione instaurata tra associazioni e istituzioni, di cui l’efficacia del Tavolo Territoriale ne è un esempio. Nel tempo il Tavolo Territoriale si è poi suddiviso in diversi sotto-tavoli che trattano tematiche specifiche, come la salute mentale, il lavoro, i disturbi del comportamento alimentare, etc. I Tavoli rappresentano quindi un luogo dove far rete e far nascere delle nuove idee e dei nuovi progetti condivisi.
Il Vigentino è un quartiere in forte evoluzione ed espansione, anche chiamato “South Pra”, il quartiere a Sud di Fondazione Prada. Stanno nascendo infatti nuovi insediamenti, come quelli in Via Antegnati e in Via Amidani: delle concezioni di urbanistica comunitaria dove si condividono esperienze e competenze. Trattandosi però di un quartiere in espansione, bisognerà pensare a nuovi servizi: come scuole, centri di aggregazione e centri polifunzionali. Del Vigentino Stefania ha sempre apprezzato l’abbondanza degli spazi verdi e la sua vicinanza al centro, qualità che lo rendono un quartiere vivibile e perciò abitato da molte famiglie: qui infatti è meno sentito che altrove il problema del calo delle nascite. E’ anche un quartiere abitato dai tanti nonni che si occupano dei propri nipoti e si attivano anche nelle attività extrascolastiche organizzate dalle scuole dell’infanzia, elementari e medie, presenti qui. E’ quindi un quartiere residenziale, abitato da lavoratori e lavoratrici, e questo spiega forse perché il Vigentino sia meno ricco di associazioni di altri quartieri del Municipio 5, in quanto le associazioni nascono laddove vi sono delle fragilità con l’obiettivo di rispondere a determinati problemi. Nel Vigentino gravitano diverse associazioni legate al mondo della scuola ed associazioni sportive, oltre all’oratorio della Madonna di Fatima che è molto attivo in quartiere e organizza diverse attività di doposcuola.
Chiudendo con un auspicio per il futuro, Stefania si augura che le persone si investano maggiormente per migliorare il proprio quartiere e che emerga ancora di più la cittadinanza attiva che è in noi.
Maria gestisce una lavanderia e sartoria situata in Via dei Guarneri, nel Vigentino, da otto anni. Tuttavia Maria abita nel Vigentino da molto più tempo: nata in Romania e poi arrivata in Italia dal 2004, è sempre vissuta in questa zona. Qualche mese fa ha avuto la possibilità di avere un appartamento a canone concordato nel complesso residenziale di 5Square, dove si è trasferita ed abita attualmente. Maria è a conoscenza delle diverse iniziative promosse dagli abitanti – si tratta infatti di un complesso dove si promuovono forme di abitare collaborativo- anche se ha avuto modo di partecipare solo ad un’attività sportiva nella palestra comune. E’ tuttavia inserita in una chat di condominio e questa settimana parteciperà ad un aperitivo di scala per conoscere i suoi vicini. Alcuni dei suoi vicini li ha conosciuti qui in lavanderia: il suo è infatti un negozio conosciuto in quartiere ed abbastanza frequentato.
In questi anni il Vigentino si è ampliato con nuovi stabilimenti, pur avendo mantenuto una dimensione da piccolo paese. E’ infatti rimasto un posto tranquillo e la tranquillità è un aspetto che Maria apprezza molto del quartiere e che lo contraddistingue, ad esempio, da quello in cui viveva prima di venire qui e che invece definisce molto affollato. Vede poi che ci sono diverse iniziative promosse in zona (di fronte a noi c’è infatti la scuola media), anche se, essendo sola in negozio, lavora molto e non ha tempo per partecipare. Quando ha del tempo libero preferisce poi spostarsi in altre zone per fare nuove conoscenze, vivendo ed abitando nello stesso quartiere.
Rispetto alla sua attività, le piace la relazione personale che ha instaurato con i suoi clienti: li chiama infatti per nome e li conosce tutti, diversamente da quanto succede ad esempio nelle grandi superfici commerciali. L’auspicio per la sua attività è quello di poter sviluppare il suo progetto personale, ampliando la parte di sartoria, e di pubblicizzare meglio la sua attività. Spera anche che gli affitti della zona si abbassino: sono infatti molto alti, per cui diventa difficile sopravvivere per i piccoli commercianti. Fortunatamente dove vive beneficia di un canone calmierato, per cui spera che lì il costo degli affitti rimanga lo stesso in futuro. Per quanto riguarda la comunità che si sta creando a 5Square invece, vede che gli abitanti sono molto propositivi ed apprezza molto questa idea di abitare collaborativo che per lei rappresenta una novità.
Bruno ha 50 anni e vive all’interno della Comunità di Progetto Persona da più di un anno. L’impatto con il nuovo contesto di 5Square è stato per Bruno positivo e piacevole, e anche con gli altri membri della comunità dice di trovarsi bene.
Bruno è originario del Vigentino quindi conosce bene il quartiere, di cui apprezza la ricchezza di servizi di prossimità. Dopo che il papà è mancato e la mamma ha cambiato casa si è trasferito nella comunità di Via Bazzi. Prima dell’invio in comunità, racconta Bruno, usciva e si muoveva in autonomia: esperienza questa che gli piacerebbe riprendere.
In passato ha svolto corsi da elettricista, percorsi formativi specializzati nel restauro di mobili e un tirocinio presso il Bar Micrò vicino alla Biblioteca Chiesa Rossa. Accanto alla passione per attività manuali e artigianali, Bruno custodisce svariati interessi: ama uscire, passeggiare e ogni tanto fare un salto in qualche bar di Via Ripamonti. È un grande fruitore di cinema e musica. Tra i suoi attori preferiti ci sono Lino Banfi (nel commissario Logatto), Renato Pozzetto, Carlo Verdone, Paolo Villaggio, Gerry Calà, Bud Spencer e Terrence Hill. Per quanto riguarda la musica, è molto affezionato ai dispositivi analogici che conserva in cantina, come dischi, cassette e compact disc: il suo cantante preferito è Celentano.
Per Bruno il senso di comunità si esprime nello stare insieme ad altre persone: interessante e complesso l’equilibrio tra condivisione con gli altri e autonomia individuale.
Nello Spazio Living di via Antegnati 7 Bruno immagina che parteciperebbe volentieri ad eventi e laboratori centrati sulla musica e sul ballo.
Per il futuro desidera un lavoro, una casa propria e un maggiore senso di libertà.
Andrea ha 58 anni ed è un maestro elementare. Specializzato in filosofia e da sempre impegnato nel mondo del volontariato, si occupa di immigrazione, lotte e diritti attraverso il lavoro con adulti e bambini. Vive da più di vent’anni nel quartiere Stadera e circa sei anni fa, dopo diverse esperienze all’estero, rientrando a Milano ha conosciuto e collabora tutt'oggi con il collettivo che sarebbe poi diventato l’Associazione Baia del Re.
La Baia del Re nel quartiere Stadera è un’associazione che, attraverso il lavoro dei volontari, offre alla zona una vasta proposta di attività e che (a partire anche da un tesseramento annuale di 10 euro, oltre ad altre iniziative) cerca di autofinanziarsi. Tra le attività:
Durante l’anno vengono organizzate e proposte feste, uscite e attività non solo con i ragazzi ma anche con le loro famiglie e con gli istituti scolastici del quartiere, per garantire un lavoro di continuità educativa e relazionale che favorisca partecipazione, accoglienza ed inclusività. Un esempio riuscito di questo lavoro di rete con il quartiere è il rapporto ormai consolidatosi con un gruppo della comunità filippina che spesso utilizza lo spazio della sede e si è prodigato anche per la sua ristrutturazione, diventando un esempio positivo di mutuo scambio e condivisione.
Il quartiere Stadera si caratterizza come un contesto multiculturale, con numerose famiglie provenienti da Egitto, Bangladesh, Tunisia, Marocco, etc. In linea generale Andrea rintraccia tra gli abitanti grande solarità, disponibilità e gratitudine, insieme anche ad un bagaglio di ansie burocratiche spesso imperanti nelle istanze quotidiane delle famiglie.
Tra gli aspetti di fragilità identifica la mancanza di spazi aggregativi e condominiali (che consentano ai bambini del quartiere di giocare con sicurezza e spontaneità), un diffuso atteggiamento di trascuratezza e abbandono degli spazi comuni urbanistici e una parziale povertà culturale. In questo senso assume un valore ancora più significativo il tentativo dell’Associazione di coinvolgere i ragazzi e le famiglie in attività culturali e didattiche dentro e fuori dalla città perché, dice Andrea, <<uscire dal quartiere è salute>>, incentivando un’appartenenza al mondo e non solo ai propri confini personali. Alimentare quindi il senso di comunità sfidando le iniziali resistenze e timidezze, con la consapevolezza che si tratta di un processo in cui più che i luoghi, sono i tempi a fare la differenza. Già in passato la comunità di Stadera ha dimostrato vicinanza e solidarietà all’Associazione, stringendosi intorno a valori comuni e attivandosi con affetto <<come (si trattasse) di una casa da difendere>>.
Per Andrea il senso di comunità è mettersi in cerchio, disporre e disporsi nell’ottica dello scambio e della qualità relazionale. Comunità è la partecipazione attiva di tutti, è rispetto e ascolto reciproco. Costruire il senso di comunità significa scardinare i luoghi comuni e le aspettative, provando a sorprendere e a sorprendersi. Il contrario della comunità è la rigidità dei ruoli.
Sono tanti gli auspici e i desideri per il prossimo futuro: in primis che gli utenti dell’associazione (soprattutto i giovani) diventino a loro volta prosumer, fornitori cioè di servizi e risorse all’interno di un processo di reciprocità. In secondo luogo che si allarghino e si infoltiscano le fila di volontari presenti sul campo e durante le attività proposte. Ma anche che la sede si apra e si connetta sempre di più al contesto circostante. Infine, ma non per minor importanza, c’è il desiderio particolarmente sentito che l’Associazione riceva maggiore riconoscimento e sostegno da parte delle istituzioni.
Un sogno per il futuro è anche la creazione di un documento, un passaporto, che sia uguale per tutti. Un gesto che ricordi la necessità di prendersi cura della libertà.
Il signor Michele è il proprietario, insieme ad un altro socio, della ditta VA.NA.MEC. che si trova a Masio, un paese a pochissimi chilometri da Felizzano.
La ditta è nata 27 anni fa e inizialmente si occupava di realizzare macchine per la falegnameria e assemblaggio serramenti di legno. Nel corso degli anni la ditta ha subito cambiamenti per concentrarsi sull'automazione, in particolare sulla torneria e sulla fresatura meccanica di precisione, sulla carpenteria leggera e sulla saldatura a filo continuo e TIG, costruzioni meccaniche, costruzione di macchinari a controllo numerico e costruzioni di saldatura.
Attualmente lavorano i 2 soci e 5 dipendenti, diplomati e con qualifiche professionali. Il signor Michele spiega che partendo dai disegni tecnici forniti dai clienti, sono in grado di lavorare materiali grezzi per ottenere i particolari richiesti utilizzando torni e frese a controllo numerico e di sviluppare lavorazioni di carpenteria personalizzata. Hanno una buona clientela, seria, allargata anche a multinazionali. I prodotti vanno all'industria, alle automazioni e ai nastri trasportatori.
Il sig. Michele, da quando ha 16 anni, ha sempre lavorato nel campo della meccanica, inizialmente da dipendente, ad un certo punto ha pensato di fare "qualcosa di più" e ed è rimasto a lavorare in questo ramo aprendo una propria ditta insieme ad un socio. Questa attività ha dato molte soddisfazioni, soprattutto a livello personale.
Passione, voglia e tanta esperienza sono requisiti fondamentali per svolgere questo lavoro, il sig. Michele sottolinea che questo tipo di lavoro richiede sacrificio, impegno e voglia di imparare, è molto difficile trovare personale motivato e competente, che abbia le capacità e le conoscenze per poter utilizzare in maniera corretta i macchinari che sono sempre più sofisticati e precisi. Con soddisfazione ed orgoglio il sig. Michele mostra l'officina e le macchine utilizzate dagli operai specializzati, i lavori eseguiti richiedono massima precisione e vengono impiegati in vari settori.
C'è stato un periodo di rallentamento dovuto dal Covid, anche ora si risente della crisi di mercato, nonostante tutto ci sono richieste e la produzione continua. Ci sarebbe la necessità di assumere del personale ma non si trovano figure adeguate a ricoprire il ruolo richiesto, il consiglio che viene dato è quello di fare corsi professionalizzanti che preparino all'utilizzo delle macchine a controllo numerico, esiste la necessità di assumere operai che sappiano usare il tornio a controllo numerico.
Il sig. Michele si augura che i giovani si dimostrino volenterosi, interessati e motivati e abbiamo voglia di fare e crescere professionalmente.
Gabriele è innovation manager in Nexteria e si occupa quindi di tutte quelle innovazioni tecnologiche e di processo che possono essere inserite dai loro committenti nella relazione con i clienti in ambito customer care. Daria invece è psicologa del lavoro e delle organizzazioni e collabora stabilmente con l’azienda nell’ambito delle risorse umane.
Più che un’azienda, Nexteria potrebbe essere definita una “fabbrica di sinapsi”. Nasce nel 2011, un periodo difficile in ragione della crisi economica, in cui, per le aziende che si occupano di customer care, la tentazione di andare fuori dall’Italia era forte. La scommessa è stata quindi quella di aprire un’azienda basata in Italia, nello specifico a Milano, in grado di offrire ai clienti la qualità e la vicinanza come alternativa all’outsourcing a basso costo. Attualmente contano di tre sedi - a Milano, Verona e Roma- ed hanno committenti sia italiani che internazionali di diversi settori, quali quello finanziario, energetico, sanitario e dell’automotive. In questi anni l’azienda è cresciuta molto ed è stata inserita tra le aziende che crescono maggiormente in Italia e in Europa in diverse classifiche pubblicate su Financial Times e Sole24Ore, essendo riuscita a creare un modello italiano virtuoso di creazione di business congiunto, capace di creare valore anche dalla rete e dalle relazioni instaurate tra i diversi committenti.
Il poter offrire una continuità nel tempo nella relazione professionale con i clienti è uno dei valori di Nexteria, che per questo investe nelle risorse umane con dei percorsi di crescita che vanno dalla possibilità di tirocini per chi si affaccia sul mondo del lavoro alla stabilizzazione a tempo indeterminato per quanti hanno invece maggiore esperienza. E’ quindi un’azienda fatta a misura di persona, che considera il numero di nascite tra i collaboratori come un KPI – un indicatore di performance- fondamentale. Ad oggi sono sessanta i nuovi nati in azienda, dato di cui Nexteria va molto fiera perché riflette la dimensione umana dell’azienda che è interamente di proprietà di soci fondatori e non di fondi, diversamente da altre.
L’azienda si è sempre trovata nel quartiere Vigentino, anche se nel 2022 si è trasferita in una nuova sede in prossimità del complesso residenziale di 5Square. Si sono quindi stabiliti qui, apprezzando le aree verdi di cui il quartiere è ricco, trovandosi al limitare del Parco Agricolo Sud, così come il tessuto sociale tipico del piccolo paese, in cui ci si conosce ed è possibile creare delle relazioni. E’ quindi un posto che è rimasto vivibile e che si rivaluterà nei prossimi anni, con grandi investimenti dovuti alle Olimpiadi del 2026. Un quartiere nel pieno di un percorso di cambiamento in cui l’azienda vuole essere presente, inserendosi in progetti di rigenerazione urbana e continuando il lavoro già intrapreso di tessitura di relazioni con gli enti locali, quali il Municipio 5, e con le associazioni di quartiere. A tal proposito, Nexteria ha recentemente sponsorizzato la festa delle associazioni del Municipio 5 che si è tenuta in Ottobre al Parco Chiesa Rossa e che ha visto la partecipazione di moltissimi enti del terzo settore. In tale occasione l’azienda ha anche aperto le proprie porte alla cittadinanza, ospitando un evento nella sua biblioteca al pian terreno. Nexteria ha inoltre avviato una collaborazione con la Rete Lavoro del Municipio 5 oltre che con le scuole del territorio, al fine di farsi promotrice di percorsi formativi e di orientamento professionale aprendosi ancor di più al territorio.
Rispetto alle esigenze del quartiere, l’impressione è che manchino dei presidi di socialità e dei luoghi di aggregazione, problematica comune ad altri quartieri della città. E’ stato inoltre segnalato un impoverimento del tessuto delle attività commerciali e artigianali dovuto alla difficoltà di questi ultimi a sopravvivere. Rimane poi un problema maggiore di viabilità e di mobilità che rende il quartiere ancora oggi meno accessibile di altri. Trattandosi di un quartiere dalla memoria storica -essendo stato un borgo indipendente da Milano fino a cento anni fa- ma in forte espansione edilizia, l’auspicio è che non diventi un quartiere dormitorio ma che sia invece un luogo in cui si vive e si lavora, un posto ricco di servizi, dove abitanti e tessuto produttivo vivono in osmosi, un luogo ibrido dove realtà aziendali e sociali sono in costante dialogo … tematiche che sono oggi alla base della scommessa di una città come Milano che deve poter essere a misura di tutti.
L’associazione Puecher prende il nome da Giancarlo Puecher, personaggio legato alla storia della resistenza in Italia. La famiglia Puecher era una famiglia milanese poi sfollata a Lambrugo quando la loro palazzina milanese di Via Broletto è stata colpita dai bombardamenti americani. Il padre di Giancarlo era di origine triestina, un territorio che all’epoca faceva parte dell’Impero Asburgico, ed è morto di stenti al campo di concentramento di Mauthausen dopo essere stato arrestato per futili motivi. Giancarlo aveva vent’anni quando ha creato il gruppo della resistenza di Ponte Lambro, con cui si riuniva in parrocchia con il favore del parroco, arrestato anch’egli e poi liberato grazie all’intercessione dell’Arcivescovo Schuster. Quello di Ponte Lambro è stato il primo gruppo organizzato di giovani della resistenza, a cui Puecher ha dato un grande contributo. Per questo motivo si è procurato l’inimicizia del capo fascista della Provincia di Como e, dopo un processo farsa, il giovane Puecher è stato immediatamente fucilato. Lo stesso processo che segnò la sua morte venne poi annullato dal Ministro della Giustizia della Repubblica Sociale Italiana Piero Pisenti, per cui i compagni di Puecher vennero liberati.
L’associazione Puecher ha oltre sessant’anni ed è stata fondata da persone molto note a Milano, come l’avvocato Luigi Meda. Nel 2008 si è poi rinnovata con un cambio nella direzione. Giuseppe è oggi il presidente dell’associazione ed è stato per oltre trent’anni insegnante al Centro Puecher di Via Dini: il primo centro scolastico onnicomprensivo d’Italia, munito di teatro e di un palazzetto dello sport. Con i suoi studenti si è interessato al personaggio di Puecher a cui era dedicato l’edificio scolastico ed ha poi partecipato con gli alunni ad un concorso indetto dalla Regione Lombardia sul tema della resistenza, vincendo il primo premio. Giuseppe ha poi continuato ad approfondire gli studi su Puecher, pubblicando la terza delle biografie esistenti su Puecher nel 2013.
Andrea invece è il vicepresidente dell’associazione ed ha anch’egli contribuito al suo rilancio degli ultimi anni. A Puecher è legato anche da motivi personali: sua moglie infatti, che non c’è più da diversi anni, è l’architetto che ha progettato l’edificio scolastico di via Dini. Recentemente è andato in pensione ed ha trovato così il tempo da dedicare alle attività culturali della sua zona, il Municipio 5, organizzando presentazioni di libri ed attività cultuali a tema scientifico: grazie a lui, la cultura scientifica ha trovato casa presso l’associazione Puecher. A tal proposito Andrea sottolinea l’importanza della divulgazione scientifica in quanto, diversamente da quanto si pensi, il sapere scientifico è per tutti e quindi non prerogativa esclusiva degli specialisti. A Dicembre Andrea presenterà il suo ultimo libro, intitolato “Matematica per poeti” , in cui dimostra come vi sia molta poesia nella matematica così come vi è molta matematica nella poesia. La presentazione avverrà alla Biblioteca di Chiesa Rossa, dove i “giovedì del Puecher” sono diventati un appuntamento fisso che attrae persone da tutta Milano e provincia.
Rispetto al luogo in cui ci troviamo, raccontano che è stato per tempo abbandonato e che, nelle discussioni sul cosa farne, si fosse pensato di farne un parcheggio sotterraneo. Un comitato di cittadini si è quindi costituito ed ha fatto pressione affinché il luogo fosse restituito alla cittadinanza come lo è oggi, con una biblioteca pubblica, un’area giochi, un bar, un porticato dove organizzare eventi e dove si è recentemente tenuta la festa delle associazioni. In questo luogo c’è anche un monumento ai caduti della resistenza della zona ed effettivamente ci troviamo alle porte del quartiere Stadera, un quartiere popolare creato in epoca fascista dove le resistenza ha avuto però uno sviluppo enorme, tant’è vero che si tratta di uno dei quartieri di Milano con il più alto indice di caduti. L’associazione ha avuto modo negli anni di raccogliere le testimonianze di ex operai ed impiegati che hanno rischiato la loro vita per opporsi al fascismo, storie che altrimenti sarebbero svanite con la scomparsa dei testimoni viventi: “la storia – dicono - dovrebbe essere scritta dal basso, partendo dalle storie delle persone invece che da quelle di generali ed imperatori”.
In questo quartiere ogni anno, per il 25 aprile, viene organizzata una manifestazione partecipatissima, a cui recentemente partecipano sempre più famiglie straniere. Si tratta infatti di un quartiere molto variegato e popolato da diverse comunità, che l’associazione ha voluto coinvolgere con il progetto “la resistenza degli altri”, in cui chiedono ai cittadini stranieri di raccontare la storia della resistenza del loro paese di origine.
Quando chiediamo di salutarci con il loro auspicio per il futuro, Giuseppe ed Andrea ci dicono con orgoglio che questo è un quartiere molto vivace, ricco di associazioni e di iniziative cittadine … difficile quindi desiderare di più! L’augurio riguarda quindi il valore della resistenza, affinché venga fatto proprio anche dalle nuove generazioni in quanto pilastro della vita repubblicana, senza di cui il rischio di sconfinare in valori opposti è molto elevato. Il desiderio è inoltre che la cultura sia sempre più partecipazione e inclusione.
Laura è la responsabile della Biblioteca Chiesa Rossa dal 2016. La biblioteca, sita all’interno del Parco di Chiesa Rossa, fa parte di un complesso monumentale, comprendente un’antica cascina del 1600, un portico con abbeveratoio utilizzato attualmente come spazio eventi ed il complesso di Santa Maria alla Fonte, una chiesa antica ora abitata dai Frati Cappuccini che durante un recente restauro ha svelato dei reperti di epoca romana. Questo sito ha versato in uno stato di degrado ed abbandono fino agli anni novanta, quando un comitato di cittadini molto attivo ha insistito fortemente con le autorità pubbliche perché questo luogo fosse restituito alla cittadinanza ed ospitasse una biblioteca, inaugurata poi nel 2004. Questa biblioteca è quindi stata fortemente voluta dai cittadini e per questo è da sempre molto partecipata, dai cittadini e dalle associazioni locali, che qui hanno la possibilità di organizzare eventi, come il Centro Comunitario Puecher che organizza presentazioni di libri ed incontri culturali.
In ragione della sua ubicazione all’interno di un parco, la Biblioteca Chiesa Rossa ha caratteristiche stagionali, per cui tra aprile e ottobre si intensificano gli eventi all’aperto, comprensivi di festival che coinvolgono tutte le aree del parco, mentre in inverno è molto attivo lo spazio centrale della biblioteca adibito agli eventi e che è fruibile in orari diurni come serali, così come nei weekend su richiesta. Tra gli eventi di maggior rilievo, Laura menziona la festa delle associazioni, la festa dello sport e la festa delle abilità, a cui partecipano artisti con diverse abilità e che sottende l’idea che tutti abbiamo dei limiti che l’arte ci permette di valorizzare. La biblioteca fa anche parte della rete QuBì, che si occupa di contrasto alla dispersione scolastica, con la quale ha organizzato delle distribuzioni di libri in periodo Covid. Infatti, grazie alle distribuzione dei pacchi alimentari, è stato possibile raggiungere delle fasce di popolazione che frequentano poco la biblioteca, aggiungendo ai pacchi alimentari dei libri nuovi per bambini a seconda delle fasce d’età. Con la Cooperativa Zero5 la biblioteca ha inoltre organizzato delle distribuzioni di libri nei cortili delle case, per poi portare le famiglie in biblioteca con le feste di QuBì che ogni volta vedono la partecipazione di circa duecento persone. Attualmente la biblioteca ha attivo un altro progetto con la rete QuBì per la valorizzazione dell’area giochi interna al parco, area che è accessibile ai bambini con disabilità. A tal proposito, la biblioteca si sta specializzando nell’area dell’inclusività, anche con dei libri specifici per bambini con diverse abilità.
Oltre all’area eventi e all’area studio, la biblioteca ha allestito al suo interno uno spazio morbido, libero e accessibile, per genitori con bambini 0-18 mesi, promuovendo anche delle letture per bambini grazie alla collaborazione con la Cooperativa La Dea. Si tratta di un’iniziativa che hanno portato anche nei consultori e nei nidi e che ha avuto un riscontro importantissimo, in quanto la maternità porta spesso con sé una grande solitudine per le mamme, che hanno bisogno di luoghi di confronto libero con altre mamme. Assieme ad alcune scuole della zona ed al Centro Comunitario Puecher, la biblioteca si è fatta promotrice del progetto della Biblioteca dei Giusti, che vorrebbe creare un presidio fisico in memoria dei giusti anche nell’area Sud di Milano, oltre al giardino dei giusti già esistente situato in Zona Otto. Hanno quindi promosso delle attività nelle scuole in cui i ragazzi hanno modo di riflettere e discutere su cosa sia giusto, producendo degli elaborati visivi e letterari. La biblioteca aveva anche allestito nei suoi spazi esterni un giardino dei giusti con dei pannelli creati da una giovane grafica che però sono stati smantellati con un atto vandalico. Negli spazi esterni come anche nell’area studio sono anche presenti dei murales, prodotti di un progetto di arte partecipata che ha coinvolto diverse fasce d’età: dai bambini, ai giovani, agli adulti, e persone con diverse abilità, tra cui dei pannelli multisensoriali in braille. Vi è anche un’insegna al neon che recita “giorno dopo giorno”, ad indicare che la cultura si costruisce giorno dopo giorno con la partecipazione di tutti. Il neon rimanda invece a quella fragilità di cui sta a tutti noi prenderci cura.
A tal proposito Laura ci piega la sua idea di biblioteca pubblica, che deve essere di tutti e per tutti: un luogo in cui ognuno possa trovare degli strumenti di conoscenza e informazione accessibili e che deve riflettere le esigenze del territorio, proponendo del materiale anche per le comunità straniere laddove presenti. In quest’ottica inclusiva della cultura, la biblioteca ha attualmente attivi quattro gruppi di lettura corrispondenti a diversi livelli. Nell’esperienza di Laura la biblioteca, in quanto presidio culturale accessibile, è in grado di cambiare la qualità del territorio, con un forte impatto di prevenzione anche di quelle malattie psicologiche che possono nascere o aggravarsi da profondi stati di solitudine. Questo in quanto la biblioteca, diversamente da altri sportelli in cui vi è una barriera all’ingresso, è un luogo aperto e di libero accesso, in cui è possibile scambiare due parole con i bibliotecari oppure leggere in autonomia, e non necessita quindi di dover arrivare con un bisogno precostituito. La biblioteca è inoltre un luogo di integrazione di famiglie straniere e con fragilità, che crea comunità e che rappresenta un presidio di sicurezza, essendo illuminata anche la notte e spesso aperta in orari serali. Laura ci racconta che per molti stranieri la tessera della biblioteca è motivo di orgoglio, in quanto per loro è un simbolo che li riconosce a pieno titolo come facenti parte di quella comunità.
Ci vorrebbe quindi una biblioteca in ogni quartiere della città e a tal proposito molte iniziative dal basso sono nate in quei quartieri dove non c’è una biblioteca, come le biblioteche condominiali dove si svolgono delle iniziative di bookcrossing e di prestito libri per cui il sistema bibliotecario fornisce delle consulenze gratuite su come organizzare i libri. Per il futuro l’auspicio è che le biblioteche riescano a mantenersi come un presidio sociale, grazie al sempre maggior coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni come parte attiva della biblioteca. Senza il contributo attivo della cittadinanza infatti, la biblioteca riuscirebbe solo a garantire un servizio base di prestito libri, motivo per cui coprogettare con i cittadini e con la rete di realtà del territorio è quanto permette alle biblioteche di mantenere quel ruolo sociale fondamentale che ancora oggi hanno.
Francesca ed Erica lavorano per la Cooperativa Zero5. Francesca è educatrice professionale di formazione ed è oggi responsabile della comunicazione e coordinatrice delle équipes operative, Erica invece è teatro terapeuta e lavora per la cooperativa come progettista e amministratrice dei progetti per adolescenti e pre-adolescenti. Al momento dell’intervista ci troviamo al “Nebula Space”, uno spazio che si trova all’interno della scuola media Toscanini e a cui la cooperativa ha ridato vita grazie al progetto Teencity. Lo spazio funge da centro contro la dispersione scolastica, con progetti per ragazzi e famiglie di accompagnamento allo studio, laboratori e percorsi con i genitori. In particolare, il centro è frequentato da un gruppo di ragazzi delle medie e un gruppo di adolescenti tra i quattordici e i vent’anni che sono accompagnati in un percorso di autonomia.
La cooperativa nasce e cresce nel Municipio 5, tra Chiesa Rossa e Gratosoglio, anche se in questi anni ha saputo tessere una rete di nuove relazioni anche nel quartiere Vigentino. A tal proposito, il Vigentino è un quartiere ricco in cui però si fatica a mettersi in rete e costruire collaborazioni di amplio respiro e strutturali. Vi è poi, come negli altri quartieri a Milano, il tema della sicurezza nelle strade legata alla questione di genere e la mancanza di spazi liberi dagli adulti, ma protetti, dove i giovani possano relazionarsi in sicurezza. Rispetto all’importanza di una riappropriazione, da parte dei ragazzi, di spazi liberi e destrutturati, in cui quindi non serve necessariamente fare o attivare qualcosa, essa risiede nel restituire ai ragazzi la capacità di immaginare partendo dai loro desideri, obiettivi e bisogni e nel dare loro la possibilità di esprimerli, muovendo con processi partecipati che partono da azioni di ascolto per realizzare ciò che loro stessi hanno immaginato. A tal proposito lo spazio condiviso di 5Square, che è amplio e protetto, potrebbe essere un luogo di iniziative per i ragazzi, con attività leggere e non di presa in carico, uno spazio di autonomia per gruppi di cittadini, tra cui i giovani, in quanto la sfida è oggi quella di accompagnarli all’autonomia e all’autogestione con l’appropriazione degli spazi in contesti e situazioni protette.
Rispetto al tema della riqualificazione delle periferie anche con iniziative culturali, si tratta di un tema molto discusso a Milano. Se infatti sono da accogliere favorevolmente iniziative volte a contrastare le marginalità e restituire ai cittadini, rendendoli fruibili, degli spazi pubblici, dall’altro la gentrificazione, con il conseguente aumento dei prezzi, sposta le popolazioni più fragili ancora più in periferia. Zero5 ha lavorato a dei progetti di riqualificazione, come quello al parco di Via Coari, che è partito da un lavoro fatto con i ragazzi che li ha portati ad identificare il parco come luogo di aggregazione ma lasciato all’incuria, da cui il desiderio di spendersi in un piccolo intervento di rigenerazione urbana alla loro portata, con la creazione di una galleria di sportivi ritratti sulle pareti dei terrapieni come riconoscimento del valore sociale dello sport. In questo, il progetto è stato in grado di restituire ai ragazzi la visione della possibilità, dando loro il potere di fare la differenza, incidendo sulla partecipazione, sul senso civico e sulla responsabilità che hanno in quanto cittadini.
Per il futuro, l’auspicio è quello di vedere costituirsi nel Vigentino una rete di associazioni che riesca ad essere incisiva, riunendosi anche attorno a momenti informali di divertimento, come delle cene sociali, per ritrovare la dimensione di convivenza e comunità. Rispetto a quest’ultima, l’immagine che ci lasciano è quella di una tavolata di cinquanta metri al parco con ragazzi e famiglie, associazioni e commercianti.
Jimmy ha ventisei anni e quando lo intervistiamo è arrivato a 5 Square da appena una settimana. Si definisce un “nomade obbligato”, perché nell’arco della sua vita ha dovuto cambiare diverse volte città: nato a Firenze, ha poi vissuto tra Prato, Milano e Poggio Rusco.
La sua grande passione sono la natura e gli animali: sua mamma dice che l’amore per gli animali è nato quando da piccolo ha fatto amicizia con un cagnolino, anche se Jimmy ricorda di essere poi stato morso da un altro cane e di come questo gli abbia causato un piccolo trauma. Lamenta che a Prato c’era più verde, anche se vicino a dove abita c’è il Parco della Vettabbia, dove è stato con la sua educatrice. Piacendogli passeggiare all’aria aperta, vorrebbe scoprire le aree verdi di cui il quartiere è ricco. A Jimmy piacciono anche i giochi di squadra, come la pallavolo, palla prigioniera e palla avvelenata. Ad esempio, questa estate in spiaggia passava volentieri il tempo a guardare i ragazzi giocare a beach volley.
Pur essendo arrivato da poco, Jimmy ha molte aspettative rispetto all’abitare collaborativo promosso nell’Housing. Il giorno dopo il suo arrivo ha partecipato ad una grande cena tra condomini e vorrebbe partecipare anche alle prossime attività. Per lui una comunità è un posto dove persone diverse hanno la possibilità di conoscersi e fare amicizia e, pensando a quale potrebbe essere il suo personale contributo alla comunità, pensa a delle attività rivolte ai bambini per incuriosirli rispetto alla natura, in quanto i bambini sono gli adulti del futuro, coloro che dovranno avere cura della natura e proteggerla. Jimmy fa comunque già educazione ambientale “a modo suo”: ogni tanto gli capita infatti di fermarsi a parlare con le persone sul bus o per strada per sensibilizzarle su temi ambientali. Il suo sogno sarebbe quello di poter viaggiare e visitare dei posti naturali. Rispetto al quartiere, gli va bene così com’è, magari vorrebbe un po’ più di allegria e, perché no, qualche cinese in più!
Jimmy racconta di aver fatto esperienza in una comunità prima del Covid, in un percorso di autonomia in cui dice di aver imparato molte cose. Tornare a vivere a casa ha però significato per lui tornare indietro, o “essere rispedito a zero”. Adesso ha la possibilità di fare un percorso più lungo, della durata di tre anni, in cui spera di poter imparare più cose e di avere il tempo di assimilarle. Sta anche seguendo un percorso di orientamento al lavoro per giovani come lui, ancora un po’ indecisi. Sta quindi “trovando un modo per iniziare a piccoli passi, a modo suo”. Spera comunque di riuscire ad avviare un percorso nell’ambito che lo appassiona, quello della natura: sa che è difficile ma ci vuole comunque provare. “La vita è una sola, non lasciamoci delusioni alle spalle”.
Michela è educatrice di professione e mamma di una bambina di dieci anni. Due anni fa circa ha fondato Milano Sospesa, assieme a Cristina e ad altri volontari. Si sono conosciuti per caso ad una raccolta beni per gli sfollati del palazzo bruciato in Via Antonini e per due mesi hanno assistito le trenta famiglie sfollate con l’allestimento di un charity shop in cui sono confluite moltissime donazioni. Si sono quindi spostati nella parrocchia di Santa Maria Liberatrice, dove hanno organizzato la distribuzione di alimenti alle famiglie e sono poi rimasti lì in quanto nel tempo sono diventati il punto di riferimento per moltissime famiglie del quartiere e non solo. Quando poi è scoppiata la guerra in Ucraina hanno organizzato moltissimi punti di raccolta e, nel Marzo 2022, sono stati i primi ad entrare in Ucraina con diciassette mezzi e sono poi diventati i capofila di diverse “odissee per la pace” in cui organizzavano dei viaggi in Ucraina assieme ad altri gruppi, cosa che continuano a fare tutt’ora.
In questi due anni la voce si è sparsa a macchia d’olio e l’associazione ha avuto moltissimo seguito sui social. Oltre a costituire un riferimento per moltissime famiglie, tra cui molte che vengono fin da fuori Milano, hanno costruito una rete con moltissime associazioni che anche si rivolgono a loro quando necessitano del materiale. Raccolgono principalmente materiale usato ma in buono stato, allungando la vita di cose che altrimenti andrebbero buttate, e raccolgono anche materiale nuovo da aziende che fanno donazioni. Ad esempio in ottobre hanno distribuito oltre duecento kit per la scuola e, dato l’aumento dei prezzi del materiale scolastico, vi era moltissima gente in coda. Li chiamano “i miracoli di Milano Sospesa”, in quanto grazie al passaparola riescono sempre a soddisfare le richieste: ad esempio, nell’ultimo appello sui social per raccogliere dei pannolini, in un’ora sono arrivate oltre venti offerte! Per una migliore organizzazione, chiedono di essere contattati prima su Facebook o Whats App, in modo da organizzare i matching tra domanda e offerta e non far venire le persone a vuoto. Quello che fanno è comunque la prova che c’è moltissima solidarietà e, a tal proposito, una comunità dovrebbe essere per loro innanzitutto solidale, accogliente e aperta.
Cristina è nata nel Vigentino e ci racconta dei suoi primi ricordi del quartiere: negli anni novanta loro ragazzi avevano la compagnia e ci si trovava davanti all’oratorio, che era un punto d’incontro. C’erano ancora dei capannoni industriali che poi sono stati convertiti o demoliti. Oggi andrebbe soprattutto migliorata la viabilità di via Ripamonti e rafforzato il servizio dei mezzi pubblici. Rispetto a 5Square, ritengono che non sia ancora molto conosciuto nelle zone limitrofe, nonostante gli ampli spazi si presterebbero a molte attività, come delle piccole feste, una portineria solidale oppure delle iniziative di raccolta e distribuzione. L’auspicio per il futuro è quello di riuscire a raggiungere ancora più persone nella loro attività e di diventare un punto di riferimento della Milano solidale.
Antonella è vicedirettrice del Teatro PimOff e si occupa della programmazione artistica del teatro. Il PimOff non è solo un teatro che offre spettacoli di danza e teatro, ma si potrebbe definire un incubatore dove si sviluppano progetti artistici durante tutto l’arco dell’anno. E’ infatti stato fondato da Maria Pietroleonardo con l’intento di dare una casa agli artisti, uno spazio dove poter creare e sperimentare senza la necessità di andare immediatamente in scena e negli anni ha ospitato moltissime produzioni nella loro fase iniziale. Per gli operatori del settore, disporre di un luogo per le residenze artistiche è fondamentale e PimOff offre quindi la possibilità di usufruire di un periodo di residenza con uso della sala teatrale e della sua strumentazione, oltre ad un supporto economico, organizzativo e promozionale. Per accedere, è necessario partecipare al bando “Citofonare PimOff” sul loro sito. Il nome del bando è stato ispirato dal fatto che il teatro si trova in una ex cartiera situata all’interno di un condominio, per cui per accedere al teatro è effettivamente necessario citofonare!
Il teatro predilige la drammaturgia contemporanea ed ospita diversi linguaggi, che vanno dalla prosa alla danza ed alle arti visive. Al suo interno ospita anche una collezione privata di opere d’arte provenienti da tutto il mondo. Il teatro aderisce inoltre ad una serie di iniziative come la “Dance Card”, volta a promuovere la danza contemporanea, ed un progetto di affido culturale promosso dall’associazione Mitades, che permette alle famiglie più svantaggiate di usufruire gratuitamente del teatro.
Il PimOff si trova tra il quartiere residenziale di Milano Terrazze e quello più popolare di Gratosoglio, oltre ad essere a ridosso del Parco Agricolo Sud. Il quartiere Gratosoglio si è sviluppato negli anni settanta accogliendo molte famiglie dal sud Italia ed ha recentemente conosciuto un’ondata migratoria di famiglie straniere, mentre Terrazze è un quartiere sorto negli anni ottanta ed è più residenziale. Questi quartieri sono separati dalla lunghissima Via dei Missaglia, solcata dalla linea tramviaria del quindici che porta fino in centro. A mancare è una vera integrazione tra queste due comunità, queste due anime del quartiere. Loro han provato a coinvolgere le famiglie con dei progetti mirati, come quello rivolto alle centottanta nuove famiglie di Via Selvanesco 77. Hanno anche avviato dei progetti nelle scuole, con percorsi di avvicinamento allo spettacolo come quello promosso all’interno di “Milano è viva”, che ha coinvolto quindici ragazzi della zona che andranno in scena in ottobre. A tal proposito Antonella è convinta che il teatro possa avere un ruolo fondamentale in contesti complessi come quello di Gratosoglio, motivo per cui hanno organizzato delle campagne di sensibilizzazione con lo slogan “cosa me ne faccio del teatro”.
In città come Milano l’offerta culturale si concentra prevalentemente in centro, per cui diventa fondamentale mantenere dei presidi culturali nelle periferie. Per loro rimanere nel loro “off” ha rappresentato una risorsa, in quanto ha consentito di usufruire di spazi ampli pur essendo collegati al centro con i mezzi pubblici. Naturalmente la loro offerta si rivolge a tutta Milano e, essendo diventati una realtà conosciuta, attraggono persone provenienti anche dalle province. L’auspicio per il futuro è quindi quello di instaurare un legame più solido con il quartiere in cui sono situati, in quanto, trattandosi di un quartiere popolare, le persone hanno meno l’abitudine di andare a teatro. Il desiderio è quindi che chi abita in zona venga a conoscerli e partecipi maggiormente alle loro iniziative, sapendo di trovare qui uno spazio aperto che organizza anche degli aperitivi serali a prezzi popolari.
Conosciamo Angelo un venerdì mattina al mercato settimanale di Via dei Guarneri nel Vigentino quando, colte da un acquazzone, ci ripariamo sotto ad un tendone in attesa che spiova. Iniziamo così a chiacchierare con il Signor Angelo, abitante del Vigentino e frequentatore assiduo del mercato, e gli chiediamo se è disponibile a rispondere a qualche domanda sul quartiere.
Angelo abita nel Vigentino dal novantaquattro: si è trasferito qui da Brugherio dopo essersi sposato. A lavoro si occupa di impianti d’aria condizionata, per cui ci spiega che, per deformazione professionale, prima di acquistare casa verifica sempre che ci sia la predisposizione per l’impianto, in quanto non gli piace vedere le canaline esterne.
Lui abita in una strada chiusa, quindi molto tranquilla. In quartiere si è trovato benissimo: lo definisce infatti uno dei quartieri più belli di Milano, con moltissimo verde. Da quando è arrivata la Fondazione Prada il quartiere è poi migliorato moltissimo e si è molto riqualificato. Si rammarica però che il Vigentino abbia perso quella dimensione da piccolo paese che lo aveva caratterizzato in passato: ora si sente infatti maggiormente la presenza della metropoli. Per lui una comunità dovrebbe essere invece più intima, come nei piccoli paesi per l’appunto. Nel tempo libero, otre a frequentare il mercato di venerdì, gli piace vivere gli amici.
Quando gli chiediamo se sia mai stato a 5Square dove lavoriamo, risponde che si era informato per acquistare casa. Iniziative come queste, che offrono case a prezzi calmierati, sono molto importanti soprattutto per i giovani, che han poche possibilità e dovrebbero essere maggiormente aiutati.
Per il futuro si auspica che apra un supermercato che manca nel quartiere, per cui loro sono costretti a spostarsi all’inizio di via Ripamonti.
Stefano ha iniziato la sua attività da giornalista come volontario per il giornale “Milano Sud”, verso la fine degli anni novanta. Quando poi il direttore ha lasciato il giornale una decina di anni fa, lui ne ha preso la direzione, avviando una collaborazione con un altro giornale del territorio, “La Conca”. I due giornali si sono poi uniti dando vita a “Il Sud Milano”, che nasce lo scorso aprile edito dalla cooperativa di giornalisti “Free media”. Il giornale ha una edizione online ed una cartacea, stampata mensilmente in tredicimila copie e distribuita nell’area sud di Milano, coprendo un vasto territorio che va da Lorenteggio a Porta Romana.
Oltre ad essere animato dalla passione per il suo lavoro (come a noi a Stefano piace infatti raccontare storie), da giornalista è anche consapevole del ruolo importante che i giornali locali come il suo svolgono nelle zone periferiche della città, restituendo loro importanza e contribuendo così allo sviluppo di un’identità e di una appropriazione di quei luoghi da parte degli abitanti. “Il Sud Milano” dà infatti voce a quelle storie di cui difficilmente le grandi testate si occupano, oltre a dar spazio alle iniziative locali ed all’attività delle tante associazioni di quartiere. Quest’anno ad esempio, in occasione della ricorrenza dei cento anni dall’annessione dei borghi milanesi e dei centocinquanta anni dall’annessione dei Corpi Santi, il giornale sta raccontando cosa resta degli antichi borghi milanesi, affinché, attraverso la consapevolezza di un’identità, si sviluppi una maggiore attenzione e cura del territorio.
Stefano è arrivato a Gratosoglio una quindicina di anni fa e come prima impressione è rimasto colpito dalle tante case popolari, alcune delle quali un po’ trasandate. Quando poi ha conosciuto meglio il quartiere, è rimasto colpito anche dalla ricchezza della proposta associativa e dalla voglia di partecipare e di prendersi cura del territorio di una parte di abitanti, seppur minoritaria. Vi sono inoltre ampli spazi verdi, trovandosi al limitare del Parco Agricolo Sud, diversi teatri e associazione culturali presenti in zona, anche se persistono dei problemi oggettivi di cui le associazioni non possono farsi carico e che richiederebbero un maggior coinvolgimento delle istituzioni, come ad esempio la gestione delle case popolari. Come esempio della vivacità del territorio, Stefano menziona la Festa delle Associazioni che si è tenuta nel mese corrente di Ottobre al Parco di Chiesa Rossa e ha rappresentato un bel momento di partecipazione ed aggregazione. Queste iniziative e l’entusiasmo che generano sono una prova di come la qualità della vita sia anche legata alla misura in cui i cittadini vivono e si appropriano del territorio.
Per il futuro del quartiere Stefano auspica che vengano realizzati interventi di cui si parla da anni, come la riapertura del Teatro Ringhiera e del Centro Sportivo Carraro, oltre alla riqualificazione delle fabbriche dismesse e delle cascine abbandonate. Rispetto al giornale invece, il desiderio è che aumenti ancora di più la penetrazione nel territorio e la capacità di raccontarlo, coinvolgendo sempre più persone nella redazione. A questo proposito sta facendo ben sperare un laboratorio di giornalismo recentemente avviato grazie al sostegno di Fondazione Cariplo che sta coinvolgendo molte persone interessate ad impegnarsi nel racconto del territorio.
Luca Maiocchi è il responsabile dell’Associazione Alveare dal 2012. Alveare è una realtà no-profit nata dal consiglio pastorale della Parrocchia in risposta alla crisi economica di quegli anni che ha colpito soprattutto le famiglie mono reddito. I bisogni principali con cui si interfaccia l’associazione sono quindi di carattere economico ma senza ridursi ad un’azione assistenziale: l’idea diventa infatti di offrire nuove occasioni di espressione e di sostentamento per gli abitanti più in difficoltà attraverso un progetto di baratto sociale. Un discreto compenso economico in cambio della cura verso il quartiere. Alveare perché l’idea è che ciascuno con il proprio contributo possa prendersi cura della comunità a cui appartiene.
Il progetto si è avviato e continua anche oggi con, ad esempio, la pulizia dei marciapiedi e delle strade del quartiere Stadera, storicamente svantaggiato e progressivamente trascurato, confessa Luca – nato e cresciuto in questa zona. Dedicarsi a queste attività di manutenzione, in un periodo di profonda crisi, è diventata per le persone un’occasione per sentirsi utili, riconosciuti e partecipi della vita comunitaria. L’ impegno civico viene inteso quindi come strumento di coesione sociale, di valorizzazione della dignità personale e della fiducia in sé stessi. Il lavoro non ha solo una finalità economica ma è un mezzo con cui riappropriarsi della propria autodeterminazione e della propria autostima.
L’arma vincente del quartiere, spiega Luca, è la tendenza a fare rete e sostenersi: se Alveare è <<l’ospedale da campo>> , altre realtà più strutturate (come SIR e L’impronta) si occupano di percorsi più articolati e integrati. La funzione di Alveare è di offrire ascolto e ospitalità, in un momento storico in cui le persone hanno bisogno di raccontarsi. Il dialogo e la cura dell’altro hanno bisogno di tempo e dedizione, racconta Luca.
Il Centro Parrocchiale è da sempre un punto di riferimento per il quartiere. Altre realtà, come il Centro Milano Donna in Via Savoia e il Consorzio SIR, sono fortemente inseriti nel contesto anche se legati soprattutto al servizio e al progetto immediato. Grazie al lavoro di rete, comunque, è possibile abbracciare tutti gli aspetti della vita della persona.
Il senso di comunità per Alveare è radicato nella sua origine religiosa pastorale; comunità è condivisione, fiducia, reciprocità, solidarietà
Per il futuro Luca si augura un radicale cambiamento di cultura trasversale nel quartiere, dove il bene comune venga prima del singolo bisogno personale. Desidera maggiore dialogo e collaborazione ma, soprattutto, che si impari a guardare alla bellezza sapendo che siamo tutti legati.
L’Istituto Comprensivo Statale Fabio Filzi si compone di tre plessi: una scuola primaria ed una scuola secondaria di primo grado nel quartiere Vigentino ed una scuola primaria nel quartiere Corvetto. Il fatto di trovarsi in due quartieri differenti non ha rappresentato un limite, ma è stata anzi occasione per i docenti di confrontarsi con realtà aventi bisogni differenti e sviluppare delle progettualità che stimolassero una maggiore unità delle due comunità scolastiche.
Un esempio è il progetto del sentiero della biodiversità, un percorso nella natura che dovrebbe unire i tre plessi dell’istituto attraverso il Parco della Vettabbia. L’idea del sentiero, come anche quella della riqualificazione del parco adiacente al plesso di Via Ravenna, è partita dai bambini e gli adulti e le istituzioni si sono poi impegnati a dar seguito ai loro desideri con la firma di un patto. Queste iniziative sono state un modo di mettere i bambini al centro, considerandoli dei cittadini attivi a tutti gli effetti.
Claudia è dirigente dell’istituto da cinque anni ed è arrivata nell’anno della pandemia. In questi anni la scuola, che aveva già avviate una serie di collaborazioni con i municipi e le associazioni, si è ulteriormente strutturata, identificando degli ambiti di progettualità aventi delle finalità precise ed intensificando le collaborazioni con le associazioni dei quartieri Corvetto e Vigentino al fine di poter offrire delle attività extrascolastiche, come corsi di sport e teatro. L’apertura della scuola al territorio, l’impegno a valorizzare il quartiere e a stimolare una cittadinanza responsabile è quindi parte integrante della mission dell’istituto.
E’ importante che la scuola rappresenti un riferimento culturale, un presidio di legalità nel quartiere, in quanto i bambini che frequentano l‘istituto devono, attraverso di loro, acquisire fiducia nelle istituzioni così come la speranza nella possibilità di miglioramento del loro contesto sociale di appartenenza. A tal proposito le periferie delle grandi città sono realtà complesse, trattandosi di quartieri in continua trasformazione, con differenze culturali e sociali tra le famiglie e bisogni formativi differenti, a cui la scuola deve saper rispondere, ad esempio, garantendo un sostegno a quei bambini che necessitano di un supporto particolare.
L’auspicio è che la scuola continui a migliorare la propria offerta formativa, grazie alla formazione continua di docenti sempre più preparati e capaci di rispondere alle trasformazioni della società, e che sia davvero inclusiva, realizzando l’articolo 3 della costituzione che conferisce alle istituzioni il compito di rimuovere gli ostacoli, di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Danilo è professore associato di economia agraria all’Università degli Studi di Milano. Nato e vissuto in Vigentino, ha avuto la fortuna di crescere in un quartiere circondato dalla campagna. Ricorda infatti di quando andava con sua nonna a vedere le cascine e le tante stalle che ancora c’erano in quartiere e pensa che sia nata così la passione che l’ha poi portato a specializzarsi in economia agraria. Ha avuto quindi la fortuna di conoscere l’agricoltura a Milano, che, diversamente da quanto si pensi, è una città agricola con migliaia di ettari coltivati e moltissime aziende funzionanti ancora oggi e convertite all’agricoltura multifunzionale.
Il padre faceva il negoziante in Via Ripamonti, che allora era un’arteria commerciale vivissima e animata da sagre molto partecipate come quella del tartufo. Spesso passavano in negozio degli anziani a lamentarsi che, al momento del rinnovo della carta d’identità in comune, avevano dovuto indicare di essere nati a Milano, mentre loro erano orgogliosamente nati a Vigentino, che all’epoca faceva comune a sé. Da questa sua capacità di osservazione è nata la seconda passione di Danilo: quella dello studio della storia e del territorio. Per anni infatti Danilo ha cercato di ricostruire la storia del suo quartiere, il Vigentino, portando avanti campagne di divulgazione nelle scuole, nelle parrocchie e nei CAM, con immagini e documenti del quartiere. Quando poi recentemente è stata costituita l’associazione degli Antichi Borghi Milanesi, lui è entrato in qualità di “storico dilettante”, curando alcune iniziative per la commemorazione del centenario di quei comuni autonomi che, come il Vigentino, nel 1923 furono inglobati nel comune di Milano diventando “periferie”. Questa commemorazione vuole essere però innanzitutto un rilancio per il futuro: è dal recupero della nostra identità e dalla conoscenza della storia di un luogo che ne nasce quell’affezione che ci porterà a voler bene a quel posto e valorizzarlo in quanto patrimonio comune.
Chiediamo poi a Danilo di raccontarci qualche elemento saliente della storia del Vigentino, partendo dal suo nome. L’ipotesi più accreditata – ci spiega- è che il nome derivi da “vigenti”, ovvero da un miliare che stesse ad indicare che mancavano venti miglia romane a Pavia, che in epoca medievale era un centro ben più importante di Milano. Il fatto storico più rilevante è poi il passaggio di Federico Barbarossa la notte del tre dicembre del millecentosessantatre, che qui fu implorato dai profughi Milanesi di Porta Ticinese accolti in Vigentino in seguito alla distruzione di Milano da parte del Barbarossa, di poter tornare Milano, cosa che fu loro concessa in cambio del pagamento di una coppa piena d’oro. Rimane poi la leggenda del “Monastero fantasma” di Castellazzo, sito nell’attuale Via Campazzino e luogo di primaria cultura durante l’umanesimo, che scomparve completamente dopo essere stato depredato in seguito alla soppressione dell’ordine dei gerolamini. Dopo essere stato per secoli una zona rurale abitata da soli duemila abitanti, verso la fine dell’Ottocento nel Vigentino si sviluppa la grande industria, fino ad arrivare poi recentemente alla dismissione delle fabbriche negli anni ottanta.
Oggi il quartiere sta vivendo una fase di nuova rivalorizzazione con l’arrivo di grandi marche della moda e con il progetto del villaggio olimpico. Danilo guarda con un po’ di nostalgia alla memoria industriale del quartiere che sta scomparendo, come anche al Vigentino rurale delle stalle di quando era bambino. Del quartiere di oggi apprezza comunque il verde e la vicinanza con la campagna, facilmente raggiungibile in bicicletta. Apprezza anche la dimensione di paese della zona Fatima, con i giardini, le scuole e i negozi di quartiere che si sviluppano attorno alla parrocchia. Gli piace anche il fatto che ci si saluti ancora per strada, cosa di gran valore perché dà il senso di una comunità non ancora caduta nell’anonimato. Vorrebbe tuttavia che il territorio fosse maggiormente valorizzato, con la ristrutturazione delle cascine, lo sviluppo di piste ciclabili e la riqualificazione del Parco della Vettabbia. Se poi da un lato auspica un rafforzamento dei mezzi che colleghino il quartiere al centro, come la metropolitana, dall’altro teme che questo possa accelerare l’urbanizzazione già in corso del quartiere.
Agata è la presidente dell’Associazione Genitori Wolf Ferrari e Toscanini, nata un paio di anni fa con l’obiettivo di promuovere il diritto allo studio e rafforzare il senso comunitario nel quartiere grazie al coinvolgimento delle famiglie. L’associazione nasce dal Comitato Genitori della scuola Fabio Filzi, già molto attivo in quartiere con la compagnia dei Geniattori, una compagnia teatrale di genitori volontari, e l’organizzazione delle biciclettate di fine anno che coinvolgevano fino a mille persone.
L’associazione genitori è stata anche molto attiva nel periodo del Covid, con la creazione della WT Card, una carta pensata per le famiglie della scuola a cui hanno aderito oltre ottanta esercenti del quartiere, offrendo sconti fino al 10%. Nel periodo pandemico, in cui gli acquisti online hanno avuto un’impennata e di grande difficoltà economica per le famiglie, la carta ha avuto il merito di rimettere in contatto gli abitanti con gli esercenti e promuovere il commercio di prossimità.
La principale delle attività dell’associazione rimane però quella di finanziare le quote di solidarietà per garantire il diritto allo studio e al divertimento per i bambini delle famiglie più fragili, ad esempio finanziando una parte delle gite scolastiche che possono essere anche molto dispendiose. Altre attività sono legate alla promozione degli orti scolastici, iniziativa del comune di Milano a cui la scuola ha aderito grazie al sostegno dei nonni di quartiere e a cui loro danno un contributo. Recentemente l’associazione ha introdotto un progetto nella scuola elementare di via Wolf Ferrari che prevede l’introduzione di un corso di lingua inglese con un/a madrelingua, finanziato per l’80% con i fondi raccolti dall’associazione.
Negli anni l’associazione ha instaurato un ottimo rapporto con la classe docente e con la comunità: i due plessi in Vigentino possono infatti contare sulla partecipazione delle mille famiglie dei ragazzi e questo rappresenta da sempre la loro forza. La massima espressione di questa partecipazione è rappresentata dalla festa di fine anno, in cui i genitori si mettono in gioco con l’organizzazione di attività e laboratori : dai “papà para rigori” che si mettono a disposizione a parare i rigori dei bambini, al laboratorio di origami tenuto da un papà giapponese designer, al laboratorio di scienza tenuto da una mamma ricercatrice. La lotteria ha inoltre permesso di raccogliere oltre diecimila euro, distribuiti in cento premi da spendere nei commerci di quartiere come i centri estetici, le palestre, etc.
Rispetto alla comunità del Vigentino, è un quartiere che ha ancora delle logiche da paese, con una sua limitazione geografica, costituita dal Parco a Sud e dal ponte delle ferrovia a Nord, ed una sua identità che si è sviluppata molto attorno alla Chiesa della Madonna di Fatima. Molti dei genitori attuali hanno a loro volta frequentato le scuole qui: non sono infatti poche le persone che, nate e cresciute in quartiere, mettono poi su famiglia qui. Molti sono anche gli ex alunni che mantengono un legame con la scuola mettendosi a disposizione per attività di volontariato. Una qualità del quartiere sono poi i moltissimi spazi verdi ed il forte senso civico dei genitori, attenti alla cura degli spazi comuni, così come la presenza di esercenti storici che danno un’identità al quartiere. Per il futuro l’auspicio è una maggiore attenzione alla viabilità ed un rafforzamento del trasporto pubblico: visti i numerosi progetti per il quartiere e le poche vie di collegamento alla circonvallazione, il rischio è che le arterie di scorrimento diventino molto trafficate, come la via Ripamonti. Ci vorrebbe quindi una maggiore attenzione con zone a velocità 30 nei pressi delle scuole, trattandosi di un quartiere con molti bambini e famiglie.
Bianca Reina è la direttrice dei Gruppo di Volontariato Vincenziano, realtà storica del territorio che dispone attualmente di 10 centri di ascolto e di 5 centri di aggregazione giovanile. Nella sede di Via Neera sono ospitati diversi servizi:
Tra sei mesi inizierà il progetto New Varietà nel quartiere Stadera, su ispirazione di un progetto attivato a Baggio. Dal taglio interculturale e intergenerazionale con focus sulle famiglie, il progetto si rivolge agli anziani ma anche a tutte le persone in situazioni di solitudine, emarginazione e fragilità, e si avvale della collaborazione anche di altre realtà del territorio (es. Piccolo Principe e lo Scrigno).
Il Formagiovani, nato nel 2013, è un servizio del Centro Educativo coordinato da Marco Savio da ormai tre anni. Marco racconta come il servizio all’inizio si occupasse principalmente dei NEET e con il tempo si sia poi sviluppato di fatto come centro di aggregazione che accoglie ragazzi dai 10 ai 20 anni. Tra le attività proposte vi sono proposte di aiuto-compiti (all’interno del progetto Batti5 in rete con altre associazioni del territorio) ma anche iniziative di azioni individuali (come laboratori di lingua e laboratori di narrazione). Educatori, tirocinanti e volontari sono i professionisti che accompagnano l’evoluzione del lavoro.
All’interno del progetto Formagiovani, i compiti sono uno strumento simbolico, il contenitore di una domanda nascosta che può essere esplorata e accolta. Il centro è quindi un luogo aperto al territorio che offre opportunità di studio e di relazioni, all’interno di una cornice più flessibile di quella scolastica.
Oltre al sostegno scolastico il Centro Educativo di via Neera si occupa anche di promuovere gite e progetti sportivi.
Il quartiere Stadera si caratterizza per una grande eterogeneità culturale, una propensione al lavoro di rete, una divisione socio-economica tra fragilità e ricchezza.
Bianca e Marco concordano nel descrivere il senso di comunità: un girotondo tutti insieme, mettersi in cerchio e coinvolgere, accogliere tutte le persone che hanno bisogno di incontrarsi.
Per il futuro Bianca si augura che il Progetto The New Varietà possa trovare successo e accoglienza tra gli abitanti del quartiere; Marco desidera invece che il Centro diventi presto accreditato come luogo di aggregazione per ampliare il ventaglio di servizi e prospettive all’interno del territorio.
Filly è una assistente sociale e una educatrice della Cooperativa Marianella Garcia.
E’ anche una mamma e una nonna molto dedita alla famiglia, nonché mia collega da decenni.
Ama moltissimo il suo lavoro, nel corso degli anni, prima come dipendente e poi come socia della Cooperativa ha svolto il suo ruolo insieme ad una equipe di professionisti, nei diversi servizi e progetti del privato sociale rivolti ai minori e alle loro famiglie.
Filly, da sette anni svolge il ruolo di referente nel nostro centro aggregativo, Punto A Capo, ubicato a Trappeto, quartiere periferico e degradato di Catania, con un basso tasso di scolarizzazione e un alto tasso delinquenziale.
Il Centro di Aggregazione, offre ampi spazi esterni dove i ragazzi si ritrovano per socializzare e svolgere i laboratori di calcio e pallavolo e diverse sale interne, adibite ad aula studio per la prima parte del pomeriggio e poi in base alla programmazione settimanale, ai vari laboratori artistico- ricreativo, come la danza e il teatro, con l’ausilio dei maestri d’arte.
Ed è proprio nel Centro di Aggregazione, Punto a Capo, che le hanno proposto di accogliere come animatore del centro, Ahmed Salama, ospite della Comunità per minori stranieri Marianella Garcia dal 2015 e beneficiario del progetto Tempo al Tempo, per svolgere il suo tirocinio lavorativo di tre mesi, avendo lui stesso espresso durante la presa in carico e i vari colloqui con il facilitatore e in precedenza con i responsabili della comunità ,il desiderio di volersi approcciare nel modo del lavoro in strutture del privato sociale che si occupano di minori.
Nonostante gli studi presso la scuola Archè e il titolo di chef, gli anni trascorsi nei campi di Rugby, come giocatore e poi arbitro e il suo essere divenuto nel tempo una figura importante all’interno del laboratorio teatrale, affiancando quotidianamente il suo fondatore nella gestione delle prove dei più piccoli, ha subito il fascino e acquisito la consapevolezza che occuparsi dei minori e ciò che vorrà fare da grande
Dopo l’equipe integrata con i colleghi e il facilitatore del progetto, i colloqui con il beneficiario e il disbrigo farraginoso di tutta la parte burocratica, Ahmed, ha potuto finalmente iniziare a novembre 2022 il suo tirocinio-lavorativo, come Animatore del Centro di Aggregazione “Punto a Capo, che si è poi concluso nel gennaio2023.
Filly e gli operatori del Centro Punto a Capo, durante l’intervista hanno tessuto solo elogi per Ahmed, che fin da subito si è saputo porgere con gentilezza e rispetto sia nei confronti dei bambini che dei “colleghi” che lo hanno affiancato durante i tre mesi nelle varie attività che sono state svolte.
Ha saputo osservare, ascoltare e agire, pian pianino il suo ruolo è stato riconosciuto anche dai più piccoli, ha saputo dettare e mettere in pratica le regole del centro, ha organizzato e affiancato gli educatori durante i tornei sportivi e il laboratorio teatrale con molta naturalezza e professionalità.
Filly, conclude la sua intervista raccontando di quanto sia stato difficile alla fine del tirocinio il saluto tra loro, i bambini e le loro famiglie.
Anche se poi aggiunge Filly, non è stato un saluto definitivo, Ahmed per questa sua voglia di imparare e far suo questo delicatissimo lavoro, ha preso parte come volontario alle varie attività estive organizzate nei centri di aggregazione della Marianella Garcia.
Ed è grazie alla bellissima esperienza lavorativa svolta da Ahmed durante il suo tirocinio e non solo, che il nostro operare durante questi mesi ha come obiettivo il suo inserimento definitivo nella nostra realtà lavorativa, che dopo tanti anni dal suo arrivo a Catania. egli sente come CASA.
STORIA DI SERENA GIANNONE - AUTOSCUOLA UNIVERSALE
Serena è una giovane imprenditrice catanese, nasce ad Enna, ma da 40 anni vive e lavora a Catania, città che ama e nella quale oltre al lavoro, si gode la famiglia, gli amici e il suo cane, l'amore più grande.
Ha vissuto e lavorato in vari quartieri della cosiddetta “Catania Bene”, ma venti anni fa insieme ai suoi fratelli ha deciso di avviare un’ impresa familiare nel tanto bistrattato e difficile quartiere di San Giorgio.
E’ nata cosi la loro prima Scuola Guida.
I primi tempi sono stati difficilissimi, nonostante la preparazione in questo campo di entrambe le sorelle, nessuno dei clienti in quanto donne, rivolgeva loro qualunque tipo di attenzione tecnica, l'unica figura riconosciuta era Marco.
Con gli anni questo non riconoscimento, ha pesato sempre più su Serena e Alessia, cosi nel 2018 hanno sciolto la società con il fratello è avviato la loro Impresa tutta femminile, creando l’Autoscuola Universale delle sorelle Giannone.
I tempi erano finalmente più maturi, la loro scuola oggi è un importante luogo di riferimento nel settore.
I principi e i valori sui quali si basa il loro operato sono: professionalità, capacità di ascolto, di inclusione, gentilezza e attenzione verso il mondo femminile in un quartiere fino a qualche anno fa prevalentemente maschile e patriarcale.
Da qualche anno, hanno iniziato una collaborazione con la Comunità per minori stranieri, Marianella Garcia, accogliendo i ragazzi che volevano conseguire la patente, durante la loro permanenza in struttura.
Percorsi sicuramente lunghi e tortuosi, alla quale le due insegnanti hanno dedicato molto del loro tempo, ma spesso poi interrotti a causa delle difficoltà dei quiz e della lingua italiana.
Da fine aprile tra i loro iscritti c’è Salama Ahmed, ospite della comunità e beneficiario del progetto Tempo Tempo.
Per Serena, Ahmed è un ragazzo splendido, educato, volenteroso, attento anche agli altri e determinato nel raggiungimento dei suoi obiettivi.
Sicuramente anche per lui il percorso intrapreso non è semplice e nonostante la costanza nella frequenza delle lezioni e il suo esercitarsi con l’insegnante, ancora oggi non è riuscito a superare la paura di affrontare i fatidici Quiz.
Ma Serena è fiduciosa, sostiene che il buon lavoro svolto darà al più presto i suoi risultati premiando cosi i sacrifici di entrambi.
Oltre ai successi dei suoi allievi, spera che le nuove generazioni possano sempre più credere e lottare per raggiungere i loro obiettivi, i loro sogni e che la società che li vede protagonisti possa dare senza distinzione di ceto sociale e sesso le stesse opportunità di vita ad ognuno di loro.
V
Giulia è la presidente dell’Associazione Atelier Teatro; Ruggero si occupa della coordinazione artistica della compagnia. Atelier nasce nel 2008 e attualmente porta avanti due attività prevalenti:
1) l’atelier dei ragazzi: un progetto di spettacoli interattivi nelle scuole (primarie e superiori)
2) Il Festival le mille e una piazza: nato nel 2020 durante periodo Covid, si tratta di un festival di teatro popolare gratuito aperto a tutti che si svolge nei luoghi di aggregazione spontanea e, per questo motivo, si configura come profondamente radicato nell’identità e nella quotidianità dei territori.
Gli obiettivi fondanti del lavoro di Atelier teatro hanno un profilo chiaro, potente: portare in giro per la città un’offerta culturale facilmente accessibile e incentivare, rafforzare, i momenti di comunità. La relazione appassionata con il contesto territoriale emerge in maniera evidente: Atelier non dispone di una sede fissa e questo ha consentito alla compagnia di esplorare, attraversare i municipi e i quartieri che li compongono, entrando nei luoghi significativi e incontrando le persone all’aperto, senza confini. È forse per questa posizione privilegiata e speciale che Giulia e Ruggero, quando parlano di comunità e di territorio lo fanno con uno sguardo ampio, capillare, dettagliato. Con l’esperienza accumulata negli anni hanno imparato a riconoscere gli oratori e i mercati comunali come incubatori di relazioni comunitarie, ma al contempo si sono confrontati con realtà molto diverse tra di loro anche se geograficamente limitrofe. Nel Municipio 5 si respira in generale una forte propensione al lavoro di rete. Ma al suo interno ci sono sfumature spesso anche molto differenti: dai contesti privilegiati, sicuri e puliti in prossimità di parco Guareschi, alla trasformazione di luoghi in passato inaccessibili e trascurati come i Giardini di Via Boeri, dalla sofferenza attuale di quartieri come Gratosoglio (che richiederebbe maggiori risorse e che, dal punto di vista di Ruggero, sta andando incontro ad un graduale peggioramento delle condizioni generali) alla tranquillità di Chiesa Rossa e alle impressioni globalmente positive suscitate dal Vigentino.
Un elemento di fragilità nello sviluppo e nella crescita dei quartieri è, sempre secondo Ruggero, nell’imposizione artificiale di trasformazioni urbanistiche radicali che non considerano e non si integrano con il naturale evolversi dei quartieri ma che al contrario frammentano i territori. Ma anche il generale scarso investimento rivolto alle comunità delle periferie è un aspetto critico che alimenta la marginalizzazione dei più poveri e l’estraneità tra le persone. In questo senso il teatro può diventare un’occasione di incontro e familiarizzazione in cui riscoprirsi e conoscersi.
Per Giulia e Ruggero il senso di comunità si esprime in modo di guardare agli altri e al mondo: comunità significa guardare al bene comune e non agli interessi strettamente individuali. Significa coltivare l’interesse verso qualcosa che sia di tutti, predisporsi all’incontro e allo scambio (le comunità del condominio ad esempio, racconta Giulia, sono piccole esperienze di condivisione dal respiro globale). Comunità è possibile solo trattando tutti i cittadini con la stessa dignità e la stessa cura.
Problemi: scarso investimento delle comunità delle periferie, marginalizzando settori più poveri. Investimento sulla bellezza, sulla pulizia degli spazi,
Per il futuro si augurano che <<sia innanzitutto un pensiero: il futuro non di domani ma quello dopo di noi>>, che diventi un progetto a lungo termine attraverso la capacità di interrogarsi e porsi domande. Per l’Associazione desiderano continuare il progetto del teatro itinerante, così come fare cultura in un movimento di crescita e cultura integrata e generalizzata.
Il mondo, come il teatro, è fatto di tante voci e tutte devono avere il diritto e l’opportunità di esprimersi.
ENJOY è un'associazione presente sul territorio di Borgo Vittoria dal 2012, un centro di aggregazione, punto di riferimento per la comunità locale che offre molteplici attività.
Alessio, Danny, Emanuele, Simone e Giulio, un’allegra compagnia di giovani uomini, propongono teatro, soprattutto comico, con spettacoli che li portano nei teatri cittadini e non solo. Offrono corsi di formazione teatrale su vari livelli, aiuto compiti, corsi di italiano; svolgono molte attività nelle scuole del territorio e provincia; corsi teatro, musica, arte, con esperienze continuative con le medesime classi. Il loro centro si presta inoltre ad ospitare feste per ogni genere di celebrazione.
Artisti poliedrici, si propongono come animatori per feste private e pubbliche e durante la stagione estiva si occupano centri per i ragazzi che rimangono in città.
Un filone importante della loro attività è rappresentato dai progetti europei. Spesso la compagnia teatrale viene invitata presso manifestazioni festival internazionali. La loro conoscenza della progettazione europea li porta inoltre a partecipare a bandi relativi alla formazione e ad altri campi relativi alle attività artistiche.
Rachel è nigeriana ed è in Italia dal 2008, all'inizio ha vissuto per 3 anni a Bari e successivamente si è trasferita a Torino. In Nigeria ha imparato da autodidatta a suonare la chitarra e a cantare insieme al gruppo di suoi amici, con cui improvvisava esibizioni canore e musicali, e questa passione l'ha seguita fino a qui anche se attualmente è stata messa un po' da parte a causa di un incidente al braccio destro. Quando è arrivata a Torino è stata accolta dalle ragazze di un Gruppo che si occupa di accoglienza di donne straniere in difficoltà e con particolari fragilità e, grazie a questo incontro, ha conseguito il diploma di terza media e ha fatto due corsi di computer che le hanno permesso di imparare a navigare e muoversi su questi dispositivi. Rachel ha esperienza come lavapiatti e come assistente in cucina in un ristorante e il suo sogno più grande è quello di aprire un negozio di cibo africano.
Hawo è originaria della Somalia. Arriva in Italia nel 2013 approdando dapprima in Sicilia e poi trasferendosi a Torino nel 2014. La sua famiglia è molto bella e numerosa: ha 4 figli, 2 femmine e 2 maschi che frequentano l'asilo e le scuole elementari. La più grande passione di Hawo è la creazione di vestiti partendo da sue stoffe ed è proprio per questo che è interessata a un corso di sartoria che le permetta di acquisire maggiori capacità e conoscenza nell'ambito. Le esperienze lavorative di Hawo sono principalmente nel campo delle pulizie: ha lavorato per un paio di mesi in un albergo ma anche in case private e uffici ed è in questo ambito che vuole continuare a cercare lavoro. Frequenta la Portineria di Porta Palazzo da qualche anno, luogo a cui si era rivolta per poter far partecipare i suoi bimbi all'aiuto compiti settimanale.
Tre anni fa circa, la Cooperativa La Strada ha colto l’opportunità offerta dal bando aperto da Fondazione Housing Sociale per richiedere l’assegnazione di appartamenti a 5Square per l’accoglienza di mamme con bambini e neomaggiorenni.
Il Servizio Casa Mia è stato pensato per mamme che arrivano da comunità di prima accoglienza su segnalazione dei servizi sociali e dei comuni. In buona parte queste donne hanno intrapreso un percorso di uscita da situazioni di maltrattamento, per cui, da una prima accoglienza, passano poi ad alloggi di autonomia a bassa soglia, che prevedono sei ore educative a settimana in cui vengono affiancate dagli operatori sociali della cooperativa nei loro progetti per il futuro, come trovare lavoro, una soluzione abitativa a lungo termine e ricostituirsi una rete di sostegno. In questa fase diventa quindi fondamentale la conoscenza del territorio e delle sue risorse, per orientarle nella ricerca di servizi come il doposcuola, i campi estivi, i corsi sportivi ... L’aspetto della socializzazione è ugualmente fondamentale, in quanto si tratta di donne che spesso non hanno alle spalle una rete familiare o amicale, motivo per cui l’inserimento in condomini solidali dove si organizzano feste ed eventi, o iniziative come gli orti comuni, rappresenta una grande opportunità. La risocializzazione, l’uscita da uno stato di isolamento, può essere talvolta un percorso faticoso, in quanto implica l’abituarsi a relazionarsi con persone che non sono operatori specializzati. Anche per i bambini, che nelle comunità si interfacciano principalmente con professionisti, come gli educatori e gli operatori, può avere un impatto estremamente positivo il relazionarsi con i vicini, con figure maschili positive che li facciano giocare. Attualmente la cooperativa ha inserito due nuclei familiari, incoraggiando le donne a partecipare alle iniziative comuni, con un riscontro molto positivo. Per i bambini ad esempio, il doposcuola organizzato nello spazio comune e le diverse feste hanno rappresentato un’occasione per conoscere altri bambini del condominio.
Per quanto riguarda l’accoglienza dei neomaggiorenni, sono ugualmente importanti lo sviluppo di progetti di vita individuali e l’aspetto della socializzazione. A tal proposito, la nascita spontanea di iniziative, con la creazione di gruppi di interesse tra condomini, è estremamente incoraggiante. Attualmente le attività comuni hanno riguardato principalmente momenti conviviali, come aperitivi e feste, e attività sportive, anche se la contaminazione del condominio con il quartiere esterno genererà sicuramente altre iniziative che possano intercettare anche fasce d’età che oggi trovano meno risposta. Per questo è necessario tuttavia del tempo, perché le persone abbiano modo di conoscersi, di scoprire e farsi scoprire. Anche una maggiore conoscenza del territorio e delle realtà qui presenti sarà utile per capire quali proposte si potrebbero avanzare anche con gli altri enti, partendo da una lettura dei bisogni.
Per chiudere con un auspicio, l’augurio è che l’entusiasmo iniziale non si esaurisca ma che restino costanti la partecipazione delle persone alle iniziative comuni e la creatività delle proposte: cosa che richiederà impegno e costanza. Il desiderio è anche quello che Antegnati non diventi una piccola comunità chiusa in se stessa, ma che invece si integri al quartiere che la circonda.
Klisman ha 25 anni, è di origini albanesi e, arrivato in Italia, dopo aver vissuto in provincia di Padova per un breve periodo si è poi trasferito in zona Chiesa Rossa. Milano e nello specifico questo quartiere sono per lui realtà stimolanti e comode, in grado di offrire diverse opportunità a chi vi abita. << C’è una bella comunità ed è una bella zona >>, dice, ricca di servizi e senza particolari elementi da migliorare.
Klisman Studia statistica all’Università Bicocca e frequenta ormai da diversi anni l’associazione UILDM, occupandosi in particolare del tempo libero e dello sport. Pratica infatti hockey in carrozzina da 10 anni, coltivando personalmente questo interesse e cercando di condividere con i ragazzi più giovani la bellezza di questo sport, coinvolgente ed inclusivo.
Attraverso lo sport Klisman sente di aver lavorato sulla propria timidezza e alimentato la proattività verso gli altri, grazie anche alle responsabilità verso i più piccoli di cui si occupa. Anche i videogiochi e i giochi da tavolo (come monopoli e risiko) sono attività che lo interessano e lo divertono molto.
Per lui UILDM è come membrana di contatto e relazione tra realtà eterogenee presenti sul territorio.
Tra i sogni e i progetti per il futuro, Klisman vorrebbe continuare la vita associativa all’interno di UILDM per poter aiutare sempre più persone grazie all’esperienza accumulata negli anni. Crescere e diventare un punto di riferimento per le future generazioni. A loro Klisman suggerisce di non soffermarsi sulle difficoltà e sui limiti della vita ma di guardare sempre, con ottimismo, agli orizzonti di possibilità che ci circondano << darsi da fare perché tutto si può fare>>.
Il senso di comunità, osservato attraverso la lente dello sport, per Klisman trova potente espressione nella determinazione condivisa dalla collettività, nell’armonia positiva e nella solidarietà, mentre si discosta dalla competizione negativa, dall’indifferenza e dalla separazione rigida tra le persone.
Per il futuro del quartiere si aspetta un continuo sviluppo in direzioni sempre più positive.
Massimiliano è il referente pedagogico delle attività sociali di ATIR e socio dell’omonima compagnia da circa 3 anni. Max nasce come educatore e ha lavorato per molto tempo in una cooperativa sociale. Il suo percorso inizia attraverso i laboratori teatrali per giovani e adulti all’interno delle cooperative << con il teatro emergevano elementi inediti della relazione>> racconta. Il Teatro è uno strumento potente per ampliare lo sguardo introspettivo anche verso l’altro.
ATIR ha portato avanti la formazione degli educatori con gli attori della compagnia e si occupa ancora oggi di una serie di progetti rivolti al sociale, oltre e all’interno delle sue rassegne: lavoratori di teatro integrati (per persone con fragilità fisiche e psicologiche) e laboratori di gruppi misti, per anziani, adulti e realtà sociali che si avvalgono del teatro come strumento di cura. La prerogativa della compagnia è infatti la cura dell’altro e della relazione, attraverso l’incontro e la valorizzazione della diversità e della fragilità. Un punto di svolta significativo coincide con la vincita di un bando che affida ad ATIR la gestione di un teatro di ringhiera immerso tra Chiesa Rossa, Stadera e Gratosoglio, dove “la piana”, il piazzale di via Boifava 17 rappresenta un crocevia di storie, territori ed identità. << Un paesaggio lunare>> è come Max descrive il primo impatto con il piazzale trascurato di fronte alla sede, luogo che ha ospitato non solo la crescita della compagnia ma anche un movimento di rigenerazione urbana, sociale e culturale a cui in moltissimi hanno partecipato.
Per Max il quartiere è un contesto ricco di iniziative, volontari, spinte artistiche e culturali. È caratterizzato da orientamento al lavoro di rete che bene si esplica nei tavoli territoriali del Municipio 5. Il teatro si è inserito in questo tessuto, lo ha nutrito ed è diventato incubatrice di relazioni e incontri.
Nel 2017 il teatro è stato chiuso permanentemente per lavori di ristrutturazione, anche se alcuni ex uffici vengono ancora oggi adoperati per il proseguimento di alcuni laboratori. Nel lavoro della compagnia convivono sempre l’etica della relazione e dell’inclusione e l’estetica del gesto artistico. Arte non si ferma e si spende sempre per l’altro.
Per descrivere il senso di comunità Max rievoca un ricordo del passato, quando insieme ad una ragazza con disabilità – dall’energia strabordante – si prese un caffe in compagnia di una drag queen. <<Stare in ascolto, prendersi cura, senza giudizio e con responsabilità profonda>>.
Per il futuro Max spera nella riapertura della sede del teatro ma, soprattutto, in una sempre maggiore apertura verso la diversità come un elemento di ricchezza.
Roberto si definisce uno scrittore che come hobby fa l’insegnante.
La passione per la scrittura è nata alle scuole elementari dall’ascolto che ha trovato in famiglia, in quanto per essere scrittore devi avere qualcuno che ti legge in cui riporre la tua fiducia. Così, quando c’erano ospiti a casa, Robertino poteva leggere qualcosa: spesso un racconto satirico sulla famiglia, in parte inventato e in parte basato su cose reali.
Figlio di un maresciallo dei carabinieri, Roberto ha vissuto in diverse regioni d’Italia: motivo per cui, parlando bisiacco, ebolitano, napoletano e un po’ di milanese, ha un accento difficilmente identificabile … a parte quando si arrabbia, in quel caso vien fuori il dialetto napoletano. Dopo aver passato l’infanzia in Friuli e l’adolescenza in una piccola città campana, è sbarcato nella grande città di Napoli a quindici anni, dove è rimasto fino alla fine degli studi universitari. Di Napoli ha apprezzato la dimensione cittadina e la vivacità culturale, per cui Napoli può vantare ancora oggi un istituto di studi filosofici tra i più importanti d’Italia. Tuttavia, attratto dalle grande case editrici del Nord, una volta conseguita la laurea in Filosofia e Lettere Moderne, Roberto si è trasferito qualche anno sul Lago di Garda e infine a Milano.
Da quando si è trasferito a Milano, oltre ad occuparsi di sé e dei suoi romanzi e racconti, nel novantaquattro Roberto ha fondato un Salotto letterario: un cenacolo di intellettuali, poeti, narratori, filosofi e psicologi che si riuniscono due volte al mese per la presentazione di un libro, cui segue un convivio con dibattito e cena. Il Salotto si tiene nell’intimità della casa, dove Roberto ha ospitato personaggi quali Giuseppe Pontiggia, Massimo Recalcati, Giampiero Neri. L’idea di costituire un salotto è nata dalla consapevolezza che per uno scrittore non è facile farsi conoscere : devi infatti trovare uno sponsor che ti pubblicizzi, oltre ad un editore che ti pubblichi il libro. C’è quindi un sottobosco di scrittori in erba che desiderano essere letti e ascoltati, cosa sempre più difficile in una contemporaneità in crisi di ascolto, dove tutti parlano e scrivono ma pochi ascoltano quello che hanno da dire gli altri. Vi sono altri salotti letterari a Milano, come il Salotto Augusto Bianchi, ma a Milano c’è più sete di cultura che acqua da bere, per cui il Salotto Caracci negli anni si è consolidato fino a diventare una realtà conosciuta a Milano. Il Salotto ha continuato a riunirsi anche durante la pandemia con degli incontri online: se da un lato questo ha permesso a persone distanti geograficamente di partecipare – per la prima volta il Salotto ha avuto una persona collegata dal Texas!- un convivio in cui si mangia e chiacchiera davanti ad uno schermo perde la sua ragion d’essere, motivo per cui si è tornati a riunirsi in presenza appena possibile.
Rispetto al suo hobby di insegnante, Roberto ci racconta di come la scuola sia cambiata in questi anni, di come si sia burocratizzata, motivo per cui gli insegnanti di oggi sono meno sereni di quelli di una volta. Roberto ci racconta anche di un progressivo disinteresse dei ragazzi per la lettura, motivo per cui nei primi anni di insegnamento consigliava le letture, mentre oggi dà letture obbligatorie.
Rispetto al Vigentino Roberto ricorda che quando si è trasferito qui anni fa lo ha trovato un quartiere meno caotico di molti altri a Milano. Lo definisce quindi un quartiere tranquillo in cui si è sempre trovato bene, anche se a viverlo manca qualcosa: forse dei luoghi culturali e delle attività nelle zone più decentrate rispetto a Porta Romana, per cui ben vengano tutte le iniziative che facciano da carburante culturale e coagulino le persone. Rispetto alla comunità, Roberto pensa di aver dato il suo contributo con il Salotto letterario e desidererebbe poter accogliere più persone se trovasse uno spazio grande, aperto e accessibile … come questo del Living a 5Square! Per chiudere, Roberto ci regala la sua immagine di comunità: un convivio con cultura e divertimento, una festa con musica e ballo, dove si balla la mazurca tutti insieme, grandi, giovani e piccoli.
Incontriamo Gianfranco dietro al bancone del bar dell’oratorio di Santa Maria Liberatrice. Gianfranco fa il volontario in parrocchia dal 2017 ed una volta a settimana viene qui al bar a servire bibite, bevande e snack alle tante famiglie che frequentano i corsi sportivi e ai tanti anziani che qui in oratorio si ritrovano a giocare a carte.
Gianfranco è nato e cresciuto nel Vigentino, come anche sua mamma che è nata nel Comune del Vigentino, in quanto a inizio novecento il Vigentino faceva ancora comune a sé. Già suo nonno abitava in Via Ripamonti, dove teneva anche un orticello. I suoi primi ricordi del quartiere sono quindi i campi (prima c’erano molte meno case), i fossi d’acqua dove ci si faceva il bagno, perché l’acqua era pulita, e il cinema all’aperto. Il tram 24 c’era già, anche se faceva capolinea in via Noto, e in Via dell’Assunta c’era una fabbrica di vetro con attorno delle casette abitate dai dipendenti. Negli anni sessanta la fabbrica ha chiuso, le case sono state demolite e sono stati costruiti i palazzi. Con i suoi amici si ritrovavano nella piazzetta vicina alla Forza e Coraggio, dove prima c’erano tanti negozietti: il ciabattino, il salumiere, l’ortolano … e poi c’era una latteria che era il ritrovo di loro ragazzi.
Del quartiere di oggi Gianfranco apprezza soprattutto il verde: dove abita suo figlio ad esempio, hanno fatto un bel parco giochi per i bambini, per cui quando tiene lui i nipoti li porta sempre ai giardinetti a giocare. La mattina invece va al bar a bere un caffè e fare due chiacchiere con qualche amico che incontra. Altrimenti sta a casa oppure esce con sua moglie per delle commissioni. Sa che c’è in quartiere un posto per anziani che però non ha mai frequentato, mentre in parrocchia ci viene volentieri: per uscire e non stare sempre a casa sul divano o davanti al pc. Oltre a fare volontariato al bar dell’oratorio, Gianfranco dà anche una mano a preparare i pacchi per le persone che hanno bisogno.
Per Gianfranco la comunità è un posto dove regnano armonia e rispetto reciproco, un posto dove si ha cura del bene comune e si rispettano delle regole di buona convivenza. Il suo auspicio per il quartiere è che continui ad attirare i giovani e che la parrocchia continui ad essere un centro di aggregazione perché non prendano cattive strade. Vorrebbe vedere anche un maggior presidio da parte dei vigili di quartiere perché c’è esigenza di una maggiore sicurezza in seguito ad alcuni casi di scippo.
Carmelo è guida escursionistica con una passione per la fotografia e il videomaking. Di Catania, si è trasferito a Milano nel duemiladodici, dove si occupa di esplorazione metropolitana. Gianluca è architetto e guida montana, ha viaggiato il mondo a piedi e da qualche anno collabora con Carmelo, avendo creato uno studio che si occupa di esplorazioni di metropoli in sinergia con altre realtà europee. Georama è nata ufficialmente un anno fa, anche se il processo che ha portato alla sua costituzione è partito quarant’anni fa. La pandemia ha rappresentato una svolta, in quanto ha generato l’occasione per lasciare il precedente lavoro e dare concretezza ai propri progetti personali.
Georama è un laboratorio di geografia e biografia che si interroga sulla metropoli, da intendersi come un Ambiente al cui interno si intrecciano natura e relazioni, raccogliendo oggetti e storie che costituiscono la narrazione di un luogo. Quando viaggiamo infatti, andando a curiosare in altri luoghi, creiamo delle relazioni per cui lasciamo un po’ di noi e ci portiamo via un po’ di quanto abbiamo raccolto, sotto forma di oggetti souvenir oppure storie e biografie.
Georama non ha ambiti territoriali, in quanto vi sono metropoli in tutto il mondo, anche se si rivolge principalmente al limitrofo: anche Milano permette esperienze esotiche! Bisogna infatti interrogarsi sul significato di esplorare al giorno d’oggi: c’è chi esplora posti lontani, dove per arrivare deve prendere aerei, bus, treni. “E’ un po’ come prendere un libro e cominciare dal ventitreesimo capitolo. Cosa succederebbe se invece cominciassi dal primo capitolo: apro la porta di casa e inizio il mio viaggio”. E’ stato quindi interessante percorrere a piedi la strada dalla città all’aeroporto, luoghi che generalmente attraversiamo ignorandoli e che sono invece ricchi di comunità vegetali e animali, oppure andare a piedi da Milano a Genova, passando per il passo dello Spluga. E’ stata una rivelazione esplosiva camminare fino a Genova in undici tappe e poi tornare in treno in meno di mezza giornata: sperimentare con il proprio corpo che la velocità cambia lo spazio è stata una rivelazione. Interrogarsi sulle relazioni che tengono insieme una metropoli significa anche interrogarsi su da dove venga l’elettricità che alimenta il nostro frigo: oggi in pochi sanno dove sono le raffinerie che alimentano il Nord, eppure è responsabilità di noi che abitiamo in questa città interrogarci sulle relazioni che garantiscono l’apporto energetico di cui abbiamo bisogno nel quotidiano.
Altra necessità fondamentale è rallentare e per chi abita in metropoli come Milano rallentare è contro natura. Eppure proprio in queste città generarsi del tempo significa acquisire benessere : oggi si parla infatti della città dei quindici minuti, immaginando che si debba tornare ad un equilibrio tra le diverse mobilità, a piedi o con i mezzi, che ci permetta di abitare il limitrofo e spostarci in altri luoghi quando lo desideriamo. Quest’anno hanno lavorato molto con i bambini, in quanto è grazie a loro se avverrà la mutazione della metropoli: il futuro è ricchissimo di possibilità se riusciamo a trovare un equilibrio tra mondo naturale e minerale, tra la velocità imposta dalla modernità e dai suoi schemi economici e la necessità di prenderci del tempo per perderlo, per capire. Viviamo infatti in una complessità che non capiamo, in quanto la velocità fa restare in superficie. La lentezza riacquisita va quindi di pari passo con l’esplorazione della complessità, la quale lentezza diventa altrimenti un esercizio fine a se stesso: se ci limitiamo a rallentare la domenica per trasportarci in un’altra dimensione dove poter fruire della lentezza, stiamo consumando un prodotto che è l’idea stessa di natura. Invece natura è relazioni e complessità, come la complessità delle radici che si snodano sotto terra tessendo relazioni con l’ecosistema circostante.
Rispetto a 5Square, è un luogo di ricchezza incredibile in quanto frutto di uno sviluppo edilizio che ha calpestato la realtà agricola ma al contempo di borghi storici tra i più antichi d’Italia. Se chi abita qui imparerà a conoscere questo luogo e farlo proprio, allora avrà cura di quello che rimane di un presidio mondiale dell’agricoltura urbana, acquistando ad esempio frutta e verdura a kilometro zero. Questa è anche una terra di confine, da intendersi non come una demarcazione, ma come uno spazio dove le cose si uniscono trasformandosi. Una opportunità quindi dove possono nascere nuovi paradigmi dell’abitare del futuro, in cui rimangono visibili le tracce dello sviluppo precedente. Interessante è anche l’esperienza di abitare collaborativo di 5Square in un luogo come Milano, che vive di un centro in cui tutto si concentra ma che allo stesso tempo espelle verso la marginalità. Con questi interventi sociali, le marginalità, chiamate periferie, riacquistano centralità, scombussolando le dinamiche percettive di Milano, per cui se vado a 5Square sto andando in una centralità dove ci sono dinamiche di coinvolgimento comunitario a cui mi interessa partecipare. La comunità deve quindi essere policentrica, policomunitaria, con continue relazioni non solo tra gli abitanti umani ma anche tra comunità umane, animali e vegetali, costruendo un modello non più basato sulla verticalità ma sull’orizzontalità, muovendosi come fanno le radici, con una forza pacifica, curiosa, esploratrice, che ci impone di ricavarci del tempo per esplorare con gli altri il proprio territorio e incappare in altre comunità.
Un venerdì mattina facciamo una passeggiata al Mercato dei Guarneri, mercato storico del Vigentino che si tiene settimanalmente in Via dei Guarneri. Cerchiamo di parlare con diversi commercianti, per farci raccontare come è cambiato il loro lavoro negli anni e quali cambiamenti hanno visto nel quartiere.
Davide frequenta il mercato da una decina di anni e vende prodotti di gastronomia. In questi anni il mondo è cambiato: con i rincari dei prezzi ed un sostanziale appiattimento delle pensioni e degli stipendi, le persone spendono meno e con fatica, perché i soldi non bastano più. Prima di fare acquisti quindi, le persone ci pensano bene, motivo per cui il lavoro è calato un po’ a tutti nel mercato. Prima i loro migliori acquirenti erano i pensionati, ma ora anche loro spendono meno. Davide pensa che per trovare il contatto umano si debba uscire da Milano ed andare nei piccoli paesi dove vi è ancora la propensione ad aiutarsi a vicenda, mentre nelle città si fatica a salutare il proprio vicino di casa.
Poco più avanti troviamo invece una polleria. Davide frequenta il mercato da tredici anni e la sua attività è quindi storica. Lui è di fuori Milano e frequenta il quartiere solo in occasione del mercato settimanale. Dal suo punto di vista, il quartiere è come un piccolo paese all’interno di Milano, un paese nella città quindi, dove ci si conosce, le persone si salutano … un posto dove si vede che ci sono ancora dei legami comunitari. Lui frequenta diversi mercati e questo è uno dei migliori: il livello culturale è più alto degli altri mercati e i suoi clienti parlano tutti un buon italiano, per cui quando si ha a che fare con persone del genere il lavoro diventa più facile. L’auspicio per il futuro è quello di star bene e che il lavoro vada bene.
Gianfranco ha invece un banco di ortofrutta. Anche lui è di fuori Milano e frequenta il quartiere solo in occasione del mercato il venerdì mattina. Il quartiere sembra un paesino in cui ci si conosce un po’ tutti e per questo si trova bene e gli piace lavorare in questo mercato … averne di mercati così! I mercati centrali oramai sono mal frequentati- ci dice. Prima il quartiere non era una bella zona: la sera era un po’ pericoloso e si aveva maggiormente l’impressione di trovarsi in periferia. Negli anni il Vigentino si è molto riqualificato, con case nuove e belle persone. Lui frequenta il mercato fin da bambino, per cui molti clienti anziani lo hanno visto crescere, anche se purtroppo alcuni sono venuti a mancare nel tempo. Vorrebbe quindi vedere più giovani frequentare il mercato, anche se da quando si è diffuso il lavoro ibrido, ha ampliato la sua clientela grazie agli smart workers. Gianfranco vive in campagna e gli piace la quiete, per cui per lui la qualità della vita è legata al fatto di avere i propri spazi, la propria privacy, la libertà di non dover avere le tende in casa perché fuori c’è la campagna. Non apprezza quindi la vita nei condomini, dove alle volte tra vicini manca il rispetto reciproco. Per lui la comunità ideale è quindi quella in cui ognuno sta a casa propria: dovendosi alzare alle tre della mattina, la quiete e il riposo sono per lui fondamentali. L’auspicio è che ci sia benessere un po’ per tutti, da intendersi sia come benessere materiale si, ma anche come benessere mentale.
Giorgio ha sessantatre anni ed abita nel Vigentino da quando si è sposato nel 1985. Allora, dove ora c’è l’oratorio, c’erano i campi: poi la Diocesi è riuscita ad acquisire i terreni circostanti alla Chiesa ed han potuto costruire l’oratorio come lo vediamo ora, con i campi sportivi e gli appartamenti per i sacerdoti.
Giorgio è stato dapprima educatore in parrocchia, poi l’otto marzo del 2006 ha deciso di creare un’associazione sportiva assieme ad un gruppo di mamme: non a caso la data scelta è la giornata internazionale della donna. L’associazione è infatti nata da un gruppo affiatato di ragazze che si trovavano a giocare a pallavolo e dall’occasione colta dalle mamme di proporre degli allenamenti e fornire occasioni di incontro per le ragazze e i ragazzi del quartiere. Se quindi la pallavolo femminile è rimasta il cuore dell’associazione, nel tempo l’offerta sportiva si è allargata al basket e al calcio. Dal 2006 l’associazione si è ampliata, passando da sessanta a quasi quattrocento tesserati nel periodo pre-covid.
Durante i due anni di pandemia, l’associazione è venuta incontro alle difficoltà delle famiglie, proponendo una quota di iscrizione di cinquanta euro per l’intera annualità. Le attività sono state discontinue, con continui ‘stop and go’, ma le famiglie hanno apprezzato l’impegno dei volontari, che hanno proposto allenamenti online come anche corsi di pittura e cucina pur di star vicini ai ragazzi in un momento così delicato. Finite le restrizioni, la voglia di partecipare è stata grandissima, così come il desiderio di ritrovarsi e stare assieme.
Giorgio è presidente dell’associazione dal 2009 e si occupa prevalentemente della parte burocratica, che negli anni è diventata sempre più asfissiante per le piccole associazioni. Tuttavia, quando può sostituisce volentieri gli allenatori di basket costretti ad assentarsi, in quanto il sorriso dei ragazzi è quello che da sempre lo motiva ad impegnarsi per l’associazione. L’associazione può contare oggi sulla motivazione di una cinquantina di volontari in quanto nessuno, dagli allenatori agli arbitri e al segretario, percepisce uno stipendio.
L’offerta sportiva va dall’ultimo anno d’asilo, con il mini basket e i primi calci, fino agli over sessanta. Recentemente l’associazione ha infatti allargato l’offerta ad una squadra di genitori che portavano i figli qui, anche se la maggior parte dei corsi è per i giovani delle elementari e delle medie: alle superiori si fa infatti più fatica a coinvolgere i ragazzi nelle attività sportive, anche se ci sono attualmente due squadre di pallavolo per i ragazzi sopra i diciotto anni. L’auspicio è quello di far crescere umanamente e tecnicamente i ragazzi, perché raggiungano risultati sportivi come sta avvenendo e diffondere un agonismo positivo.
Per Giorgio la parrocchia Madonna di Fatima rappresenta un po’ il cuore del quartier Vigentino. La parrocchia organizza infatti momenti di convivialità, come la festa di fine anno della scuola che si teneva qui fino a due anni fa. Se pensa ad una comunità, Giorgio pensa quindi alla convivialità e ad uno spazio che include invece di buttare fuori: come si ripropone l’associazione nel suo statuto. L’auspicio è anche quello di prepararsi ad accogliere le nuove famiglie che arriveranno nel quartiere con una propensione all’ascolto e a dare una mano in caso di bisogno, con un’attenzione ai più piccoli e alle persone più fragili.
Filippo Cogliandro è uno chef di Reggio Calabria che ha fatto della cucina la sua passione, mettendo al centro il lavoro ma anche la volontà di aprirsi agli altri e offrire il suo aiuto. Sarà che lo chef Cogliandro mai avrebbe pensato di lavorare tra i fornelli visto che aveva intrapreso la via del seminario e dello studio per diventare sacerdote e proprio questa vocazione verso gli altri lo ha portato ad aprire il “suo regno”. Così ecco che nel suo ristorante L’A Gourmet L’Accademia che dal 2015 è nel centro storico di Reggio Calabria trovano spazio anche i ragazzi in difficoltà: minori stranieri non accompagnati, ragazzi che arrivano dal Tribunale per i minorenni, per la Messa alla prova, e chi ha qualche disabilità.
La cucina, e il suo ristorante, diventano così luoghi dove rimettersi in gioco e imparare, perché accoglienza non vuol dire carità ma offrire a questi giovani la possibilità di crescere e formarsi. Chef Cogliandro ha, infatti, in cucina da dieci anni, due ragazzi del Gambia.
Loro – spiega Filippo Cogliandro - hanno contaminato la mia cucina con la loro cultura e così io mi sono arricchito di sapori e di saperi.
L’A Gourmet L’Accademia è sempre aperta al territorio e alle istituzioni e c'è uno scambio costante ed è diventata punto di riferimento non solo per l'attività di ristorazione, ma anche per l'impegno sociale e culturale.
Laureato in economia, Andrea ha deciso di dedicarsi al sociale fin da ragazzo, avendo lavorato per anni in progetti di cooperazione internazionale in diversi paesi dell’Africa Occidentale e dell’America Latina. In questi anni ha imparato molto dalle comunità locali con cui lavorava, in quanto l’aiuto non è mai unidirezionale ma reciproco. Quattro anni fa ha incontrato il Gruppo L’Impronta e ha deciso di cogliere la sfida di lasciare il contesto internazionale per lavorare a progetti sociali qui in Italia. Andrea si occupa attualmente di comunicazione e fundraising e progettazione sociale, lavorando nelle periferie e nell’hinterland di Milano. Quello che lo appassiona del suo lavoro attuale è l’attenzione per il tema etico che il Gruppo ha saputo portare nel mondo aziendale, coinvolgendo diverse realtà profit del territorio nelle loro progettazioni.
All’interno dell’esperienza del Gruppo L’impronta hanno preso avvio diverse imprese sociali, caratterizzate tutte dall’attenzione alla qualità dei prodotti e all’inserimento lavorativo di persone con fragilità. A breve aprirà un’attività commerciale nel complesso di Housing Sociale di 5Square, che avrà una forte connessione con la cooperativa sociale agricola Agrivis, situata a Macconago nel Parco Agricolo Sud, che si occupa di agricoltura biologica e trasformazione dei prodotti agricoli. L’idea è quindi, vista la vicinanza del complesso residenziale con l’azienda agricola, di far fare agli abitanti delle esperienze in cooperativa, la quale dispone anche di un laboratorio di trasformazione e di un’aula polifunzionale.
L’auspicio per la nuova attività commerciale è che diventi un luogo di aggregazione vero all’interno del quartiere, dove vorrebbe veder nascere un bel clima di collaborazione anche grazie alle numerose associazioni presenti. Per il futuro vorrebbe anche che il complesso residenziale di 5Square fosse meglio collegato urbanisticamente con l’area verde adiacente per una maggiore fruizione degli spazi verdi da parte degli abitanti.
Maschile Plurale nasce nel 2006 con la sottoscrizione del primo appello nazionale firmato da gruppi di uomini in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del venticinque Novembre. Si tratta del primo appello pubblico, sottoscritto da molti uomini, che prende posizione rispetto alla responsabilità maschile nel sistema patriarcale e maschilista, di cui la violenza fisica e i femminicidi sono solo la punta dell’iceberg. Per la prima volta gli uomini hanno quindi deciso di esporsi contro questa cultura diffusa, dicendo di sentirsi altro rispetto al modello di maschilità proposto.
Nel corso degli anni novanta in Italia sono nati diversi gruppi di autocoscienza maschile impegnati sul tema della violenza contro le donne. Si tratta di gruppi eterogenei tra loro, tra cui ci sono gruppi più informali, che si ritrovano per discutere di determinate tematiche, e gruppi più professionali, che lavorano con progetti finanziati, fanno attività educative nelle scuole o si occupano di uomini maltrattanti. In totale in Italia esistono attualmente una ventina di questi gruppi.
Maschile Plurale è quindi una rete di uomini appartenenti a questi diversi gruppi. Tra i suoi fondatori vi è Stefano Ciccone, che ha scritto la prefazione al libro “Maschilità smascherata” pubblicato recentemente dal gruppo milanese GNAM, Gruppo di Autocoscienza Maschile. Tra le personalità di spicco vi è anche Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista autore di diversi libri, quali “Perché il femminismo serve anche agli uomini”, “Diventare uomini. Relazioni maschili senza oppressioni”, “Non sono sessista ma…”, "No. Del rifiuto, di come si subisce e di come si agisce e del suo essere un problema essenzialmente maschile".
Negli anni Maschile Plurale ha anche sviluppato rapporti e collaborazioni con la galassia dei gruppi femministi e con femministe di rilievo come Lea Melandri. Uno o due volte l’anno l’associazione organizza delle assemblee nazionali in cui ci si confronta e si danno vita e diverse iniziative e progetti condivisi.
Prima di congedarsi, chiediamo a Marco e Michele la loro opinione sul termine “femminicidio” e sulla necessità di mantenere un termine distinto da quello generico di omicidio. A questo proposito Marco e Michele ci spiegano dell’importanza delle parole e quindi di utilizzare il termine “femminicidio” che in sé chiarisce l’esistenza di una cultura maschile violenta nei confronti delle donne e che si poggia su di un retroterra culturale di possesso nei confronti delle donne. Relazioni di potere nelle quali, se la donna cerca di sfuggire, l’uomo maschilista si sente in diritto di esercitare la sua forza fisica per impedire alla donna di esercitare la sua libertà, perché, come dicono le statistiche, la stragrande maggioranza dei femminicidi è perpetrata da compagni o ex compagni che non accettano la fine di una relazione.
Anasse è nato in Marocco ed è in Italia dal 2018. Ha sempre vissuto a Milano: prima con la famiglia a Corvetto ed ora in una comunità a 5Square, dove condivide l’appartamento con altri ragazzi.
Originario di Casablanca, torna in Marocco tutte le estati : la sua famiglia infatti è qui a Milano mentre i parenti sono rimasti in Marocco. Della sua nuova vita in comunità apprezza di poter avere un stanza tutta per sé e anche di poter partecipare a dei momenti di convivialità nello spazio condiviso Living, come mangiare e ballare … la musica italiana gli piace infatti molto. Apprezza anche l’aspetto comunitario dell’Housing, per cui si è offerto di fare la spesa per una persona anziana che non può camminare, e desidera in futuro partecipare all’iniziativa degli orti condivisi. Nel tempo libero va a giocare a calcio, frequenta il centro di riabilitazione ed il sabato gli piace andare a ballare.
Dopo che è arrivato in Italia ha frequentato la scuola per due anni ma ora non sta più studiando e gli piacerebbe invece lavorare e imparare a fare il parrucchiere: per ora ha fatto pratica in casa, ma vorrebbe lavorare in un negozio. Anasse parla Arabo e Marocchino, un pochino il Francese e l’Italiano, anche se ancora non sa leggere bene. Tra qualche anno vorrebbe comprarsi casa qui a Milano perché gli piace vivere qui.
Francesca abita nel quartiere Vigentino da trentadue anni. Prima di avere figli si occupava di ufficio stampa per aziende e organizzava congressi. Con l’arrivo dei figli ha smesso di lavorare e si è dedicata di più al suo quartiere, con diverse iniziative di volontariato. Da qualche anno ha anche ripreso l’attività lavorativa facendo la tata.
Tra le associazioni per cui Francesca fa volontariato da più tempo vi è Opera Cardinal Ferrari, che ha l’unico centro diurno a Milano per senza fissa dimora e persone fragili, con servizio docce e guardaroba. Lei si occupa di smistare i vestiti che le persone donano assieme ad altre volontarie. In seguito è stata tra le fondatrici del Comitato Vigentino per Milano, per il quale ha seguito l’iniziativa di bookcrossing, che è diventata un momento importante di aggregazione nel quartiere. Cinque anni fa ha poi deciso di costituire un gruppo informale di persone con l’obiettivo di coinvolgere più cittadini e far vivere il suo quartiere. Il gruppo si chiama VigentiAmo, un’abbreviazione di “Vigentino ti amo” che ha dato vita ad un nuovo verbo, una sorta di esortazione a prendersi cura del quartiere.
Tra le iniziative promosse da VigentiAmo in questi anni vi è il baratto di giochi per bambini di elementari e medie che si tiene al CAM Verro ogni due mesi e durante il quale i bambini possono donare dei loro giochi e prenderne degli altri. Nella scelta dei giochi viene chiesto ai genitori di non intervenire, perché i bambini fanno una scelta emotiva, senza dare un prezzo alle cose. Recentemente hanno provato uno swap party alla festa delle medie, in cui i ragazzi potevano scambiarsi dei vestiti. Hanno poi aderito all’iniziativa “Viva Vittoria,” per cui si ritrovano per lavorare ai ferri o all’uncinetto dei quadrotti che poi raccolgono e cuciono assieme per realizzare delle coperte colorate. Oltre ad essere una bellissima occasione di aggregazione, quella di ritrovarsi e sferruzzare insieme a maglia, il ricavato viene devoluto ad un’associazione che si occupa di donne maltrattate. Organizzano poi dei momenti di fitwalking, in cui camminano assieme per tenersi in forma e conoscere meglio il quartiere. Hanno anche aderito a diverse edizioni di “Puliamo il mondo”, giornate che solitamente riscuotono un grande successo, e organizzato dei workshop ai giardinetti di Via Verro con un’associazione che si occupa di aggiustare biciclette. Hanno anche creato un gruppo di lettura che però, non avendo una sede fissa e non essendoci una libreria, si ritrova a casa.
Francesca si ricorda ancora delle prime volte che è venuta nel Vigentino: lei abitava in un quartiere centrale di Milano e veniva qui a trovare una sua compagna del liceo che abitava in zona. Allora le sembrava di venire nel nulla, mentre quando poi si è trasferita qui ha apprezzato moltissimo le grandi aree verdi, dal parco del Ticinello al cammino nel verde per Chiaravalle. Quando aveva i bambini piccoli che portava a spasso in carrozzina, munita di stradario si prefiggeva ogni giorno di scoprire un nuovo pezzo di quartiere e così pian piano ha imparato a conoscerlo. E’ inoltre un quartiere con una sua storia, di cui chi è nato e cresciuto qui è molto orgoglioso. Si è anche molto espanso – trent’anni fa molte case non c’erano – e Francesca vorrebbe capire quanto sarà gentrificato in futuro con l’arrivo delle grandi aziende della moda ed i progetti per le olimpiadi. Un aspetto critico secondo Francesca è che si è continuato a costruire nel quartiere pur senza ampliare i servizi: non c’è una metropolitana ma solo il tram ventiquattro e mancano luoghi di cultura. “Siamo però pieni di supermercati … per cui di fame non moriremo, semmai moriremo di cultura” scherza Francesca. La chiusura di molti negozi che non hanno riaperto dopo il Covid pone anche dei problemi di sicurezza in un quartiere in cui non ci sono luci accese la sera. Vorrebbe quindi veder nascere centri di aggregazione, come delle biblioteche o semplicemente degli spazi dove poter bere un caffè e sferruzzare con altre persone. In alcune zone di Milano esistono delle Case delle Associazioni … qui hanno solo un CAM che però pone problemi di agibilità per cui hanno dovuto interrompere il cineforum estivo.
Per Francesca una comunità dovrebbe essere aperta a tutti e laica. Una comunità per tutti quindi: trasversale per ceto ed età, dove i bambini possano interagire con gli anziani, dove non ci siano conflitti generazionali per cui ci si lamenta che “i giovani fanno casino”, dove ci si sente a casa e dove poter fare attività assieme ad altre persone.
L’auspicio per il futuro è di continuare con questo entusiasmo, che si riesca a collaborare con altre realtà anche trovando una sede condivisa perché la mancanza di luoghi fisici rappresenta un freno per le attività.
Storia Youssef è un ragazzo nato in Egitto nella città di Sharkia. La sua famiglia è composta dalla madre, dal padre che ha problemi di salute e non lavora, 2 fratelli maggiori: Mustafà 23 anni che studia e fa il fotografo e Abdelsalam 21 anni fa l’imbianchino. Il ragazzo racconta che da piccolo ha vissuto a El Giza per un certo periodo di tempo, città in cui vivono anche i suoi parenti, poi si è spostato con la famiglia a Sharkia quando aveva 13 anni. Youssef ha frequentato la scuola dai 6 ai 12 anni, poi ha continuato con un corso di scuola superiore fino ai 16 anni, dopodiché ha avuto inizio il suo lungo viaggio prima di arrivare in Italia. Il ragazzo, con il consenso dei genitori, ha lasciato l’Egitto insieme ad altri 2 amici per arrivare in Russia dove è stato pochi giorni per poi raggiungere la Bielorussia dove è rimasto per più di 5 mesi, è stato in Germania per quasi un mese. Durante questi spostamenti non sono mancati momenti di preoccupazione in cui il ragazzo, insieme ad altri giovani, hanno dovuto passare i vari controlli delle forze di polizia e muoversi nelle fredde pianure e attraversare boschi innevati. Il 15 aprile 2023 Youssef ha raggiunto l’Italia, è arrivato a Venezia e poi raggiungere Milano dove ha soggiornato 15 giorni ed è stato condotto a Pavia in un centro di accoglienza, successivamente è stato accolto presso la struttura per minori stranieri non accompagnati “Il Galletto” di Felizzano Al. Il ragazzo dice di trovarsi bene in Italia, gli piace questo paese, si è ben inserito all’ interno della struttura collaborando e andando d’accordo sia con gli altri ragazzi sia con gli operatori. In Egitto Youssef ha avuto qualche esperienza lavorativa: è stato barbiere/parrucchiere per un breve periodo ed è stato imbianchino e decoratore per diversi mesi, il ragazzo è interessato a questo tipo di attività tanto che presso la struttura che lo sta ospitando ha tinteggiato e messo in pratica tecniche decorative da lui apprese riuscendo a creare lavori ben eseguiti e di notevole impatto visivo. Il ragazzo per il futuro si augura di trovare un lavoro, avere una casa, farsi una famiglia ed essere felice.
La storia di Ignazio e Pina inizia quando loro figlia si è ammalata di un disturbo psichiatrico all’età di diciannove anni e, assieme ad altri familiari, hanno intrapreso un percorso al fine di capire la malattia e sapere come comportarsi in modo adeguato con loro figlia, oltre ad aprire un dialogo permanente con i servizi del territorio. Così è nata l’associazione, di cui entrambi sono fondatori.
“Fare assieme” è il nome dell’associazione ma è anche un principio fondamentale per loro, ovvero la necessità di creare un intreccio tra comunità competente per esperienza, quindi i familiari e le persone prossime, e comunità competente per professione, ovvero i professionisti che erogano le cure. E’ fondamentale che queste due comunità dialoghino, in quanto negli ultimi dieci anni la famiglia è stata riconosciuta come parte integrante dei processi di cura. La persona con disturbi psichiatrici vive infatti in famiglia ed è quindi necessario lavorare con essa in un percorso di consapevolezza, che richiede costanza e assiduità. La salute mentale è infatti impegnativa anche per i familiari, che talvolta fanno fatica ad accettarla e devono in primis imparare a gestire se stessi e le proprie aspettative, perché più esternalizzano la loro frustrazione e disperazione, più il malato si percepirà come perdente. E’ infatti dimostrato che minore è l’emotività negativa espressa dai familiari e maggiore sarà la possibilità di recupero del malato. In questo il mutuo aiuto tra famiglie è un altro principio cardine dell’associazione, al fine di trasformare il dolore dei familiari in energie positive e combattere l’isolamento in cui molte famiglie si chiudono in ragione dello stigma sociale legato alla malattia. In questo l’associazione si definisce un modello di welfare generativo collaborativo, in cui le persone portatrici di problemi e sofferenze diventano protagoniste del proprio percorso di recupero del benessere.
Si rifanno alla psichiatria territoriale del Basaglia, ovvero l’idea che si possa curare la malattia mentale in spazi di libertà e non di contenzione, in quanto la contenzione porta alla regressione. Ognuno di noi è portatore di energie resilienti che ci aiutano a far fronte ai problemi e che devono essere facilitate ad emergere. Il loro è quindi un luogo che permette di far emergere le risorse resilienti delle persone e dar spazio alle passioni schiacciate dalla malattia. La psichiatria inglese degli anni settanta già spingeva a creare dei luoghi di socializzazione gestiti da familiari e utenti con degli operatori che vengono di tanto in tanto, in quanto chi ha una malattia mentale necessita di avere un piede dentro il sistema ospedaliero ed uno fuori, per ritrovare equilibrio e autostima. Altro elemento fondamentale già sperimentato da anni con successo in Trentino, Toscana ed Emilia Romagna, è quello di responsabilizzare gli utenti. Nei servizi di queste regioni lavorano infatti dei familiari e degli utenti esperti che, avendo vissuto la problematica, hanno una maggiore empatia e sanno come comportarsi. Anche l’associazione nel suo piccolo cerca di responsabilizzare alcuni utenti a cui dà anche un compenso economico quando si vincono dei progetti. In generale il loro è uno spazio amicale, in cui ci si sente in famiglia, al punto che parlano di “adozione”, ovvero l’idea che ci sia un prendersi cura collettivo degli utenti in quanto alcuni non hanno nessuno.
Il servizio pubblico infatti ha visto nel tempo un restringimento significativo delle risorse, per cui gli utenti vengono seguiti fino ai trentacinque/ quarant’anni e poi vengono abbandonati: proprio nella fascia d’età più critica in cui i loro care givers, che sono spesso i genitori, vengono meno. Nel Municipio Cinque, dove ci troviamo ad esempio, loro sono l’unica associazione che si occupa di salute mentale e si stima che ci siano circa duemila cittadini con una malattia psichiatrica cronica. C’è quindi molta ospedalizzazione e pochi servizi sul territorio: loro si occupano di seguire le persone nel tempo fuori dall’ospedale, organizzando dei momenti di convivialità, delle attività come l’arteterapia e recentemente anche un coretto. Possono offrire questi servizi grazie al lavoro dei volontari perché i progetti non assicurano la continuità delle risorse, oltre a richiedere che ci siano persone specializzate dedicate al lavoro di raccolta fondi.
Il loro auspicio è quindi quello di far sapere nel territorio che ci sono associazioni che si occupano di salute mentale e far conoscere quello che fanno, in modo da avere più volontari e poter assicurare i loro servizi gratuiti.
Elisabetta è la presidente dell’Associazione C.I.A.O. “Camminare Insieme con Amore verso Opera”, fondata da sua mamma nel 1995 assieme ad altri volontari del carcere di Opera. Sua mamma faceva infatti la volontaria all’interno del carcere e negli anni di volontariato si è resa presto conto della necessità di disporre di spazi dove i detenuti potessero recarsi durante i permessi premio, da cui l’idea di costituirsi in associazione. Dal 2000 l’associazione ha sede in una vecchia scuola concessa dalla parrocchia dei santi quattro evangelisti a loro adiacente, edificio che l’associazione è riuscita a ristrutturare ricavandone degli appartamenti. Oltre agli appartamenti nella sede principale, che accolgono mamme detenute con bambini, l’associazione dispone di altri quattro appartamenti in zona Giambellino, Porta Genova e 5Square, che ospitano mamme in condizioni di fragilità. Elisabetta spiega come il vivere in comunità sia fondamentale per il reinserimento in società di mamme ex detenute con bambini. A 5Square, un Housing Sociale in cui si sperimentano delle forme di abitare collaborativo volte alla costruzione di legami comunitari, è stato inoltre possibile inserire le mamme all’interno di un contesto di solidarietà e condivisione e l’associazione stessa si è fatta promotrice di iniziative di quartiere quali il gioco danza, laboratori di fiabe per bambini e dei momenti di convivialità come delle merende il sabato pomeriggio. Per Elisabetta una comunità si basa sull’accoglienza, che passa per il conoscersi, il condividere dei momenti assieme e l’accettarsi al di là dei percorsi passati. Comunità è anche aiuto reciproco e reciprocità, per cui anche le mamme possono essere d’aiuto portando la loro esperienza e mettendo a disposizione le loro competenze. Comunità è quindi l’immagine di un abbraccio, da intendersi anche come il sentirsi parte di qualcosa.
Elisabetta ha iniziato a lavorare per l’associazione nel 2007, occupandosi della gestione dei detenuti in permesso premio e visura alternativa che venivano accolti nelle strutture per poter trascorrere del tempo con i loro familiari. Si è poi occupata di progettazione, raccolta fondi e amministrazione e dal 2016 è presidente dell’associazione, anche se mantiene una forte operatività.
In questi anni Elisabetta ha fatto tesoro di molte storie. Molte sono le immagini di gioia delle mamme che arrivano in detenzione domiciliare e che finalmente sono libere di uscire. Molti sono anche i momenti di fatica e debolezza: momenti in cui generalmente si crea una forte solidarietà tra le mamme della comunità e ci si fa coraggio a vicenda, nonostante le diversità caratteriali e culturali. Elisabetta ricorda ancora molto nitidamente la prima mamma detenuta che lei ha seguito. Questa mamma viveva all’Icam, l’Istituto di Custodia Attenuata per Madri, una sorta di sezione distaccata di San Vittore per mamme con bambini. Aveva dodici ore di permesso e la sua bimba, che stava per compiere tre anni, non era mai uscita con la mamma. Per cui sono andate al supermercato a comprare le cicche e una pizza da mangiare in struttura: quello che per noi rappresenta la normalità, per loro rappresentava l’eccezionalità. In quel momento Elisabetta e le altre operatrici han deciso di affrontare la sfida, in primis economica, di prendere in carico le mamme con bambini. Ricorda anche di una mamma che è dovuta tornare in carcere, per cui han dovuto dire al bambino che lo avrebbero riportato in carcere perché l’appartamento di C.I.A.O. doveva essere ristrutturato. Quando è stato possibile riportare la mamma e il bambino da loro in struttura, lui ha esclamato: “Finalmente son tornato a casa”!
Elisabetta confessa che il suo lavoro non è sempre facile, eppure anche nei momenti di fatica, c’è sempre qualcosa che spinge loro operatori ad andare avanti: l’affetto e la passione per le mamme e i bambini, il senso del lavoro che stanno facendo che è quello di dare la possibilità ai bambini con mamme detenute di uscire dal carcere e vivere la normalità.
L’auspicio è di riuscire a proseguire la loro attività aumentando le proprie capacità, in quanto di case famiglia protette per mamme detenute con bambini ne esistono solo due in tutta Italia.
Tiziana è insegnante di scuola primaria da oltre quarant’anni. Di formazione scientifica, la passione per l’insegnamento l’ha spinta poi a prendere da privatista l’abilitazione magistrale, in quanto le piace il mondo dell’infanzia. Ha iniziato ad insegnare in Barona, in un contesto di famiglie che abitavano in case occupate. Poi nell’ottantatre ha iniziato a lavorare nel Vigentino: prima nella scuola di Via Antonini e poi in quella di Wolf Ferrari. Dopo qualche anno si è poi trasferita qui nel Vigentino, che definisce il suo quartiere di elezione. Qui infatti ha conosciuto così tanti bambini che sente di avere un’identità in questo posto, per il quale ha un legame emotivo e dove pensa di aver inciso, spera positivamente. Tiziana ha iniziato a lavorare molto giovane ed ha preso la laurea in Scienze Politiche con indirizzo sociologico quando già aveva avuto una figlia. Il suo lavoro continua ad appassionarla dopo tanti anni, anche se sente di dover rallentare e dedicarsi maggiormente a sé stessa: tra un po’ andrà in pensione ed ha tanti progetti.
Quello che l’appassiona del suo lavoro è l’idea di poter incidere positivamente sulla vita delle persone e di poter diventare un punto di riferimento in molte situazioni problematiche. A scuola si è occupata tre anni di lotta alla dispersione scolastica nella zona di Vaiano Valle, dove si trova un campo Rom. Ha iniziato quindi a frequentare il campo per riportare i bambini a scuola ed ha scoperto un mondo. In alcuni casi lei e le sue colleghe sono riuscite a riportare i bambini a scuola: alcuni hanno poi completato la scuola secondaria di primo grado, sono diventati cittadini italiani ed hanno trovato un lavoro. Insegnare è un lavoro di relazione sempre nuovo, in quanto gli alunni cambiano e per cui non si fanno mai le cose allo stesso modo. E’ anche un lavoro creativo: vi è infatti un margine per proporre cose nuove e metterci del proprio. In questo è un lavoro molto gratificante, anche se negli ultimi anni si è troppo burocratizzato. E’ però un lavoro che ti porti a casa, perché si prendono a cuore le storie dei bambini e, con loro, delle loro famiglie. E’ un lavoro che ti mantiene giovane, perché essere sempre in contatto con i giovani è un bel modo di tenersi al passo con i tempi.
Tiziana ha iniziato a frequentare il Vigentino dall’età di quattordici anni, quando veniva qui a giocare a basket. Il suo primo ricordo del quartiere è quindi di quando i ragazzi venivano all’uscita degli allenamenti per vedere loro ragazze nella divisa in pantaloncini corti. Allora era un quartiere popolare, con molte case popolari. I bambini crescevano all’aperto giocando nei cortili: dopo il pranzo, i ragazzi facevano i compiti nell’ora del riposino e poi scendevano a giocare, con i genitori che davano un occhio dal balcone di tanto in tanto. Negli anni in cui ha insegnato qui, Tiziana ha visto tre fasi: una prima fase di case popolari di ringhiera che avevano i bagni comuni nei ballatoi, abitate principalmente da famiglie dal Sud, con la presenza di alcune famiglie in situazioni di disagio; una seconda fase in cui è diventato un quartiere di gente semplice, che vive del proprio lavoro ; una terza fase in cui è diventata visibile la presenza di famiglie straniere di madre lingua non italiana, a cui è seguita una fase recente di bambini nati in Italia e di madrelingua italiana anche se da famiglie straniere.
Il Vigentino è un quartiere che ha tutti i servizi a portata di mano: la comodità è importante per poter dedicare il tempo libero ai propri interessi. E’ un quartiere in cui vi è un connubio tra la vivacità della città e delle iniziative culturali, che è il motivo per cui a Tiziana piace Milano, e il verde e la campagna. E’ poi un quartiere che ha una storia, abitato ancora oggi da persone che hanno dei ricordi antichi del luogo. A lei piace molto la campagna andando verso Chiaravalle e si sposta volentieri in bici. A questo proposito la Via Ripamonti è un po’ pericolosa perché stretta e molto trafficata. Le piace fare una vita di quartiere, per cui va volentieri in un bar sotto casa dove è possibile giocare a scacchi. Per le attività culturali, a parte il salotto letterario Caracci che è diventato una realtà importante nel quartiere, bisogna spostarsi in zona Barona e Corvetto, dove ci sono teatri e il Centro Internazionale di Quartiere. Anche per trovare delle biblioteche bisogna spostarsi a Corvetto oppure in Chiesa Rossa o in Viale Tibaldi. Ultimamente sta pensando di riprendere a giocare a basket nella nazionale over ciquantacinque e le piacerebbe trovare qualcuno in zona con cui fare due tiri.
Per Tiziana una comunità dovrebbe essere solidale e creativa. Un luogo dove ognuno mette in gioco le proprie competenze al servizio degli altri, in cui ha di più da di più. Un luogo anche organizzato, altrimenti il rischio è che si rimanga nell’astratto. Luogo spirituale ma anche fisico, in quanto perché le persone si incontrino e nascano dei legami è necessario ritrovarsi fisicamente.
Per il futuro l’auspicio di Tiziana è quello di poter conoscere in zona persone con interessi a lei comuni e che la comunità sappia integrare le persone nuove nel quartiere al di là della loro provenienza. Rispetto al quartiere invece, le piacerebbe ci fosse una libreria e dei luoghi di socialità e aggregazione, dove leggere, organizzare feste e incontrarsi in momenti conviviali.
Giovanni Pitrolo è presidente della cooperativa sociale “ La Casa di Miryam”: nata nel novembre del 2001 su iniziativa di un gruppo di operatori della Comunità Terapeutica "La Casa del Sole" di Reggio Calabria e di ex utenti che avevano concluso il programma di recupero, per rispondere alle esigenze di reinserimento socio-lavorativo in un contesto sociale certamente difficile per lo stato diffuso di disoccupazione. La missione de "La Casa di Miryam" è il reinserimento lavorativo degli utenti svantaggiati al fine di favorire la crescita dei rapporti sociali e lavorativi con i soggetti privati e pubblici del territorio, in modo da evitare che gli utenti stessi sperimentino una condizione di abbandono e fallimento. La Cooperativa, puntando sulle diverse professionalità e competenze acquisite nel corso degli anni, ha avviato attività di ristrutturazione, giardinaggio, manutenzione varia, vendita e assistenza di hardware e software. Dal 2010 è attiva anche la distribuzione pubblicitaria rivolta alla grande distribuzione ed altre medie e grandi imprese del territorio nazionale. Giovanni offre opportunità a chi sogna un futuro nel nostro territorio affinché ognuno si costruisca la propria strada.
Andrea si occupa di inserimento al lavoro di persone fragili ed è il responsabile della cooperativa sociale agricola Agrivis. La cooperativa esiste già da qualche anno, anche se i lavori della cascina sono stati completati meno di due anni fa, permettendo alla cooperativa di far decollare a pieno le proprie attività. Agrivis si occupa di agricoltura biologica ed ha ottenuto la certificazione BIO nel gennaio 2019. Si coltivano principalmente orticole- con oltre quaranta tipologie di verdure- ed in piccola parte frutti destinati principalmente al laboratorio di trasformazione - come fragole, lamponi e more. Nel complesso Agrivis dispone di quattro ettari di terreno di sua proprietà e mezzo ettaro di terreno in comodato d’uso, la maggior parte dei quali dedicati a coltivazione in pieno campo ed in piccola parte alla coltivazione in serre non riscaldate.
La cooperativa si trova all’interno del Parco Agricolo Sud, nel Municipio 5 di Milano. La posizione è ideale in quanto si è immersi nel verde ma il centro città dista solo una ventina di minuti. Agrivis fa parte del gruppo L’Impronta, motivo per cui tutte le sue attività hanno come missione l’inserimento al lavoro di persone fragili. Oggi l’équipe di Agrivis è coordinata da un agronomo e si compone di sei ragazzi fragili tra migranti, detenuti a fine pena e ragazzi con disabilità fisica o psichica. A questi si aggiungono al bisogno borse lavoro e tirocini per quanti vogliano imparare il mestiere nel campo o in laboratorio.
Il completamento della cascina ha permesso anche di allestire al primo piano due appartamenti in grado di accogliere dieci ragazzi in situazione di precarietà e che non potrebbero quindi accedere al mercato degli alloggi : oltre alla casa, i ragazzi ricevono assistenza nell’espletamento di pratiche burocratiche quali l’ottenimento del permesso di soggiorno e della tessera sanitaria. Ia cascina ha inoltre permesso di avviare un nuovo ramo d’impresa, con l’apertura di un laboratorio per la trasformazione dei prodotti freschi in conserve, confetture e succhi: oltre ad utilizzare i prodotti del proprio campo, che per forma e dimensioni non sono atti alla vendita, la cooperativa ha avviato un dialogo con l’ortomercato di Milano in ottica di contrasto allo spreco alimentare, in quanto si calcola che ogni giorno vengano buttate al mercato tra le nove e le dieci tonnellate di frutta e verdura.
La cooperativa dispone anche di un’aula polifunzionale dove ospitare le scuola per laboratori a tema agricolo e sostenibilità ambientale e sociale. Inoltre, il sabato la cascina è aperta a tutti quanti desiderino venire ad acquistare i prodotti freschi, offrendo anche la possibilità di raccoglierli direttamente dal campo. A breve la cooperativa aprirà anche un punto vendita all’interno dell’Housing Sociale di Via Antegnati, a pochi kilometri dalla cascina, dove L’Impronta sarà presente con un panificio pasticceria. Fondamentale per Agrivis come per tutte le attività del gruppo L’Impronta sarà il raggiungimento di una sostenibilità economica dopo una prima fase di start up. A tal proposito fondamentale è la relazione che L’Impronta ha saputo instaurare negli anni con molte aziende del territorio milanese.
La Cooperativa Sociale La Strada nasce una quarantina di anni fa per rispondere al grave problema delle tossicodipendenze di quegli anni. Inizialmente si trattava di un gruppo di giovani animati da Don Giancarlo Cereda che poi si è strutturato dando vita alla cooperativa. Nel tempo La Strada si è specializzata in alcune macroaree: quello della domiciliarità, con operatori ed educatori che si recano a domicilio da persone che necessitano di un intervento sociale ed educativo; l’area della territorialità, con servizi legati ai bisogni del territorio dove La Strada ha sede, come centri diurni e di aggregazione per i giovani, l’assistenza ai minori in situazioni di fragilità, percorsi formativi per contrastare l’abbandono scolastico, lo Sportello WeMi ed il Centro per i Servizi al Lavoro; la residenzialità, con servizi di accoglienza abitativa negli housing e con le comunità per sieropositivi; i servizi di cura a supporto di minori e adulti che presentano una sofferenza post-traumatica grazie al supporto di psicologi e psicoterapeuti.
Lia è arrivata in cooperativa nel 2005, lavorando inizialmente nel centro diurno per le comunità per sieropositivi e malati di aids di cui è diventata coordinatrice, e poi nell’area dell’accoglienza abitativa. Prima di arrivare qui, Lia aveva già fatto esperienza in comunità di mamme con bambini, comunità per persone con disagi psichici e nelle scuole, essendo lei educatrice. Quello che ha fatto sì che decidesse di restare a lavorare per La Strada è il fatto di sentire di poter fare la differenza e di poter dare effettivamente risposta alle emergenze dal punto di vista sociale. In questo, la cooperativa ha saputo cogliere l’evoluzione dei bisogni ed adattare la propria offerta di servizi. Ad esempio, anni fa il tema abitativo non rappresentava un bisogno importante, mentre oggi rappresenta una vera emergenza in città come Milano in ragione della difficoltà ad accedere ad un alloggio dignitoso e sostenibile economicamente. L’emergenza abitativa oggi non riguarda infatti solo gli anziani soli e le persone sfrattate, la prima accoglienza delle mamme che escono dalle comunità e le case rifugio per donne maltrattate, ma sempre più quanti non hanno semplicemente i mezzi per poter pagare un affitto. Anche l’area dell’orientamento al lavoro è diventata particolarmente rilevante ed ha portato la Strada ad aprire un Centro per i Servizi al Lavoro accreditato. In ogni caso, il principio che guida il lavoro della cooperativa è quello di fornire gli strumenti perché le persone possano trovare la loro strada in autonomia, con uno sguardo ed un’attenzione ai bisogni del singolo, quindi senza uniformare la risposta.
Rispetto al periodo del Covid, Lia ricorda l’impegno degli operatori nel raggiungere le persone accompagnate per accertarsi che padroneggiassero le informazioni sanitarie e nel sostenere i ragazzi e le famiglie rispetto ai nuovi bisogni emersi con la DAD, fornendo ad esempio device per il lavoro scolastico. Nel caso delle donne maltrattate poi, il periodo del Covid è stato particolarmente drammatico in ragione della coabitazione forzata e della maggiore difficoltà nei percorsi di autonomia. Con il ritorno alla ‘normalità’, la cooperativa è stata poi particolarmente attiva nel sostenere le persone a reimmettersi nel mercato del lavoro.
Rispetto al quartiere Corvetto, si tratta di un territorio ricco di associazioni e quindi vivace. Alcune di queste associazioni hanno una storia radicata nel quartiere e con queste la cooperativa ha sviluppato una relazione consolidata. L’arrivo di nuove realtà ha permesso invece di sviluppare progettualità innovative, con esperienze in cascina nelle aree verdi della Vettabbia e di Chiaravalle. In ogni caso, la tendenza crescente tra le associazioni di quartiere è quella di sviluppare collaborazioni e di lavorare in rete. Negli ultimi tempi si è vista anche una maggiore attenzione alle zone periferiche da parte del Comune, con la nascita di piste ciclabili ad esempio, anche se rimangono delle situazioni di forte disagio nei quartieri popolari.
Filippo si occupa di sicurezza e per molti anni ha lavorato nell’azienda di famiglia. Ha dovuto iniziare a lavorare quando è mancato suo papà, portando avanti allo stesso tempo gli studi. Da scienze politiche ha deciso di cambiare percorso di studi per poter disporre di strumenti giuridici e economici per lavorare in azienda ed ha concluso gli studi con un master in corporate governante. Dopo dodici anni ha poi deciso di cambiare vita, lasciando l’azienda di famiglia e iniziando a lavorare in Confcommercio.
Prima di trasferirsi qui viveva a Buccinasco, dove è presidente di una onlus che si occupa dei bisogni delle famiglie con servizi di ostetricia a domicilio, un gruppo di acquisto solidale, un Alzheimer caffè per gli anziani, e molto altro. A Buccinasco abitava in una grande casa abitata da più famiglie, per cui è abituato a condividere gli spazi e gli piace l’idea di abitare collaborativo dell’housing sociale di 5Square. Ha fatto domanda appena uscito il bando, in quanto i prezzi delle case a Milano sono abbastanza proibitivi. Con i vicini ha fatto amicizia velocemente, avendo trovato persone disponibili e cordiali. Diverse sono poi le occasioni di incontro: oltre all’iniziativa degli orti condivisi che hanno sul tetto, a cui molti condomini hanno aderito, la sua scala organizza regolarmente degli aperitivi nello spazio condiviso Living e con alcuni si ritrovano anche per delle cene a casa. Al Living si organizzano diverse attività, a cui non sempre riesce a partecipare per motivi di tempo: come il coworking, lo yoga, l’allenamento funzionale e recentemente degli incontri volti alla costituzione di una associazione di quartiere. Rispetto al Living, lo immagina come un luogo aperto anche a chi viene da fuori purché si dia priorità a chi vive a 5Square, trattandosi dell’unico spazio grande condiviso di cui dispongono i condomini per ritrovarsi. A breve il quartiere si completerà di negozi e servizi per cui inizierà ad essere vissuto anche da persone esterne.
Rispetto al Vigentino, Filippo non ha ancora avuto modo di percorrerlo a piedi, anche se gli piacerebbe farlo e conoscerlo meglio, in primis gli spazi verdi e le cascine di cui in molti gli hanno parlato. Frequenta comunque alcuni negozi, come la tintoria e il supermercato. Gli sembra comunque sia un quartiere dove si possano trovare i commerci e servizi che servono nel quotidiano anche se, da celiaco, gli piacerebbe trovare un posto che faccia prodotti per celiaci nelle vicinanze.
Per Filippo una comunità è innanzitutto condivisione, da intendersi anche come condivisione degli spazi per attività comuni, ed inclusione, sia delle diverse culture ma anche delle diverse esperienze, dalla cui condivisione possono nascere occasioni di crescita personale. Comunità è quindi un luogo per tutti: coppie, single, famiglie.
Marco è il Presidente del Comitato Vigentino per Milano, associazione nata tredici anni fa con l’obiettivo di sviluppare socialità nel quartiere, con l’organizzazione di iniziative volte a far incontrare le persone attorno a tematiche culturali e sociali.
Il Comitato organizza infatti il bookcrossing: un baratto di libri che si tiene una volta al mese presso la scuola elementare di Via Antonini. Si tratta di un’iniziativa consolidata, che in tredici anni è cresciuta diventando un appuntamento fisso per le persone del quartiere: un momento di socialità per famiglie, anziani e persone che amano leggere in generale. Ad ogni evento partecipano infatti dalle centocinquanta alle duecento persone.
Una volta al mese il Comitato organizza anche delle conferenze che si tengono al CAM Verro, unico punto di aggregazione per il quartiere oltre alle parrocchie. Nel CAM si tengono infatti diverse attività, come corsi di ginnastica dolce per anziani, bische di carte e doposcuola per ragazzi. Le conferenze posso riguardare la presentazione di libri, temi sociali come la salute pubblica, le migrazioni, le elezioni europee, oppure temi culturali come conferenze sul continente africano o sulle tradizioni popolari, essendo un membro del comitato un appassionato del tema. L’idea del Comitato è comunque quella di stimolare la partecipazione degli abitanti e una cittadinanza attiva in generale.
Marco si è trasferito nel Vigentino appena laureato, quando ha trovato il suo primo lavoro. Si è trasferito in una casa di edilizia convenzionata che quando è arrivato lui era ancora in costruzione. Tra gli abitanti è nata subito una coesione che raramente gli è capitato di vedere a Milano: il palazzo dispone infatti di una sala comune dove si tengono assemblee, feste e corsi di fotografia e ballo. Di quando si è trasferito ricorda che Via Verro era quasi in campagna e poi negli anni il quartiere si è sviluppato con la costruzione di nuovi palazzi. E’ un quartiere sicuro e tranquillo, che rimane prossimo alla campagna, anche se si è persa quella dimensione tipica di paese. A Marco piace fare delle passeggiate verso Chiesa Rossa o Chiaravalle passando per il Parco della Vettabbia, dove c’è anche una bella pista ciclabile. Nel quartiere mancano dei luoghi di socializzazione soprattutto per i giovani, che si ritrovano per lo più al bar o ai giardinetti. Gli piacerebbe che anche nel Vigentino nascesse un posto come a Chiesa Rossa, con una biblioteca o un altro spazio dove poter fare delle iniziative culturali e sociali, coinvolgendo i giovani per non abbandonarli ai giardini (il CAM è infatti molto piccolo). A tal proposito lo Spazio Living di 5Square è un posto molto interessante e l’auspicio è che si riempia di contenuti e che si sviluppi qualcosa che dia un contributo a tutto il quartiere, non solo a 5Square.
Paola è architetto ed ha lavorato per molti anni nel settore pubblicitario. E’ entrata poi in contatto con Scacco Matto nel momento in cui è stato aperto il centro diurno a San Donato. A San Donato vi è infatti un’associazione di familiari molto attiva, per cui l’associazione è partita lavorando con questo gruppo e si è poi ampliata accogliendo persone da tutta Milano. Paola è molto sensibile al settore della salute mentale in ragione della sua storia familiare, motivo per cui ha colto volentieri la sfida di aprire una sede dell’associazione nella provincia di Milano.
Jacopo invece è arrivato a Scacco Matto circa un anno fa occupandosi di lavori manuali legati alla ristrutturazione dello spazio, mentre oggi sta imparando il lavoro da copyrighter e sta lavorando in ufficio gestendo le persone e facendo promozione. “Scacco Matto non è per tutti, ma è per le persone pronte per Scacco Matto”, ci dice. Lui è arrivato qui dopo aver fatto un percorso in comunità e nel centro diurno si è subito trovato bene, in quanto ha trovato persone con cui passare la giornata, ritrovando una dimensione di normalità. La vita in comunità è stata per lui “de socializzante”, in quanto si ha a che fare con persone in terapia e con un malessere molto accentuato, per cui era difficile instaurare dei rapporti umani sani. Qui ha quindi riesercitato la sua capacità di interagire e socializzare con gli altri: “Saper instaurare dei rapporti di amicizia con le altre persone necessita infatti di tempo, dedizione e volontà. Ogni luogo ha la sua peculiarità”, ci spiega. La comunità serve a far fronte ad un momento di disturbo, il percorso ospedaliero crea un equilibrio che, una volta raggiunto, mette le persone in misura di intraprendere poi un percorso come quello con Scacco Matto, in cui si ridiventa protagonisti della propria vita, scoprendo e facendo emergere le proprie attitudini ed il proprio carattere. Chi arriva qui ha quindi superato la fase più acuta della malattia ed entra in una nuova fase di uscita dall’isolamento a cui spesso la malattia porta, e di risocializzazione.
Quando Jacopo è arrivato qui per la prima volta, gli è stato chiesto cosa gli piacesse fare. A lui piace scrivere per cui ha aiutato gli altri ragazzi a esprimere le loro esperienze e a fare teatro, scrivendo anche degli articoli. “Mentre in comunità cumulavo una piramide di piccole sconfitte, qui sto cumulando una piramide di piccole vittorie. Per le persone con un disagio mentale è importante essere riconosciute e riconoscersi in qualcosa che ha valore”. A tal proposito Paola ricorda di quando hanno partecipato ad un corteo con le associazioni di Corvetto, in cui i ragazzi e le ragazze di Scacco Matto si sono rivelati una risorsa utile: “Il passaggio da chi necessita di essere accudito a chi può invece essere un aiuto importante è stata una presa di coscienza importante anche per loro”. Tra le altre soddisfazioni vi è anche la vincita, lo scorso anno, di un concorso sul racconto di episodi autobiografici: Jacopo ha infatti una grande propensione all’ascolto per cui persone anche reticenti si sono aperte con lui raccontando la propria vita. “Raccontarsi ha rappresentato un momento importante di presa di consapevolezza rispetto al proprio passato”. Jacopo cita un paio di esempi di persone con mutismo selettivo e agorafobia che qui hanno ritrovato la loro dimensione.
Recentemente Scacco matto ha aperto un centro diurno anche in zona Corvetto, dove, grazie alla partecipazione ai patti di sussidiarietà, ha instaurato collaborazioni con altre associazioni che si occupano di fragilità. Attualmente loro si autofinanziano con le rette di iscrizione, per cui l’auspicio è quello di poter ricevere aiuti in modo da poter fornire il servizio gratuitamente.
Liliana è cresciuta in Via Macconago e ricorda di quando andava e veniva da scuola in Via Noto a piedi, tornando a casa nel pomeriggio con una fame tremenda. Ha cominciato la scuola a otto anni, perché prima c’era la guerra. Liliana aveva tre anni quando è cominciata la guerra e di quegli anni si ricorda ancora di quando c’erano i tedeschi nelle campagne. Era infatti una zona limitrofa alla campagna: suo papà faceva il mungitore e la sua famiglia lavorava i campi di grano. Dopo la quinta elementare Liliana è andata a lavorare. Ha però sempre continuato a leggere e si è fatta una cultura da sola, perché è una persona di natura curiosa e le piace imparare cose nuove. A sedici anni ha conosciuto suo marito e a ventidue anni si è sposata. Suo marito abitava nelle case popolari di Via Ghini, in un monolocale con otto persone. Da sposata si è poi trasferita a Gratosoglio per poi tornare in Vigentino, dove ha vissuto fino ad oggi.
Liliana ha lavorato per un importante importatore di vini e liquori dall’estero, per cui spedivano Cognac, Whisky e Champagne provenienti da Francia e Inghilterra in tutta Italia. Ha anche viaggiato molto per passione: le piace infatti visitare posti nuovi, vedere come vivono le persone, perché ogni paese ha le sue caratteristiche. Ha fatto quindi ben trentacinque crociere in giro per il mondo: dalla Tunisia – la sua prima vacanza all’estero, al Brasile, al Sud Africa e ai Caraibi. Ha fatto poi la commessa in un panificio del quartiere, motivo per cui ha conosciuto moltissime persone che ancora oggi la salutano se la incontrano per strada.
Di quando era giovane ricorda che c’era una fiera dove loro ragazzi andavano a divertirsi. Ricorda anche di quando sono arrivati in quartiere i primi tram … una vera rivoluzione! La vita in quartiere è cambiata: prima ci si conosceva e tra vicini ci si aiutava. Questa dimensione di paese le manca e pensa che si vada sempre più perdendo con le nuove generazioni. Ricorda anche di quando in quartiere c’era un cinema … poi ha chiuso, probabilmente perché da quando si è diffusa la TV i film si vedono anche a casa. Del quartiere le piace il verde, per cui nel tempo libero esce a fare delle passeggiate. Il suo posto di ritrovo preferito ora è l’oratorio, dove nel pomeriggio viene a giocare a carte per passare la giornata in compagnia. Prima seguiva anche un corso di ginnastica in oratorio che ora purtroppo non organizzano più. Viene però in occasione dei pranzi che alle volte organizzano … essendo rimasta sola, preferisce venire qui e stare in compagnia, per non restare tutto il giorno davanti alla tv. Si dispiace delle tante persone sole che passano le giornate in casa e vorrebbe che si facesse di più per raggiungere queste persone e farle uscire. Rispetto all’idea di comunità, rimpiange le comunità di una volta, in cui si era più uniti. Ora le sembra che le persone non si ritrovino più come una volta, a parte forse le persone di una certa età.
Djurdja, o Giorgia, è psicologa e lavora da tre anni per la cooperativa Officina Lavoro. Quando è arrivata qui erano in otto: ora sono più che raddoppiati e la cooperativa si è allargata moltissimo. Inizialmente lavorava come operatrice sociale e si occupava di progetti per i giovani e varie fragilità psico-sociali ed economiche. Prendeva quindi in carico dei giovani con varie fragilità che poi accompagnavano con dei percorsi a misura di persona della durata di uno o due anni. Questi percorsi prevedevano un sostegno psicologico, formativo e di orientamento al lavoro. Ora Giorgia è responsabile della sede di Milano e, in quanto cooperativa, ciascun socio può proporre ed avviare delle nuove progettualità: in questo vi è un forte spirito imprenditoriale che viene molto apprezzato dai soci che sono per lo più giovani under trentacinque.
Nel loro lavoro si rivolgono al Municipio cinque e non solo: fanno infatti parte di diversi tavoli territoriali, tra cui il tavolo lavoro, e di diverse reti, come la rete di QuBì Gratosoglio, che si occupa di povertà minorile. Sono quindi uno spazio aperto a tutta la cittadinanza: vocazione che si è rafforzata con l’apertura dello sportello WeMi, anche se il loro target primario rimane quello dei giovani adolescenti e adulti con diverse fragilità. Un esempio sono i laboratori per i giovani sulla motivazione, l’autostima e la gestione delle emozioni oppure il progetto “Officina dell’io” per minori con messa alla prova dell’area penale e che loro accompagnano in percorsi di volontariato e riabilitazione. Hanno poi sei sportelli di orientamento situati in diversi comuni, in cui si occupano di accompagnamento e inserimento lavorativo, e dispongono di un appartamento dove possono ospitare temporaneamente persone in grande difficoltà.
Dal gennaio 2022 hanno aperto una Spazio WeMi nella loro sede di Via Giovanola nel Municipio Cinque, uno spazio in cui confluiscono tutte le persone che han bisogno di orientamento rispetto ai servizi del territorio oppure supporto per delle pratiche online. All’interno di questa proposta hanno lanciato un corso di cittadinanza digitale per over sessanta che è stato molto apprezzato ed ha permesso alla cooperativa di capire meglio le esigenze di questa fascia d’età ed aprire a delle nuove proposte ad hoc. Altri esempi riguardano il supporto per l’espletamento di diverse pratiche del comune, come il sostegno al reddito, il voucher zero diciotto, la richiesta di case popolari o la misura B2. Fanno anche orientamento rispetto alle associazioni ed alle attività commerciali del quartiere e ricevono molte richieste rispetto alla necessità di trovare colf e badanti, richieste che trattano riorientando al WeMi specializzato. Trattandosi di uno spazio aperto a tutta la cittadinanza, seguono quindi gli utenti nelle loro diverse esigenze: da un accompagnamento per la richiesta di soggiorno, all’iscrizione all’università, alla richiesta di dote scuola e dote sport, all’assistenza nelle traduzioni per i cittadini stranieri.
Rispetto al quartiere, Giorgia apprezza che le associazioni abbiano una forte predisposizione a fare rete e lavorare assieme, così come la presenza di spazi molto vissuti dalla cittadinanza come la Biblioteca a Chiesa Rossa e lo spazio antistante. Apprezza anche la voglia di fare dei cittadini che si fanno portatori di proposte, per cui le associazioni non sono chiamate solo a fornire assistenza ma anche a mettere a disposizione le proprie risorse per delle iniziative. L’auspicio per il futuro è che i cittadini e le associazioni del quartiere riescano a portare avanti le istanze dei giovani di cui oggi c’è grande necessità.
Pietro è originario di Matera. E’ venuto a Milano nell’ottantacinque ed ha iniziato a lavorare nel quartiere Vigentino da quando aveva venticinque anni. Una decina d’anni fa ha deciso di comprare casa qui: il quartiere è tranquillo, abitato da persone oneste.
Da qualche anno è diventato imprenditore del Bar per cui lavorava da dipendente e, con l’abolizione delle licenze dei bar prima e con il Covid poi, si è sentito poco tutelato. Durante il Covid hanno infatti ricevuto pochissimo sostegno: seicento euro al mese nonostante avessero dei dipendenti con famiglia a cui han deciso di continuare comunque a pagare lo stipendio. Ha quindi sentito sulle proprie spalle il peso della responsabilità, al punto da non riuscire a dormire la notte. Pensa quindi di abbandonare l’imprenditoria prima di arrivare alla pensione. I politici dovrebbero girare maggiormente il quartiere, per capire le difficoltà delle persone, e passare meno tempo alla scrivania. Le attività come la sua vanno infatti tutelate in quanto sono un presidio di legalità: il fatto di camminare la sera e vedere le luci accese dei locali nelle strade è una sicurezza per tutti gli abitanti del quartiere. Prima si vedevano dei poliziotti che giravano e passavano anche da lui a prendersi un caffè, mentre da qualche anno di poliziotti in giro non se ne vedono più.
Dispiace vedere che molti negozi di quartiere han chiuso in ragione della concorrenza delle grandi catene e dell’aumento degli affitti dei locali. Negli anni ottanta era diverso, si trovava facilmente lavoro. Oggi invece si convive con la precarietà, che però non permette di fare progetti o di metter su famiglia. Pietro lamenta anche una sempre minore partecipazione: qualche volta è andato a delle manifestazioni ma ha visto poche persone, diversamente da quando era giovane lui. “D’altronde anche io cosa faccio per migliorare le cose?”- si chiede. “Sono sempre stanco, sempre al lavoro”… Il suo lavoro comunque gli piace perché sta a contatto con le persone. Ogni tanto si trova però a dover gestire situazioni difficili, con persone che si ubriacano, anche se la maggior parte dei clienti sono persone cordiali per cui si trova bene.
Del quartiere Pietro apprezza il verde ed i negozi di quartiere che ancora resistono. E’ un quartiere che forse non offre molte attrattive ma è vicino al centro ed è un quartiere tranquillo. Il quartiere sta comunque cambiando, con i progetti per le olimpiadi di Milano Cortina e l’arrivo di aziende della moda come Prada e Moncler, e presto un grattacielo della A2A. Ci vorrebbe però una metropolitana, in quanto hanno solo una linea di tram. Mancano poi dei luoghi di aggregazione in quanto anche i bar la sera chiudono, per cui bisogna spostarsi verso il centro. Se pensa ad una comunità, dovrebbe essere basata sulla democrazia, sul rispetto, il confronto, il dialogo. L’auspicio per il futuro è che si continui a poter vivere bene: lui ha dei figli ed ha un po’ di pensieri... “cosa gli lasciamo”? Un lavoro precario, i debiti … bisogna quindi investire sui giovani ed offrire maggiori sicurezze, altrimenti molti ragazzi continueranno ad andare via.
Mattia è preparatore atletico professionista per il calcio e da quest’anno insegnante di educazione fisica alle superiori. Nel ‘tempo libero’ fa il personal trainer e nella palestra condivisa di 5Square si è proposto di tenere un corso gratuito di allenamento funzionale a corpo libero rivolto agli abitanti del quartiere: un’occasione per stare insieme e tenersi in forma.
Nato e cresciuto a Lodi, si ritiene fortunato ad aver trovato casa qui: il quartiere gli è infatti piaciuto subito, non solo per l’architettura ma anche per l’atmosfera che si sta creando tra gli inquilini. Ha infatti trovato delle persone aperte, con spirito di gruppo e iniziativa: questo lo ha invogliato a mettersi in gioco e proporre lui stesso delle attività. Il fatto di sapere di tornare a casa la sera e trovare delle persone piacevoli e poter contare su di una rete di amicizie per Mattia è un valore aggiunto.
Diverse sono le attività comuni a cui Mattia ha partecipato: oltre allo yoga e ai momenti conviviali, hanno organizzato momenti di pulizia del quartiere e attività di cucina. Rispetto allo spazio condiviso Living, è molto ben arredato e vi sono molte belle attività, per cui dovrebbe rimanere un posto principalmente ad utilizzo degli abitanti. Rispetto alle attività che vi vorrebbe veder nascere vi sono, oltre ai corsi di cucina, dei laboratori di chitarra e di lettura.
Per Mattia una comunità dovrebbe essere innanzitutto solidale: una solidarietà delle piccole cose, che va dal prestarsi il sale all’offrirsi per accudire il gatto o le piante. Il suo contributo alla comunità è quello di mettere a disposizione le sue conoscenze in materia di preparazione atletica e la sua simpatia.
Il Vigentino Mattia lo ha conosciuto durante il lockdown: ne apprezza il verde e le campagne che ha imparato a conoscere, gli orti condivisi, i negozietti in Val di Sole dove poter fare dei buoni aperitivi e i locali in zona Prada.
Il suo auspicio per il quartiere è quello che sia meglio collegato al centro città, magari con una metro, e che nasca una casa dell’acqua. Per la comunità invece il desiderio è che rimanga lo spirito di adesso e che con il tempo gli abitanti non si chiudano in se stessi.
Francesca è architetto, ha due figli, dedica molto tempo al lavoro ma è da sempre anche molto attiva nel suo quartiere: ha infatti fatto parte del comitato genitori ed è stata tra le fondatrici della compagnia dei geniattori. Quando alle medie suo figlio ha avuto un forte disagio sociale, ha scoperto l’associazione Hikikomori Italia Genitori e capito l’importanza di avere un’associazione di riferimento in una situazione del genere.
Il termine Hikikomori viene dal Giappone e significa restare in disparte. Le cause possono essere molte: dal bullismo, alla paura a rapportarsi con un gruppo, allo stato d’ansia derivante dall’ipersensibilità di fronte alle notizie della guerra, alla perdita di una persona cara o al trauma di una separazione dei genitori. Cause differenti ma che portano tutte all’isolamento, all’innalzamento di uno scudo di protezione da un dolore fortissimo. Marco Crepaldi è stato il primo ad approfondire questo argomento in Italia dandogli un nome, in quanto prima era classificato come depressione, ansia sociale o fobia scolastica.
L’associazione è esclusivamente su base volontaria ed è costituita da psicologi che affiancano le famiglie e i ragazzi e da molti genitori che hanno vissuto questa esperienza di isolamento con i figli, si sono avvicinati all’associazione e hanno poi deciso di fare sensibilizzazione. L’associazione non vuole essere un’alternativa all’approccio clinico, perché l’isolamento può portare a delle patologie per cui diventa necessaria una terapia farmacologica, ma si pone come un supporto alle famiglie, che diventa fondamentale in quanto rappresentano il primo anello attorno al ragazzo. Il primo lavoro da fare è quindi di consapevolezza con la famiglia perché cambi atteggiamento e riduca le aspettative. La prima reazione è infatti spesso quella di forzare: a venire a tavola, ad andare a scuola … perché non si capiscono i motivi per cui il ragazzo smette di fare quello che faceva prima. Se la famiglia riesce a creare la condizione ideale, di accettazione che il ragazzo in questo momento non può e non è obbligato a far niente, si crea il presupposto perché il ragazzo si apra e pian piano ritorni alla vita sociale. Nei ragazzi in età adolescenziale è forte il desiderio di fare felici mamma e papà, per cui se si vede nei genitori l’aspettativa rispetto a quello che loro dovrebbero essere in quel momento, il senso di colpa sarà devastante per non riuscire a farli contenti. Se invece i genitori si limitano a dire che ci sono e vogliono bene ai figli a prescindere da quello che riescono o non riescono a fare in quel momento, alleggerendo le aspettative, questo significa aiutarli ad alzarsi da soli. E’ quindi importante alleggerire il clima in casa, mostrarsi sereni, perché vedere il dolore e la delusione nei genitori, il loro mostrarsi affranti, aumenta i sensi di colpa dei ragazzi. Viviamo in una società molto prestazionale e individualista, in cui ognuno deve mostrare di essere intelligente, bravo, bello e i ragazzi più fragili non riescono ad avere questa prestanza. Forse quando eravamo giovani noi c’erano ragazzi meno bravi a cui non piaceva andare a scuola ma non era un problema, si poteva imparare un mestiere ed andare a lavorare. Non c’erano neanche i social, per cui i ragazzi di ora vedono cosa fanno gli altri anche quando loro sono chiusi in casa e quindi soffrono ancora di più a non uscire. D’altro canto però, i social sono anche uno strumento che permette ai ragazzi in isolamento di mantenere una socialità e interagire con i coetanei anche in questi periodi di chiusura.
Si stima che in Italia ci siano centomila ragazzi in isolamento sociale volontario. Chiediamo se ci sono dei primi segnali che i genitori devono stare attenti a cogliere. Francesca ci spiega che i primi segnali possono essere un cambiamento delle abitudini per cui i ragazzi vanno a letto più tardi, trovano delle scuse per non andare alle attività sportive o alle feste, oppure anche un disagio fisico, in quanto i ragazzi possono somatizzare con mal di pancia, emicranie, vomito, dermatiti, per cui è importante saper cogliere questi messaggi e chiedere aiuto. L’associazione può essere contattata via email a info@hikikomoriitalia.it oppure chiedendo di essere inseriti nel gruppo chiuso di Facebook.
L’auspicio è che tutti conoscano questo disagio, che sappiano che è reversibile e che prima ce ne si accorge e meno si cronicizza il desiderio di isolamento. L’auspicio è anche che nessuno si senta solo e che la scuola sappia intervenire tempestivamente con le famiglie per supportare i ragazzi. A lei personalmente vivere questa esperienza ha fatto scoprire un rapporto bellissimo con i propri figli perché si impara a guardare oltre, al bene che vogliamo ai figli e a chi sono come persone. Grazie a suo figlio ha capito anche quante pressioni riceviamo dall’esterno e che potremmo gestire in modo diverso, vivendo meglio.
Maurizio è sociologo dell’infanzia e dell’adolescenza e lavora per la società cooperativa Spazio Pensiero dal 2015. Spazio Pensiero è stata fondata nel 2006 occupandosi principalmente della gestione di asili nido e scuole materne e poi ampliando anche con uno spazio clinico, uno spazio formazione ed uno spazio biblioteca. Nel 2015 è stato avviato un nuovo percorso con la collaborazione del Comune di Milano, per promuovere la partecipazione dei bambini e dei ragazzi. Maurizio è il referente di questa progettualità che ha coinvolto ottanta scuole tra primarie e secondarie di primo grado di tutti i Municipi di Milano. A questa iniziativa ne è poi seguita una seconda dal nome “Idee bambine e pensieri bambini”, sostenuta da Fondazione Cariplo all’interno del programma La Città Intorno, di cui il Comune è partner istituzionale.
L’idea soggiacente a tutte queste iniziative è quella di promuovere la partecipazione sociale dei bambini, considerati a tutti gli effetti dei cittadini con dei diritti e dei doveri. Particolarmente significativa è stata l’esperienza all’interno della scuola Fabio Filzi, dove è stato chiesto ai bambini di intervenire nel parco adiacente alla loro scuola e di immaginare una riqualificazione di questo spazio sia fisica, con il rifacimento del campo da basket e da calcio, che sociale, attraverso una nuova concezione dello spazio pubblico. Questa esperienza dimostra non soltanto la capacità dei bambini di immaginare, ma anche la concretezza delle proposte emerse. Dal percorso avviato con i bambini del Fabio Filzi è infatti nata l’idea di poter rafforzare l’unione dei tre plessi facenti parte dell’istituto e situati in due quartieri differenti tramite la scrittura di un libro in comune, di una storia condivisa, ma anche con un corridoio che potesse unire le comunità scolastiche attraverso il Parco della Vettabbia.
Nel 2019 è stata quindi avviata una progettualità che ha portato alla firma di un patto di collaborazione del sentiero della biodiversità nel maggio del 2023. Progettualità nata per l’appunto dall’idea di un sentiero che potesse unire i tre plessi scolastici attraversando il Parco. Questa progettualità ha creato delle sinergie con associazioni dei Municipi 4 e 5 come Labsus e Italia Nostra e con il Politecnico di Milano, che si occupa di creare delle oasi di biodiversità in diverse parti della città. Sono quindi state create due oasi in due sedi della scuola ed è stato studiato un percorso che unisse i due quartieri. Attorno a questa iniziativa si sono poi aggregate altre associazioni del territorio che si occupano di educazione, biodiversità, promozione della cultura, salute mentale … una varietà di attori che si è unita per dar vita ad un progetto in grado di accrescere la conoscenza del territorio ed arricchirlo di nuove iniziative.
Spazio Pensiero promuove la conoscenza del territorio partendo dai luoghi familiari ai bambini, quelli circostanti la scuola e l’abitazione, i luoghi commerciali, i giardini. In un quartiere come il Vigentino, che può vantare di molte aree verdi, vi è infatti la necessità di rendere questi spazi pienamente fruibili e nelle progettazioni con i bambini è emerso molto chiaramente il desiderio di scoprire i luoghi di prossimità. L’autonomia di scoperta dei bambini è infatti sempre più ristretta, come la loro autonomia di movimento nel quartiere. Si stima che in Italia solo il 7% dei bambini percorra in autonomia il percorso da casa a scuola, contro il 70% della Germania. L’auspicio è quindi che il progetto avviato al Parco della Vettabbia si allarghi anche ad altre zone del quartiere, come anche 5Square dove ci troviamo, in modo da far conoscere questo luogo e farne fruire non solo chi vive qui, perché diventi uno spazio aperto.
Silvia è biologa e lavora attualmente in ambito farmaceutico. Si è trasferita da Roma a Milano dopo il dottorato con il sogno di lavorare nella ricerca scientifica. E’ poi entrata in azienda e del suo lavoro le piace l’idea di contribuire a migliorare la salute dell’uomo.
Nel tempo libero si dedica al volontariato per un’associazione che si occupa di mamme in difficoltà, oltre che ai suoi interessi: i viaggi, la fotografia e la cucina. Il volontariato le ha permesso di entrare in contatto con molte storie, alcune delle quali tristi, ma anche con i sorrisi di molti bambini. Da questa esperienza ha anche imparato l’importanza di dare una seconda possibilità alle persone. Le persone sono poi al centro dei suoi interessi, in quanto le piace fotografarle cogliendole in momenti di spontaneità, così come le piace la cucina in quanto strumento di condivisione e aggregazione.
Silvia si è trasferita qui un anno fa, dopo aver vissuto dodici anni in affitto. Le piaceva l’idea del cohousing, per cui ha subito fatto domanda. Il quartiere le ha fatto fin dall’inizio una buona impressione, ne ha infatti apprezzato il verde e la quiete. Lei è stata una delle prime persone ad arrivare, per cui ha visto il quartiere popolarsi e pian piano sono arrivati i vicini. Il Vigentino ha iniziato a conoscerlo e frequentarlo per necessità, non avendo all’inizio la cucina in casa. Del quartiere apprezza i negozietti in zona Fatima, anche se vorrebbe ci fosse una libreria e un piccolo supermercato di prossimità. Rispetto a 5 Square invece, c’è molta attesa rispetto all’apertura del bar.
Rispetto alle attività organizzate nello spazio condiviso Living, Silvia ha partecipato a diverse attività: dai corsi di yoga e allenamento funzionale, alle iniziative di pulizia del quartiere, allo swappami e agli aperitivi. Essendoci la cucina, vorrebbero si organizzassero più momenti conviviali oppure semplicemente ritrovarsi per un caffè. Vorrebbe poi condividere i suoi interessi con i propri vicini, con delle iniziative di bookcrossing, delle serata di musica jazz e classica, delle serate cinema, delle uscite per fotografare la natura o semplicemente dei momenti dove scambiarsi consigli sulle piante.
Per Silvia una comunità dovrebbe essere aperta, inclusiva di ogni età, genere e cultura, basata sulla fiducia e sul rispetto reciproco e soprattutto in grado di fornire una rete di sostegno e supporto reciproco. Comunità implica poi la capacità di gestire il conflitto. Per questo è importante l’ascolto e la predisposizione a conoscersi, ognuno con la propria storia, senza pregiudizio. Il suo contributo per la comunità potrebbe essere quello di rendersi disponibile per delle commissioni, come andare in farmacia, dar da mangiare ai gatti … la sua porta di casa è sempre aperta. L’auspicio è che l’entusiasmo iniziale rimanga nel tempo, che si creino dei legami più stretti tra abitanti e che si crei una comunità vera e partecipata che non si riduca ad un numero ristretto di persone.
Giuseppe, originario di Bitonto, vicino a Bari, arriva a Milano tanti anni fa. Un giorno, dopo essere entrato in pensione, è vittima di un furto nella sua abitazione dove perde beni e ricordi dal grande valore affettivo. Cerca giustizia – racconta – una qualche forme di attenzione e rispetto per il danno ricevuto. Quello che ottiene però è scetticismo, << è normale che si venga derubati>> gli viene risposto, ma lui non lo accetta <<possibile che bisogna accettare queste condizioni senza poter fare niente?>>. È a partire da questo evento che decide di fondare un comitato di cittadini insieme ad alcuni amici.
Il “Comitato Sicurezza e Vivibilità Quartiere Forlanini” nasce come forma di impegno sociale e di attenzione verso quanto accade nel quartiere <<Essere volontario nel quartiere per la sicurezza personale, patrimoniale e per la vivibilità del territorio, intervenendo su effetti che deturpano le aree circostanti, come gli atti di delinquenza>>.
Il Comitato diventa Associazione nel 2019 e vede crescere notevolmente il numero degli aderenti, tutti volontari. Tramite l’ALER aprono una sede in comitato d’uso in Via Zante 30. Oggi sono una realtà di riferimento per anziani, adulti e ragazzi per quanto riguarda la sicurezza e la vivibilità del territorio: <<Noi non risolviamo automaticamente i problemi, ma ci poniamo come interpreti nei confronti delle istituzioni e delle forze dell’ordine>>.
Giuseppe abita nel vicino quartiere Monluè, primo esperimento dell’ALER di case a riscatto: qui vennero edificati grandi assembramenti abitativi adibiti per inquilini con una buona stabilità economica. Questo stimolò l’arrivo, a Monluè e a Forlanini, di una folta popolazione medio-borghese. L’identità del quartiere affonda le radici, secondo Giuseppe, in queste caratteristiche demografiche.
<< Non siamo un quartiere malfamato. Il motto è “fermiamo il degrado” impegnandoci verso i problemi>>.
Tra i temi più urgenti c’è quello della riqualificazione del quartiere: molte realtà risentono del passare degli anni, afferma Giuseppe. Il parco giochi di Piazza Ovidio è un esempio dell’impegno civile che, insieme a Fondazione Milano, ha portato al rinnovamento dello spazio e ad un suo ripensamento per i cittadini diversamente abili. Anche Piazza Artigianato ha attraversato una fase di trasformazione: in un passato lontano si configurava come un piccolo luogo di aggregazione, traboccante di servizi e commerci immersi in un’atmosfera da piccolo paese. È stata poi abbandonata, trascurata e usata come parcheggio per molti anni. Dopo svariate segnalazioni e pressioni il comune ha dato il via alla sua riqualificazione. L’obiettivo che ancora si cerca di perseguire è la sua evoluzione da piazza del commercio a piazza del benessere. L’auspicio è che vengano valorizzate le sue aree verdi e i cittadini partecipino sinergicamente alla sua cura <<Se i cittadini partecipano e sono coinvolti nel mantenimento della bellezza, essi stessi diventano più responsabili>>.
L’associazione si impegna anche nella promozione di attività culturali volte alla sensibilizzazione e alla riscoperta dei luoghi storici a rischio di abbandono.
Il tema della sicurezza è tra le fragilità da sempre più a cuore del Comitato: per questo motivo hanno privatamente attivato alcuni gruppi di controllo del vicinato (attualmente sono 4). In diversi raggruppamenti condominiali questi gruppi raccolgono persone che si occupano di monitorare, condividere e attivare eventuali allerte. C’è sì l’attenzione alle anomalie ma, racconta Giuseppe, anche una tendenza, una crescente propensione alla socializzazione.
Nel contesto della sanità, la forte mancanza di medici di base ha spinto l’Associazione ha richiedere formalmente l’apertura di una Casa di comunità nel complesso scolastico abbandonato di via Zama, affinché i cittadini ricevano un adeguato supporto di prossimità. È questa una questione calda, che accende gli animi degli abitanti e del comitato stesso: << Sì al dialogo e alle discussioni ma anche alle manifestazioni, se necessario. Per i progetti volti alla realizzazione dei cittadini siamo disposti a lottare e invitiamo gli abitanti stessi a manifestare perché il sistema sanitario del nostro quartiere è molto deficitario e la casa di comunità rappresenta una possibile risorsa>>.
Per il futuro gli auspici di Giuseppe si delineano in maniera chiara e concreta: il “Nodo tre ponti” (al fondo di Viale Forlanini, arrivando a est dall’aeroporto per entrare in città) è un luogo geograficamente e simbolicamente significativo: le tre arcate del ponte separano nettamente il centro della città dalla periferia. Questa conformazione genera o favorisce un trattamento di semi-abbandono da parte delle istituzioni. L’associazione ha come obiettivo la riqualificazione dell’area attraverso l’aumento delle aree verdi e il miglioramento della circolazione.
L’Associazione “Comitato Sicurezza e Vivibilità Forlanini” si rivolge a tutti i membri del territorio. Raccoglie le istanze, si impegna nel dialogo con le istituzioni e persevera nella cura della comunità, ponendo attenzione alla dimensione educativa. L’auspicio di Giuseppe è che rimanga un punto di riferimento dei cittadini e venga riconosciuta maggiormente dalle istituzioni politiche. A questo proposito aggiunge << Non ci interessa l’appartenenza partitica, ma l'unità concreta e solida tra le persone>>.
Il Caffè Promenade è una presenza consolidata nel boulevard di Santa Giulia da ormai dodici anni. Quattro anni fa è passato in mano ad alcuni conoscenti di Michele che hanno poi deciso di affidargli la nuova gestione qualche mese fa. Una ripartenza fresca in un territorio giovane, un progetto che sta carburando e affinando la sua identità commerciale.
Il bar si propone principalmente come locale per le famiglie ma rimane attento e in dialogo con tutta la popolazione del quartiere. Affinché si rafforzi la visibilità e la forza commerciale, Michele ha deciso di concentrarsi sulla qualità dei servizi e dei prodotti che offre: l’accettazione dei ticket, ricchi pranzi e colazioni, centrifughe e materie prime selezionate, eventi a cadenza settimanale come occasioni di aggregazione per il quartiere: l’English club aperitivo del giovedì che sta riscuotendo un ottimo successo, le serate karaoke e di musica live con apericena il venerdì, l’animazione per i bambini della domenica.
Nel boulevard di Santa Giulia, dice Michele, mancano ancora molti servizi e un’offerta commerciale eterogenea. Un aspetto che svantaggia allo stesso modo abitanti e commercianti: <<Un ambiente così dovrebbe essere pieno di gente e di negozi>>. Palestre, spazi verdi attrezzati per lo sport, il veterinario e un'edicola sono esempi di cosa si potrebbe implementare lungo la più grande arteria commerciale del quartiere. In termini più generali, sostiene Michele, occorrerebbe valorizzare e sponsorizzare meglio il territorio, migliorare l’accessibilità al quartiere e la sua viabilità, coordinare meglio l’offerta commerciale e favorire la vicinanza tra le persone. Per i giovani in particolare mancano luoghi e opportunità, al di là dei bar e dei locali in cui bere.
Michele però è ottimista. Ritiene che con le Olimpiadi del 2026 si raggiungerà una crescita significativa di affluenza e di risorse, con un miglioramento complessivo del quartiere.
Non rivela quali progetti ha in mente per il locale ma per sé stesso, ammette, desidera ritagliarsi maggiore spazio e tempo per riposarsi e coltivare meglio le sue passioni che, oltre al chiringuito, comprendono le macchine, le moto e il ciclismo.
Opoku è un ragazzo ghanese di 19 anni. È arrivato a Reggio Calabria circa 9 anni fa; è stato affidato ad una Casa Accoglienza per minori dove è rimasto fino al compimento dei 18 anni. Ha avuto l’opportunità di studiare e formarsi, concludendo la licenza media. Attualmente vive da solo ed in autonomia e aspetta di iscriversi alle scuole superiori.
Negli ultimi anni si è dato da fare: ha lavorato in una pizzeria per un po' di tempo come aiuto pizzaiolo ed attualmente invece lavora in una piadineria dove il clima e sereno e si trova molto bene ed ha costruito molte relazioni nonostante il suo essere timido.
Opoku ha trovato persone che si sono messe al suo posto e che l’hanno aiutato molto. Oggi ha molti sogni e passioni. Dopo aver concluso tutti gli studi sogna di lavorare in un ristorante come cuoco perchè la cucina è la sua prima passione.
Don Marco festeggia quest’anno 30 anni di vita sacerdotale, spesi soprattutto nelle periferie della città. Bicocca, Vigentino e Rogoredo dal 2009. Del quartiere lo colpisce subito la propensione a fare rete, la vitalità associativa e la capacità solidale espresse tra le persone. Storicamente questa comunità si è sempre distinta per il cooperativismo, il monitoraggio del disagio sociale e fenomeni di migrazione complessa. Anche oggi queste caratteristiche rimangono. Tessere Legami è un esempio di lavoro di rete appassionato, nella gestione e nella promozione delle iniziative.
La Parrocchia della Sacra Famiglia mette radici in un tessuto sociale di forte estrazione operaia e di “reduci combattenti”, un paese nella città. Viene costruita nei primi decenni del ‘900, in seguito alla richiesta degli abitanti di un avere un luogo di culto, ed è da subito vicina alle necessità della gente. Viene infatti allestito l’oratorio per i giovani <<essere attenti alla realtà giovanile perché se c’è del positivo nella giovinezza poi rimane, come buon sapere, anche nell’età adulta>>. Negli anni 60/70 vive una fase complessa per la riorganizzazione della comunità intorno alle novità culturali.
Il grosso cambio di marcia, per il quartiere e la Parrocchia, inizia con gli sviluppi urbanistici di cui Santa Giulia (2009-2014) è stata testimonianza. L’aumento della popolazione, l’insediamento di grandi aziende, la rete di trasporti e servizi, i progetti futuri in via di sviluppo, afferma Don Marco, stanno contribuendo all’evoluzione del territorio. L’aumento demografico di giovani e famiglie è un dato positivo che invita a ripensare le offerte del territorio. Sono in crescita le opportunità lavorative per i giovani ma anche il costo della vita. Di fronte all’intenso processo di crescita e rinnovamento del territorio, la speranza di Don Marco è che l’identità storica del quartiere riesca in qualche modo a preservarsi e a integrarsi nel processo di modernizzazione in atto. Attualmente la Parrocchia della Sacra Famiglia accoglie uno degli afflussi più grandi della città, per questo in futuro aumenterà la sinergia con la Parrocchia di Morsenchio.
Le attività della Parrocchia, oltre al culto e ai sacramenti, si concentrano in particolare intorno alla dimensione educativa verso la realtà giovanile
La realtà parrocchiale è molto attenta anche verso il disagio, con la Caritas che in loco si occupa di un centro di ascolto e con il lavoro di un gruppo di giovani volontari che segue la raccolta alimentare da distribuire ai più fragili.
Una forte tradizione teatrale e cinematografica, soprattutto in passato, ha animato e coinvolto la comunità. Di grade rilevanza anche la sinergia con le associazioni nate all’esterno della Parrocchia, tra cui la scuola di italiano per stranieri, e le molteplici attività culturali che propongono, come ad esempio incontri e conferenze di carattere teologico o rivolte a tematiche salienti. Con un gruppo della terza età vengono svolti percorsi di formazione tecnologica, in risposta alla solitudine e all’isolamento emersi soprattutto durante il periodo del Covid. In collaborazione con l’Associazione Rogoredo Musica sono promossi diversi concerti (specialmente di musica classica) a cadenza mensile in altri spazi del quartiere, come occasione per fare rete.
In generale le attività quotidiane della Parrocchia si rivolgono alle fragilità e ai bisogni dei singoli e delle famiglie << sempre con accoglienza e mai con giudizio. Un sapore, una tendenza>> dice <<che ci caratterizza: andare oltre le barriere e gli steccati e carcare sempre una strada. Accogliere anche chi fa un più fatica per regalargli uno spazio in cui senta di contare e di essere importante>>. Un punto di forza della Parrocchia è infatti il suo essere una realtà non uniforme ma una frontiera, <<una membrana osmotica attraverso cui le sostanze entrano in una dimensione di interscambio>>. Le dimensioni di contatto, dialogo e “contaminazione” sono per Don Marco presenti anche nella relazione con la questione culturale: tenere insieme le differenze e lavorare con la complessità di storie e appartenenze diverse passa necessariamente dal conoscersi, dal capire chi è l’altro e quali valori porta. La Serata Etnica della Festa Patronale celebra il riconoscimento dell’altro nei suoi usi e costumi e valorizza la sua identità. <<Tutte le storie sono diverse, le culture sono diverse, la domanda è come poter preservare la bellezza che ne deriva: solo se la diversità non è paura e pregiudizio diventa opportunità>>. E aggiunge << Quando San Paolo dice "Non esiste più ne’ greco ne’ schiavo ne’ libero’" non intende che sono tutti omologati; ma che l’identità custodita da ciascuno non è determinante per generare differenze così marcate e radicali da diventare contrapposizioni>>.
Don Marco sostiene che nel quartiere non sono presenti particolari tensioni o conflitti perché è diffusa tra le persone la propensione a lavorare insieme e a collaborare. I ragazzi che frequentano la Parrocchia sono spronati a pensare, a interrogarsi verso gli altri, il proprio vissuto interiore, il vangelo e i temi del nostro tempo.
Tra i bisogni e le fragilità più significativi, identifica la necessità di essere ascoltati e riconosciuti nel proprio essere ed esistere come singoli e realtà aggregate; l’aumento della solitudine e dell’incertezza economica; la ricerca di nuovi orientamenti di senso; la mancanza di ambienti alternativi che offrano opportunità e stimoli diversi da quelli quotidiani, che favoriscano in sostanza incontri generativi. I giovani, ad esempio, svantaggiati sul piano numerico sono portatori di idee, qualità, valori e competenze tecnologiche in continua espansione: è importante garantire loro luoghi di espressione e propriocezione, dove al posto dell’omologazione possano ritrovare sé stessi, la loro individualità, affinché possano poi nutrire la collettività. Di fronte a potenzialità, bisogni e desideri dei ragazzi – sostiene Don Marco – gli adulti dovrebbero ascoltare di più: <<Una rete è buona se crea cose positive, importante è capire cosa possiamo fare insieme>>.
Per il futuro si auspica che quanto raggiunto finora continui a crescere e che la Parrocchia prosegua ad accompagnare la comunità, preservando la sua identità e le sue caratteristiche ma sapendo anche dialogare con le esperienze umane e spirituali che, anche se differenti, la fanno vivere. Il rischio del nostro tempo dice è <<in rete con tutti, in relazione con nessuno>>. Si augura che chi lo succederà sia contento di ciò che troverà, si impegni ad arricchirlo, mantenga le buone relazioni e il desiderio di fare comunione: che, in sostanza, continui a prendersi cura della comunità.
Marco vive a Rogoredo da tutta la vita.
Dopo il diploma ha fatto esperienza in tanti settori diversi costruendosi un ricco bagaglio di competenze: muratore, montatore elettromeccanico in una fabbrica, elettricista, vicedirettore di un supermercato, cameriere, autista privato di famiglie facoltose dell’hinterland milanese, specializzato in connettività e rete wi-fi, si è occupato recentemente di eventi in ambito moda. Ed è proprio in quest’ambito che conosce il suo attuale partner lavorativo presso la Cartoleria Livebridge a Rogoredo. Grazie a un poliedrico ventaglio professionale e al forte spirito di adattamento ha guadagnato il soprannome di “camaleonte” perché <<dovunque mi metti faccio>>. Una persona flessibile e propensa a raggiungere sempre qualcosa in più. Si reputa soddisfatto e fiero di sé stesso per gli obiettivi finora conquistati. Aggiunge che sente di appartenere ad una generazione diversa, per la quale il peso e il valore di una laurea erano diversi, quasi ad esclusività dei più facoltosi. Alla sua comunità di riferimento sente di poter offrire soprattutto uno spirito empatico e orientato al problem solving. Le sue più grandi passioni sono le macchine e i motori.
Il quartiere, racconta, è cambiato molto. Prima esisteva un’unica via mentre oggi è connesso con molteplici altre realtà del territorio, come Santa Giulia e Merezzate. È consapevole della narrazione stigmatizzante legata al fenomeno di tossicodipendenza che ha interessato la zona ma aggiunge <<Sappiamo che il boschetto c’è ma la situazione è molto cambiata. A Rogoredo ci sono nato e la difenderò sempre>>.
Cita il Tondo Cafè come unico bar storico rimasto nella zona. Il quartiere si sta evolvendo e con lui l’offerta di servizi per i cittadini. Forti sono i legami comunitari tra le persone, lui conosce tutti. L’età media però è sempre più alta e la maggior parte della popolazione giovane tende a frequentare soprattutto la zona di Santa Giulia.
Rogoredo nasce sul canale Redefossi, con le prime abitazioni - le case bianche - per gli immigrati del sud costruite in amianto. Un’ombra di tristezza attraverso lo sguardo di Marco, <<per l’amianto abbiamo perso molti amici purtroppo>>.
Un tema saliente nel processo di trasformazione del quartiere è, per Marco, quello della multietnicità e della riconfigurazione del tessuto sociale e culturale. Lui si descrive come un conservatore, uno che conosce ed è legato a tutti nel quartiere. Per lui la mescolanza etnica può rappresentare un problema quando esigenze diverse generano un conflitto reciproco. Ma Rogoredo non è nuova agli intrecci culturali: verso la fine del ‘900 il flusso migratorio dal meridione ha infoltito e ridisegnato l’identità del quartiere, il quale è arrivato poi ad una integrazione complessiva che supera le differenti appartenenze. Ora, dice, <<siamo tante etnie, c’è chi va d’accordo c’è chi no>>. Fa fatica a vedere orizzonti di integrazione interculturale ma per facilitare l’incontro e il dialogo tra culture diverse indica come possibile risorsa disporre di un circolo, un luogo di aggregazione aperto a tutti. Un’alternativa anche a realtà già esistenti (es. Circolo Mondini) che sono perlopiù frequentate da gente grande o anziana, e che tendono ad avere un carattere un po’ esclusivo verso i fruitori. Marco propone l’organizzazione di eventi freschi e dinamici, come il Carnevale che si teneva in passato quando il Parroco andava a coinvolgere direttamente i ragazzi che giocavano ai giardini e li invitava a partecipare. Iniziative, insomma, che siano stimolanti, proattive e si muovano in direzione delle persone senza limitarsi ad attenderle.
Tra le risorse di cui dispone il quartiere, oltre alla calorosa genuinità dei suoi abitanti, ci sono sicuramente i progetti legati alle Olimpiadi del 2006, che potrebbero potenziare il territorio nella sua totalità anche se attualmente sembra avvenire maggiormente nel quartiere di Santa Giulia.
Tra gli elementi di fragilità su cui lavorare, di primaria importanza è l’aumento di connessioni e relazioni tra quartieri affinché si indeboliscano le discriminazioni reciproche: <<Rogoredo è bella>> ripete più volte Marco <<piena di gente genuina, di signore che parlano milanese, pugliese… di qua invece>> in riferimento a Santa Giulia, in un cui bar stiamo svolgendo l’intervista <<si è trasferita anche molta gente che stava a Rogoredo, forse per avere più tranquillità. E tra di loro ho sentito che molti tendono a discriminare la vecchia Rogoredo>>. Anche arricchire e migliorare la gamma di servizi proposti (garantendo sportelli bancari) è un elemento di necessità.
Per Marco l’idea di comunità si esprime nell’immagine di una grande famiglia in cui tutti si conoscono.
Per il futuro si auspica una maggiore sicurezza nel quartiere e che si mantenga vivo un senso di fratellanza e coesione tra la gente, indipendentemente dalle singole differenze <<Siamo qui ormai, ci siamo e dobbiamo viverci>>. Per sé stesso desidera continuare a migliorarsi, proseguire l’attività della Cartoleria e magari espanderla, potenziarla, non per i soldi – spiega – ma per dare un buon servizio alle persone.
Maria Cristina è una psicoterapeuta e si occupa di gioco d’azzardo dagli anni novanta, quando ancora se ne parlava poco. Dalla costatazione che nei SerD, i servizi per le Dipendenze patologiche, arriva meno popolazione di quanta risulti avere dipendenze da gioco d’azzardo, è nata l’idea di aprire uno Sportello in un luogo neutro come l’ospedale, un luogo di cura e un luogo di passaggio, dove le persone entrano senza avere il timore di essere visti come in un servizio per le dipendenze. Attualmente ci sono tre sportelli aperti: al San Carlo, dove ci troviamo, al Niguarda e al Fatebenefratelli. Lo sportello è aperto da Aprile, dal lunedì al venerdì, e ci si può rivolgere in persona, oppure contattarlo via email o telefono per una maggiore privacy. I colloqui individuali avvengono in una sede riservata, in seguito ai quali la persona accetta di fare un percorso per cui verrà contattata dal SerD.
Lo Sportello è rivolto a tutti e, trovandosi in un luogo di passaggio, si prefigge di raggiungere in particolare i giovani e le donne, che sono la popolazione che più difficilmente arriva ai SerD. Sono infatti in aumento le donne e i giovani che sviluppano una dipendenza dal gioco d’azzardo. Se poi spesso gli uomini arrivano accompagnati da un familiare o dalla compagna, le donne vengono spesso sole, adducendo delle giustificazioni, come una crisi in famiglia o la solitudine. Lo stigma sociale è infatti ancora oggi più forte nei confronti delle donne, che nell’immaginario comune sono coloro che salvaguardano l’economia familiare. Anche il numero dei ragazzi che gioca è elevato, tra cui il numero di minorenni in quanto, sebbene il gioco sia vietato sotto i diciotto anni, per il gioco online è facile aggirare i controlli.
In questo il lockdown ha portato ad un grande cambiamento, perché ha aumentato di molto le giocate online ed il trend è rimasto in crescita anche con la riapertura delle sale. Al momento dell’intervista non erano ancora stati pubblicati i dati per il giocato del 2022 ma si possono stimare sui centoquaranta miliardi di euro giocati, di cui oltre la metà giocati online. Purtroppo da alcuni anni i dati non vengono più divisi per provincia ma si ha solo il dato nazionale: questa suddivisione era molto utile per sapere in quali province si concentrasse il maggior numero di giocatori ed adottare delle politiche conseguenti. Per cui l’auspicio è che si ritorni ai dati suddivisi per provincia.
Chiediamo a Maria Cristina se vi sia una differenza tra i termini gioco d’azzardo e ludopatia. Maria Cristina ci spiega che il termine ludopatia indica la dipendenza da qualsiasi gioco: anche per la dipendenza da videogiochi si può quindi parlare di ludopatia. Il gioco d’azzardo invece è stato proibito negli anni trenta in quanto può portare a grandi sofferenze con il dilapidarsi dei risparmi di una vita. Vi sono però state diverse deroghe e si è poi stabilito che il gioco diventasse monopolio di stato per sottrarre i soldi all’illegalità, anche se vi è un mercato parallelo illegale immenso in cui le mafie sono ben inserite. Rispetto al gettito nelle casse dello stato, si pensa quindi che non arrivi neanche al 10% del giocato … una cifra che non serve neanche a coprire le spese dello stato per far fronte alle conseguenze, fisiche e psicologiche, di chi sviluppa una dipendenza. I dati ci dicono che dei venti milioni di Italiani circa che giocano, circa cinque milioni giocano in maniera problematica e a rischio. I servizi di assistenza sono gratuiti e garantiscono l’anonimato, anche se spesso non si è a conoscenza di questi servizi e vi ci si rivolge quando ci si è già rovinati.
Spesso la dipendenza è legata ad una vincita iniziale e viene alimentata dai nostri errori cognitivi che sono usati per farci giocare di più: ad esempio l’idea di avere “quasi vinto” se escono dei numeri contigui al nostro oppure piccole vincite che in realtà non coprono neanche il nostro giocato. A tal proposito sono state avanzate numerose proposte, come delle interruzioni del gioco che non facciano perdere oltre ad una certa cifra, dei messaggi di allerta oppure l’obbligo di giocare con la tessera sanitaria. Ad oggi queste richieste sono rimaste inascoltate. La dipendenza è trasversale alle classi sociali, anche se è dimostrato che nei periodo di crisi e di difficoltà economica, di disperazione in cui si sente di non avere niente da perdere, si gioca di più. Per i cari, i campanelli di allarme sono dei cambi di umore, un atteggiamento di chiusura e delle bugie volte a coprire delle assenze al lavoro o problemi economici.
Lo Sportello sta portando avanti un’importante campagna informativa, con presentazioni in tutti i municipi e con sessioni di formazione rivolti agli assessori e agli operatori sanitari, inclusi i CPS. Molti disturbi infatti, dalle gastriti al forte stress, fino a dei tentati suicidi, sono riconducibili alla dipendenza da gioco d’azzardo. In questi primi due mesi hanno avuto un ottimo afflusso, con persone che quotidianamente si fermano a chiedere informazioni. Maria Cristina ci lascia quindi con un messaggio di speranza, per dire che loro sono qui e non danno giudizi e che l’importante è fare il primo passo e chiedere aiuto, in quanto con l’aiuto del personale esperto si può uscirne.
Marco è laureato in economia e commercio e nella sua vita ha fatto di tutto: organizzazione di eventi, progettazione, attività nelle scuole, corsi di teatro e ripetizioni private. E’ entrato in contatto con UILDM per la prima volta a nove anni, perché i suoi vicini di pianerottolo avevano la distrofia muscolare. E’ stato prima coinvolto in alcune attività, come l’hockey in carrozzina, e poi ha fatto il servizio civile ed è rimasto. Ora Marco è il Presidente di UILDM e in quanto tale si occupa di coordinare le sessantasei sezioni, così come di tessere collaborazioni con altre associazioni e di fare advocacy presso le istituzioni. In quanto figlio unico ha sempre apprezzato stare in compagnia, motivo per cui si è sempre occupato del sociale. Nel tempo libero gli piacciono il cinema, la lettura, il canto e in generale lo stare assieme agli altri.
UILDM, l’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, segue le persone con distrofia muscolare dalla diagnosi alla morte, che oggi è più lontana grazie ai progressi scientifici. Accompagnano quindi le persone nelle diverse fasi della malattia, dando informazioni su come affrontarla e sui centri e servizi di riferimento, ma si occupano anche fornire un sostegno per le piccole cose del quotidiano, per esempio gli spostamenti oppure le commissioni. A Milano c’è anche l’Agenzia per la Vita Indipendente che si occupa di accompagnare le persone con qualsiasi tipo di disabilità in percorsi di vita indipendente. Recentemente UILD ha acquisito degli appartamenti nell’housing sociale di 5Square, dove ora ospitano due studenti universitari fuori sede. In estate, grazie all’aiuto di volontari, organizzano anche delle vacanze con i ragazzi.
Un altro importante filone di attività riguarda le attività di sensibilizzazione nelle scuole, dalle elementari alle superiori. Innanzitutto si presentano e lasciano che i ragazzi facciano domande in modo di abbattere le barriere: la distrofia muscolare è infatti una malattia poco conosciuta. Poi organizzano dei giri per le strade per sensibilizzare sulle barriere architettoniche oppure diverse attività in cui i ragazzi sono portati a calarsi nei loro panni: come chiedere ai bambini di disegnare con la mano sinistra oppure far giocare ai ragazzi l’hockey in carrozzina contro di loro. Hanno poi delle collaborazioni con diverse università a Milano per formare il personale a saper accogliere una persona con disabilità. Il lavoro di sensibilizzazione che loro fanno serve a tutti, perché educa ad un mondo inclusivo di tutte le diversità, non solo le disabilità.
Marco abita a Cenni e si ritiene fortunato in quanto durante il lockdown il condominio aveva fatto una chat in cui ci si metteva a disposizione e ci si aiutava a vicenda. E’ un modo di vivere un po’ come al tempo dei suoi nonni, dove ci si conosce e ci si interessa dell’altra persona, non è quindi solo un relazionarsi da “ho finito lo zucchero”. Guarda perciò con interesse alla comunità che si sta creando a 5Square, dove si aspetta partecipazione e inclusione delle persone con distrofia ospitate nei loro appartamenti. Sarebbe anche bello che i condomini si mettessero a disposizione per delle piccole commissioni. Dal canto suo, vorrebbe invece organizzare degli incontri con i bambini oppure delle partite di hockey in carrozzina. Rispetto allo spazio comune, è un grande spazio che deve quindi essere utilizzato al massimo per guardare assieme le partite, fare delle feste, dei corsi di teatro, delle attività con i bambini, una cena etnica o semplicemente una partita di scacchi. La comunità che si sta venendo a creare dovrebbe quindi essere vivace, positiva – deve migliorare la vita delle persone e non peggiorarla- e anche comprensiva e che si pone in ascolto.
Del suo lavoro a Marco appassiona il poter aiutare le persone, in quanto rivede se stesso da piccolo. Se dovesse però formulare un auspicio sarebbe quello di scomparire, in quanto vorrebbe dire che non c’è più bisogno dell’associazione perché la società è già sufficientemente inclusiva.
Antonio è nato alle porte di Milano da genitori di origini lucane. Si è poi trasferito a Milano Sud quando le sue due sorelle si son stabilite qui con i mariti e sono nati i nipotini. Ha quindi colto l’occasione per fare domanda per un appartamento nel nuovo quartiere di 5Square in modo da poter essere più vicino alla sua famiglia. Trasferitosi a 5Square da circa un anno, non ha ancora avuto modo di esplorare a piedi il quartiere Vigentino: motivo per cui per le commissioni ricorre frequentemente agli acquisti online, anche se preferirebbe conoscere e frequentare i negozi di quartiere. Del quartier Vigentino tuttavia apprezza molto le aree verdi, elemento per lui fondamentale per una buona qualità della vita, e vorrebbe scoprire le diverse cascine dove si producono prodotti a kilometro zero. Ha anche colto una certa storicità del Vigentino e una dimensione di quartiere, in cui le persone si conoscono e si salutano, che gli piacciono : il Vigentino è quindi un quartiere con un’anima, un luogo da esplorare.
Da libraio con una vera passione per i libri, pensa che una libreria sarebbe un bel servizio per un quartiere popoloso come il Vigentino. Vorrebbe anche ci fossero degli spazi di socializzazione per persone di tutte le età, per attività diurne e serali: dei presidi gestiti dalle associazioni in grado di intercettare le persone in difficoltà, ma anche dei posti dove poter passare la serata ascoltando musica dal vivo ma che siano economicamente accessibili.
La passione per i libri Antonio ce l’ha da quando era giovane e gli piaceva leggere le storie di persone, mosso da una naturale curiosità e anche da un desiderio di evasione dal presente. Lo appassionano poi la musica tradizionale, le feste popolari e i riti del Centro e Sud Italia e lui stesso suona i tamburi a cornice e vorrebbe imparare a suonare la zampogna. Alla domanda su come vorrebbe utilizzare lo spazio condiviso di 5square, il Living, Antonio risponde che vorrebbe vederlo colmo di libri che gli abitanti possano prendere in prestito e animato da corsi di danze popolari o altre attività, in ogni caso un luogo aperto, accessibile e dove poter venire a passare del tempo e fare due chiacchiere.
La sua idea di comunità è di un posto inclusivo, aperto e unito nonostante le diversità, così come solidale e che non lascia le persone sole, perché c’è molta solitudine in tutte le fasce d’età. Antonio è rappresentante di scala ed ha avuto modo di incontrare i suoi condomini: molti si trovano qui in ragione del canone calmierato vista la situazione di emergenza abitativa a Milano. Il desiderio però è che si realizzi a pieno quella dimensione sociale, anche se investirsi per la propria comunità richiede sacrifici di tempo. Per sé invece l’auspicio è di continuare quella evoluzione personale interiore che porti ai cambiamenti auspicati.
Federica lavora al Gestore Sociale di 5Square e segue anche lo Sportello di Spazio Aperto Servizi, uno sportello di orientamento ai servizi del territorio. Di formazione amministrativa, ha iniziato a lavorare qui a 5Square da circa un anno in quanto le interessa il settore dell’abitare.
Lo Sportello ha visto in questi mesi una maggiore utenza da parte degli abitanti di 5Square in ragione della prossimità fisica, ma i suoi servizi si rivolgono anche a quanti abitano nei quartieri limitrofi. Lo Sportello offre principalmente assistenza nell’espletamento di pratiche burocratiche, per esempio i diversi bandi e bonus della Regione Lombardia. L’idea è poi quella di adeguare l’offerta ai bisogni, allargando ad esempio a servizi di orientamento alla ricerca del lavoro.
Del suo lavoro a Federica piace l’ambiente familiare ed il rapporto di vicinanza con gli abitanti degli housing, per cui chi si rivolge al Gestore per questioni amministrative si ritrova poi a chiedere assistenza anche su altri livelli. Sta quindi scoprendo l’aspetto legato alla gestione della community all’interno dell’housing che nel condominio dove abita lei a Milano non esiste. Quello che si sperimenta qui è quindi un modello da replicare, in cui gli abitanti si fanno promotori di iniziative, come le attività sportive di yoga, zumba, allenamento funzionale e hip hop che si tengono in palestra, oppure gli aperitivi, lo spazio compiti e altre iniziative che si tengono nello spazio comune Living.
In questo luogo prima vi erano solo edifici abbandonati da decenni: si è trattato quindi di un notevole progetto di riqualificazione e di edilizia responsabile, per cui al posto di demolire si è voluto ristrutturare gli edifici esistenti. Il progetto deve ancora essere completato con la ristrutturazione degli edifici mancanti, l’ampliamento del verde, l’installazione di locker e di una casa dell’acqua. La recente deviazione della linea trentaquattro ha permesso una migliore connessione urbanistica tra 5Square ed il quartiere Vigentino. E’ quindi un quartiere in evoluzione, in cui presto apriranno degli spazi commerciali, come una panetteria, un bar, una cartolibreria, e dei servizi, come un asilo nido ed una scuola materna ed uno studio dentistico … oltre ai servizi già attivi come il poliambulatorio ed il consultorio.
L’auspicio è quindi che i lavori finiscano presto restituendo agli abitanti un quartiere bello e vivibile. Per la comunità invece il desiderio è che ancora più persone partecipino alle attività, nonostante tra gli abitanti vi sia già una buona partecipazione e voglia di mettersi in gioco.
Tessere Legami è una rete territoriale che unisce i quartieri di Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate. Nasce dal desiderio di costruire un calendario condiviso tra associazioni al fine di coordinarsi nell’organizzazione di eventi e far nascere possibili collaborazioni. La rete si riunisce regolarmente online, lo strumento informatico rendendo la partecipazione più semplice. Inizialmente si trattava di uno scambio di informazioni sulle attività proposte, poi la rete ha iniziato ad invitare associazioni esterne con progetti attivi sul territorio così come personalità di rilievo, quali l’assessore alla cultura del Municipio quattro. La rete è quindi a tutti gli effetti un luogo virtuale per coordinarsi e favorire la nascita di progettualità condivise.
Rispetto alla vivacità del tessuto associativo, in particolar modo a Rogoredo, Alberto spiega che la componente sociale ed associativa è stata storicamente sempre molto attiva. I lavoratori della Redaelli si erano infatti già costituiti all’epoca in un gruppo d’acquisto, così come gli abitanti di Rogoredo. Dall’unione negli anni sessanta di queste due cooperative assieme ad altre nasce l’embrione di COOP Lombardia. Gli stessi lavoratori della Redaelli si mettono assieme e negli anni trenta nasce la Cooperativa Edificatrice di Rogoredo, che ha costruito molti degli alloggi degli abitanti del quartiere, oggi divenuta Delta Ecopolis. Da un movimento cooperativo nasce anche il Circolo ARCI Mondini e diverse associazioni nazionali sono presenti a Rogoredo, come A.N.P.I., Auser, Caritas. Molte sono anche le associazioni di quartiere, come il Centro Icare, nato da un gruppo di genitori che si sono organizzati per attivare attività di doposcuola per i bambini.
La vivacità del quartiere si spiega in parte con il legame con il quartiere di molte persone nate e cresciute qui, da cui il desiderio di investirsi per migliorare il luogo dove si vive. Molte sono però le persone che sono arrivate in età adulta e qui han messo radici, integrandosi nella comunità. Il quartiere ha quindi saputo accogliere i nuovi arrivati, anche se la partecipazione oggi è minore che negli anni passati, così come minore è la voglia di investirsi in prima persona nell’organizzazione di attività.
La nascita di Merezzate ha collegato urbanisticamente i tre quartieri che rimangono però ancora oggi divisi. Le scuole e la parrocchia hanno anche contribuito allo spostamento delle persone da un quartiere all’altro. Le associazioni potrebbero poi dare un ulteriore contributo con progettualità condivise. Un esempio di attività che unisce i tre quartieri è la Strarogoredo, una manifestazione sportiva curata da quasi tutte le realtà locali, non necessariamente sportive, che per un giorno unisce Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate. L’auspicio per il futuro è che si riesca davvero a costruire un quartiere unico e che il progetto del quartiere Santa Giulia sia realizzato pienamente in una logica includente, con la riqualificazione delle aree ancora dismesse.
Damian ha 29 anni, è originario dell’Ecuador ed è arrivato in Italia quasi 16 anni fa. È nato con Spina bifida e Meningocele, patologia che colpisce la parte neuronale della schiena e che lo ha portato nel corso degli anni a svolgere una serie di interventi, l’ultimo dei quali lo ha compromesso sulla sedia a rotelle.
Inizia così il racconto di Damian, con voce squillante e sguardo sereno. Si ritiene fortunato, spiega subito. L’esperienza della sedia a rotelle è stata un’opportunità che gli ha consentito di scoprire altri mondi e conoscere ad esempio diverse discipline sportive a cui si è appassionato.
Si è sempre sentito libero, anche se nel suo paese di origine <<bellissimo, che consiglio a tutti di visitare>> aggiunge, ha spesso incontrato diverse barriere architettoniche e psico-culturali che hanno alimentato in lui il desiderio di trasferirsi e raggiungere la mamma che già viveva in Italia, << una mentalità diversa è già un grandissimo cambiamento>>.
Arrivato in Italia il processo di integrazione è stato impegnativo, segnato anche da esperienze di bullismo all’interno delle mura scolastiche. Vive nel quartiere di Chiesa Rossa ormai da 15 anni, dopo un primo periodo vissuto vicino ai Navigli. Si dice soddisfatto e profondamente affezionato a questa zona in cui, spiega, << sembra di essere fuori città invece sei ancora a Milano ma con un sacco di verde>>. Si descrive come una persona che ha bisogno di rimanere costantemente attivo e in movimento, << in casa non ci so stare>> dice; al di là dei numerosi spazi verdi e dei servizi di prima necessità presenti nel quartiere, secondo Damian mancherebbero però alcuni servizi e luoghi dedicati allo sport.
La sua famiglia gli è sempre stata accanto, esortandolo a fare qualsiasi cosa, senza esitazioni e senza timori: <<dalla vita in su non ho problemi, posso fare quello che voglio>>. Forse anche per questo il ventaglio di interessi e passion di Damian è particolarmente ricco: dalle uscite con gli amici, all’andare a ballare, dalla pasticceria allo sport. Di quest’ultimo si è dedicato principalmente al basket in carrozzina, alla pallanuoto, al rugby, al tennis, all’hockey e recentemente anche al sollevamento pesi (di cui è stato 5 volte campione italiano).
Lo sport per Damian è espressione di costanza e impegno; è uno spazio di condivisione gruppale ma anche di cura e valorizzazione individuale.
Pensando a quale contributo potrebbe offrire alla sua comunità, Damian sottolinea il suo animo intraprendente e stacanovista. Da quando è piccolo coltiva l’amore per la cucina e la pasticceria, passioni che durante gli anni delle superiori viene esortato ad abbandonare << perché le cucine non erano pensate e fornite per una persona in carrozzina>>. In assenza di strumenti e risorse Damian ha avuto la pazienza e la perseveranza di specializzarsi in una disciplina economica lontana dai suoi interessi e di coltivare contemporaneamente la passione per la cucina tra le mura di casa. Il suo sogno è aprire un giorno un ristorante e una pasticceria, offrendo alle persone con disabilità le risorse e gli strumenti con cui perseguire il loro sogno di lavorare in cucina. Il dolce con cui si descriverebbe è una torta al cioccolato con mousse e bignè di crema e cioccolato
Per il futuro si augura di poter aiutare sempre più persone che come lui stanno vivendo una situazione di disabilità; essere per loro un punto di riferimento, continuando a condividere l’entusiasmo, la passione e la motivazione a realizzare i propri sogni in piena libertà.
Mohamed è arrivato a Torino a dicembre 2022 ancora minorenne da una città a sud del Marocco. I suoi genitori in Marocco hanno due negozi di parrucchieri, uno per donne e uno per uomini ma Mohamed dopo gli studi scientifici delle scuole superiori è arrivato in Italia per cercare lavoro e allargare le sue opportunità ed esperienze. Adesso sta seguendo un corso di italiano per stranieri il pomeriggio mentre durante la mattina si incontra con gli amici per giocare a calcio o ascoltare della musica insieme dal rap all hip-hop. Torino gli piace moltissimo e con i suoi amici frequenta molto la città nei suoi spazi all'aperto per una partita a calcio e per ascoltare la musica insieme.L'idea di poter lavorare in un bar e diventare un master dei cappuccini lo alletta particolarmente, Mohamed è un grande amante del caffè e diventare un barman specializzato è qualcosa che lo renderebbe molto felice.
Amine è arrivato a Torino in cerca di un'opportunità per il suo futuro. Il suo viaggio comincia all'età di 19 anni quando decide di lasciare Casablanca per andare in Ucraina a studiare medicina. Ha iniziato con studiare la lingua ucraina, requisito fondamentale per accedere al corso universitario di medicina ma il suo percorso si è dovuto interrompere a causa dell'inizio della guerra nel 2022. Costretto ad andare via è riuscito a scappare dalla guerra arrivando così a Torino sempre però con il suo grande sogno nel cassetto : diventare medico. Sogno nato da una promessa fatta alla mamma e dal suo grande amore nel voler aiutare gli altri e salvare vite, missione che ogni dottore ha dentro di sé. Gli piacerebbe poter continuare gli studi universitari in Italia o in Francia per diventare così un chirurgo.Ad oggi Amine ha intrapreso un nuovo percorso nell'ambito del bar e della ristorazione e vorrebbe farlo diventare un lavoro che lo accompagna nel suo percorso di studi, un modo per essere totalmente autonomo ed indipendente.
"Sono una ragazza molto sorridente e molto felice sin da piccola, con la mia famiglia e con i miei amici"Rut inizia così la conversazione durante il nostro incontro, sin dal primo momento si capisce quanta energia, solarità e dolcezza emani. Una giovanissima ragazza peruviana dagli occhi scintillanti e pieni di voglia di vivere. In Italia si sente felice e tranquilla con la possibilità davanti a sé di poter scegliere cosa fare e seguire i suoi sogni. A Torino vive con il fratello gemello Abraham arrivato con lei da Lima e la mamma già residente a Torino da qualche anno, mentre i suoi fratelli si trovano ancora in Perù. Il suo sogno nel cassetto è quello di poter studiare per diventare infermiera, aiutare il prossimo e prendersi cura di chi ha bisogno è parte fondamentale della sua persona e desidererebbe moltissimo riuscire a realizzarlo.
Originario del Perù, Fernando José è in Italia da due anni ed è arrivato a Torino per raggiungere la mamma già residente in Italia da 13 anni.Appassionato di freestyle ascoltava diversi MC di rap e all'età di 11 anni andava ad ascoltare freestyle nelle piazze della sua città natale in Perù. Tra i suoi guru del rap ci sono Eminem 50 cent ma anche rapper originari del Sud America che gli danno grande fonte d'ispirazione e motivazione per coltivare la sua passione. Fernando José oltre essere appassionato di freestyle e quindi improvvisare rime con amici nei pomeriggi, scrive i testi delle sua canzoni che trattano temi sociali ma anche delle piccole cose della quotidianità che vive. Gli piacerebbe lavorare in un bar con musica dal vivo e legato alla cultura musicale dove poter socializzare e creare connessioni.
Eduard ha 18 anni ed è originario del Perù. E' arrivato in Italia all'età di sei anni per questioni sanitarie e dall'ora vive a Collegno vicino a Torino insieme alla sua famiglia. Il prossimo anno finirà gli studi superiori all'istituto tecnico industriale Ettore Majorana di Grugliasco con indirizzo elettronica automazione, gli piacerebbe avere un periodo di pausa dagli studi finito le superiori per lavorare nel campo della bar e della ristorazione per poi proseguire all'università gli studi in robotica. Grande amante della musica dal rock inglese alla classica al rock spagnolo anni '80, Eduard ha sempre la musica con sé mentre cammina cucina ed esce con gli amici, cuffie nelle orecchie o con cassa mentre è con gli amici. Da poco si è appassionato al ballo ed insieme a sua cugina sta iniziando a fare pratica di balli caraibici come la salsa e la bachata.
La dolcezza di Denis la si percepisce al primo sguardo. Giovanissimo arrivato a Torino da pochi mesi, Denis nato e cresciuto a Tirana in Albania è arrivato a Torino con l'intenzione ed il sogno di realizzarsi.Denis è il più giovane di quattro fratelli, due lavorano come elettricisti in inghilterra mentre sua sorella al momento si trova in Svizzera a studiare ingegneria. Il sogno nel cassetto di Denis è quello di fare il barbiere, in Albania ha lavorato in un negozio di barbieri e qui a Torino sta seguendo il corso triennale per parrucchieri presso la cooperativa Piazza dei Mestieri. Vorrebbe molto presto potersi ricongiungere con la mamma, al momento ancora a Tirana e perché no magari un giorno ritornare in Albania, terra che conserva strettamente nel suo cuore.
Abraham è un giovanissimo ragazzo di 19 anni arrivato in Italia da poco più di un anno con dei grandi desideri. Il primo era quello di stare vicino a sua mamma, in Italia per lavoro già da qualche anno e il secondo (ma non ultimo) quello di poter conoscere tutta la cultura italiana con i suoi luoghi e tradizioni. Si definisce un ragazzo timido ma molto curioso e grande amante della lingua Italiana, Abraham è rimasto molto colpito da Torino e dalla gentilezza delle persone, vorrebbe un giorno aprire un negozio gastronomia per cucinare prodotti tipici peruviani ma anche prodotti della cucina italiana per far conoscere ed incontrare le diverse culture. Il ritmo scorre nelle sue vene e ci racconta sorridendo che un suo grande sogno è quello di scrivere e cantare, un sogno che anche se lontano sente particolarmente vivo dentro di sé.
Matteo ha terminato da poco gli studi di Geometra e in pochissimo tempo ha trovato lavoro presso l’Azienda Delta Ecopolis che segue diverse iniziative tra le quali anche 5Square in Via Antegnati. Matteo lavora principalmente nell’area di competenza del Gestore Sociale, in particolare per quanto riguarda la manutenzione e la consegna degli appartamenti. Percepisce continuità tra il suo percorso accademico e la realtà professionale in cui opera. Del suo lavoro apprezza molto poter aiutare la gente a risolvere i problemi, così come le occasioni di confronto e partecipazione; in generale si dice soddisfatto e con il desiderio di dare il massimo: non ha ancora incontrato elementi problematici di complessità.
Matteo è operativo a 5Square da 6 mesi, un periodo di tempo recente rispetto all’arco di vita del progetto: “altri colleghi erano qui dai tempi del cantiere” ci tiene infatti a precisare. Rispetto alle “fondamenta” teoriche dell’iniziativa Matteo ci racconta come il complesso abitativo di 5Square abbia l’obiettivo di sostenere un vivere di comunità e non tra singoli individui separati: lo spazio living in questo senso rappresenta un luogo concreto di incontro “pensato per i cittadini e aperto a tutti”, dove si svolgono già attività come yoga e danza hip hop. Parlando di sport, anche Matteo ne è un appassionato: per molti anni ha praticato tennis, nuoto e calcio. Tra le altre passioni che porta avanti c’è anche il cinema, con i generi horror e d’azione.
Per Matteo il senso di comunità si esprime nell’aiutarsi a vicenda, non pensando solo a sé stessi ma tenendo sempre a mente anche il bagaglio interiore degli altri.
Alle future generazioni consiglia di seguire le proprie passioni già dal percorso di studi e poi anche nel lavoro, senza lasciarsi condizionare eccessivamente dalle aspettative dei genitori. Pensando metaforicamente a 5Square come esempio di processo trasformativo in cui potenzialità e sviluppo possono accompagnarsi anche all’incertezza per il futuro, Matteo ritiene che di fronte agli orizzonti inesplorati il miglior atteggiamento da mantenere sia sempre di apertura, calma e fiducia.
Yassine è un giovane ragazzo di 20 anni. E' arrivato a Torino nel 2005 dal Marocco insieme a sua mamma per raggiungere il papà che lavorava in un officina come meccanico. All'apparenza molto timido, Yassine ha molto da raccontare dalle passioni ai viaggi ai piccoli grandi sogni nel cassetto come quello di giocare a calcio. Simpatizzante per la squadra del Napoli, ci racconta che ha esordito in serie D nel ruolo di attaccante di destra ma per una serie di vicissitudini ha deciso di abbandonare. Ha svolto diversi lavori dall'aiuto cuoco in un ristorante giapponese all'operaio per Amazon. A Yassine non dispiacerebbe avere nuovamente la possibilità di esplorare il modo della cucina e ristorazione per specializzarsi in un lavoro che lo renda indipendente ed appagato.
Michele ha 23 anni e ha già una nutrita esperienza nel campo della ristorazione e del bar e anche come fattorino. La sua voglia di lavorare e conoscere nuove persone, per lui un aspetto molto importante, lo hanno portato ad appassionarsi a diversi ambiti lavorativi e a cimentarsi in occasioni diverse. Proviene da una scuola alberghiera che gli ha permesso di imparare tutto ciò che fino a oggi conosce di questo campo. Michele ci racconta quanto la famiglia, l'amore e la condivisione siano dei valori e degli aspetti della vita per lui molto importanti e a cui non potrebbe mai rinunciare tanto da, nonostante la sua giovane età, voler formare una famiglia con il suo compagno. Ama il campo artistico e performativo e sogna di poterci lavorare. Nel 2018 è iniziata la sua passione per le esibizioni e il mondo Drag Queen.
Intraprendenza e motivazione sono le due caratteristiche che spiccano al primo incontro con Martina, che ha 25 anni ed è torinese. Le piace precisare che è nata di venerdì 17 e ha un gatto nero. E' studentessa di scienze geologiche all'Università di Torino ed è sempre in cerca di cose da fare, tanto che ha sempre lavorato durante gli studi per sconfiggere la routine quotidiana. Si definisce un "terremoto" per la sua costante ricerca di attività che non la facciano stare ferma. Il suo obiettivo è quello di poter lavorare nel campo climatico e meterologico in Italia dopo il conseguimento della laurea. Ha il desiderio di avvicinarsi al mondo lavorativo della ristorazione proprio per la sua indole attiva e sempre in movimento. Chi si ferma è perduto è il suo motto.
Kozdo significa "maschio nato di lunedì" e come da tradizione dell'Africa Occidentale, è il nome che viene dato ai neo-nati maschi di lunedì. Kozdo Guillame è il nome completo di questo ragazzo di 29 anni, che gli amici chiamano Guy per facilità e praticità. Guy sta pensando di accorciare il suo nome ma non sa ancora come e con quale si identifica. Arrivato a Firenze nel 2016, ha raggiunto i suoi genitori già residenti da qualche anno e si è iscritto a un corso universitario di Firenze in letteratura e lingue straniere applicate. Per mantenersi ha lavorato nel campo della ristorazione e del cocktail bar affinando sempre di più le sue conoscenze fino all'arrivo a Torino per il conseguimento di un'esperienza lavorativa. La sua voglia di conoscere e sperimentare lo hanno portato a iscriversi a un corso online di programmazione software, lavoro che può permettergli di lavorare da qualsiasi luogo integrato eventualmente ad altro.
Claudia ha 19 anni, è nata a Torino ma ha origini venete. E' un'appassionata danzatrice e in passato ha gareggiato agonisticamente in competizioni caraibiche, oggi pratica l'hip-hop stile che ritiene più nelle sue corde e che la rappresenta totalmente nella sua espressività. Presa dallo studio e dai molti impegni, Claudia aveva momentaneamente scelto di sospendere questo sport a malincuore. Da quasi sei mesi ha ripreso a praticarlo con l'intenzione di non abbandonarlo più, per il benessere che le crea e per il sentimento che le genera. Il suo obiettivo, a oggi, è quello di entrare subito nel mondo del lavoro e di non continuare gli studi: ma mai dire mai. Da quando si è diplomata Claudia ha avuto la possibilità di sperimentare diversi lavori fino a capire che quello che più le interessa è nel campo della caffetteria e della ristorazione.
Lucas ha quasi 21 anni, è argentino e ha una grande passione per la caffetteria e la creazione di cocktail. A Cordoba aveva già lavorato nel campo della ristorazione come barman e a Torino ha ripreso questa passione come mezzo di sostentamento economico. Uno dei suoi desideri è quello di poter studiare il settore moda e più precisamente diventare stilista. Tutto il sapere acquisito fino a oggi nel campo della creazione di propri capi d'abbigliamento gli è stato tramandato dalla nonna, grande appassionata di cucito. Felice però di intraprendere questa nuova esperienza, Lucas è coraggiosamente pronto a conoscere la realtà lavorativa italiana senza dimenticarsi della sua yerba mate.
Candela viene dall'Argentina ed è in Italia da pochi mesi. Definisce il suo arrivo in Italia, e quello del resto della sua famiglia, come un ritorno perché i suoi tris nonni erano originari delle Marche e della Calabria. Candela è contenta di vivere a Torino e la definisce una città tranquilla ma nello stesso tempo attiva in tutti i suoi servizi, la considera una città multiculturale con persone che arrivano da tutto il mondo e che hanno voglia di creare legami. Candela ha studiato disegno in Argentina ed è parte integrante della sua quotidianità svolgendolo anche come lavoro su commissione, il suo stile è tra il comico e il cartone. Un'altra sua grande passione è il caffè, motivo per cui è salita a bordo del progetto di tripla AAA. Figlia d'arte, mamma scrittrice e papà attore, Candela è una giovane artista talentuosa, con tanta energia e voglia di mettersi in gioco.
Anthonia è originaria della Nigeria e ha 30 anni. Arriva in Italia nel 2016 e prima di approdare a Torino ha vissuto ad Ancona, luogo che le è piaciuto molto. Trasferitasi a Torino, ha lavorato per un periodo da Eataly a Monticello d'Alba ma non avendo trovato una dimora stabile vicino al luogo di lavoro ha deciso di concludere l'esperienza per cercare una nuova opportunità. In Nigeria ha studiato prendendo una facoltà legata all'ambiente e alla sanità, non le dispiacerebbe trovare lavoro in questo campo anche qui in Italia. Uno dei suoi grandi sogni è quello di viaggiare e conoscere nuove culture e paesi, tra cui Olanda e Belgio. Non appena ne avrà la possibilità, sarà la prima cosa che toglierà dalla lista dei desideri insieme alla ri-unione con la sua mamma.
Elena gestisce la Caffetteria Isabella da 35 anni, nome che deve al Ponte Isabella situato nei pressi di Corso Dante a Torino, tributo alla Principessa Isabella di Baviera. Casa e bottega, questa è la definizione perfetta per il suo locale che vede l'appartamento di Elena situato al piano superiore. Il bar apre alle 5 del mattino ed Elena, con l'amore e la costanza che la contraddistingue, è pronta ad accogliere i primi clienti. Elena si definisce una persona comprensiva e dinamica con i clienti ma anche con i suoi quattro collaboratori, una in cucina, un barista e due ragazze in sala che la aiutano nell'orario di punta del pranzo. Il quartiere dove sorge la caffetteria è principalmente fatto di uffici e abitazioni, la speranza di Elena è che presto lo smart working diminuisca per avere una maggiore affluenza come prima della pandemia. Alla Caffetteria Isabella si possono gustare bontà e specialità dalla prima colazione fino alla merenda. Il mantra di Elena è quello di avere un sorriso e un saluto per tutti, in modo che il cliente esca dal locale allegro e pronto ad affrontare una lunga giornata.
Davide è il direttore di Cascina Fossata, un luogo unico nel suo genere che ha l'obiettivo di essere un punto di incontro di qualità che intercetta i bisogni della comunità. Inaugurato nel 2019, il posto è nato dalla riqualificazione di una cascina abbandonata. Oltre a essere una residenza collettiva temporanea e un hotel è anche un ristorante, un luogo in cui vengono organizzati eventi musicali e per bambini. Una particolarità che possiamo trovare a Cascina Fossata è il giardino e l'orto urbano, messo a disposizione in comodato d'uso a chi lo richiede tramite la compilazione di un form online, un ottimo modo per sostenere la produzione alimentare biologica e apportare così valore alla comunità. Per essere parte dello staff di Cascina Fossata è senza dubbio importante condividere i suoi valori comunitari e la capacità di instaurare un rapporto con una clientela eterogenea. Il cliente deve sentirsi accolto e a casa anche in mezzo alla moltitudine di persone e attività organizzate.
Stefania è direttore responsabile del mensile Quattro (dal nome del municipio in cui operano) e presidente dell’omonima associazione che si occupa di promuoverne la pubblicazione. Quattro nasce nel 1997 dal desiderio condiviso di un gruppo di amici di creare un progetto culturale. L’iniziativa prende forma senza un obiettivo da subito definito: <<Andiamo avanti finché abbiamo le risorse e le forze per farlo>> era il motto iniziale. Dopo più di vent’anni l’associazione continua a crescere occupandosi di aree sempre più ampie e articolate.
Quattro si definisce un giornale di informazione e cultura di qualità e propone aggiornamenti mensili di ampio respiro: ricostruzioni storico-urbanistiche del quartiere, mappature e approfondimenti dettagliati dei luoghi significativi e la valorizzazione delle realtà sportive e culturali presenti nel territorio.
Per territorio si intende una zona molto ampia che coinvolge il Municipio 4 nella sua totalità. In questo senso il Dialogo con Stefania genera uno sguardo pluralistico, capace di abbracciare contemporaneamente molteplici storie. Ci avviciniamo così a Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate passando attraverso un sistema capillare di relazioni e interconnessioni identitarie - vive, vicine e dinamiche.
I materiali d’archivio e le indagini sul territorio sono strumenti preziosi per la narrazione del contesto.
La Rubrica sulle fabbriche della zona, ad esempio, è partita dall’esperienza della LESA (Laboratori Elettrotecnici Società Anonima; azienda all’avanguardia anche a livello internazionale nel settore dei giradischi e dei piccoli elettrodomestici) per arrivare ad un così alto numero di testimonianze che sono state in seguito raccolte nel libro “Storie Industriali”. Il libro sulla città dell’annonaria, centrato sulla realtà dei mercati (di Marinai d’Italia, dei polli, dell’Ex Macello, etc) accosta alla ricerca storica d’archivio anche le interviste di chi ci ha lavorato. Anche la zona a sud dello Scalo Romana, per molto tempo abbandonata e ora di nuovo in trasformazione, è oggetto di un’attenta ricostruzione storica.
Il Municipio 4 è un territorio ampio e popoloso, ricco di associazionismo e proposte culturali. Se nei primi anni 2000 la città mostrava un generale appiattimento, con EXPO si è attivato un processo di rinnovamento importante grazie anche ai progetti delle Fondazioni presenti sul territorio. Iniziative di cittadinanza attiva e cura dell’ambiente sono diventate sempre più centrali nel lavoro delle associazioni.
Del Municipio 4 Stefania identifica le seguenti peculiarità identitarie:
Dal punto di vista di Stefania, il quartiere di Rogoredo, la vecchia Rogoredo soprattutto, si configura come una realtà coesa che tende però a chiudersi al proprio interno. Nata accanto alle fabbriche Redaelli e Montecatini ha una popolazione – specialmente la più anziana – che continua a percepirsi appartenente ad una dimensione di piccolo paese. Con la dismissione delle vecchie fabbriche si sono liberate enormi aree attualmente in fase di rinnovamento. Queste trasformazioni urbanistiche hanno determinato un consistente cambio di utenza che, soprattutto oggi, tematizza e mette l’accento su tematiche di integrazione e settorializzazione tra quartieri.
La zona di Santa Giulia, moderna e di recente costruzione, presenta molte aree verdi, un grande boulevard e i buoni presupposti per diventare un polo di scambi e socialità.
Merezzate è un quartiere nuovissimo destinato a raddoppiarsi con il futuro insediamento residenziale nelle aree circostanti.
<< Se ora questi tre luoghi appaiono geograficamente come blocchi separati >> profetizza Stefania << con l’aumentare dell’espansione e dei collegamenti ci sarà sempre maggiore continuità e diventeranno insieme una grande città>>
Tra i bisogni emergenti del territorio vi sono il desiderio di mantenere vive la collaborazione e la partecipazione nella cura dei territori, così come l’urgenza di seguire e comprendere i futuri sviluppi trasformativi della città.
Per Stefania il senso di comunità è un sentimento di appartenenza che alimenta l’attenzione, la disponibilità, la solidarietà, la collaborazione e il prendersi cura tra persone.
Per il futuro l’auspicio dell’associazione è di proseguire nella stessa direzione. Desiderano aprire un nuovo sito web rinnovato e che la produzione editoriale continui la pubblicazione di temi specifici sul territorio e la sua storia locale.
Massimo Lucchini ha un’impresa di idraulica a Felizzano dal 2001, è subentrato il figlio recentemente diplomato, inserito nell’azienda come collaboratore famigliare. L’uomo ha iniziato a lavorare nel 1983, non ha terminato gli studi superiori, all’epoca c’era la possibilità di andare a lavorare molto giovani, di fronte a casa sua c’era una ditta idraulica ed è stato subito assunto. Da sempre la sua passione è stata quella del lavoro manuale e si sente predisposto a farlo, gli piace “lavorare e fare” direttamente con le mani. Solitamente i servizi di cui si occupa sono: l’installazione di impianti di riscaldamento, impianti idrici, sanitari, pannelli solari, la sostituzione/manutenzione delle caldaie e tutto ciò che concerne la parte idraulica. Gli interventi maggiormente richiesti dai clienti riguardano all’oggi in particolare la sostituzione delle caldaie, il rifacimento degli impianti idrici e di riscaldamento negli interventi di ristrutturazione di abitazioni, a seguito degli incentivi del Bonus 110. I lavori giornalieri vanno programmati ma possono variare molto, così spiega Massimo, le giornate possono essere molto impegnative, talvolta caratterizzate da imprevisti ed emergenze anche oltre l’orario stabilito, come ad esempio chiamate serali per problemi legati ad impianti di riscaldamento nel periodo invernale. Massimo cerca di garantire ai clienti un servizio efficiente, serio, professionale assicurando disponibilità negli interventi. Ultimamente sta lavorando molto nella zona dell’astigiano. Come consiglio riferisce di controllare e apportare la giusta manutenzione agli impianti di riscaldamento domestici, in modo da garantire un impatto ambientale molto basso. Svolgere questo tipo di mestiere implica fare molti sacrifici, bisogna essere sempre reperibili e disponibili telefonicamente e avere un continuo contatto con i clienti che chiamano per segnalare le proprie problematiche ed esigenze, con molte richieste di interventi. Tra le difficoltà maggiori incontrate si riscontrano soprattutto crearsi una clientela e rapportarsi con il cliente, essere onesto e saper fare bene il proprio lavoro. Per svolgere questa professione è necessaria una grande passione ed un certo interesse per la materia, dare spazio alla parte manuale e avere il tempo necessario da dedicare per “fare bene” il proprio lavoro. Viene consigliato ai giovani di provare a cimentarsi in questa professione, a patto che ci sia naturalmente voglia e impegno ad imparare. Massimo dichiara di essere soddisfatto e contento del proprio lavoro in cui investe giornalmente costanza, tenacia e responsabilità. Ammette di non avere particolari desideri, se non l’auspicio di poter aiutare qualcuno che ha bisogno.
Randy è il caposala del lounge bar Carpe Diem, uno dei locali più famosi e commercialmente affermati della Promenade di Santa Giulia.
Vive in Italia da sedici anni ma arriva da lontano. È originario della Jamaica, << un paradiso>> dice <<tanto verde, aria fresca, gente sorridente. Le persone non sono molto ricche, ma sono solidali, sorridenti. C’è sempre la musica>>. Per lui l’Italia offre senz’altro molte opportunità lavorative ma non sempre una qualità della vita altrettanto soddisfacente. Randy è nato in un piccolo paese di una zona turistica a ovest del paese <<13 km di spiaggia bianca, acqua sempre tiepida>>. Insieme ad una grande bellezza, però, nel suo paese ha osservato anche una fragilità economica che lo ha spinto a cercare strade alternative, più promettenti. La sua compagna è italiana e insieme hanno due figli, di sedici e tredici anni.
La strada che lo conduce al Carpe Diem è ricca di esperienze e sperimentazioni. Quando era più giovane, in Jamaica, ha iniziato a studiare giurisprudenza all’università. Ha lasciato gli studi per aiutare economicamente la famiglia, composta da dieci figli. Negli anni ’80 il padre di Randy, falegname di professione, portava ancora addosso i segni e gli effetti della schiavitù. Conduceva una vita faticosa, racconta, e affiancarlo nelle sue mansioni lo ha spinto a cercare un’emancipazione dalla precarietà che aveva conosciuto. Frequenta una scuola alberghiera perché la cucina è sempre stata una sua grande passione. Quando poi in Jamaica ha avuto l’opportunità di lavorare in un bar, ha capito – con entusiasmo - che avrebbe voluto trasformarla in un’attività redditizia.
A ventisei anni parte e si trasferisce in Italia. Lavora come cuoco, svolge per tre anni un apprendistato all’interno di una gelateria-caffetteria e inizia come barman nei turni serali presso il Carpe Diem. Adesso è il direttore di sala del locale.
I precedenti proprietari del bar hanno aperto l’attività nel 2009 quando <<qui intorno non c’era niente, era tutto un grande cantiere>>, racconta Randy.
Consolida un’esperienze e relazioni positive. Il lounge bar è specializzato in aperitivi e la maggior parte dell’attività si svolge nelle ore serali. È un’ambiente sicura, spiega Randy, << dove le famiglie possono venire, lasciare i bambini mentre fanno un giro o organizzare le feste di compleanno per i ragazzi>>.
Da quando è arrivato il quartiere si è trasformato molto e rapidamente, grazie soprattutto all’insediamento delle grandi aziende. Non tutti gli interventi però, secondo lui, sono stati dei miglioramenti. Come ad esempio l’eccessiva cementificazione del territorio che, da amante del verde, considera limitante per una gradevole fruizione degli spazi, << preferisco vedere alberi che palazzi>>.
Per Randy il senso di comunità è accoglienza, ospitalità, apertura e disponibilità verso gli altri. <<In Jamaica è tutto un ‘buongiorno’, un salutarsi. La gente è più povera ma anche più inclusiva, qua se non conosci una persona non ci parli. Sai cos’è… le persone qui tendono a mettere tanti scudi davanti, forse per proteggersi. A casa mia non è così. Quando sono in Jamaica mi sento più libero, di esprimermi e tutto>>. Ipotizza che ciò derivi e sia legato alla predisposizione delle persone verso uno stile di vita più semplice, genuino, orientato alla condivisione dei piccoli momenti di felicità.
Per Randy un modo di sollecitare la socialità può passare dai momenti di festa. Utile sarebbe predisporre maggiori luoghi di aggregazione affinché svago e leggerezza vengano vissuti anche al di fuori della dimensione famigliare <<bambini che giocano insieme, le mamme che si conoscono>>.
Oltre al tempo speso con la sua famiglia, la sua vita è primariamente incentrata sul lavoro e lo studio. Per questo in futuro vorrebbe ritagliarsi maggiore spazio di libertà e spensieratezza. Vorrebbe tornare in Jamaica un giorno, comprare una barca per andare a pescare. Restituire alla comunità di origine un aiuto concreto, costruendo opportunità lavorative per le persone meno fortunate <<così che non debbano cercare per mangiare e per pagare>>.
Per Randy è estremamente importante coltivare uno sguardo multiculturale aperto al mondo e alle sue differenze: <<Vedere cosa c’è altrove per capire cosa sia davvero importante. Molte persone invece, vivono e basta, senza sapere perché>>.
Nel cuore di Amine, un giovane dal carattere riservato, risiedevano sogni audaci destinati a spiccare il volo. La sua più grande ambizione è diventare un medico chirurgo, un'aspirazione che illumina le sue giornate e lo spinge a immergersi nello studio con tenacia. Il desiderio di indipendenza è altrettanto forte, poiché vorrebbe costruire il suo futuro con le proprie mani e la sua mente. Nonostante la timidezza, Amine trova gioia nell'essere circondato dai suoi amici, ama viaggiare e nelle sue esperienze, nonostante la giovanissima età, ha potuto conoscere. La storia di Amine è un mix affascinante di coraggio, ambizione, e gentilezza. La sua dedizione ed il costante impegno lo rendono un individuo straordinario, destinato a realizzare i suoi sogni e a lasciare un segno positivo nella vita di coloro che incrociano la sua strada.
Monica, Lauretta e Maurizio sono tra i primi abitanti della Rogoredo “vecchia” che ho il piacere di conoscere. Ci mettiamo in contatto tramite la pagina FB “Rogoredo siamo noi!” che raccoglie quotidianamente e in maniera informale, notizie, annunci e materiali d’archivio del quartiere. Presso i giardini di via Rogoredo (sede simbolica scelta dall’associazione, attiva soprattutto nelle strade e tra la gente), in un freddo pomeriggio di marzo, avviene così un incontro prezioso e illuminante da cui si svilupperanno tanti altri scambi, contatti e racconti.
"Rogoredo siamo noi! ALPOSTOGIUSTO" è un’associazione informale che nasce da un gruppo di volontari e abitanti del quartiere intorno al 2016, in seguito all’emergenza sociale sanitaria di tossicodipendenza in via Sant’Arianna (alias, il boschetto della droga), con l’obiettivo di sensibilizzare gli abitanti e la città circa la situazione in atto. Per richiamare l’attenzione delle istituzioni i volontari si impegnano in manifestazioni e iniziative locali, con il sostegno poi anche del Municipio. Musica, mercatini, streetfood, momenti di festa come “La primavera dei giardini” e “La sera delle lanterne”, iniziano così ad animare i luoghi del quartiere, invitando le persone a ritrovarsi in strada e nei giardini. Queste ultime, raccontano, furono due giornate di grande successo, un momento di luce durante un periodo buio: <<Qui la festa e di là la morte>> sospira Monica indicando lo spazio oltre il cavalcavia. Contrastare il dolore con uno spirito gioioso, affamato di vita. È stata questa una delle prime risposte della comunità.
Passato il picco emergenziale della tossicodipendenza i volontari dell’associazione si dicono “più rilassati” ma comunque attivi nel mantenere un presidio sensibile e continuo. Il problema della droga aveva destato grande preoccupazione, affermano, e ieri come oggi è sull’informazione e la prevenzione che è importante lavorare, soprattutto attraverso i canali scolastici educativi. Non solo verso le dipendenze ma per tutte le fragilità che possono interessare i giovani, come il bullismo, che i volontari evidenziano come una questione sempre più presente ed incisiva.
Rogoredo è molto più della narrazione circoscritta e stigmatizzante spesso perpetrata dai media. È un luogo vivo e pulsante che non ha bisogno di condizioni problematiche affinché si mantengano vive la partecipazione e la vicinanza tra i suoi abitanti.
Il quartiere, racconta Lauretta, nasce sulle vecchie fabbriche-acciaierie Montecatini e Redaelli e si fonda su una rete di famiglie operaie e di impiegati. Lei fino a 9 anni ha vissuto in una casa di ringhiera, il Rebuscin. In estate, ricorda nostalgicamente, si radunavano tutti insieme in cortile, le mamme ai lavatoi con i panni e i bambini poco più in là a giocare. Per Maurizio Rogoredo è un quartiere-paese e citando Iannacci spiega che è una realtà fatta di persone che vivono in maniera simbiotica ogni situazione. Aggiunge che in passato erano molti di più gli spazi adibiti all’aggregazione e allo svago, come le sale da ballo del Sud Est e il cinema Atlantico (prima ancora conosciuto come il Socula, dal rumore degli zoccoli a contatto con il pavimento) preso d’assalto nei fine settimana. Questo spirito associativo, dicono, è rimasto impregnato nell’aria: pur non disponendo di molte risorse o luoghi di aggregazione, i giovani riescono a portare avanti quella socialità semplice e spontanea tra le panchine dei parchi.
Orgoglio e commozione trapelano anche dalle parole di Monica. Lei arriva a Rogoredo dopo aver vissuto nelle vicine zone del Corvetto. Per lei il quartiere, la vecchia Rogoredo specialmente, è unica nel suo genere. È una piccola realtà, tutti si conoscono <<la gente mormora. Tutti sanno tutto di tutti>>. La disponibilità delle persone, le chiacchere sull’uscio dei negozi, gli anziani che si ritrovano ogni giorno al bar per il caffè o il bianchino in compagnia. Per loro, custodi di un sapere straordinario, in occasione di un Natale hanno allestito un albero con le vecchie fotografie d’archivio fornite dalla Società Sportiva Rogoredo84: emozionante, raccontano, è stato vedere gli abitanti più longevi avvicinarsi e riconoscersi in quelle immagini del passato. Ritengono che sarebbe bello dare spazio nelle scuole ad alcuni cittadini affinché tramandino la memoria storica e le tradizioni del quartiere, per preservarle e fornire modelli positivi di riferimento.
L’aspetto più significativo della comunità su cui ALPOSTOGIUSTO desidera porre l’accento è il carattere solidaristico e inclusivo dei suoi membri: durante la pandemia, ad esempio, tutti si sono uniti in supporto di chi si trovava in maggiore in difficoltà. Ciascuno, con le proprie possibilità, ha offerto quanto poteva in termini di tempo, risorse alimentari, aiuti economici e calore umano: <<Rogoredo si è sentita in dovere di aiutare chi in quel momento non aveva niente, nemmeno un tetto>>.
Per il futuro, sono tanti gli auspici: un potenziamento dei luoghi di aggregazione e delle possibilità di espressione per i giovani. Fornire un maggiore sostegno agli anziani. Costruire una reale integrazione del Palazzetto dello Sport e della nuova sede del Conservatorio (specializzata in musica jazz, elettronica e popolare) nel tessuto urbano, affinché si rafforzi un dialogo per e nel territorio. Il superamento delle settorializzazioni intra-territoriali (Rogoredo, Santa Giulia, Merezzate) riconoscendo e valorizzando la comune appartenenza storica e identitaria. Preservare il senso di comunità e uno stile di vita a misura d’uomo. L’educazione delle nuove generazioni alla cura delle tradizioni e dell’ambiente. Un maggiore supporto ai commercianti della zona.
Servizi come la Stazione ferroviaria, i centri sportivi e la presenza attiva della Parrocchia sono altri elementi di forza importanti per la comunità.
Arianna e Ikram stanno passeggiando tra le strade di Merezzate quando entrano incuriosite dentro lo spazio living dove condivideranno la loro storia. Sono due carissime amiche, conosciutesi qualche anno prima in università. Due anime affini e al contempo complementari, traboccanti di allegra simpatia.
Ikram, nata e vissuta in Marocco fino ai 3 anni, attualmente vive in zona Affori. È qui a Merezzate perché, con l’aiuto di Arianna, sta cercando di individuare dei bambini che possano entrare a far parte di un campione sperimentale con cui testare un App che sta sviluppando. Hanno studiato entrambe Informatica o, come ci tengono a precisare, Computer Science. Il progetto di tesi è centrato sullo sviluppo un applicazione web che aiuti le persone a mettersi in contatto tra di loro, avendo come target specifico gli anziani e i bambini. La recente esperienza del Covid ha infatti avuto un impatto drammaticamente disgregante sulle relazioni affettive familiari, impedendo per lunghi periodi a nonni e nipoti di trascorrere del tempo insieme. Questo progetto si prefigge, attraverso il potenziamento di scambi e contatti virtuali, di rafforzare dimensioni psicologiche quali l’umore e le reti sociali nei soggetti più sensibili, aumentando la percezione di vicinanza con gli altri significativi e contrastando al contempo gli effetti negativi della solitudine, che possono sfociare anche in forme depressive più o meno gravi.
Arianna vive invece vicino a San Martino, a Rogoredo, dove trascorre gran parte della sua quotidianità sin dall’infanzia. Fa parte della realtà oratoriale del quartiere, svolgendo attività di educatrice con i ragazzi delle medie e delle superiori. Frequenta la magistrale di Informatica con specializzazione in Intelligenza Artificiale e Machine Learning e, racconta, si avvicina a questo campo perché è da sempre attratta dalle materie scientifiche.
Ikram e Arianna condividono diversi interessi ma primo fra tutti c’è forse l’amore per il cibo e la cucina. Un cibo buono, di qualità, senza limiti geografici di provenienza. Insieme hanno anche frequentato alcuni Corsi gratuiti offerti dal Comune di Milano (presenti in tutti i Municipi) che considerano una bellissima opportunità sul territorio perché consentono a tutti di sperimentare liberamente e in maniera accessibile una gamma vasta di servizi.
Ikram si descrive come una persona timida e discreta, oggi più per scelta e propensione caratteriale, ma che in passato -soprattutto da bambina – ha dovuto affrontare esperienze dolorose legato al bullismo. Pone l’accento, con risoluto trasporto, sulla necessità - spesso disattesa da alcuni decenti e adulti – di proteggere i più piccoli in situazioni di fragilità e ingiustizia. Anche Arianna si descrive, soprattutto da bambina, come una persona timida e riservata. Frequentare l’oratorio l’ha aiutata a diventare più espansiva, allargare la sua rete relazionale e conoscere persone preziose. In oratorio, dove è animatrice, le piacerebbe trasmettere ai più giovani quel senso di attenzione, cura e dolcezza che faccia sentire meno soli. Entrambe sono animate da grande passione verso il contrasto all’isolamento, la tutela dell’infanzia e la responsabilizzazione in età adulta verso se stessi e il contesto.
Tra gli elementi di ricchezza del quartiere, Arianna identifica l’oratorio come punto di aggregazione per la comunità, anche se un cambio generazionale di mentalità e il post-Covid ne hanno diminuito la partecipazione. Anche la Strarogoredo e le feste di quartiere sono occasioni positive a cui partecipare. È importante, secondo lei, mantenere un approccio aperto e disponibile verso le iniziative del territorio e tra i suoi auspici c’è la rinascita dell’oratorio e della sua centralità per le persone.
Ikram è portatrice di una duplice appartenenza, quella marocchina e quella italiana, ed entrambe occupano uno spazio profondo e speciale da un punto di vista identitario. Il mantenimento delle tradizioni di origine viene portato avanti attraverso le festività significative, così come mediante il cibo e la cucina; strumenti però anche di integrazione e vicinanza con la cultura italiana: <<non so chi sia più italiano, se un italiano o mia mamma>> la quale, racconta Ikram ridendo, a volte dichiara intensamente <<voglio proprio preparare una buona pasta fresca con i pomodorini>>. Come spesso accade ai ragazzi di seconda generazione, elaborare la doppia appartenenza è un processo complesso e in continuo sviluppo: Ikram si definisce fortunata :<<ci sono due persone in me, quella italiana e quella marocchina. Tante persone hanno questa esperienza, chi invece no non sa cosa significa. Andare a vedere un paese come turista non è come viverlo o avere lì delle origini. (Avere una duplice appartenenza) è bello, perché ti senti unica>>.
Arianna immagina il senso di comunità come tante persone sorridenti insieme, una mano tesa pronta ad aiutare. Per Ikram le mani sono due e si battono il cinque, come nella pubblicità dei biscotti Ringo. Comunità è essenzialmente solidarietà. Per il futuro Arianna si augura che le nuove generazioni abbiano a disposizione ambienti accoglienti e stimolanti come è stato per lei l’oratorio (non un luogo esclusivo per i soli credenti, dice, ma una comunità che aiuti nella crescita e nell’introspezione) e per se stessa, di raggiungere presto l’autonomia economica e professionale che desidera. Anche Ikram spera di veder crescere vivibilità e iniziative di aggregazione. In generale credono nell’importanza di alimentare le occasioni di confronto e di garantire attività gratuite accessibili a tutti.
Nello Spazio Living di via Colorni 14 immaginano una vasta gamma di attività che si potrebbero organizzare o a cui parteciperebbero volentieri, come ad esempio: co-studying, co-working, serate e giochi di società, momenti culinari, ritrovo per gli anziani, tavoli tematici e una base per la radio dei giovani di quartiere.
Iryna è una ragazza energica, dalla voce squillante e lo sguardo intenso. Stacanovista, dolce, brillante. Ci siamo incontrate molte volte prima di girare ufficialmente la nostra intervista. Ogni volta, arrivando alla soglia del suo negozio, la trovavo indaffaratissima, sommersa di piumoni, camice e cappotti. <<Questa è la situazione qui>> commentava da dietro il bancone, con un sorriso stanco ma felice. Sembrava difficile concordare un appuntamento, trovare un lasso di tempo in cui parlare senza che entrasse qualche cliente a ritirare o portare qualche ordine. Alle sue spalle, lungo tutto il perimetro e le pareti del piccolo negozio in Via Monte Palombino 8, un’inquantificabile mole di lavoro si rinnovava via via ogni giorno che la incontravo, mantenendo intatta solamente la sua, davvero ingente, quantità. Da subito Iryna mi spiega che sembra tutto un caos questo ammasso di vestiti e coperte, ma in realtà c’è un ordine precisissimo per ogni cosa, un sistema capillare di organizzazione che le consente di muoversi e lavorare con grande efficienza. Ed in effetti, tra le prime sfumature che emergono di Iryna c’è proprio la sua dedizione al lavoro, un’indole organizzata ed efficiente, la capacità e in un certo senso il bisogno di occuparsi di tante cose, di restare sempre in movimento, di dare sfogo alla sua poliedrica creatività.
La Lavanderia Stireria H20 apre in un momento particolare, <<buffo>> dice lei, poco prima del covid e del periodo di chiusure che avrebbero interessato le attività commerciali nel paese. Nonostante le difficoltà, Iryna si dice soddisfatta di come si è evoluta la situazione e di poter seguire un’attività che le piace e la rende felice. Già durante i nostri brevi incontri nei mesi precedenti era affiorato un passato ricchissimo di esperienze. Iryna nasce infatti come pianista e per tredici anni della sua vita si dedica alla musica. In seguito si specializzerà come parrucchiera e aprirà un suo negozio. Lavorerà anche nel mondo dell’interpretariato grazie alle sue competenze linguistiche (nasce in Repubblica Ceca e vive poi in Ucraina fino alla maggiore età). A 19 anni parte per l’Italia e da subito si cimenta professionalmente perché, dice lei, <<stare ferma non mi piace>>. Un giorno, insieme al marito, decide di avviare l’attività della lavanderia e stireria che, in seguito alla chiusura di una sartoria di quartiere, si è poi specializzata anche in riparazioni e ricami.
Rogoredo le piace molto, la definisce “una famiglia gigantesca” nelle accezioni positive che questa immagine può evocare. Lo definisce un ambiente cordiale, sicuro, dove si lavora bene, caratterizzato da una buona sintonia tra le persone. Una peculiarità del quartiere e delle sue trasformazioni, per Iryna, è nel suo continuo ricambio dinamico di persone e attività commerciali. Non rintraccia aspetti di particolare fragilità che necessitino di miglioramenti, anzi si dice soddisfatta dei servizi e delle risorse che offre.
Passa un’abitante, la saluta, lei ricambia, mi guarda <<Qui è così, mi salutano tutti, io conosco tutti>>.
La familiarità costruita negli anni non si riflette sono nelle relazioni informali ma anche nel suo lavoro: ricorda e riconosce perfettamente i volti e i nomi di tutti i suoi clienti. Ma c’è anche un aspetto più profondo e meno performante: le contromarche numerate, mi spiega, servono a distinguere le cose, ma le persone non sono numeri sono persone. Ed è così che la meticolosità di Iryna diventa innanzitutto espressione di cura verso gli altri. È in questo atteggiamento serio e affettuoso che rintraccia l’origine di un’esperienza reciprocamente positiva con il quartiere e i suoi membri.
Per Iryna il senso di comunità corrisponde all’unità tra le persone, allo scambio di idee, all’aiuto reciproco, alla comprensione e alla tolleranza.
<<Senza sogni non si vive. Bisogna essere sognatrici e sognatori>> sospira guardando fuori dalla vetrata del negozio, anche se decide di non condividere quelli che si porta dentro, forse per scaramanzia o semplicemente per discrezione.
Per il futuro, augura a tutti di trascorrere delle buone vacanze, di stare bene, di fare scorta di energia per affrontare la frenesia della quotidianità e, in generale, una buona vita.
Annamaria, classe '42, nasce a Rogoredo nelle famose case dei ferrovieri oltre il cavalcavia, vicino a quello che oggi è tristemente noto come "bosco" della droga. Ricorda quegli alloggi come case bellissime, avanguardiste per l'epoca perché dotate di servizi igienici. La sera in cui è nata la città era squarciata dai bombardamenti: ottant'anni dopo, aggiunge con tristezza, ancora c'è la guerra e ancora nascono bambini nei rifugi. Ed è dall'immagine di un rifugio che inizia il racconto nostalgico di Annamaria, dei santini appesi ai muri durante la guerra e rinvenuti intatti durante le recenti ristrutturazioni.
Annamaria inizia come stenodattilografa in un'azienda privata e prosegue poi nelle ferrovie dello Stato tramite uno dei primi concorsi come capostazione, dopo che venne rimosso il divieto di accesso alle donne imposto durante il fascismo. Nonostante il cambio formale, le donne non erano comunque accettate all'interno degli impianti e venivano quindi mandate all'Ufficio Informazioni della Stazione Centrale. Tre donne, nessun computer moderno, folle lunghissime e una grande mole di lavoro.
Svolge volontariato in ospedale per molti anni tramite A.V.O. Quando entra in pensione, si occupa dei nipoti e affronta alcuni problemi di salute. Si mantiene in forma con un po' di attività fisica settimanale, frequenta il coro della chiesa ed è membro attivo del Centro di Ascolto della Caritas Parrocchiale.
Si definisce una persona fortunata, autonoma, propensa ad aiutare il prossimo, sempre desiderosa di ascoltare e scambiare due parole con chi incontra. Dopo la pandemia, spiega, c'è molta gente sola che ha paura. Sottolinea le fragilità familiari intorno a lei, specialmente delle mamme, verso le quali mostra una particolare sensibilità.
Essere una comunità, per Annamaria, è cambiato molto negli anni. Ricorda lo stare insieme di una volta, giocare all’aperto, i gelati, la condivisione di un’anguria, le “castagnate”, i festival dell’Unità e dell’Avanti, le commedie in oratorio. Attraverso i concerti in chiesa si cerca di rianimare il quartiere, ma secondo Annamaria con la Pandemia qualcosa si è spezzato.
Tocca il tema della sicurezza <<il periodo in cui andavi avanti e indietro da sola (per le strade) non c’è più>>, prende in considerazione il tema della multiculturalità ed evidenzia i principali mutamenti del quartiere. Tra tutti, è soprattutto la sempre più esigua frequentazione dei luoghi di aggregazione da parte degli italiani a rattristarla, la maggior parte sono stranieri. Secondo Annamaria, possibili problemi di integrazione interculturale si verificano laddove si protraggono limitazioni e svantaggi a carico delle donne, che ostacolano innanzitutto una piena partecipazione alle attività della comunità. In generale osserva una bassa partecipazione delle famiglie straniere agli eventi promossi in quartiere. Allo stesso modo però, riconosce una certa resistenza degli “autoctoni” a ricercare l’integrazione: tipica dei “rogoredesi”, secondo Annamaria, è un po' la difficoltà ad aprirsi alle novità e ai cambiamenti (prima con le migrazioni dal sud Italia, oggi con le migrazioni internazionali).
Una maggiore integrazione, a partire dall’infanzia, attraverso il gioco e tra le famiglie, è il primo desiderio che Annamaria auspica per il futuro. Ma anche un ritorno alla convivialità e all’aggregazione spontanea e gioiosa tra le persone, attraverso la musica e il cibo. Tante sono le iniziative e le risorse del territorio (capitanate ad esempio dalla realtà del Circolo Mondini), poca, talvolta, è però la partecipazione delle persone.
Per descrivere il vivere insieme del quartiere in cui è cresciuta e cosa sia per lei il senso di comunità, Annamaria sceglie un’immagine semplice, i ciliegi in fiore nel vialetto sotto casa sua. Quasi a voler sintetizzare la complessità di trasformazioni e significati di cui è stata ed è testimone, aggiunge:<<io ti dico la verità: tante volte alla sera, ad una certa ora d’estate, mi metto qua seduta da sola. C’è un volo di rondini, di su di giù, che squittiscono, che è uno spettacolo eccezionale. Poi ci sono gli aerei che vanno a Linate che sono il richiamo alla realtà>>.
Il nome "20138 Open Barre" nasce da uno “svarione”, una divagazione creativa in sostanza. Termine efficacemente evocativo di un’intuizione spontanea, fortemente radicata nell’appartenenza familiare del proprio contesto, e allo stesso tempo semplice, riconoscibile, come il CAP del quartiere, 20138. Un numero che raccoglie dentro un’intera comunità, senza distinzioni, e che vuole diventare simbolo di valorizzazione e di riscatto.
Si tratta di un progetto musicale che vuole provare a dare spazio e voce a chi non ne ha o non può permetterselo. Il progetto nasce da passeggiate in solitaria piene di riflessioni e di idee, si sviluppa attraverso strumenti basici come il telefono, insieme a conoscenze pregresse e a nuovi incontri per strada. I contenuti vengono pubblicati il venerdì e si accompagnano anche di materiale fotografico raccolto tra le strade del quartiere.
La musica è il cuore pulsante, non solo del progetto, ma delle passioni che animano Minu. È una passione, racconta, che lo rende felice e lo lega a chi, come lui, coltiva questo amore. Vi si avvicina dopo l’infanzia, in particolare con I Club Dogo e brani come “Killer Game” di Salmo, Madman e Gemitaiz, catturato dalle immagini del video. Con il tempo cresce in lui la connessione, il legame, con i testi e le parole dei brani che incontra: sentimento questo che continuerà ad aumentare ininterrotto, portandolo ad approfondire quanto più possibile tutto il materiale che incontra. La narrazione criminale insita in alcune sfumature del genere rap non è qualcosa che Minu apprezzi particolarmente; tra i nuovi artisti più popolari fa fatica a individuare qualcuno capace di raccontare storie interessanti e autentiche. L’ambiente musicale giovanile contemporaneo, secondo Minu, è caratterizzato sempre di più da uno spostamento verso il virtuale e le logiche economiche. Resistono tuttavia alcune iniziative di aggregazione e condivisione spontanee, simbolo di un fare musica collettivo e primariamente appassionato (il freestyle al muretto del Duomo, il barrios in Barona, i concerti, etc).
Anche a Rogoredo si possono incontrare situazioni simili: nascono, magari per caso, alle panchine di un parco. Ci si trova, si sta insieme, poi qualcuno tira fuori il telefono e mette su una base. Il potenziale c'è, scorre e accumuna molti ragazzi della zona. Sarebbe utile potenziare alcuni luoghi per favorire questi incontri ma la mancanza di fondi, commenta Minu, può essere un ostacolo. In questo senso "20138 Open Barre" si configura come una risorsa per la comunità: il progetto, infatti, comprende l'idea di un contest che offra sì visibilità, ma anche un punto di riferimento concreto, un luogo di ritrovo per gli artisti, uno studio di registrazione ben equipaggiato a cui accedere indipendentemente dal budget di partenza.
Minu nasce in Romania, vive per alcuni anni in un'altra zona di Milano e arriva a Rogoredo circa 15 anni fa. Con affetto mi dice che sono tante, per lui, le qualità del quartiere: piccolo, accogliente, pieno di zone verdi, dove la maggior parte delle persone è disponibile e socievole. "20138 Open Barre" vorrebbe valorizzare, attraverso la musica e gli artisti, proprio quelle dimensioni positive che nei contesti più periferici subiscono gli effetti delle settorializzazioni e delle stereotipizzazioni superficiali.
Comunità significa fare del bene con e per la gente, mi dice Minu. La musica diventa uno strumento prezioso. Ma anche i campi da Basket e i parchi diventano possibilità di incontro in cui fare festa e stare insieme. << Qui si tende spesso a stare insieme>>.
Non identifica particolari aspetti da migliorare nella zona, si tratta di un contesto piccolo senza troppi problemi, dove si respira sicurezza e vivibilità.
Per il futuro gli orizzonti del progetto hanno un retrogusto internazionale: Parigi potrebbe essere una possibile destinazione, ma anche rimanendo in quartiere l’auspicio è di collaborare con sempre più persone diverse, provenienti da tutte le parti della città e del mondo.
“Tutto il mondo è quartiere” di Ensi è per Minu una canzone molto bella, cruda, capace di raccontare il senso di comunità. Il messaggio, per Minu, è che basta poco, un pretesto qualsiasi, per condividere qualcosa di se stessi, parlare, fare amicizia, socializzare e sentirsi parte di un insieme più grande, al di là delle singole e reciproche differenze
Andrea ha 21 anni, è nato in Calabria e nella prima infanzia si trasferisce con la famiglia a Milano, nel quartiere di Città Studi. È andato da poco a vivere da solo in zona Pioltello.
Principalmente si occupa di video e grafica, ma lavora anche nell’attività dei genitori presso la Cartoleria Live Brige in via Monte Cengio 6. Esperienza questa che attraverso il contatto con il pubblico lo sta aiutando molto ad affinare le sue competenze socio-relazionali.
È un appassionato di sport, soprattutto di calcio, motori e di gokart; momenti che rappresentano per lui una piacevole valvola di sfogo. Anche la cucina è un’attività che coltiva con grande interesse: si dice aperto all’esplorazione delle proposte etniche di tutto il mondo, mentre ai fornelli si dedica alla sperimentazione di ricette e sapori principalmente mediterranei.
Rogoredo è per Andrea un punto di riferimento primariamente lavorativo: non lo vive come abitante ma lo conosce attraverso le mura della Cartoleria. Diversamente dall’atmosfera talvolta svuotata e dispersiva di alcune periferie o dalla frenesia e l’impersonalità del centro città – con un ricambio continuo di persone e la difficoltà a creare relazioni - in questo quartiere, dice, si respira un particolarissimo clima di paese in cui tutti si conoscono, dove facilmente si riesce a entrare nell’ambiente perché si viene coinvolti spontaneamente dalla comunità. Ed è proprio lo spirito aggregativo, il forte senso di comunità (che definisce come tranquillità e rispetto tra le persone) una delle caratteristiche che Andrea immagina nel descrivere la sua “città ideale”, insieme ad una ricca prossimità di servizi. Disporre di maggiori risorse sul territorio e migliorare le realtà urbanistiche e umane più “degradate”, sono per Andrea, i due maggiori elementi che richiedono cura e potenziamento all’interno del quartiere.
La vivace vivibilità, il calore, la coesione e la solidarietà tra le persone sono elementi che ha sperimentato sulla propria pelle durante un viaggio in Romania dove, in futuro, gli piacerebbe fare ritorno. Anche se con un bacino di servizi ancora in via di sviluppo, l’atmosfera da piccolo paese e i costi della vita più accessibili la rendono una realtà attraente dove immagina di poter aprire un giorno un suo studio pubblicitario.
Pensando alle nuove generazioni e a quali azioni possano incidere sul loro benessere, Andrea si sofferma sull’impatto positivo delle aree verdi come luoghi di ritrovo: un parco spazioso, tavoli all’aperto, un clima ideale per ritrovarsi, studiare o semplicemente rilassarsi.
“4Gatti” non è un’associazione, ma una compagnia teatrale che nel ‘99 inizia con i primi laboratori nelle scuole di teatro e si costituisce formalmente nel 2001. Un giorno, i quattro membri originari del gruppo seduti ad un tavolo scelgono di chiamarsi così come si sentivano “4Gatti”. In seguito due dei componenti prenderanno altre strade, tra cui Elisabetta che ha poi aperto la scuola di musica “Ottavanota”.
Momò e GB nascono come Clown e infatti si conoscono ad un corso di giocoleria e clownerie. Tra i due partner è stato <<amore a prima vista>> dice Momò, come due gocce in perfetta sintonia. L’essenza di 4Gatti è il lavoro con i bambini, la cura dei dettagli, la passione e l’autenticità che riescono a comunicare ai loro spettatori. Un amore che si esprime anche attraverso la realizzazione manuale dei costumi di scena e delle animazioni.
Nei quartieri Rogoredo e Taliedo avviano diversi laboratori teatrali nelle scuole. Dal 2014 mettono in piedi una rassegna teatrale di quartiere “Areoplanini di carta” dedicata alle famiglie, che si svolge ogni anno da ottobre a febbraio. La chiamano così perché a fine di ogni spettacolo costruiscono dei piccoli areoplanini insieme ai bambini, e, soprattutto perché il quartiere di Rogoredo nasce intorno all’Acciaieria Redaelli e vicino al il primo campo volo italiano della famiglia Caproni. Queste due realtà, racconta Momò, hanno fatto molto per il quartiere potenziandolo di scuole, presidi medici e cooperative. L’ingegnere Caproni, in particolare, si appassionò alla costruzione della Scuola Materna Caproni la cui peculiarità, osservata dall’alto, è la struttura a forma di biplano con corpo centrale, ali e coda. << È bellissimo perché vai in una scuola in cui ti insegnano a volare. Abbiamo voluto omaggiarlo nella rassegna>> spiegano.
Molte le collaborazioni con artisti di fama internazionale, come i Tre Chef legati al Cirque du Soleil, Vico Faggi, i Fratelli Caproni. Cura dell’autenticità e della tradizione, insieme al coinvolgimento appassionato della comunità sono due dei pilastri principali della compagnia. Anche se gli spettacoli didattici sono i più richiesti dagli insegnati, aggiungono, loro preferiscono dare spazio alla rappresentazione di temi quali il sogno, la vita, il gioco, l’amicizia, la condivisione di storie e il sapersi divertire. <<A volte ci dicono quanta poesia nei vostri spettacoli!>>
Moltissime le iniziative e i progetti attivati nel quartiere attraverso un lavoro di rete: animazioni, la partecipazione ad eventi come “Verde Festival” e in reti informali come “Tessere Legami”, l’ideazione di cacce al tesoro come “Prova a prendermi” per legare le associazioni agli spazi del quartiere attraverso l’uso del gioco, incentivare la cura del bene collettivo e l’esplorazione del territorio. Durante le riaperture post covid, grazie al sostegno del Parroco Don Marco Eusebio, hanno pensato di realizzare tre eventi all’aperto. 1) Insieme ad altri colleghi, tra cui una compagnia specializzata nei “Viaggi di Giovannino”, hanno permesso alle persone di assistere, partecipare e interagire lungo un percorso espositivo intorno agli spazi esterni dell’oratorio. 2) Con la compagnia e associazione culturale “La Corte della Carta” hanno poi organizzato dei laboratori centrati sulla produzione della carta con tecniche medievali. 3) Infine la “Biblioteca viventi degli artisti” realizzata in primavera dove le famiglie tramite QR Code potevano visionare alcune opere famose, assistere a diverse esibizioni e dialogare poi con il performer. Dopo il Covid e il clima restrittivo imperante, spiega GB, questo evento è stato un incontro commovente non solo per il pubblico ma anche per gli artisti. Alcuni spettatori <<alla fine sono usciti piangendo>>. Chi si è esibito ha potuto spiegare poi cosa significa prendersi cura di un luogo, cosa lo spinge ad attivare la cultura per quel quartiere e perché ha scelto di intraprendere questo tipo di carriera.
Per rispondere a questi quesiti, GB racconta che il suo percorso inizia nell’oratorio del quartiere Taliedo e, dopo una formazione accademica in Ingegneria, decide di seguire il suo cuore e lavorare con e per i bambini. Per lui la cultura è ricchezza indispensabile per poter andare avanti nella vita. La cura del dettaglio che mettono nel loro lavoro, aggiunge, è metafora della cura che hanno verso l’altro. Momo non trova subito le parole per descrivere la ragione che l’hanno avvicinata a questa professione poi ricorda di quando andò a teatro con la scuola a vedere “l’Arlecchino servitore dei due padroni” e di come rimase toccata dal coinvolgimento provato in quel momento; l’idea di poter portare la gente in mondi altri, la percezione che grazie alla leggerezza e al gioco si riesca davvero a stare bene <<Quando ridiamo siamo tutti uguali […] il sorriso è universale e per questo tutti lo capiscono>>. In occasione di “Milano è viva”, bando e progetto culturale dedicato alle periferie di Milano (a cui hanno partecipato importanti compagnie teatrali come ATIR), hanno riproposto un’altra Biblioteca vivente degli artisti più ampia in 4 luoghi significativi del quartiere (scuola media di Merezzate, scuola primaria di Rogoredo, Circolo Arci Mondini) collegati a loro volta ad altri posti storici della zona. Evento questo che aveva come obiettivo anche quello di favorire l’incontro e l’integrazione tra i quartieri della città.
Il desiderio è, infatti, che il quartiere di Rogoredo venga conosciuto nella sua ricchezza di attività, associazioni e collaborazioni. La risposta degli abitanti locali è sempre molto sentita perché lo spirito aggregativo comunitario è molto forte in questa realtà meneghina. Minore è generalmente la partecipazione degli altri quartieri e delle persone proveniente da fuori.
Rispetto agli auspici per il futuro, il primo pensiero va alla compagnia e alla rassegna teatrale che desiderano far (ri)partire dopo un periodo di assestamento, per restituire alle famiglie la possibilità di divertirsi con leggerezza e a loro stessi, la valorizzazione e la dignità verso il lavoro che svolgono. Poi si rivolgono alle aziende come Sky affinché siano più attive e attente verso il quartiere, senza limitarsi allo sfruttamento delle risorse ma si impegnino concretamente (come fecero la Redaelli e l’ingegner Caproni) per una rinascita e una crescita del territorio, a partire dai servizi. Sperano che l’organizzazione delle Olimpiadi invernali coinvolga innanzitutto la comunità e i suoi membri. Si augurano maggiore visibilità e dialogo intorno al quartiere, ma anche che si mantengano vivi un forte senso di appartenenza e una grande voglia di giocare.
“Passo dopo passo insieme” è un’associazione di volontariato che si occupa di accompagnamento educativo attraverso lo studio. Nasce formalmente il 12 Aprile del 2003 a Sesto San Giovanni ma affonda le radici già nel 1999, mentre Michele era impegnato nel Servizio Civile di un doposcuola presso la parrocchia. All’inizio del percorso quest’attività viveva molto una situazione di sudditanza verso la scuola. In un primo step, con il nome “Amici del dopo”, l’Associazione configura le sue caratteristiche: 1) esperienza aperta a tutti, 2) rivolta agli studenti della scuola media e 3) propensa ad affidare l’esperienza a qualcuno che vi si dedichi professionalmente, non solo per volontariato. Nel giro di poco tempo il progetto si evolve e grazie all’incontro con uno psicologo psicoterapeuta che operava nelle carceri, viene affinato il metodo “Studiare bene senza avere voglia” che vuole sfidare l’alibi del non fare: l’orientamento del metodo, in sostanza, non è verso la prevenzione della devianza e si distacca dalla concezione medica dell’educazione per rivolgersi alla promozione del benessere. Un altro elemento peculiare dell’approccio è l’apertura verso tutti indistintamente, facendo sì che le origini e le narrazioni familiari, qualunque esse siano, non diventino stigmatizzanti o castranti per l’evoluzione dei ragazzi. Gli elementi cardine su cui si fonda il lavoro dell’associazione sono:
L’Associazione si evolve poi in “Meglio dopo insieme”, e grazie ad uno sviluppo capillare sul territorio nel 2015 arriva anche a Rogoredo. L'obiettivo rimane quello di accompagnare i ragazzi e le famiglie, con qualità e cura, in un processo di crescita educativa. Vengono aperti anche degli Sportelli di supporto per utenti e volontari. L’associazione si impegna infatti a valorizzare il lavoro svolto dal terzo settore e il ruolo degli operatori: per garantire il tempo e le competenze necessarie all’efficacia del progetto, si cerca di sostenere e tutelare soprattutto le persone che vi si dedicano affinché siano motivate e gratificate.
Il quartiere, spiega Michele, si è da subito caratterizzato per l'altissima presenza di stranieri. Elemento questo che – soprattutto all’inizio – trovava espressione in una marcata separatezza inter-etnica nella partecipazione all’associazione. Pregiudizio da un lato e tendenza all’autoghettizzazione dall’altro.
I ragazzi che ha incontrato lungo il suo percorso hanno manifestato primariamente il bisogno di essere ascoltati e accompagnati. Oltre alla gentilezza e al senso civico però, sottolinea Michele, occorre anche contrastare le deriva dell’individualismo e dell’egocentrismo del nostro tempo. <<Insegnare che le cose belle vanno mantenute>>. Combattere la logica del “tutto è concesso” e ravvivare nei ragazzi la consapevolezza che siamo sempre tutti connessi. Lavorare in gruppo e in grandi spazi comuni è in questo senso una strategia mirata a ridurre la conflittualità e a incentivare la collaborazione.
Il territorio ha bisogno di iniziative locali con un respiro mondiale, sostiene Michele. È importante aiutare i ragazzi ad uscire dalla comfort zone con un atteggiamento di ascolto, rendendoli protagonisti, ripartendo dalle piccole esperienze, alimentando la sinergia tra persone e servizi, impegnandosi nell’alfabetizzazione tecnologica delle nuove generazioni e mostrarsi loro coerenti e affidabili.
La comunità è per Michele un’idea tridimensionale che si poggia su: proattività, riflessività e incontro con l’altro.
Per il futuro si auspica di restare vigile e avere il coraggio di ascoltare i punti di vista esterni, senza perdersi nell’autoreferenzialità e mantenendo sempre viva la voglia di migliorarsi.
Omar ha 22 anni e gestisce un’attività di barberie a Rogoredo, in via Monte Cengio 13. Ci arriva attraverso un percorso non immediato e lineare. Studia meccanica al liceo e dopo il diploma inizia a lavorare nel settore elettro-meccanico ma si accorge presto di non sentirsi appagato e appassionato come vorrebbe. Per un periodo torna a lavorare nell’attività di famiglia, una pizzeria del quartiere. Si descrive come una persona flessibile, con spirito di adattamento e la voglia di sperimentare, fare nuove esperienze. È per questa ragione che decide di buttarsi e realizzare un sogno.
Sei mesi fa apre il suo negozio di parrucchiere - barbiere per uomo, un servizio peraltro assente all’interno del quartiere. Questa passione nasce spontaneamente, quando a casa o al parco osservava i suoi amici tagliarsi i capelli e ne rimase affascinato. Si sta specializzando, con l’esperienza e all’accademia a cui si è iscritto, nello stile americano, caratterizzato da tagli grezzi e nello stile barber francese, con tagli lunghi, codini, sfumature dettagliate e punti luce di precisione. La base di riferimento è sempre lo stile italiano perché << il barbiere italiano è sempre stato simbolo in tutto il mondo di classicità e dettagli>>. Vorrebbe integrare nel suo approccio anche lo stile arabo << Mio papà ha origine marocchine>> spiega, amalgamando così non solo tendenze culturali e internazionali variegate ma valorizzando anche quel bagaglio identitario di duplice appartenenza che lo caratterizza. Mamma italiana e papà marocchino: << Ne ho sempre approfittato, ho cercato di prendere le parti più belle da entrambi i miei genitori >> e aggiunge << Mi ha aiutato molto questa diversità famigliare >>.
Omar racconta di essere profondamente legato al quartiere di Rogoredo, ma di aver sempre vissuto e girato anche nel resto della città costruendosi così, con solarità e socievolezza, una grande rete di amicizie e conoscenze. Intorno a lui percepisce e apprezza il processo di sviluppo ed espansione territoriale affermando << non è più un piccolo paese di periferia>>.
Crede nell’importanza di valorizzare il territorio e di condividere il bello che può offrire: <<Rogoredo ha tutte le caratteristiche per essere un ottimo posto, conosciuto a Milano e famoso a livello regionale. Anche per questo non ho voluto spostarmi >>. Grande, dotato di servizi, trasporti, una rete di commercianti appassionati e aziende importanti come Sky. Secondo Omar occorre migliorare il livello di cura e attenzione verso il quartiere, favorendone uno sviluppo coeso e collettivo: <<Pensavo che Rogoredo vecchia tendesse a nascondersi, invece vedo che man mano si tira su le maniche e ce la sta facendo >> afferma. << Ammiro molto la gente di qui, è davvero forte >>.
Come esempio di dialogo tra tradizione e innovazione, passato e futuro, cita il progetto musicale “20138 Open Barre” di Minu, il quale attraverso l’incontro tra attori diversi del territorio e i loro talenti, si propone di valorizzare l’identità del quartiere e delle periferie in generale.
Per Omar la comunità è un’opportunità di condivisione e di svago; un luogo dove rilassarsi, trovare qualcuno che sappia ascoltare e accogliere la storia degli altri. E sono proprie le storie a riecheggiare ogni giorno tra le mura del suo negozio, soprattutto quelle degli anziani – le memorie storiche del quartiere. Attraverso i loro ricordi può camminare tra le strade del passato, brulicanti di latterie, fruttivendoli e operai delle vecchie acciaierie Redaelli e Montecatini. Le storie tramandano le esperienze di chi vive dietro l’angolo o di chi proviene dall’altra parte del mondo, per migrare o fuggire dalla guerra. << Questa cosa mi affascina molta. È importante il rispetto, comportarsi bene e tutto… ma la vita è anche accumulare. Penso che ciascuno sia portatore di un bagaglio e che sia importante saper attingere dalla ricchezza di ogni persona >>.
Per il futuro della barberia si auspica l’ampliamento del locale o l’apertura anche di altre sedi. Per sé stesso desidera affinare le sue competenze, frequentare nuovi corsi e ritagliarsi maggiore spazio personale per riprendere passioni come l’agonismo sportivo.
Le sonorità brulicanti di sottofondo, che a tratti sovrastano il parlato, sembrano quasi simboleggiare le vivaci intensità - interiori e generazionali - di cui Rebecca si rende testimone.
Rebecca ha 21 anni e vive a Rogoredo dal periodo della prima adolescenza. Quando è arrivata conosceva del luogo perlopiù gli aspetti negativi che la narrativa comune tendeva ad accentuare. All’epoca era appena uscita da una fase difficile della sua vita e, racconta, ha subito incontrato tanti ragazzi della sua età che l’hanno fatta sentire accolta e accettata << L’anno che mi sono trasferita è stato forse il più bello della mia vita>> dice. A Rogoredo ha scoperto una realtà bellissima, sicura << mi trovavo benissimo a qualsiasi orario del giorno e della notte >>, piena di persone gentili, sincere, disponibili e solidali << che ti stanno vicino soprattutto se sei nuovo, per integrarti>>
Le sue passioni più grandi hanno a che fare con il mondo dell’arte, che è per lei uno spazio quasi terapeutico oltre che di svago.
Pratica il ballo dagli anni dell’infanzia, quando giocava con le amiche ed insegnava loro i passi di danza. Lo definisce <<la forma più bella che uno ha per esprimersi>>, per la sua duplice capacità di creare da un lato un contatto con le emozioni negative e dall’altro un modo con cui liberarsene. << Anche se sono triste>> dice << quando mi metto a ballare, attraverso i movimenti riesco a buttare fuori l’energia negativa e a ricaricarmi di un’energia buona>>. Sin da piccola pratica ogni tipo di genere di danza, dal classico al contemporaneo.
Anche il disegno rappresenta per Rebecca una forma di liberazione catartica attraverso cui tradurre le emozioni in immagini.
Ama scrivere, soprattutto le poesie.
Si definisce una persona selettiva, gelosa verso le sue passioni, motivo per cui farebbe fatica a mettersi in mostra, a condividere ed esibire i suoi talenti, che preferisce vivere in maniera privata.
I luoghi di riferimento per i ragazzi della sua età si concentrano principalmente intorno al Parco Trapezio, le panchine dei giardini e la Promenade di Santa Giulia. Il suo luogo del cuore è però il Parco delle Rose: ci va spesso con un’amica nelle belle giornate di sole, con un telo, le carte e gli incensi. <<È un posto dove rilassarsi, buttare giù i pensieri, entrare in contatto con la natura. È proprio risanante>>. Nel quartiere, secondo Rebecca, mancano però degli spazi pensati per i ragazzi e le attività artistico-culturali. Le nuove generazioni fanno fatica a lasciarsi andare, a vivere il momento presente in maniera autentica: tutto è quasi sempre mediato da un telefono e orientato ad uno scopo. << Servirebbe uno spazio per stimolare il lato creativo nei ragazzi e far sì che possano esprimere le loro passioni >>. In passato si era parlato di aprire uno spazio di questo tipo per favorire << l’incontro e la creazione di legami profondi tra i ragazzi >>.
Attraverso l’arte i giovani intorno a lei, dice Rebecca, esprimono sia il loro mondo interiore sia la consapevolezza di ciò che li circonda. Molti nel quartiere scrivono, cantano e producono musica. E nel farlo esprimono anche un pensiero collettivo, <<tutti vediamo tutto>>.
Per il futuro si auspica che il quartiere possa giovare di una meritata rivalutazione e valorizzazione. Da un punto di vista personale, Rebecca ha come grande sogno quello di andare a vivere in Spagna. Uscire dai confini ha un sapore sconfinato, lei desidera viaggiare. << Prendere un van o una casa mobile e girare il mondo. Andare, fermarmi quattro-cinque mesi in un posto, guidare di nuovo e spostarmi ancora >>.
È grande l’amore verso le culture e le lingue del mondo. Nonostante non abbia frequentato un liceo linguistico, parla svariate lingue straniere.
Per Rebecca relazionarsi con la diversità è un’esperienza che aiuta a crescere, a sviluppare idee e rapporti e, fondamentalmente, a stare bene. È un antidoto alla chiusura e alla rigidità delle abitudini.
Alle giovani generazioni augura di sviluppare una progressiva apertura mentale e di emanciparsi dalle logiche soffocanti del lavoro, <<capire che la vita è anche altro>>.
Per lei comunità è quel senso di fratellanza che unisce tutti in una grande famiglia.
Mirella è la parrucchiera del Centro Commerciale da ormai 18 anni, da quando ha trasferito la sua attività qui da Tarantasca, dove aveva lavorato per 20 anni.
In questo quartiere ha anche vissuto fino a 5 anni fa, quando si è sposata e si è spostata poco lontano da quartiere. San Paolo le è sempre piaciuto per la tranquillità, per il verde, per il fatto che sia una piccola realtà dove ci si conosce tutti. Questo quartiere è appagante per i servizi e per il verde e perché è a misura di tutti: gli anziani si sentono anche a loro agio perché tutti si conoscono.
Mirella ha 60 anni e 3 figli, il suo ultimo figlio è cresciuto in negozio perché abitava molto vicino al negozio.
Una delle sue passioni è camminare in montagna, infatti il mercoledì, il suo giorno libero, scappa in montagna per andare a farsi una passeggiata.
Le piacciono molto gli animali: ha due cani, un pastore del Briate e un maremmano, e dei canarini che passano il tempo con lei in negozio.
Le piacciono molto le relazioni con le sue clienti, soprattutto il venerdì mattina che è la giornata abitudinaria delle signore anziane: tra loro si è creato un rapporto di confidenza, sanno tutto di lei e lei di loro.
In generale la sua clientela è molto varia: c’è anche gente nuova che arriva e gente fissa, i clienti cambiano anche in funzione della giornata e della fascia oraria.
Lavorando da ben 18 anni di negozio nel centro commerciale ha visto tutti i cambiamenti della zona: negozi diversi, posti chiusi,.. Il centro commerciale all’inizio era orribile, molto anni ‘70, poi pian piano, anche grazie alla sua insistenza, insieme lo hanno reso migliore cambiando il pavimento, le insegne,.. Le piace anche l’attuale supermercato perché lo trova “a misura di famiglia”: i negozianti si fermano, ti parlano, ti chiedono,...
Per il futuro, quando andrà in pensione, vorrebbe lasciare il negozio alla sua dipendente perché le dispiacerebbe abbandonare le sue clienti che l’hanno sempre seguita in tutti i suoi spostamenti.
Il MerCu è un mercato contadino di produttori locali che si tiene a San Paolo tutti i mercoledì dalle 15:30 alle 18:30. Qui si trovano formaggi, frutta e verdura, pane e trasformati ed è possibile interfacciarsi direttamente con chi li produce per conoscere la filiera nella sua interezza: da dove arriva, come è coltivato, come viene trasformato,... Qui si possono trovare le eccellenze del territorio: la carota di San Rocco, il porro di Cervere.
Il mercato è un ritrovo di tipo familiare che coinvolge soprattutto gli abitanti del quartiere. L’affluenza è altalenante, ma questo è normale perchè segue le stagionalità.
Mario abita a Cerialdo ed è il presidente del Centro Anziani San Paolo di Cuneo. È arrivato qui perché aveva degli amici, conosciuti in quanto vicini di piazzola al campeggio, che avevano invitato lui e sua moglie ad andare a ballare al centro la domenica. Mario non è un grande ballerino e per farlo ballare bisogna insistere parecchio: balla il tango, poca mazurka e il valzer con due bicchieri di barbera, il resto è tabù! Però sua moglie è una ballerina nata, ama danzare e così Mario si è deciso ad andare al centro, poi con la moglie si sono tesserati e infine sono entrati nel direttivo.
Il Centro Anziani di San Paolo è aperto tutti i giorni dalle 14:30 alle 19, grazie al supporto dei volontari: in settimana si può giocare a carte, il venerdì sera cenare insieme e la domenica si balla. Per accedere al centro è necessario fare una tessera che serve per la copertura assicurativa; questa tessera è gratuita per chi ha più di 80 anni, mentre tra i 50 e gli 80 anni è a pagamento. il costo vaia a seconda delle attività e del luogo di residenza: 20 euro per chi viene a giocare a carte, 30 per chi vuole ballare, 40 per chi abita fuori dal Comune di Cuneo.
La domenica con i balli ha da sempre una grande affluenza: un tempo venivano 70 persone, oggi sono 45. Purtroppo il Covid ha cambiato molto le abitudini e aumentato le paure di stare con gli altri, Mario però pensa che il ritrovarsi con la musica abbia un forte potere benefico, rilassa e rende felici e invita tutti a venire a provare.
Anche la pizzata del venerdì sera è molto partecipata perché si apprezza la bellezza di mangiare in compagnia e ritrovarsi: al centro sono iscritte molte vedove che altrimenti mangerebbero sole in casa. Per partecipare è sufficiente dare le adesioni e la quota entro il giovedì sera.
Il Centro si trova in un locale comunale e pertanto gli spazi possono essere richiesti anche per altre attività. Per richiedere gli spazi è sufficiente fare richiesta in Comune e verificare la disponibilità.
Mario ha il volontariato nel suo DNA: infatti prima di essere volontario qui è stato presidente della bocciofila di Cerialdo e guardia ecologica per la provincia. Questo secondo ruolo lo ha svolto, insieme con i suoi amici, per 35 anni sognando di salvare il mondo da un punto di vista ecologico.
Fabrizio ha 58 anni ed fa parte dell’araba fenice edizione, una casa editrice che esiste da più di 30 anni e che è nata a Cuneo nel 1991 da un’intuizione di suo padre che ha deciso di ripubblicare libri importanti dimenticati e da qui il nome di araba fenice, animale che rinasce dalle sue ceneri.
Dopo i primi anni a Cuneo, si sono trasferiti a Boves in un bell’ufficio con magazzino e giardino: in quell’epoca erano lui, suo fratello, suo padre, sua madre e una nuova segretaria in arrivo.
Nel 2020 hanno nuovamente traslocato, tornando a Cuneo, nel quartiere San Paolo, perché avevano bisogno di ritrovare il contatto con le persone, dato che a Boves erano in un posto molto isolato. Hanno utilizzato quello che era lo spazio di una vecchia macelleria, chiusa da diversi anni. Quando hanno aperto La stampa ha fatto un bel passaggio dal nome del negozio precedente “ Sapore della carne” a “sapore della carta”, un passaggio che racchiude molto del loro essere. Il loro modo di vedere il libro è lontano dal digitale. Leggere è come andare in bicicletta, non ci vai perché vai più veloce o più economico, ma perché è bello, fai un’esperienza, fai una strada nuova, percepisci suoni e rumori di cui il tuo corpo ha bisogno. Leggere allo stesso modo permette alle persone di fare un’esperienza, permette di ricordarsi aspetti specifici. Loro vedono la loro presenza fisica su un territorio come connessa a fare libri “fisici” che raccontano quel contesto, questo è il loro valore specifico. Per il quartiere loro si impegnano anche a organizzare eventi culturali sia estivi che invernali con autori non solo loro.
Nei loro 30 anni di vita come casa editrice, hanno cambiato spesso perché “Una casa editrice è un essere vivente, pubblicando libri e incontrando persone ti rendi conto anche che le idee che avevi all’inizio non sono più valide”. Con il tempo hanno lavorato ad esempio per togliere al termine “locale” quella lettura riduttiva, e diffondere i libri anche al di fuori del loro contesto di origine. Sicuramente in questo le piattaforme di vendita online li hanno aiutati molto.
Un altro canale di vendita che privilegiano molto è quello delle bancarelle ai mercatini durante le fiere, in cui sua madre tuttora è ancora molto attiva. Sono presenti in tantissime fiere: la fiera del marrone di Cuneo, la fiera della zucca di Piozzo, la Fiera della robiola di Roccaverano, la fiera del tartufo di Alba, la fiera dell’olio a Imperia, i mercatini a tema di Celle ligure, le fiere dell’antiquariato, della lumaca, del cioccolato e del bio a Cherasco,la Fiera del Libro... Qui c’è sempre un pubblico che ama viaggiare e conoscere le specifiche del territorio e conoscere i loro libri e in più si adatta alla loro idea di libro come esperienza fisica, cartacea: il libro è un oggetto fisico che dà ai lettori il piacere di un’esperienza fisica che vale la pena di essere ricordata anche rispetto al contesto in cui lo si è letto.
Un’altra parte consistente del loro lavoro è la selezione di manoscritti da pubblicare. Ricevono continuamente materiale, grazie al passaparola tra amici e autori e grazie ad internet; ci sono volte che arrivano 30/40 manoscritti in un mese, in parte vengono esclusi perché non sono compatibili con le linee di catalogo, a volte perché i numeri sono troppo alti rispetto alle loro possibilità e devono fare una selezione in base alle priorità. In questa parte del loro lavoro, una cosa che Fabrizio trova bella è il contatto umano: “fare libri è andare a toccare la vita delle persone in modo molto intimo”. Una volta che tu scrivi un libro tu non sei più privato, ti consegni agli altri, quello che dici rimane e finisce nelle biblioteche.
Laura si vede come una maestra di quartiere, ormai è in pensione da un anno, ma ha lavorato qui fin dal 1992, vivendo tutti cambiamenti della scuola e del quartiere.
Quando si è sposata cercava un luogo per vivere che fosse verde e le ricordasse un paese e così è arrivata a San Paolo. All’inizio lavorava fuori, poi, quando sono nati i figli ha scelto di avvicinarsi e così è diventata la maestra della scuola di quartiere. Tanti le dicevano che era una follia lavorare dove viveva e lei stessa aveva le sue paure, poi ha imparato a mettere i giusti limiti con i genitori e, nonostante certamente sia faticoso, pensa anche che sia bellissimo poter vedere i tuoi alunni al di fuori del contesto scolastico.
Quando ha iniziato a lavorare qui la scuola era piccola e molto tradizionale, poi pian piano è cresciuta e ha aumentato i servizi extrascolastici anche sulla base delle nuove esigenze dei genitori. Per arrivare a questo, scuola e genitori hanno collaborato nel richiedere al Comune i servizi e spiegarne l’importanza.
Nel 2008 la scuola ha anche ottenuto l’intitolazione a Lidia Rolfi, donna, insegnante e partigiana; a partire da quell’anno si festeggia celebrando la scuola e la donna a cui è intitolata e raccontando ai bambini la sua storia.
Grazie anche al fatto che il gruppo insegnanti era abbastanza stabile, si sono create relazioni tra le maestre e insieme si sono unite per modificare il modo di insegnare e trasformare il loro plesso in una scuola senza zaino. Questo cambiamento ha richiesto una partecipazione notevole anche da parte dei genitori perché ha modificato molto la strutturazione della scuola. I genitori sono venuti a dare una mano a montare i mobili dell’ikea e predisporre la scuola per accogliere gli alunni a settembre.
La scuola accoglie principalmente famiglie del quartiere, ma anche persone che arrivano da altre zone e che cercano una scuola diversa e immersa nel verde.
Il fatto di essere una scuola di quartiere ha permesso e facilitano le relazioni con altre realtà attive sul territorio: centro MIstral, la casa di riposo del viale degli angeli, la fondazione Peano, … Queste collaborazioni permettono alla scuola di entrare dentro la rete sociale e di supportare i genitori nel conoscere e vivere il quartiere.
Per Laura insegnare è un’esperienza che ti lascia tantissimo: vedere crescere i bambini e poi vederli tornare come genitori, vedere i cambiamenti sociali all’interno delle classi.
Anna Maria è nata a Cuneo nel 1962 e gestisce la merceria da ormai 20 anni, dopo averla rilevata dalla precedente proprietaria. Ha iniziato questo lavoro un po’ per caso: ha rilevato questa merceria da una sua amica che aveva lavanderia e merceria nel centro commerciale, che andando in pensione le ha chiesto aiuto per fare la svendita totale, visto che in quel momento era disoccupata.
Nel ritrovarsi a dare una mano AnnaMaria si è resa conto che questo lavoro le piaceva e le veniva naturale, anche se il lavoro che faceva prima era totalmente differente: gestiva il bar interno dell’Alpitour a San Rocco.
Così, nel 2003, ha deciso di rilevare facendosi insegnare il mestiere dalla precedente gestrice. Dopo i 6 mesi di svendita ovviamente all’inizio è stato difficile perché tutti avevano i capi necessari e non doveva acquistare in merceria, così ha pensato di introdurre anche capi di abbigliamento e man mano ha aumentato e differenziato sempre di più l’offerta.
Oltre alla vendita Anna Maria ha anche il servizio di sartoria e, in inverno, la maglieria.
All’interno del quartiere si è sempre trovata bene; nel tempo ha creato un buon rapporto di fiducia con la clientela; il fatto di essere della zona e di sapere il piemontese l'hanno sicuramente agevolata nell’inserirsi.
Sa che lavorerà ancora per diversi anni prima della pensione, ma le piacerebbe che una volta prossima alla pensione trovasse qualcuno come lei disposto a rilevare l’attività.
La nuova scuola dell’infanzia Fillia è stata inaugurata nel 2021 e ora si trova nel cuore del quartiere San Paolo. Ha ha 4 sezioni (albicocche, mirtilli, lamponi e mele), ognuna con una referente: Stefania, Annalisa, Chiara e Rosy.
Avendo inaugurato questo nuovo edificio durante la pandemia è stato difficile fare eventi e collaborare con realtà esterne, ma quest’anno hanno iniziato ad avviare alcune prime collaborazioni con la biblioteca, con il Comitato di quartiere,...
Il loro desiderio è quello di far crescere sempre di più le relazioni con le realtà esterne.
La giornata tipo a scuola inizia alle 7:30 con il preingresso, poi l’accoglienza in sezione dove, dopo un primo momento di gioco libero, si fa un momento collettivo in cui si vedono il calendario e le presenze e si aspetta la seconda insegnante per iniziare le attività didattiche o in gruppo o divisi per età. Dopo questo momento, è prevista l’uscita sia prima che dopo pranzo. Per chi resta al pomeriggio è previsto un momento di gioco libero e poi per i più piccoli e i mezzani il riposino, mentre per i grandi laboratori per prepararsi all’ingresso in primaria. Alle 15:45 finisce l’attività pomeridiana.
La scuola è fatta di bambini innanzitutto, per questo le insegnanti ci tengono a mettere al centro tutti i bambini. Le sezioni sono miste per età e includono con i bambini con disabilità accompagnati dall’insegnante di sostegno e sempre presenti durante tutte le attività.
La loro metodologia si basa molto sull’utilizzo dei laboratori e sul collaborative learning, insegnando ai bambini a collaborare, a lasciare spazio nel realizzare l’attività. Attraverso attività pratiche e artistiche, realizzate nell’atelier della scuola, includono tutti i campi di esperienza.
Nell’ottica del lavoro collaborativo lavorano con la primaria; per esempio sulle nuove steam, sulla robotica, coding..
Inoltre parte del loro lavoro è indirizzato anche alla scoperta del quartiere in cui vivono, attraverso piccole passeggiate e momenti esplorativi.
Arianna e Francesca sono due maestre della Scuola Lidia Rolfi, scuola nata nel 1978 in un quartiere che all’epoca aveva pochi palazzi e cresciuta nel tempo fino ad ospitare 10 classi, 2 per anno, e circa 200 alunni, oltre che 25 insegnanti e 4 collaboratori scolastici.
L’intitolazione a Lidia Rolfi è avvenuta nel 1997, su decisione delle maestre: l’idea è stata quella di ricordare ai bambini i valori di libertà e l’importanza diritti attraverso una donna forte che è stata sia maestra che partigiana.
La scuola segue il metodo “senza zaino”: tutto il materiale per imparare è a scuola, in caselline dedicate ai bambini. Il metodo si basa su tre principi:
Dopo gli anni del Covid, la scuola si è riaperta al territorio: collaborazioni con Parco Fluviale, Comune, Biblioteca, Fondazione Peano, …
Un’altra peculiarità di questa scuola è il bellissimo giardino che usano moltissimo nel tempo scuola, ma che attraverso il parco giochi è vissuto anche oltre gli orari scolastici.
L’obiettivo della scuola per il futuro è diventare sempre più una comunità in cui grandi e piccoli fanno la loro parte per il bene di tutti.
La storia di Brunella si collega profondamente con quella della cooperativa Emmanuele. Frequentando il corso da assistente sociale ha incontrato persone con cui condivideva il sogno di spendersi sul territorio e così, nel 1985, è nata la cooperativa. La prima iniziativa realizzata è stata la Comunità Educativa Residenziale per accogliere adolescenti con disagi sociali, esperienza ancora oggi in essere.
Brunella è partita come un’operatrice, poi si è occupata di aspetti cooperativi e organizzativi, per spostarsi infine in ambito amministrativo-funzionale, diventando la direttrice della cooperativa. Oggi si prende cura dei soci per farli sentire a casa e spendersi al meglio. Questo le permette di vedere il significato e il senso valoriale del suo lavoro, alleggerendo così la parte burocratica.
La cooperativa è attiva principalmente in quattro ambiti:
L’attuale sede è nel quartiere San Paolo, dove la cooperativa ha avviato un’attività di sviluppo del quartiere: l’essere sul territorio permette di scambiare e costruire relazioni. Questo quartiere è molto vivo e ricco di persone che hanno voglia di spendersi per la comunità.
La cooperativa è capofila del progetto Cuneo Futuro Prossimo, perché crede molto nel creare relazioni, fare rete: non si può fare molto da soli quando si affrontano temi di tipo sociale.
Il suo augurio è che la Cooperativa possa sempre aprirsi a quello che succede attorno nel riconoscimento reciproco e che le molte realtà attive possano condividere i progetti evitando di creare fratture.
Davide abita in quartiere dal 1994 e dal 2003 fa parte dell’ASD OratorioSanPaoloCuneo, nata nel 1996 da un’idea di Valentina e Franco, che opera in tutto il quartiere in collaborazione con la parrocchia organizzando squadre di calcio, pallavolo e tennis tavolo.
Davide ha deciso di entrare a far parte dell’ASD perché ha sempre amato lo sport e ha allenato squadre di pallavolo e, quando suo figlio ha iniziato a frequentare la parrocchia, vista la mancanza di una squadra di pallavolo, ha deciso di dare il suo contributo per crearne una.
L’associazione nel tempo è cresciuta, oggi sono più di 200 tesserati tra adulti e bambini e allenano 7 squadre da calcio dagli under 8 fino alle squadre adulti, 3 squadre di pallavolo di adulti, 1 squadra di tennis tavolo, che ha vinto il campionato provinciale e ha partecipato al nazionale.
Inoltre un’attività che facevano, ma che hanno dovuto interrompere a causa della pandemia e che vorrebbero riprendere a fare, è quella della motoria con i bambini dai 3 ai 6 anni.
Gli allenatori sono tutti volontari e alcuni di loro hanno anche il patentino; ognuno di loro impegna 1 o 2 momenti nella settimana per l’associazione.
Per l’ASD i risultati sul campo non sono la loro priorità, l’obiettivo è quello di far giocare tutti e aiutare anche chi non riesce a pagare la quota di iscrizione permettendo a tutti di partecipare.
In estate non hanno attività, ma usano questo periodo per organizzare il programma dell’anno successivo che poi comunicano attraverso i social (Facebook e Instagram) e con l’affissione di locandine in quartiere.
L’associazione da qualche anno ha anche la gestione dei campi da calcio e da beach volley, che affitta sia a squadre che ad amatori. La vita serale che popola questi campi ha rianimato il quartiere ed è bellissimo vedere tutti questi giovani che si ritrovano la sera.
Simone è nato e cresciuto a Cuneo, nel quartiere, è collaboratore amministrativo in ASL CN1, a Saluzzo; è laureato in Comunicazione pubblica e politica in magistrale e in triennale in Scienze dell’amministrazione e consulenza del lavoro.
A Simone piace lasciare il segno e vedere i frutti di quello che fa, per questo si è impegnato nel Comitato. Se pensa al murales della scuola, ad esempio, vede come un’opera “economica” riesca a cambiare il volto di quartiere; allo stesso modo crede che le persone possano fare la differenza con poco. e questo è quello che fa come presidente del Comitato di Quartiere Cuneo San Paolo, comitato che si occupa di raccogliere istanze e riportarle al Comune e di attivare iniziative per il quartiere.
Il Comitato si ritrova ufficialmente una volta al mese per definire le linee di indirizzo dell’attività da svolgere. Inoltre, almeno una volta all’anno viene organizzata un’assemblea aperta a tutti e, oltre a questo, si stanno cercando di organizzare giornate con esperti e rappresentanti dell’amministrazione su temi cari ai cittadini .
Il Comitato collabora con altre realtà per reperire fondi e attivare progettualità ed è sempre interessato a raccogliere nuove proposte. Inoltre fa da tramite tra amministrazione e cittadini, compito non sempre facile.
Raccoglie problematiche e idee in diversi modi: sul sito, attraverso i canali social, attraverso mail o numero di telefono o ancora attraverso la buca delle lettere..
Tra le tante iniziative realizzate si possono citare: il palio dei quartieri, il mercato contadino, il campo da beach volley, il murales della scuola.
San Paolo è un quartiere periferico, vissuto principalmente la sera, dopo il lavoro; Questo fa sì che sia complesso far vivere il quartiere tutto l’anno tutti i giorni. Sicuramente è reso vivo dalle due scuole e dalla forte presenza di verde. Il comitato si sta impegnando per attivare patti di collaborazione tra Comune e cittadini per mantenerlo.
Don Dario ha 37 anni, è prete da 11 anni e parroco della Parrocchia di San Paolo da 4.
È appassionato di montagna e sport all’aperto; non gli piace stare seduto sulla poltrona o sul divano.
Dopo la maturità, come tutti a quell’età, si sentiva disorientato ed era indeciso su cosa fare da grande: tra le tante idee, c’erano quella di fare l’insegnante di filosofia e storia, che sono due sue passioni, e quella di fare il prete. Così ha deciso di provare a fare il prete e, con l’esperienza del Seminario Maggiore a Fossano e con i tirocini, ha capito che era felice.
Nel 2012 è stato mandato a Boves, dove è rimasto per 8 anni. Nel 2019 è stato trasferito a San Paolo. Subito non ha preso molto bene la notizia perché i cambiamenti sono difficili da affrontare anche per i parroci: la paura della novità, l’incognito del posto in cui si va,...
A distanza di tempo, dopo il disorientamento iniziale e nella consapevolezza che i trasferimenti fanno parte della vita di un parroco, è molto contento e qui si sente a casa.
Appena arrivato si occupava solo delle attività connesse ai ragazzi, ma ora, come unico parroco, si occupa di tutto. Il suo inizio è stato difficile: ha dovuto farsi conoscere dai giovani e lavorare con loro in piena pandemia. Tuttavia Don Dario non si arrende e le cose le porta avanti lo stesso perché pensa che sia sempre meglio poco che niente.
Quello che cerca di fare qui è lavorare per preparare il terreno al fatto che non è detto che ci sarà sempre lui, ma potrà sempre rimanere una parrocchia: tutta la comunità è utile per farla funzionare e nessuno è indispensabile. In questo quartiere c’è la voglia di lavorare insieme salvaguardando l’identità di ognuno e collaborare ognuno con le sue qualità, visioni e competenze per la vita del quartiere in armonia tra le diversità.
Continuare a conoscersi e lavorare assieme tra diverse realtà aiuta a innescare meccanismi virtuosi ed è fondamentale perchè siamo una società che ha bisogno di tanti punti di riferimento: il campanile non basta perché non vale per tutti e non ci sarebbe spazio per altri.
La parrocchia è ricca di servizi (doposcuola, oratorio, estate ragazzi, caritas, servizi per famiglie), che sono aperti a tutti a prescindere dal proprio credo, perché chi deve essere accolto è la persona.
Andrea a San Paolo ci è nato, qui è conosciuto come Orix. Alle superiori ha studiato come elettricista all’ITIS, professione che potrebbe forse essere un campo per il suo futuro. Ora frequenta scienze motorie a Cuneo. Gioca a Calcio da quando aveva tre anni, è arrivato a giocare in promozione con il Busca. Ha pensato di farne la sua carriera, ma poi si è rotto il crociato: così ha pensato di cambiare i suoi progetti e provare ad insegnare sport. Al momento è un allenatore volontario al San Paolo alla città sportiva, una bella esperienza di crescita che gli sta insegnando a relazionarsi con le persone e soprattutto con i bambini.
Il tempo libero lo trascorre con gli amici, ascoltando tantissima musica e praticando molto sport.
Studiando a Cuneo, riesce a gestire bene la sua giornata, andando a lezione al mattino, studiando al pomeriggio e poi uscendo la sera nel quartiere. Il tempo che preferisce durante la giornata è il tardo pomeriggio perché è rilassante e non ci sono tante persone in giro.
Ama il suo quartiere per la tranquillità, il silenzio e perché ha tutti i servizi necessari; sogna di continuare a viverci fino alla pensione, quando con i suoi amici di ora, si immagina di vivere una seconda gioventù.
I fulcri principali del quartiere sono la parrocchia per i giovani e la zona del Centro e dei giardinetti per i bambini, perché sono vicini alla scuola. Lui ama anche il “ragno”, dove si sente a casa e trascorre la maggior parte del suo tempo libero.
Il quartiere ha dei bei momenti di Comunità come le cene in parrocchia dove si incontrano tante persone di età differenti e i giovani hanno l’occasione per farsi vedere e conoscere dagli adulti.
A San Paolo c’è anche stato un evento molto bello di festa per la Comunità, ovvero il Palio dei quartieri: i tornei si tenevano nella struttura sportiva di San Paolo, dalla scuola c’erano i concerti e si dava da mangiare. Ogni anno il Palio cambia quartiere per animare tutta la città, ma lui spera che torni presto a San Paolo.
Eleonora ha 26 anni e vive nel quartiere da quando è nata. Lei e suo marito hanno scelto di rimanere nel quartiere, dove sono cresciuti e si sono conosciuti, a 15 anni.
Si sente molto legata alla Parrocchia, dove ha conosciuto la maggior parte dei suoi amici e suo marito e dove ha potuto praticare tanto il canto che è una delle sue più grandi passioni. Inoltre ha fatto il liceo musicale e studiato canto in una scuola privata. Oltre a questo ha studiato pianoforte e imparato in autonomia a suonare la chitarra.
Altra sua grande passione è il cucito, in particolar modo le piace creare abbigliamento e accessori per bambini. Recentemente sta imparando anche a fare a maglia e all'uncinetto e a ricamare.
Infine le piace molto la fotografia che coltiva a livello amatoriale portando con sé la macchina fotografica alle feste degli amici.
Attualmente Eleonora studia scienze dell’educazione per lavorare con i bambini da 0 a 3 anni.
Sente un forte desiderio di partecipare alla vita del quartiere, infatti fa anche parte del gruppo di volontari della biblioteca e ha sempre fatto animazione in parrocchia. Inoltre da un’anno a questa parte lei e suo marito si sono impegnati per ricreare in parrocchia un gruppo famiglie, che può diventare un gruppo di sostegno e supporto tra genitori.
Ora aspetta un bambino/a ed è felicissima che possa vivere i primi anni in questo quartiere. Eleonora ne vede tutti i pregi come futura mamma: ci sono sia la scuola dell’infanzia che le elementari, è ricco di spazi verdi e posti per fare passeggiate, ha tanti parchi giochi.
Una cosa che spera di portare avanti nel quartiere è l’accoglienza verso tutti. Quand’era piccola ha faticato ad entrare in una comunità non avendo il terreno preparato dai suoi genitori, quindi spera che il quartiere possa essere accogliente e che non muoia su se stesso con le persone che invecchiano, senza ricambio generazionale.
Marco ha 23 anni, è nato a Cuneo, nel quartiere San Paolo: il quartiere, la città e il Comune sono casa sua. Qui ha imparato a fare i primi passi nelle relazioni e nello sport e qui è andato a scuola fino al terzo anno di università. Ha studiato al liceo scientifico e poi si è iscritto a Giurisprudenza, perché le materie umanistiche gli sono affini e perché, fin dalle medie, sogna di diventare avvocato. Ora frequenta la magistrale a Torino, dove sta anche vivendo. Sebbene gli manchino alcune cose della vita in quartiere, come il venerdì dei giovanissimi o il dedicare tempo all’estate ragazzi, pensa anche che sia importante cambiare città, scoprire un ambiente diverso perché porta a crescere e imparare ad autogestirsi. Una cosa che comunque è riuscito a mantenere è l’andare a messa al sabato pomeriggio al San Paolo, dove ormai è conosciuto da tutti come il lettore della prima e della seconda lettura.
Gli piace mettersi a servizio degli altri, in famiglia, in parrocchia, nel quartiere e in senso politico e gli fa piacere quando le sue qualità nel farlo sono riconosciute e apprezzate. In Parrocchia, oltre a giocare come portiere nella squadra, ha fatto il chierichetto, ha frequentato l’Estate ragazzi e i campeggi sia come animato che come animatore, esperienza che gli ha insegnato la bellezza del creare relazioni e di prendersi la responsabilità.
Due sue grandi hobby sono la scrittura e la lettura che ha messo insieme scrivendo un libro che si intitola Bella Italia e che racchiude la sua visione autobiografica e politica costituzionale apartitica. La politica per lui è competenza, conoscenza, comunità, ma anche analisi dei problemi umani. Nel sottotitolo recita per far rinascere un amor di patria puro, concreto e democratico. Se dovesse rileggere queste tre parole in qualcosa che vede nel suo quartiere potrebbe farlo ad esempio nella parrocchia: programmare l’estate ragazzi al meglio sfruttando la competenza di ognuno in ogni singola parte. La purezza deve esserci nel rapporto tra animatori che deve essere bello e trasparente; la concretezza nel progettare le attività e la democrazia nel lasciare spazio di espressione a tutti gli animatori, creando una discussione proficua senza rapporti di forza. Capire che tutto ciò che si può fare è volto agli altri e che le nostre azioni ricadono su tre livelli (su noi stessi, sugli altri e sul contesto in cui agiamo) questa, per lui, è politica.
Francesco ha 19 anni ed è nato e cresciuto nel quartiere San Paolo.
La sua passione è lo sport, perché gli dà la sensazione di libertà e passione: lo segue e gioca a calcio.
Per definirsi userebbe questi tre aggettivi appassionato, curioso e simpatico, anche se il suo umorismo non è apprezzato da tutti.
L’obiettivo che si è imposto è quello di cercare di far star bene gli altri: tutti meritano di stare bene, ma non tutti lo sanno fare da soli. Anche per questo ha deciso di cambiare scuola superiori e oggi frequenta le magistrali: la psicologia lo appassiona e, avendo avuto bisogno di uno psicologo, ha capito l’importanza di aiutare gli altri a stare bene.
Nel futuro gli piacerebbe fare una professione in cui aiutare gli altri: lo psicologo, l’infermiere o anche il professore, per insegnare ai ragazzi come avrebbe voluto che insegnassero a lui.
Nel quartiere, che vive come casa e spazio di incontro con gli amici, si sente molto inserito nella parrocchia, dove, da 14 anni, gioca nella squadra di calcio e, da 4/5 anni, è animatore.
Il quartiere gli ha insegnato la relazione con gli altri e con culture diverse e si ritiene fortunato di quello che ha appreso vivendo qui, ovvero la consapevolezza di essere parte di un qualcosa di più grande.
L’augurio che fa al San Paolo è quello di crescere in persone e relazioni e non come palazzi; vorrebbe che nascesse un luogo di incontro come la casa del quartiere Donatello, dove lui ha avuto la fortuna di lavorare facendo l’alternanza scuola lavoro. Si augura inoltre che le persone del quartiere si mettano in gioco senza aver paura di ciò a cui si va incontro, e godano del quartiere.
Una cosa da mantenere sono le iniziative che aiutano a costruire relazioni e a dare la possibilità di giochi e attività di relazione ai bambini e ai giovani.
Nel suo futuro immagina che si sposterà per studiare all’università: il sogno nel cassetto è di studiare e lavorare all’estero, magari in Nord Europa, perché se ne è innamorato grazie ai suoi genitori. Sogna di girare il mondo il più possibile: Asia, Africa, America e Europa e conoscere tante culture. Spera di innamorarsi di una persona al di fuori del suo quartiere che lo faccia stare bene e di trovare qualcosa che lo faccia innamorare di sé stesso e gli faccia trovare il senso delle sue azioni e scelte.
Un altro sogno nel cassetto che custodisce con un suo amico è quello di mettere da parte i soldi per tornare e aprire un’attività, magari legata alla ristorazione, nel quartiere che possa permettere ai giovani di avere uno spazio e anche dare lavoro alle persone del quartiere.
Gianfranco, originario di Torino, abita a Cervasca da circa 20 anni; a Cuneo ha conosciuto Don Gianni che lo ha coinvolto nell’attività della Caritas del quartiere.
Le attività della Caritas sono differenti: sostegno scolastico e alle famiglie, distribuzione viveri, centro di ascolto, doposcuola,...
Il centro di ascolto, attivo dal 2002 due giorni alla settimana, si occupa di affiancare e orientare le famiglie verso i servizi offerti. Anche il doposcuola permette di raggiungere le famiglie in difficoltà e avere un quadro più completo dei problemi.
Grazie al “medico in ascolto”, tutti i giorni è presente un medico per ascoltare i problemi delle persone e aiutarle a capire ricette, prescrizioni, esami, ..
A settembre si aprirà anche una piccola bottega solidale: verrà consegnata alle famiglie una tessera a punti, caricata in base alla situazione economica, con cui potranno prendere i viveri che desiderano.
Le iniziative della Caritas sono sostenute grazie all’iniziativa “Famiglia aiuta famiglia”, grazie alla quale chi lo desidera si impegna a contribuire mensilmente.
Tutti i servizi sono svolti da volontari, ingaggiati attraverso avvisi durante le funzioni religiose, articoli sul bollettino parrocchiale e su La Guida,..
Il quartiere è molto attivo e partecipativo, ma è scarso il coinvolgimento dei giovani. Tre anni fa, hanno creato “la bellezza salverà il mondo”, una proposta dei giovani per i giovani, ma, quando il gruppo coinvolto è andato all’università, è mancato il ricambio.
Gianfranco pensa che i piccoli gesti che vengono fatti in parrocchia fanno la differenza: dato il contesto vivo e molto disponibile e solidale, lavorando di più in rete tra servizi si possono sviluppare iniziative diverse e coinvolgenti per tutti, specialmente per i giovani.
Francesca ha 34 anni e vive al San Paolo da quando ha 4 anni, tolta una piccola pausa subito dopo il matrimonio, in cui hanno vissuto a San Rocco, ma hanno comunque mantenuto i contatti e la vita di quartiere a San Paolo. La scelta di tornare a vivere nel quartiere come genitori è stata legata alla presenza di zone verdi, parco giochi, spazi in cui non passano le macchine in cui poter andare in bici e alla comodità della vicinanza delle scuole. I suoi figli hanno conosciuto a scuola le persone con cui stanno crescendo insieme nel quartiere e anche tra le mamme si è creata un’importante rete di aiuto.
Lavora come segretaria di un promotore finanziario, è sposata da 10 anni ed è mamma di 3 gemelli che adesso hanno sei anni.
Nonostante il suo lavoro più tecnico, ha molte passioni artistiche. In primis, lo yoga che fa da quando aveva 19 anni e che l’ha aiutata ad uscire da un periodo difficile. Uno dei suoi sogni è quello di poter insegnare lo yoga per i bambini perché ha visto che con i suoi figli è stato utile.
Un’altra sua passione è la scrittura, che la aiuta a elaborare cose personali, anche tramite fiabe e racconti.
Mentre era incinta ha deciso di elaborare un trauma personale attraverso una storia,che ha pubblicato con una casa editrice, grazie al consiglio della sua più cara amica. Questa sua passione l’ha trasmessa molto anche ai suoi figli.
Secondo Francesca, quello che fa vivere il quartiere è la Parrocchia; un’attività che lei continua a svolgere in parrocchia e che ha mantenuto nonostante tutto è quella di cantare nel coro.
Nel quartiere si sono stati già fatti tanti sforzi per migliorare il quartiere, sarebbe bello che le cose che si stanno facendo durassero nel tempo.
Inoltre le piacerebbe che fossero organizzati eventi per le famiglie in collaborazione tra Parrocchia e Comitato perché siano più inclusive possibile.
Sabrina è originaria di Boves, ha 40 anni e vive nel quartiere da circa 17 anni; è mamma di due bambine. Nonostante il suo diploma magistrale, ha scelto di fare un lavoro diverso per la paura di relazionarsi con gli altri. Lavora nel bar del Centro, vero e proprio luogo di aggregazione e incontro per il quartiere; questo lavoro l’ha spronata comunque a entrare in contatto con gli altri.
Sabrina non ha vissuto solo a Cuneo, ma è stata a Nizza con sua madre, dopo la separazione dei suoi genitori e poi da giovane in Spagna, a Madrid, dove si è trasferita per la voglia di scoprire altri mondi e altre culture. Ha anche una grande passione per i viaggi, che cerca di proseguire anche con le bambine anche se è più complicato organizzarsi.
Di San Paolo le piace il fatto che sia come vivere in campagna e in città allo stesso tempo e apprezza la ricchezza di servizi
Il fatto di essere mamma l’ha portata a vivere maggiormente il quartiere, cercando di partecipare a quante più iniziative possibili per far parte della comunità, conoscersi, relazionarsi con tutti.
Diletta fa le elementari nel quartiere, ha tante difficoltà per via della dislessia e della disortografia, ma la scuola è buona.
Con sua figlia Diletta condivide la passione per la lettura e per le passeggiate e nel quartiere ci sono tante possibilità di passeggiate: il fluviale, il Viale, ecc.
Le sue passioni sono manuali: fa a maglia, lavora con la terra. Le serve per essere in pace con se stessa e creare. Ha imparato a fare a maglia da una suora che l’ha aiutata in un percorso di vita e così si è resa conto che lavorando con le mani tutti i problemi se ne vanno via, è una medicina per l’anima; questo lo vuole trasmettere ai suoi figli.
Katia ha 46 anni, vive a San Paolo da 12 anni e fa la volontaria in biblioteca da un paio di anni, di lavoro è un'assistente sociale che lavora nel penale con gli adulti.
Quando si sono trasferiti, si sono subito inseriti facilmente nel quartiere perché la comunità è meravigliosa, giovane e accogliente. San Paolo è ricco per il verde, per la biblioteca e per le persone. Casa loro è sempre stata aperta agli altri, ma qui hanno incontrato un quartiere aperto ed è bellissimo.
Per Katia le relazioni sono tutto, la fanno stare bene. Impegnarsi per la comunità, sia per lei che per suo marito è un modo per ringraziare dell’accoglienza e del supporto ricevuti. Suo marito ad esempio è diventato allenatore della squadra di calcio della parrocchia dove giocava Davide, loro figlio. Alcuni dei ragazzi allenati oggi frequentano il suo bar e sono amici di Davide; due di loro hanno addirittura lavorato a chiamata per il bar. Katia trova che sia bello vederli crescere e diventare adulti insieme e nel quartiere. Anche il fatto di vedere che Davide si impegna nel sociale li rende molto orgogliosi.
Quando suo figlio ha iniziato ad essere grande, le è venuta voglia di dedicare parte del suo tempo libero al volontariato nel quartiere e ha pensato di farlo in biblioteca perché ama leggere da quando era bambina e andava nella biblioteca del Comune di Centallo. La passione per la lettura l’ha sicuramente trasmessa a Davide: appena arrivati qui, andavano insieme in biblioteca. Per suo figlio i libri sono diventati tempo per stare con mamma e papà, prima facendoseli leggere e poi mettendosi a leggere i suoi libri con loro la sera.
Il suo essere volontaria in biblioteca le piace perché continua a conoscere persone, perché le sembra di tornare un po’ bambina e perché rivive la bellezza di accompagnare dei bambini nella scoperta della lettura. Il fatto di passare ore in biblioteca la porta a vedere tutte le situazioni quelle rosee e quelle meno rosee. Attraverso il suo lavoro ha provato a agganciare i genitori e provare a dare supporto anche a quelle situazioni difficili.
Sono tanti i ricordi che custodisce: quello di una ragazzina così appassionata da portare anche le sue amiche in biblioteca, quello di suo nipote che viene il venerdì a trovarla per farsi leggere dei libri,...
Un’iniziativa che trova molto bella è quella degli ambasciatori di storie, ragazzi delle superiori che per l’alternanza scuola lavoro vengono nei giardini vicino alle biblioteche e leggono libri per i bambini con la tecnica della lettura espressiva.
Katia vuole continuare a imparare e formarsi sulla lettura, per questo ha anche fatto la tessera 14-18 e prende in prestito dei libri ogni tanto: è importante leggere che cosa si consiglia.
Dato il suo lavoro molto serio, avere dei momenti così di gioia pura è molto importante e arricchente per lei.
Per il futuro del quartiere Katia si augura che la biblioteca possa essere spostata al piano terra dove la biblioteca può farsi conoscere di più e il quartiere può entrare più facilmente.
Anna è un’insegnante in pensione, vive a San Paolo dal 1981 e dallo stesso anno ha iniziato a fare la volontaria in biblioteca. Ama il quartiere con le sue case, le sue piante e i ricordi.
La sede attuale è dal centro commerciale, al primo piano. è aperta lunedì, martedì, giovedì e venerdì dalle 16:00 alle 19:00. Si possono prendere in prestito fino a 4 libri al massimo per un mese.
Ad Anna piacerebbe che la biblioteca si spostasse al piano terra per avere più spazio ed essere più visibili, ma comunque anche così come è una perla nel quartiere.
A volte aprono anche la mattina, perché le insegnanti vengono con la classe: è bello vedere i ragazzi prendere i libri, vivere gli spazi, fare domande.
La frequentazione è cambiata molto: i ragazzi delle medie hanno iniziato a non venire quasi più, chi viene adesso a prendere i libri sono i piccoli e quelli dei primi anni delle elementari.
Ha tanti bei ricordi legati alla biblioteca: una mamma che era stata una sua alunna e che era venuta in biblioteca con la bimba, le bambine che vengono di corsa e sanno già che cosa prendere e che raccontano loro tante cose anche al di là dei libri, …
L’augurio per il futuro è che sempre più bambini e ragazzi vengano in biblioteca, perché la lettura fa ragionare e ci fa aprire a quello che vediamo attorno.
Franco é un insegnante in pensione ed è un volontario di Libera da diversi anni, un’associazione, nata più di 28 anni fa da un’idea di Don Luigi Ciotti, che si occupa del contrasto della criminalità organizzata.
Il presidio di Libera Cuneo esiste dai primi anni 2000; anzi un tempo i presidi erano due, di cui uno composto esclusivamente da giovani, mentre oggi si sono unificati. La mafia al nord è “sommersa”, nascosta nella corruzione, negli appalti truccati, tra le imprese costrette a cadere sotto influenza mafiosa perché non ce la fanno ad andare avanti economicamente, … Per questo è importante portare avanti attività di informazione e sensibilizzazione, come quelle che Libera fa nelle scuole.
Dopo lo stop dovuto alla pandemia, l’attività è ripresa ed è stato organizzato un evento chiamato “Libera lo sport”, invitando atleti e giornalisti sportivi a raccontare le loro esperienze per trasmettere una visione dello sport come momento di riscatto, come una sfida, proprio come quelle che ci accadono nella vita quotidiana. In generale l’idea è quella di far conoscere agli adolescenti modelli di vita positivi da cui prendere esempio e informarli, stimolandoli a divenire parte attiva.
Altro progetto è DigitaLibera nato con la pandemia per rispondere ai problemi in cui si sono trovate diverse famiglie con la DAD, perché non potevano permettersi l’acquisto di materiale informatico. Il materiale informatico, recuperato da aziende e privati, viene sistemato e donato gratuitamente a chi ne ha bisogno. L'iniziativa è cresciuta grazie al contributo di CRC e ha visto anche alcuni studenti dell’ITIS coinvolti attivamente. L’impegno richiesto per questa attività è di 2 ore/settimana e sono sempre utili nuovi volontari.
In generale, Libera ha sempre bisogno di volontari per tutte le sue attività: coniugare le proprie competenze, i propri interessi e le proprie passioni con il volontariato è una bella esperienza.
Attilia arriva a Rogoredo a 8 anni dalla provincia di Bergamo quando il padre entra a lavorare nell’acciaieria Redaelli.
La sua idea di comunità è, dice, quasi campagnola nella sua semplicità. Del passato ricorda quando teneva fuori dalla porta un merlo indiano che fischiava la cucaracha, in via Monte Cengio, e i bambini passavano a trovarla. Professionalmente si è occupata di mole per la lavorazione del ferro e la lucidazione del marmo: la passione per il settore edile le è stato tramandato dal padre e a sua volta lo ha passato ai suoi figli.
Nei settant’anni vissuti nel quartiere ha assistito a molte trasformazioni, come la costruzione di nuovi complessi abitativi (Merezzate tra i più recenti) e la nascita di Santa Giulia (che ha raddoppiato e modificato la composizione della popolazione), ma anche il perdurare di strutture quali la parrocchia, l’Auser, i campi sportivi e il Circolo Arci Mondini. Tra le esigenze emergenti, Attilia individua la mancanza di un presidio dei vigili urbani e della polizia legati al tema della sicurezza; la riqualificazione di spazi e centri sportivi esistenti, una RSA più grande, un poliambulatorio e soprattutto servizi e luoghi di aggregazione per gli anziani e i giovani.
La parrocchia e le attività culturali che organizza sono un punto di riferimento prezioso per la comunità (soprattutto per le fasce più fragili della popolazione), che si caratterizza per una grande unione e solidarietà tra le persone, così come di un’atmosfera da piccolo paese.
La variabile della multiculturalità è sentita e, secondo Attilia, si esprime in dinamiche di separatezza e incomunicabilità tra stranieri e rogoredesi.
Per il futuro ribadisce l’importanza di aprire un centro civico e di aggregazione, guardando sempre di più ai bisogni della comunità.
Alexandra è arrivata a Cuneo, proprio nel quartiere San Paolo. Prima di trasferirsi era già stata più volte nella Provincia, più nello specifico, al Santuario di Sant’Anna di Vinadio. In uno di questi viaggi in Piemonte ha conosciuto Filippo; per un certo periodo sono rimasti insieme a distanza e Alexandra ha finito gli studi in Romania. Poi hanno deciso di trovare il modo per stare insieme e così lei si è trasferita a Cuneo, nel 2012 si sono sposati e nel 2019 hanno avuto una bimba, Cecilia.
Appena arrivata si è iscritta al corso di Mediazione Interculturale, studi che approfondito successivamente con un master. Dopo la formazione ha subito iniziato a lavorare in questo ambito e così ha costruito relazioni. Dopo alcuni anni ed esperienze diverse, con altri colleghi, ha deciso di costruire l’associazione, che ha tra gli obiettivi il riconoscimento della figura dei mediatori, perché non esiste una normativa in merito in Italia. Hanno stabilito dei pilastri che secondo loro questa figura deve avere: essere una persona straniera, che, nel proprio paese di origine ha fatto studi almeno superiori e avere un percorso migratorio alle spalle. Questo secondo aspetto è molto importante perché, in questo modo, un mediatore ha vissuto in prima persona situazioni quali la richiesta dei documenti, la necessità di inserirsi nel contesto,...
Attualmente lavorano nelle scuole, negli ospedali e al .Meet del Comune di Cuneo; in questo polo ora vorrebbero anche fare alcune attività “con” gli stranieri e non solo per gli stranieri o per dare loro i documenti.
In alcuni casi sono stati coinvolti direttamente all’interno di progetti, come ad esempio con l'istituto di Centallo e Villafalletto con cui hanno organizzato serate a scuola con le tematiche dei Paesi più presenti e poi hanno fatto la biblioteca in diverse lingue. .
Nel quartiere si trova bene ed è stata ben accolta da subito; ha avuto la fortuna di avere dei vicini molto gentili. Nonostante questo ha provato anche grande spaesamento: ha cambiato Paese, modalità di vita, cultura,... Per esempio è passata dallo stare in collegio con amici al vivere in un appartamento da sola in una città diversa ed è arrivata dal Cairo a Cuneo, dove le faceva effetto che la sera alle 19:30 era tutto chiuso.
Franca abita nel quartiere San Paolo con i suoi figli dal 1995; è arrivata qui che i suoi figli erano adolescenti, oggi sua figlia vive all’estero e suo figlio è appena tornato ad abitare in quartiere dopo aver vissuto in altre zone.
Il quartiere lo hanno scelto perché ne hanno apprezzato fin da subito gli spazi, il verde e il fatto che trasudi libertà. Prima abitavano in centro, dove c’erano sicuramente più servizi, ma anche più traffico e meno verde. La parrocchia è stata un altro punto a favore del trasferimento. La scelta di questo quartiere non è stata un caso, ma una complessiva valutazione delle possibilità di una vita alternativa anche per i mezzi di trasporto: qui la mobilità sostenibile è incentivata, perché si può andare in bicicletta, raggiungere spazi verdi a piedi,.. Inoltre è una zona sicura, in qualche modo protetta.
Inoltre da un anno sono anche zona 30: Franca spera che i coincittadini sappiano apprezzare questo cambiamento.
Questo quartiere ti attrae, ci si riconosce tra gli abitanti, “ Sono del San Paolo” è una cosa che ci piace tanto dire.
Franca sente l’emozione di vivere il quartiere nella zona del Centro, con i giardini pieni di bambini che giocano, gridano, si confondono con il verde e con i giochi che ci sono, questo è uno spaccato di futuro. I bambini sono liberi di vivere e fare esperienze, con i genitori e i nonni che li guardano a distanza. Le piace che ci sia la biblioteca che crea comunità e dà offerta culturale.
La zona di Piazza Biancani è una parte del quartiere più recente, è un piccolo gioiello perché è sempre curatissima, c’è tanto verde e la pavimentazione ha le luci che rappresentano l’orsa maggiore e minore. La piazza è molto riservata e protetta e molto frequentata dai bambini. Inoltre la piazza si anima il mercoledì pomeriggio perché c’è mercu il mercato a km 0.
Un lato di Piazza Biancani è su via momigliano dove si è trasferita l'araba fenice che da Borso si è trasferita a San Paolo. Con loro il quartiere fa diversi incontri al mercoledì sera. è una grossa ricchezza questa realtà per il quartiere.
Il suo hobby preferito è andare in bicicletta, fa anche parte di un’associazione di amici dell’ambiente e della bicicletta.
Dal punto di vista professionale, Franca ha lavorato 40 anni nel mondo della scuola, ambiente splendido che ti permette di crescere. Lavorava nella struttura amministrativa della scuola, poi è stata in provveditorato, ha lavorato nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola, poi è tornata a Cuneo. Poi ha avuto un incarico come amministratore di questa città, anche qui si è dedicata al settore della scuola in modo particolare. Lo scorso anno ha concluso quest’esperienza e così ha deciso di mettere a servizio le sue competenze per il quartiere e adesso fa parte del comitato di Quartiere San Paolo.
Il suo augurio per il futuro è che i bambini facciano la loro strada, ma non dimentichino il quartiere.
Nicola è co-titolare del Caffé Pizzeria Centro, il cui nome nasce dalla sua posizione centrale per il quartiere San Paolo. Qui infatti si trovano i principali servizi: un centro commerciale che ospita farmacia, tabaccaio, parrucchiere, supermercato,...
Lui e altri due soci hanno rilevato il bar nel 2015, quando Nicola frequentava il quartiere perché suo figlio andava a giocare con gli amici nei giardinetti di fianco al bar. Così hanno scoperto che i precedenti gestori volevano vendere e hanno deciso di rilevare l’attività e iniziare questa avventura. Oggi sono solamente in due soci e entrambi lavorano in altri ambiti per cui per la gestione del bar hanno assunto alcuni dipendenti. Oltre a questo, in estate, cercano di dare lavoro ai ragazzi del quartiere con dei contratti per la stagione estiva.
Il loro bar si rivolge prioritariamente agli abitanti del quartiere e soprattutto alle famiglie.
Come attività hanno deciso di collaborare con le altre realtà del territorio. Ad esempio con la biblioteca di quartiere organizzano delle letture nei giardinetti in cui loro mettono a disposizione buoni per il bar.
Inoltre, hanno collaborato con il Comitato di quartiere, di cui Nicola in passato ha anche fatto parte, per feste e cene, nonché per il Palio di San Michele.
Collaborano anche con la Cooperativa Emmanuele, anche solo per aiutare nella comunicazione e promozione dei progetti e con gli estate ragazzi di zona, a cui forniscono il pasto per i ragazzi.
Oltre a questo sono a disposizione per ospitare feste di compleanno e si impegnano ad organizzare serate a tema per il quartiere (baby dancing, karaoke, ..), letture/presentazioni di libri, convegni,...
Per contribuire alla sicurezza e alla vivacità del quartiere hanno deciso di prolungare l’orario di apertura fino a mezzanotte e spera di poter mantenere nel tempo la decisione presa.
Inoltre Nicola auspica una maggiore presenza di attività organizzate dal Comune a San Paolo.
Marcella è sposata con Carlo Amerio e si sono trasferiti al San Paolo nel 1988, che li ha accolti nella sua bellezza: natura, spazi aperti, comunità accogliente.
Come coppia hanno un’esperienza di affido e due figli naturali: la loro giovinezza cresciuta su ideali di solidarietà, apertura, condivisione e cura reciproca li ha portati ad individuare nel loro essere famiglia una risorsa per l’esterno. Quando sono diventati famiglia affidataria, hanno cercato altri che, come loro, stessero facendo questo percorso e così hanno scoperto l’ANFAA, associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, fondata nel 1962 a livello nazionale e a Cuneo nel 1981.
Sono diverse le attività che l’ANFAA svolge: dai convegni per operatori, insegnanti su temi quali i diritti per l’infanzia, a rassegne cinematografiche,...
All’interno della loro sede hanno anche una biblioteca con libri e film relativi ad affido, volontariato, solidarietà, adozione sia per adulti che per bambini.
Il sogno dell’ANFAA è quello di garantire una famiglia serena ogni bambino, sembra un diritto acquisito, ma purtroppo basta poco per non garantirlo. Tuttavia dando piccole cose, si permette al bambino di ricomporre la propria esperienza emotiva. La voglia di garantire la nostalgia di climi di benessere e di orizzonti di vita più belli e più felici per i bambini e per chi gli sta vicino è la spinta che li fa andare avanti. Se gli “ultimi” stanno bene, stanno bene anche tutti gli altri e questo ci può restituire un’umanità più bella e più felice. In questo senso la segnalazione è un dovere civico: non è la denuncia, ma è far pervenire all’assistente sociale la necessità di porre più attenzione alla situazione mettendosi in contatto con caritas, insegnanti, oss,...
L’assistente sociale stabilisce il tempo per l’affido, che può essere poco o tanto, in base alle esigenze del bambino. Nel cuneese c’è un ottimo servizio sia per affido che per adozione, gestito dal consorzio socio-assistenziale a cui si può sempre fare riferimento per dare la disponibilità.
Pian piano i numeri di partecipanti all’ANFAA sono aumentati e così anche i servizi. Da 24 anni hanno gruppi mensili di auto mutuo aiuto per famiglie affidatarie e adottive che, con il supporto di una psicologa, permettono di condividere gioie, fatiche, intuizioni, agganci con i servizi,.. Hanno anche attivato gruppi quindicinali di aiuto per bambini e adolescenti, condotti da un'educatrice e, da quest’anno, anche da una psicologa.
Infine hanno uno sportello di ascolto, in corso Francia 10, che è aperto il primo venerdì di ogni mese, dalle 17 alle 18:30, ed è possibile prendere appuntamento chiamando il 3881682155 o mandando una mail a cuneo@anfaa.it. Infine per vedere le loro attività è anche possibile visitare il sito www.anfaa.it
Valentina ha 33 anni, originaria di Castelletto Stura, da 4 anni si è trasferita qui con la famiglia. Ha studiato ragioneria e poi ha fatto tre anni di università sul sociale, poi ha scelto di sfruttare il diploma e iniziare a lavorare. Oggi lavora in un’assicurazione, dove si trova molto bene e le piace quello che fa.
È mamma di Amelie ed Elia e moglie di Matteo: in questo momento la famiglia è la parte più importante della giornata. Al momento non riesca a coltivare hobby, ma ha la passione per la fotografia e il cucito (uncinetto, maglia, macchina da cucire). In particolare il cucito le piace moltissimo, tanto che sognerebbe di farlo come lavoro.
Subito era preoccupata del trasferimento in città, era abituata ad un piccolo paese e aveva paura del caos e della mancanza di comunità. Però a San Paolo si trova molto bene, ci sono tutti i servizi necessari e non mancano i momenti di relazione. Tra questi si ricorda: il concerto con la musica di De André, il cinema all’aperto in piazza Biancani e la cena di quartiere.
Come famiglia, pensa che potrebbero sicuramente dare di più al quartiere, ma prendono tanto dalle attività organizzate, che Valentina vede come un modo intelligente di occupare il tempo. Le serate organizzate durante l’estate sono state molto belle, per cui vorrebbe che continuassero per animare il quartiere. Le piacerebbe anche che ci fossero dei mercatini in cui anche i residenti possono partecipare con oggetti fatti da loro. Soprattutto d’estate, per lei sarebbe bello avere occasioni serali per stare all’aperto e incontrarsi.
Francesca è coordinatrice per la cooperativa Momo e per l’azione Commonground nel bacino di Cuneo, che si occupa di contrastare lo sfruttamento lavorativo delle persone che gravitano sul nostro territorio.
Il progetto coinvolge 5 regioni: il Piemonte, capofila, il Veneto, il Friuli-Venezia-Giulia, l’Emilia Romagna e la Liguria. Lo sviluppo del progetto prevede l’attivazione di servizi di presa in carico più allargati: accoglienza, aiuto, sanitario, aiuto sanitario,... Si rivolge a tutti i lavoratori sotto contratto, ponendo l’attenzione in particolar modo alle persone più vulnerabili. Commonground interviene per contrastare lo sfruttamento a livello lavorativo e portare le persone verso l'emersione economica e sociale. Le persone da accompagnare e informare vengono individuate grazie ai servizi di strada e alle persone “antenna”. Una volta individuate, attraverso alcuni colloqui, si individuano i servizi necessari per loro.
Il progetto è molto ampio e occupa molti servizi e coordina una rete multiservizi molto vasta; la base essenziale è costituita dalle équipe di operatori che seguono i beneficiari in diversi modi: accoglienze estive, unità di strada,... Gli operatori sono fondamentali perché hanno relazione diretta con i beneficiari e portano nella rete multidisciplinare i bisogni effettivi della persona.
I cittadini stessi sono molto importanti, in quanto sono un altro tipo di “antenna”: vivono quotidianamente a contatto con situazioni di disagio e possono mandare i dati per aggiungere le persone nel database del .Meet, permettendo di avere un quadro più dettagliato per dare i servizi necessari.
Ogni anno la situazione estiva è diversa: cambiano etnie, flussi,...Quest’anno hanno visto alcuni miglioramenti: molte aziende con cui hanno collaborato lo scorso anno li hanno contattati in anticipo per informarsi sull'accoglienza. In agosto potrà esserci un ricambio, questo rende difficile il lavoro per l’aggancio e il servizio alle persone perché è un continuo andirivieni.
Con il progetto non riescono a coinvolgere tutti: alcuni perché sono qui per altri motivi, altri perché sono talmente fragili e spaventati per cui è difficile creare una relazione di fiducia.
Francesco è uno dei primi attori del quartiere Santa Giulia ad accoglierci e a condividere con noi la sua storia. Accanto ad una appassionata professionalità mostra da subito un vivacissimo interesse verso la comunità e il suo benessere.
Biobene nasce nel 2011 ed è una delle prime attività commerciali che apre durante l’inziale sviluppo del quartiere. Francesco, con alle spalle una consolidata esperienza nel mondo dell’estetica e della bellezza, decide di investire nella creazione di un progetto innovativo, centrato sul benessere a 360 gradi. BioBene si configura così come un connubio di servizi e vendita di beni per il benessere della persona. La diffusione del biologico su ampia scala ha orientato l’attività verso la vendita di prodotti specifici (per la cosmesi, l’aromaterapia e una vasta scelta di tisane e infusi), e per quanto riguarda la cura della persona la proposta di trattamenti viso-corpo, omeopatici e consulenze nutrizionali. A due anni dalla sua nascita, Biobene ha aperto una seconda sede in Città Studi e una terza in zona Porta Nuova.
Per Francesco aprire questa attività in un quartiere nuovo è stata, da una parte un’opportunità ma anche una sfida per la mancanza di un mercato già consolidato. La proposta commerciale nella zona è cresciuta notevolmente ma spesso in maniera disarticolata, producendo una sovrapposizione di attività molto simili tra loro. In questo senso individua nella mancanza di coordinazione e organizzazione commerciale un elemento cruciale su cui lavorare. Descrive come deboli l’associazionismo tra commercianti e una visione progettuale che vada oltre le feste di quartiere e la convivialità.
Per Francesco è fondamentale alimentare un lavoro di rete e una visione di insieme nella gestione dei problemi e delle situazioni. Migliorare il dialogo e la sinergia tra i servizi. Da sempre si impegna nel coltivare ottime relazioni con i clienti e gli abitanti del quartiere, cercando di fornire servizi alla cittadinanza orientati al benessere (come una fontanella per l’acqua a disposizione di tutti).
Santa Giulia è un quartiere in via di sviluppo e come tale ha un grande margine di potenzialità: l’aumento della popolazione, lo spirito aggregativo tra gli abitanti, la crescente disponibilità di servizi e la progressiva innovazione anche tecnologica sono, secondo Francesco, tutti elementi preziosi per la crescita del territorio.
Per il futuro si auspica innanzitutto una valorizzazione del territorio, una migliore coordinazione commerciale, una maggiore integrazione tra quartieri e lo sviluppo di un dialogo progettuale e collaborativo tra tutti i potenziali stakeholders che hanno interesse verso la vita e lo sviluppo del contesto. Desidera che la relazione di BioBene con la comunità continui a crescere e che la sua attività raggiunga una sempre maggiore visibilità.
Per Francesco il senso di comunità si esprime nell’unione, nel supporto reciproco e nella condivisione di obiettivi e ideali.
La Cartoleria Livebridge apre a dicembre del 2023 con l’idea di fornire un servizio importante alla comunità del quartiere che, nonostante le narrazioni spesso svalutanti a cui è sottoposto, è per Laura un contesto caloroso e accogliente, dove stanno vivendo delle positivissime esperienze. Lei e il marito Michele, che abitano in un’altra zona della città, scoprono il quartiere di Rogoredo tramite l’azienda di Sky per cui hanno lavorato. Arrivano entrambi da un settore professionale diverso, centrato sull’organizzazione di eventi e convention. L’idea della cartoleria nasce dal desiderio di proporre un servizio capace di avvicinare e connettere le persone. La risposta degli abitanti, racconta Laura, è stata di grande entusiasmo e gratitudine.
Come cartoleria sono molti sono i servizi che propongono, dal materiale scolastico, alle fotocopie fino alla spedizione pacchi. Ci tengono a seguire le esigenze delle persone, da quelle più anziane che hanno bisogno di inviare un fax fino a quelle più giovani che devono stampare la tesi della laurea.
Per Laura la comunità di Rogoredo è soprattutto affetto e gentilezza: ed è proprio la gentilezza una risorsa peculiare del quartiere. Qui si respira un forte senso di comunità, accoglienza, calore e disponibilità. Ottime sono le relazioni con gli altri commercianti della zona.
Sceglie l’immagine di un girasole per descrivere la sua esperienza all’interno del quartiere: perché è sempre illuminato, dice. E forse perché come il fiore con la luce del sole, anche lei si percepisce in forte connessione e reciprocità con la comunità che la circonda.
Per il futuro del quartiere si augura che possa preservarsi l’autenticità e l’atmosfera presente oggi tra le persone. E, aggiunge, per farlo è necessario continuare a credere nelle persone. Alle nuove generazioni auspica di coltivare lo studio e la cultura come strumenti per crescere e arrivare lontani.
Claudio è il presidente dell’Auser Volontariato Rogoredo che si è costituito nel 2008. I primi anni la domanda era molto bassa ma con gli anni è cresciuta a dismisura; attualmente conta circa 150 iscritti. Tra le attività che porta avanti, rivolte agli anziani e gli utenti più fragili, ci sono: l’accompagnamento alle visite mediche, eventi all’aperto, corsi di informatica e per la memoria. Le iniziative si svolgono principalmente in spazi esterni come l’oratorio, lo Spazio Coop e in passato anche presso il Circolo Arci Mondini (che però ora ha difficoltà a mettere a disposizione i propri spazi).
Le principali esigenze che emergono dall’esperienza sul campo sono la mancanza di spazi aggregativi e di manodopera, l’aumento di situazioni di invecchiamento e di solitudine, che esacerbano nella popolazione anziana - memoria storica del quartiere - un profondo bisogno di comunicare e raccontarsi. Alcuni utenti del servizio in passato sono stati a loro volta volontari ed è bello assistere all’evolversi di un circolo virtuoso di reciproco sostegno e mutua collaborazione. Se in passato Auser Volontariato si occupava esclusivamente di assistenza, diversamente da Auser Insieme (che promuove attività ricreative come le serate danzanti), oggi è subentrata la necessità di allargare il ventaglio di proposte a iniziative interattive e socializzanti.
Claudio descrive l’esperienza di volontariato come ravvivante e gratificante.
Per lui il senso di comunità è condivisione e supporto. Ricorda l’importanza di prendersi cura anche della fatica dei volontari, mattone prezioso della comunità.
Per il futuro si auspica un aumento significativo del numero di volontari e, per sé stesso, di ritagliarsi maggiore spazio personale pur continuando con amore e passione il suo lavoro all’interno dell’Auser.
L’associazione Atleticamente nasce nel 2009 dall’iniziativa del Preside della scuola Madre Teresa di Calcutta e del comitato genitori, al fine di proporre una ricca offerta di corsi sportivi e attività di doposcuola agli studenti della scuola ed alle famiglie. L’associazione però si rivolge non solo ai quartieri di Viale Ungheria e Santa Giulia ma anche ai quartieri limitrofi e chiunque può frequentarne i corsi.
Cristina, presidente di Atleticamente, ha la consapevolezza che l’associazione sia diventata un punto di riferimento per le famiglie del quartiere e per molti ragazzi che continuano a frequentare i loro corsi fino alle scuole superiori. Questo anche in ragione dei prezzi calmierati e della possibilità di pagare in diverse rate, al fine di venire incontro alle esigenze delle famiglie, trattandosi di un quartiere molto variegato. Il ricavato viene devoluto a sostegno delle attività della scuola che ospita l’associazione nei suoi locali, anche se da qualche anno è necessario partecipare ad un bando pubblico annuale per poter usufruire della palestra della scuola.
Ad oggi l’associazione ha molte richieste ma, disponendo di una sola palestra, non è in misura di far fronte alla crescente domanda. L’auspicio quindi è quello di poter trovare una palestra o uno spazio supplementare per poter soddisfare le richieste. Recentemente, l’associazione riceve molte richieste anche per corsi per bambini sotto i tre anni, a cui difficilmente riesce a far fronte in quanto necessiterebbero di personale specializzato. Questo anche in ragione del fatto che il quartiere ha poco da offrire per i bambini della fascia zero – tre anni.
Un’altra problematica che riguarda il quartiere è la mancanza di luoghi di aggregazione per i ragazzi delle superiori. Infatti, finite le scuole medie, i ragazzi smettono di frequentare i corsi sportivi e diventa difficile coinvolgerli in attività extrascolastiche, specialmente i maschi.
Viale Ungheria è un quartiere multietnico e con molti anziani. Mancano dei luoghi di socializzazione, degli spazi come quello di Merezzate, dove nonni e bambini possano passare del tempo in tranquillità e sicurezza. Tuttavia molte cose stanno cambiando, le persone hanno voglia di mettersi in gioco con iniziative ed è un bel momento per il quartiere.
La nascita di Merezzate ha avuto il merito di fare da collante tra i quartieri di Santa Giulia e Viale Ungheria e l’apertura della scuola media ha contribuito ulteriormente ad unire i quartieri, essendo frequentata anche dalle famiglie di Viale Ungheria e Ponte Lambro. L’auspicio tuttavia è che ci sia una migliore connessione tra i quartieri, in particolare tra Viale Ungheria e Ponte Lambro. Rispetto alla comunità invece, l’auspicio è che sia più dialogante e tollerante.
Gaia ha studiato economia politica ed è appassionata di fotografia. Dal 2012 lavora per un’associazione in progetti con i bambini, nell’organizzazione di campi estivi residenziali ad indirizzo steineriano e circense.
Negli ultimi anni ha lavorato nei quartieri di Santa Giulia e Rogoredo all’interno dell’esperienza dello Spazio Melotti, offrendo servizi di doposcuola e laboratori per bambini. Spazio Melotti nasce come associazione di associazioni ed individui, in cui ognuno può portare delle proposte. All’interno dell’esperienza di Spazio Melotti, Gaia ha portato dei doposcuola per bambini, basati arte e interazione con gli spazi esterni, come la promenade di Santa Giulia - dove poter giocare con l’acqua e costruire dei percorsi di biglie – oppure gli spazi verdi come il Parco Trapezio. L’iniziativa ha anche saputo coinvolgere i commercianti del quartiere per la preparazione dei pranzi al sacco per i bimbi.
Vi è molta voglia di vivere il quartiere ed i suoi spazi come luoghi di sosta e non di transito. Questa appropriazione degli spazi crea infatti un senso di appartenenza al territorio, importante sia per i bambini che per gli adulti. Per i bambini è importante scoprire gli spazi con maggiore autonomia e libertà, pur sotto la guida di un adulto, ed appropriarsene facendo esperienze motorie e sociali, vivendoli fisicamente. Per gli adulti è anche fondamentale avere luoghi di riferimento dove ritrovare amici, conoscersi e creare relazioni, perché dove c’è un comunità c’è un altro vivere.
Rispetto allo spazio condiviso di Merezzate, l’idea è che possa essere utilizzato da gruppi compositi di diverse fasce d’età, in cui ognuno abbia diversi ruoli e responsabilità a seconda dell’età: un’esperienza comunitaria in cui le generazioni convivono ed interagiscono, coinvolgendo nonni e bambini, ragazzi e adulti. Comunità è infatti innanzitutto legami e la solidarietà che ne deriva.
Per il quartiere l’auspicio è che si torni ad una dimensione di prossimità, con botteghe e negozi di quartiere che riprendono gli spazi occupati dai grandi franchising, e che i diversi quartieri di Merezzate, Santa Giulia e Rogoredo fluiscano maggiormente.
Alessandra Bianchi, 54 anni, esercita la professione di parrucchiera da 35 anni nel suo negozio “Alessandra” a Felizzano. Ha iniziato il suo percorso formativo come apprendista per 3 anni, contemporaneamente ha frequentato un’accademia per parrucchieri ad Alessandria. Alla maggiore età Alessandra ha aperto la sua attività che ha segnato l’inizio del suo percorso professionale. Fare la parrucchiera non è facile, è un mestiere complesso che richiede molte competenze, così sottolinea Alessandra, questa professione implica un contatto diretto con il cliente che non si limita ad essere solo il trattamento per i capelli bensì prevede la conoscenza del cliente per capire realmente ciò che vuole, facendo attenzione agli aspetti psicologici che emergono dall’ incontro ed il dialogo con esso. All’oggi nei corsi per parrucchieri viene dato spazio allo studio e all’approfondimento riguardo la capacità di relazionarsi con il cliente nella maniera giusta, prestando attenzione all’ascolto e mostrando discrezione, pazienza ed educazione, in questo modo si crea un rapporto di fiducia, di apertura che permette di lavorare in maniera sinergica portando buoni risultati. Alessandra riferisce che è indispensabile, in questa professione, essere sempre in formazione per migliorarsi ed essere aggiornati in merito alle nuove tecniche e trattamenti da applicare e alle leggi che regolano l’utilizzo di alcuni prodotti in commercio, lei stessa ha maturato esperienze di docenza in corsi professionali per parrucchieri. La clientela di Alessandra è trasversale e abbraccia varie generazioni: sono clienti alcune signore che sono tutt'ora nonne e che portano a fare tagliare i capelli i nipoti, Alessandra ci tiene a offrire spazi gioco e piccoli doni ai bambini che vanno da lei. Alessandra afferma di essere appassionata di colori e tinte e per questo frequenta molti corsi di “colorimetria” che le permettono di spaziare e di sperimentare nuove tecniche e di affrontare “sfide” con i clienti. La disponibilità e gli orari flessibili fanno sì che Alessandra riesca ad accontentare tutti i clienti, soprattutto quelli che come lei hanno un’attività e non possono recarsi ad un orario di apertura regolare perché lavorano, per andare incontro a queste esigenze a volta l’apertura del negozio può essere anticipata o posticipata. Il rapporto che ha instaurato con la clientela è l’aspetto più gratificante del suo lavoro, disponibilità, passione ed estro sono requisiti fondamentali per svolgere il lavoro di parrucchiera. Questa professione prevede molti sacrifici perché impegna molte ore sia per il lavoro sia per i corsi di aggiornamento, Alessandra ammette di aver sottratto del tempo da dedicare alla propria famiglia. Nel suo percorso lavorativo ha incontrato difficoltà dal punto di vista economico, affermando che andare dal parrucchiere diventava secondario ai bisogni e alle necessità contingenti di una famiglia, riscontrando un calo di clienti e, con la pandemia, si è vissuto un periodo molto faticoso e di ristrettezze. Fare la parrucchiera mette a dura prova anche il fisico, in quanto sottopone il professionista a stare numerose ore in piedi e a soffrire di vari disturbi, oggi nei corsi professionalizzanti viene insegnata la postura corretta per non incorrere in problemi di salute. Un bravo parrucchiere deve esser sé stesso, deve essere una persona discreta e formata, deve dimostrare passione nel proprio lavoro, così sottolinea Alessandra, la quale auspica di portare a termine il proprio percorso lavorativo in modo positivo e sempre con il sorriso.
Il signor Celio, chiamato e conosciuto da tutti come “Bonù” , nasce nel 1927 vicino a Corso Sempione, in quello che una volta era il quartiere cinese della città prima che venisse spostato in Paolo Sarpi. Si trasferisce a Rogoredo a ventun anni quando nel 1948 sua mamma trova un posto di lavoro nell’acciaieria Redaelli e lui decide di accompagnarla. Si trasferiscono nelle ormai storiche e famose case del Rebuscin, dove viveva la maggioranza delle famiglie operaie.
Si adatterà al nuovo contesto non con poca fatica e riluttanza, essendo ancora legato alla sua vecchia zona. Sarà un parroco, dopo svariate insistenze, ad integrarlo nelle attività della parrocchia <<e dal momento che sono entrato, sono rimasto fino ad adesso>> aggiunge, dedicandosi da lì in avanti alla vita della comunità. E lo fa attraverso la sua più grande passione, la ginnastica. Atleta professionista (nonostante minimizzi con modestia la sua bravura) insegna ai ragazzi prima per qualche ora a settimana e poi, con la pensione, a tempo pieno. Prima di dedicarsi all’insegnamento lavora per quarant’anni presso la banca nazionale dell’agricoltura. Rispetto agli effetti scaturiti dalla decisione di dedicarsi ai ragazzi dice: << il primo ad averne avuto un vantaggio sono stato io. Entrato in pensione sono rinato una seconda volta>>. Per lui è essenziale che gli anziani coltivino interessi e attività affinché preservino il loro benessere e la loro salute.
Soffermandosi sulle trasformazioni avvenute nel territorio, il Signor Bonù ricorda come l’acciaieria Redaelli abbia ha contribuito in maniera significativa allo sviluppo del quartiere richiamando un grande flusso di contadini dalle campagne, incentivati dalla libertà e dalla stabilità offerta, all’epoca, dai contanti <<non si poteva certo andare a fare compere di vestiti con un sacco di frutta>> aggiunge scherzando. Sono nate così le prime case per i lavoratori, fondamenta di un quartiere ormai profondamente mutato.
Lungo le decadi vissute a Rogoredo, tantissime sono le persone che Celio ha conosciuto e molti, racconta, sono coloro che si sono spesi per il prossimo all’interno della parrocchia, con la quale la sua relazione non è sempre stata serena. Nel ’48, spiega, si respiravano gli effetti della guerra e la politica aveva un peso determinante nella vita sociale degli individui. In quegli anni militava nel quartiere una maggioranza “rossa” (come in altre periferie di Milano che assunsero infatti il nome di “Piccole Stalingrado”) e vigeva una netta, spesso conflittuale, separazione tra il “gruppo della parrocchia” e il “gruppo degli altri” e i confini partitici erano più rigidi. Un’immagine alla “Camillo e Peppone” insomma. Poi la situazione si è via via trasformata. Un collante sociale, non solo per gli abitanti di Rogoredo ma in tutta Italia, è stato il periodo del ’68 quando - rievoca sgranando gli occhi - i Gesuiti stessi si sono rivoltati al dogma dell’obbedienza. Per il Signor Bonù quel movimento sociale di rinnovamento è paragonabile al fermento della Rivoluzione Francese. Negli ultimi decenni del 900 le faide tra fazioni politico-religiose si sono affievolite.
Ai suoi tempi il quartiere si presentava diverso, più essenziale nei servizi ma con un bellissimo orto, il Cinema Atlantico e il cinema della Parrocchia (tra i primi della città dotato di moderni impianti audio-visivi).
La passione per le immagini e i materiali d’archivio inizia attraverso la fotografia e la cinepresa, prima della rivoluzione digitale moderna. Con il tempo si specializza nel recupero, nella digitalizzazione e nell’editing di vecchi filmanti. Queste testimonianze, spesso sgranate, in bianco nero, dei terreni agricoli, delle prime case e dei vecchi cittadini rappresentano un’estensione fruibile delle memorie storiche di cui Celio Benù è un prezioso rappresentante.
Per lui il senso di comunità è qualcosa che a Rogoredo, pur con alcune lacune, vive e resiste, sebbene in passato fosse più sentito tra le persone – attivamente impegnate nella realizzazione di manifestazioni ed eventi come il Palio e il Carnevale. Oggi si domanda se vi sia sufficiente manodopera a sostenere le iniziative sul territorio.
Invita i giovani ad avere rispetto verso i propri genitori e suggerisce agli adulti, citando la sua stessa condotta <<non di dare il buon esempio, ma di non dare il brutto esempio>>.
Hilda è arrivata a Milano sei anni fa. È originaria del Perù, della regione La Libertad a nord del paese. Suo papà era un artigiano di mobili. Vive qui a Milano con suo figlio. Il processo migratorio e il successivo stabilimento in Italia all’inizio, dice, sono stati difficili. Lasciare la propria casa e trasferirsi in un paese diverso sono stati una sfida. In un primo periodo vive in affitto in un appartamento nella zona del lodigiano e poi si trasferisce insieme al figlio a San Lorenzo Parabiago.
Lavora come badante presso una famiglia di Rogoredo, conosciuta tramite una cognata stabilitasi a Milano prima dei lei. Grazie al lavoro è riuscita ad ottenere i documenti necessari per la richiesta di cittadinanza e si dice soddisfatta di come procede l’attività, nonostante la grande fatica che richiede <<Man mano che si fa esperienza poi ci si abitua e si impara>>. È una mansione fisicamente impegnativa che la porta a spendere la maggior parte del suo tempo in casa. Per questo motivo, spiega, non ha avuto molte occasioni per esplorare e conoscere il quartiere intorno a lei. Rintraccia però come elemento peculiare la forte socialità della gente:<<Incontri per strada le persone, ti salutano, si fermano a parlare… quasi ti distraggono>> aggiunge ridendo.
Tra le principali differenze con il suo paese di origine, Hilda individua nel contesto italiano una tendenza tuttavia più marcatamente individualista e di separatezza intergenerazionale. Non rintraccia particolari elementi di fragilità nel quartiere ma anzi, per lei il territorio offre molte opportunità lavorative.
Ama molto la cultura europea e della cucina mediterranea apprezza soprattutto il pesto, la pasta con il pesce, le ricette a base di pollo e la pizza. Il cibo e la cucina della sua terra sono le sue più grandi passioni, perché espressione di convivialità e di calore familiare. Preferisce i sapori norteñi ma si diletta anche con preparazione tipiche del sud << Non c’è qualcosa che non posso fare>> dice.
Per Hilda i valori più preziosi si concentrano intorno all’idea di famiglia e di condivisione intorno ad un tavolo. Per lei il senso di comunità è stare insieme, raccontarsi, compartir con amici e famiglia qualcosa che faccia stare bene. È sentire di avere intorno persone che ti sostengono, ti ascoltano e ti fanno sentire che non sei solo ma accumunato agli altri da sfide, problemi e traguardi di successo. << È un valore importante che cerco di insegnare e trasmettere a mio figlio>>. Comunità è nei momenti di festa, quando ci si riunisce insieme davanti ad una torta di compleanno, indipendentemente dalla relazione con il festeggiato. Comunità è gratuità: dare non per ricevere in cambio qualcosa ma per alimentare un clima, un’atmosfera positiva.
Per il futuro sogna un giorno di riuscire ad aprire il proprio ristorante di cucina tipica peruviana.
Marco ha 26 anni, è il build manager di Via Antegnati presso la Cooperativa Delta Ecopolis. Dopo un percorso accademico come Geometra e 4 anni di università entra nell’azienda e arriva così a 5Square durante la fase di cantiere: si occupa inizialmente del controllo qualità e successivamente della consegna, della manutenzione e della valutazione degli appartamenti. Attualmente segue la gestione delle problematiche e di tutte le esigenze degli abitanti rispetto alle abitazioni.
La prima consegna (la condivisione cioè del prodotto con i clienti) è stato per Marco un momento emozionante, ma molte sono le attività interessanti che si svolgono e che richiedono cura e costanza. 5Square si propone come un’alternativa di qualità capace di offrire servizi con alti standard anche alle fasce più sensibili: si tratta di un progetto che unisce il concetto di casa a quello di comunità, attraverso il recupero e la riqualificazione di un’area dalle grandi possibilità. Intorno ad Antegnati infatti vi sono molti elementi di ricchezza: dalla tangenziale che garantisce connessioni e modernità, al Parco Agricolo del Ticinello con le sue grandi aree verdi immerse nella tranquillità.
Per Marco il senso di comunità si esprime nel supporto e nella condivisione di tempo e idee. A 5Square questo si esplica attraverso la partecipazione attiva e condivisa degli abitanti.
Per il futuro si augura di chiudere tutte le attività in corso e di consegnare ai clienti un prodotto funzionale che accompagni la quotidianità. Desidera inoltre che si riesca ad allargare questa concezione dell’abitare collaborativo anche in altre zone di Milano.
Come consiglio alle future generazioni che fossero interessate al suo stesso percorso professionale, suggerisce: avere pazienza, motivazione e voglia di apprendere, perché il mondo dell’edilizia è complesso, ricordandosi sempre di proteggere i propri confini personali e professionali.
Ivana lavora all’interno del Consultorio dal 2010 e opera nella struttura dall’87 all’interno di ANFFAS (rivolta a disabili e riabilitazione) fin quando il Consorzio SIR ha acquisito le aree del Consultorio e della Riabilitazione Minori.
“Mi occupo di persone” spiega con grande semplicità, evidenziando come nella sua esperienza all’interno del Consultorio il tema dell’inclusione verso ogni sfumatura umana sia sempre stata il cuore pulsante di tutto il lavoro. Il Consorzio ha infatti moltissime realtà al suo interno e porta avanti un approccio basato sul lavoro di equipe e di rete nel trattamento delle situazioni.
Tra le aree e i servizi principali è possibile individuare: percorsi individuali, di coppia, famigliari e gruppali. Tutte le diverse aree socio-sanitarie sono fornite di competenze e operatori di eccellenza: ginecologia, ostetricia, psicologia, psicoterapia, pedagogia, logopedia, etc.
L’iter di accesso al Consultorio segue un percorso prestabilito:
I percorsi di lavoro possono essere CLINICI (Individuali con 1 o 2 operatori) o GRUPPALI (con soggetti anziani, disabili, genitori, tematiche sessuali, gruppi di parola e diversi operatori).
Tra i temi emergenti più significativi intercettati all’interno dei vari percorsi, Ivana pone l’accento soprattutto su problematiche post-covid, ansie generalizzate, tematiche sessuali e relazionali, fragilità emotive in particolare tra i giovani, uso e abuso di sostanze, formazione e prevenzione circa la salute mentale e la corporeità, fluidità di genere/sessuale e malattie trasmissibili, l’equilibrio tra le nuove tecnologie e la quotidianità.
Per tutte queste dimensioni Ivana considera il gruppo un elemento fondamentale nella costruzione del confronto e nel mantenimento del supporto. Ritiene infatti che affrontare e gestire la complessità sia possibile solo grazie al lavoro d’equipe, alla forza e alla fiducia tra gli operatori, all’approccio condiviso e partecipativo nel lavoro di cura. Inoltre, rispetto agli effetti sul benessere psicosociale, Il lavoro di gruppo è “profondo e permanente” spiega Ivana. Per il futuro desidererebbe infatti attivare dei gruppi mamma-bambino.
A 5Square c’è una grandissima partecipazione, racconta Ivana, da parte di utenti e famiglie. Oltre quindi ad una migliore disponibilità di risorse e di spazi per le prestazioni sanitarie, si respira una vivissima risposta positiva nel nuovo contesto. Per questo motivo le principali esigenze rintracciate dal Consultorio sono l’aumento di personale e una mappatura più approfondita dei bisogni e delle caratteristiche della popolazione di 5Square.
Per Ivana il senso di comunità si esprime nella forza, nella condivisione e nell’alleanza.
Il signor Daniele Barberis dal 2019 ricopre la carica di Presidente della Società Sportiva ASD Felizzano Calcio 1920, la Società ha una lunga storia in ambito sia provinciale sia regionale. Dopo aver rilevato la Società dalla vecchia dirigenza, Barberis insieme ad un gruppo di collaboratori motivati e del paese, sta portando avanti con passione, impegno e dedizione una realtà calcistica a livello dilettantistico importante non solo per Felizzano e per il territorio dell’alessandrino. Il periodo della pandemia ha rallentato i ritmi e ha reso faticosa la ripresa per quanto riguarda le attività sportive. Dal 2019, dopo aver vinto il campionato, la squadra è stata promossa dalla Prima Categoria alla Promozione, che è attualmente il girone di campionato in cui si trova la Prima squadra. Il signor Barberis durante il suo racconto, sottolinea l’importanza dell’attività sportiva del gioco del calcio che deve essere inteso come un punto di riferimento per i giovani a livello dilettantistico, il calcio ha dato la possibilità a molti ragazzi di potersi esprimere e di trovare un sostegno, talvolta anche in situazioni in cui i giovani presentavano fragilità e avevano bisogno di trovare una motivazione ed un supporto personale. In ambito nazionale, chi “traina” il movimento calcistico in Italia è proprio il settore dei dilettanti grazie all’ impegno e ad un grosso lavoro da parte dei dirigenti “volontari” che con grande passione e interesse dedicano il proprio tempo a questo sport. Il Presidente riferisce di voler fare calcio puntando molto sui “giovani”, rispetto all’anno appena trascorso la media dell’età della Prima squadra è stata di 24 anni, ha fatto parte della rosa qualche giocatore del paese di Felizzano, in particolare un ragazzo del 2004 si è rivelato il migliore giocatore della categoria. L’annata appena conclusa ha visto la salvezza della squadra all’ultimo minuto dell’ultima giornata, nella partita di playout. La Società sta portando avanti un discorso di connessione tra la Prima squadra e la Juniores, viene confermato ciò che è andato bene e ha funzionato nel campionato, si cerca di potenziare gli aspetti che hanno mostrato necessità di essere rinforzati. È cambiato l’allenatore e c’è una dirigenza sportiva che cercherà di integrare la rosa dove c’è maggiore necessità, avendo ben presente la disponibilità di un budget contenuto. Il Presidente sottolinea che la Società ha un settore giovanile che ha dato buoni risultati, tenendo conto della partecipazione di molti bambini. La Società Felizzano Calcio 1920 collabora e intrattiene ottimi rapporti sia con il Comune sia con le autorità del paese. Il signor Barberis ci tiene ad affermare che il gioco del calcio si basa fondamentalmente sul lavoro di gruppo: avere un obiettivo comune, stare bene insieme e fare nel miglior modo possibile. Ai ragazzi si richiede la serietà, l’impegno e il divertimento, queste condizioni si portano in campo e fanno la differenza. Negli ultimi anni è cambiato il modo di fare calcio, sono cambiate anche alcune regole, oggi è più difficile trovare giovani che vogliono impegnarsi in questo sport in quanto non è più lo sport “d’eccellenza”, molti giovani praticano altre attività sportive. È cambiato l’approccio a questo sport, da parte dei ragazzi e dei genitori, ma anche dai dirigenti e dagli allenatori, è cambiata la mentalità. Il signor Barberis auspica di poter fare sempre meglio, creare un gruppo di giovani dove si stia bene insieme, ci siano momenti di impegno e momenti di divertimento, condizioni fondamentali per portare avanti un società dilettantistica con serietà. Negli ultimi anni si è investito molto nella struttura sportiva di Felizzano, nella tenuta e nella manutenzione dei campi e degli spazi utilizzati. Per il Presidente sarebbe una bella soddisfazione poter ricevere un giorno una telefonata da parte di una squadra di professionisti che cerca un ragazzo della squadra di Felizzano, vorrebbe dire che è stato fatto un buon lavoro da parte dell’allenatore e della Società. Il Presidente lancia un messaggio in cui invita tutti i ragazzi ad approcciarsi al mondo del calcio con la voglia di stare insieme e di divertirsi, non con l’ideologia che il calcio serva a mantenersi nella vita. Il calcio è una palestra di vita se vissuta nel modo giusto, dà la possibilità di conoscere molte persone e influisce positivamente sulla crescita ed il comportamento dei giovani.
Silvio è una giovane anziano che il quartiere ha l’onore di avere come abitante, ma non un abitante qualunque, ma un cittadino attivo. Racconta, attraverso la sua storia, la trasformazione di un paese, partendo dalle difficoltà, ma anche dalle opportunità di socializzazione che dalla fine della guerra si presentavano ai ragazzi che l’avevano vissuta. Silvio ha studiato al liceo classico e incuriosito appassionato di scienze naturali, si è iscritto all’università. I movimenti giovanili del 1968 e le conseguenti ripercussioni sulla vita universitaria, lo hanno portato ad abbandonare gli studi e a partire per il servizio militare, nel corpo degli alpini, assecondando così la sua grandissima passione per la montagna.
Uomo di cultura, apertura mentale, forti principi e senso civico, dopo un anno di lavoro in una cava di amianto, insieme ad un gruppo di persone che si appoggiavano ai missionari Cappuccini che operavano a Capo Verde, con Padre Ottavio Fasano, fonda la cooperativa sociale SPES, un laboratorio specializzato nella lavorazione del cioccolato. Esperienza grazie alla quale incontra la sua amata moglie e lo fa diventare un mastro cioccolataio, professione che continua a coltivare anche dopo aver lasciato la cooperativa, come artigiano, consulente e formatore.
Silvio assecondando la sua natura socievole e generosa, mette le sue competenze a servizio della protezione civile con il corpo degli alpini di Madonna di Campagna, oltre ad altre attività di volontariato e partecipazione attiva alla vita del suo quartiere.
N. è un ragazzo egiziano di 17 anni, nato nella città di Assut poi trasferitosi al Cairo, la sua famiglia è composta dai genitori e da 3 sorelle più grandi di lui. In Egitto N., così si fa chiamare il ragazzo, ha frequentato la scuola dai 6 ai 14 anni, aveva amici con cui andava d’accordo. Ricorda che giocava a calcio in una squadra egiziana con il ruolo di difensore centrale, ha giocato per diverso tempo, fino ai 14 anni. Il ragazzo parla arabo ed inglese, ha frequentato un corso di italiano raggiungendo il livello A2, si sforza di parlare nella nuova lingua e promette di migliorarne la conoscenza nei prossimi mesi. N. ha lasciato l’Egitto perché non offriva buone opportunità di lavoro e la sua famiglia aveva problemi economici, prima di partire verso l’Europa ha fatto diversi lavori: ha lavorato un anno in un ristorante in cucina, inizialmente come lavapiatti, dopo 2 mesi ha iniziato a cucinare, ha fatto il pizzaiolo, per 6 mesi ha fatto il muratore, poi ha lavorato come commesso in un negozio di vestiti e in un negozio di frutta e verdura. Il 21/09/22 è arrivato in Italia dopo aver fatto un lungo viaggio, dall’Egitto ha raggiunto la Libia, poi con la barca è arrivato in Sicilia a Ragusa, poi a Catania e infine hanno raggiunto Milano. Ad affrontare il viaggio con N. c’erano 2 ragazzi suoi amici più piccoli che sono stati accolti in una struttura in Lombardia, mentre lui è stato portato in Piemonte presso la comunità “Il Galletto” di Felizzano. Il ragazzo si è ben ambientato al nuovo contesto e ha alcuni amici, gli piace cucinare e vorrebbe poter lavorare come pizzaiolo o panettiere, il suo progetto di vita è quello di avere un lavoro e di vivere in maniera serena in Italia.
L. è un ragazzo albanese di 17 anni arrivato in Italia a Torino ad ottobre 2022. Il giovane viveva nella città di Elbasan con la sua famiglia che è composta dai genitori, il padre è in pensione mentre la madre non lavora, una sorella maggiore con figli e due fratelli maggiori. In Albania L. ha frequentato le scuole dell’obbligo e un anno di Scuola Superiore, gli piace studiare e l’andamento scolastico era positivo. Il ragazzo parla piuttosto bene l’Italiano, dice di averlo imparato al corso di Italiano Cpia che ha frequentato nei mesi scorsi ad Alessandria ma anche sentendo canzoni e guardando video nella nuova lingua. Gli piace la musica sia italiana sia straniera, come genere Rap e canzoni melodiche. L. è un ragazzo un po' timido e riservato però cambia atteggiamento quando conosce l’interlocutore, è preciso e attento alla cura della sua persona, gli piace fare palestra, ascoltare la musica uscire con gli amici e ha instaurato un buon rapporto sia con gli altri ospiti della comunità Il Galletto di Felizzano, dove è attualmente inserito, sia con gli operatori con i quali collabora per svolgere piccoli lavoretti in struttura. L. al suo paese ha lavorato come cameriere in un locale bar/ristorante, è stata un’esperienza che lo avviato al mondo del lavoro, i soldi guadagnati gli sono serviti per arrivare in Italia, il ragazzo afferma di piacergli come tipo di impiego ma preferirebbe lavorare come elettricista o cartongessista, nel campo dell’edilizia. Dimostra di avere buona volontà e buona capacità di osservazione per poi mettere in pratica le consegne date ed il lavoro da svolgere. Ha lasciato il suo paese per poter trovare in Italia una buona occupazione e spera di potersi costruire un futuro stabile.
Demetrio Crucitti è l'anima e il fondatore del Circolo del tennis Crucitti, associazione sportiva dilettantistica nata nel 1991. Demetrio Crucitti, maestro nazionale, già nel 1981 diede vita alla Scuola Tennis Crucitti con diverse sedi a Reggio Calabria.
Oggi ha concentrato tutte le attività nell'ampia sede di via Galvani, 10 nella zona sud della città.
“Abbiamo più di trent'anni di attività – racconta Demetrio Crucitti – e la nostra attenzione, con il passare del tempo si è anche focalizzata su corsi specifici di tennis e preparazione atletica anche per minori e persone diversamente abili. Il progetto è fondato sulla consapevolezza che attraverso il movimento il bambino può esplorare lo spazio, conoscere il suo corpo, comunicare e relazionarsi con gli altri; l’educazione motoria, vissuta in forma ludica e divertente, diviene dunque, l’occasione per promuovere esperienze cognitive, sociali, culturali ed affettive. La forma privilegiata di attività è costituita dal gioco, in quanto è attraverso il “giocare” che il bambino può conoscere e sperimentare, dando libero sfogo alle proprie abilità. Vengono utilizzate tutte le forme di gioco, strutturato e non, che suscitino nei bambini partecipazione, entusiasmo ed atteggiamenti di ricerca personale”.
“Ma non solo bambini, - spiega Crucitti – al Circolo vengono anche adulti e ragazzi e adesso stiamo facendo anche lezioni di padel. Ma il Circolo è anche molto attento ai diversamente abili, e abbiamo sviluppato tante attività e sono tanti i risultati positivi che abbiamo raggiunto soprattutto dal punto di vista umano.
Il Circolo Crucitti è un'occasione di crescita non solo sportiva ma anche per il lavoro e abbiamo anche molti studenti universitari che svolgono tirocinio. Siamo aperti e flessibili e disponibili ad accogliere”.
“Anche con il territorio – dice Crucitti – e con le tante realtà istituzionali e associative abbiamo sempre collaborato. Molte sono state le manifestazioni sportive e ludiche che nel corso degli anni abbiamo organizzato. Poi il Covid ci ha fermato ma adesso siamo ripartiti e siamo sempre pronti a dare spazio ai giovani per farli crescere”.
Conosco Tania presso la Pizzeria Santa Giulia, in via Pizzolpasso 1 sull’angolo del grande boulevard del quartiere. Lei e l’ex compagno portano avanti l’attività da ormai molti anni. Con grande disponibilità accetta di condividere la sua storia. Ci accomodiamo a un tavolo in sala, mi offre un caffè e inizia a raccontarsi.
Tania ha 55 anni ed è originaria del Perù. Arriva a Milano nel dicembre del 1991, inizialmente in veste di turista e con il pretesto di passare a trovare alcuni parenti materni. La mamma di Tania è originaria della zona di Cuzco nel sud del paese, <<un luogo bellissimo>> immerso nelle montagne vicino a Machu Picchu.
La scelta migratoria affonda le radici in un momento storico e sociale di grande incertezza per il Perù: terrorismo, recessione economica, carenze nell’assistenza medica, <<Pensavamo non ci fosse più futuro>> dice Tania. Sua mamma, imprenditrice di un piccolo ristorante, sulla scia delle testimonianze di chi si era trasferito all’estero la esorta a intraprendere un viaggio di piacere, per cambiare aria e fare nuove esperienze.
Quella partenza segnerà l’inizio di una nuova vita.
Tania racconta che negli anni ’90 le persone che emigravano comunicavano in patria informazioni inesatte sul tipo di mansioni che svolgevano <<Dicevano di fare gli infermieri, ma non era vero. Potevi lavorare come badante o come colf>> e tra i primi ostacoli c’era sicuramente quello linguistico. Con l’aiuto di un prestito (che ripagherà con grandi sacrifici) riesce a finanziare la partenza e arriva a Milano. Qui incontra il padre dei suoi figli e insieme si sosterranno in uno dei momenti per entrambi più impegnativi. A telecamere spente Tania si commuove e ricorda che nello smarrimento e nella solitudine di quel periodo, ciascuno si è preso cura delle ferite e delle paure dell’altro, con impegno e grande dolcezza. Oggi la loro relazione coniugale si è interrotta ma condividono la gestione del locale in cui lavorano.
Lavorativamente l’Italia le ha dato tantissimo e lo preciserà molte volte durante il nostro dialogo, << Ho incontrato persone eccellenti>> dice. Inizia come badante in una famiglia che ricorda con affettuosa gratitudine per l’onestà e la disponibilità che le hanno sempre dimostrato, << Ho ringraziato questo paese per questo>>. Si lega moltissimo alla famiglia e vi lavora fino al 1997. Mi racconta che non era abituata, nel suo paese, a incontrare molte persone anziane. Dal signore che seguiva ha imparato moltissimo, anche a cucinare. A casa sua, in Perù, era la mamma con il suo locale a occuparsi della cucina. Tania sorride, non pensava sarebbe mai approdata al mondo della ristorazione, dice, seduta al tavolo del suo ristorante.
Nel 1998, con la dipartita dell’anziano signore e l’inizio di una crisi economica anche in Italia, Tania cerca altri impieghi nel settore delle pulizie, nelle zone centrali della città. Ricorda con affetto e gratitudine anche quel periodo, perché ha potuto apprendere molte competenze, stare accanto ai suoi figli e sostenere economicamente i bisogni della sua famiglia. Per Tania è fondamentale imparare ad amare ciò che si fa, qualunque sia il proprio mestiere.
Un giorno l’ex compagno, che aveva sempre lavorato nel mondo della ristorazione, decide di acquistare il negozio in cui ci troviamo. È il 2011 quando entrano dentro la Pizzeria Santa Giulia. A telecamere spente e con un filo di voce, Tania mi confida che si tratta di un periodo delicato, complesso. Ricorda intorno a lei un’atmosfera affaticata, la stessa che aveva vissuto sua mamma anni prima, a causa delle incombenze finanziarie e dello stress per la gestione dell’attività. Da queste sfide, tuttavia, Tania rielabora un bagaglio di significati e consapevolezze preziosi per la sua vita lavorativa e familiare. Riconosce l’importanza di costruire confini equilibrati tra le sfere della propria vita così come relazioni autentiche e di sostanza con i propri figli.
Il quartiere di Santa Giulia era all’epoca un contesto molto diverso. Alcuni locali del boulevard erano già presenti, come il Carpe Diem, ma la maggior parte delle costruzioni presenti oggi erano ancora disabitate. È sempre stato un contesto tranquillo, vivo senza essere troppo caotico. Erano soprattutto gli abitanti a riempire i dehors dei locali; ora la composizione dell’ambiente si sta via via trasformando dopo l’insediamento di alcune grandi aziende. Gli abitanti appartengono per lo più alle classi molto benestanti. Ci sono progetti futuri interessanti, come la costruzione del Palaitalia Santa Giulia, e altri – quali l’apertura di una mensa per i dipendenti delle aziende - che potrebbero minare l’equilibrio attuale di attività come la sua. Ciò nonostante ne riconosce l’utilità e ritiene importante sapersi adattare con flessibilità alle nuove tendenze.
Secondo Tania le principali necessità del quartiere sono la mancanza di palestre, piscine, biblioteche, bancomat, sedi della posta, macchinette per pagare il parcheggio e una maggiore disponibilità di supermercati. Lei non è una frequentatrice assidua dei servizi circostanti, il suo svago principale è andare in gelateria. Ritiene però che vi sia una saturazione di proposte alimentari o legate alla ristorazione.
In passato Tania sente di aver esperito un maggiore senso di comunità intorno a lei: le persone erano più disponibili ad aiutarsi, più fedeli alle promesse fatte, più sincere e più cordiali. Oggi, secondo lei, dilagano tra la gente maggiori fragilità e più pessimismo.
Accanto alla fatica c’è anche grande soddisfazione per i traguardi raggiunti e le gioie vissute durante la sua esperienza a Milano, <<abbiamo vissuto degli anni bellissimi>>.
Per il suo personale futuro Tania desidererebbe fare ritorno un giorno nel suo paese, ma aggiunge << se lasciassi l’Italia, lascerei più dell’ottanta percento del mio cuore>>. Tornare in Perù significherebbe viaggiare, esplorare tutti quei luoghi che non ha ancora avuto la possibilità di conoscere. Le piacerebbe aprire un B&B nella vecchia casa di inizio secolo a Cuzco ereditata dalla mamma, e coltivare finalmente le sementi che le ha lasciato. Vorrebbe recuperare anche quei terreni vicino a Machu Picchu, una ricchezza oggi più che mai insostituibile. Ma tutti questi sogni hanno un sapore altruistico, relazionale: le piacerebbe aprire le porte ai ragazzi, agli studenti, alle persone di tutto il mondo. Accogliere e prendersi cura di chi è da solo, com’è accaduto a lei 30 anni fa quando è arrivata a Milano: <<mi piace aiutare, non eclatantemente però se posso darti un po’ di calore così che tu non ti senta solo...perché no>>. C’è anche un omaggio all’Italia nei suoi sogni: trasmettere l’arte della pasta fatta in casa anche in Perù, insegnare e condividere il piacere per un buon piatto di tortellini e di ravioli.
I semi della mamma, l’apertura di un co-housing solidale, l’esportazione dell’amore per la pasta fatta in casa: forse non sono solo una riconnessione con le origini ma, simbolicamente, anche la restituzione di un dono ricevuto affinché fiorisca per altri. Un gesto gentile e solare, proprio come Tania.
Francesco vive nel quartiere Madonna di Campagna da molti anni, è una persona molto aperta e curiosa, infatti ha molte passioni. Il lavoro manuale è una di queste e le esperienze lavorative gli hanno permesso di acquisire molte delle competenze che oggi utilizza, per aggiustare gli oggetti che si rompono. È infatti un elettromeccanico, con esperienze nel campo edile, soprattutto nella decorazione. Abilità che è disposto a trasmettere.
Francesco è estremamente attivo e socievole e soprattutto disponibile ad affrontare nuove esperienze. Sensibile alle tematiche ambientali e sociali, porta idee e progettualità che condivide con i partecipanti alle co-progettazioni.
Mi chiamo Mohamed e sono Senegalese. O meglio, “Senegaliano”, siccome vivo da ventidue anni in Italia. Non sono più il giovane che ha lasciato l’Africa, né tantomeno sono Italiano. Mi considero un ponte. Quel ponte è uno strumento da attraversare e prepararsi a quel viaggio significa che ciascuna delle parti vada ad acquisire la consapevolezza di sé.
E’ un momento travagliato, in cui le culture sembrano scomparire, per mettere al centro ciò che ci unisce: il potere d’acquisto. E quando è l’avere che condiziona l’essere, CHI NON HA NON E’, né può pretendere di esistere. Il risultato è che pochi hanno tanto e tanti hanno niente e chi non ha niente crede che la terra promessa sia altrove, oltre il deserto, oltre il mare. Poi, arrivati a Milano, ci si scontra con gli ultimi della catena sociale, gli esodati, i “cassa disintegrati”, quegli ultimi che vedono i propri diritti mortificati. E invece di porvi rimedio, questo conflitto sociale viene alimentato e la diversità etnico culturale diventa fonte di insicurezza.
Io ho scelto di non parlare di me, ma di ciò che mi consente di rivendicare la mia “africanità”, ripescando quei valori condivisi da tutti gli stati negro africani in epoca precoloniale: un invito a cambiare di prospettiva ed allontanarsi dall’etnocentrismo. Fin dal tempo delle esplorazioni, non si è mai dato credito al pensiero delle popolazioni, ma ci si è affidati al pensiero degli africanisti, dei sociologi, degli storici, dei ricercatori, senza mai davvero aprire le menti ed ascoltare il grido del cuore della popolazione negro africana. L’Africa è passata dalla schiavitù, alla schiavitù degli aiuti. Siamo dovuti scendere a patti con la nostra memoria, superare ciò che avrebbe potuto portarci ad avere un giudizio negativo della popolazione occidentale. Non siamo stati noi ad accorciare le distanze tra continenti ed imporre i nostri stili di vita, la nostra lingua, la nostra religione. Abbiamo subito. E nonostante ciò, vedo in voi delle amiche, delle sorelle, perché siamo scesi a patti con la nostra memoria, non abbiamo cercato di riscrivere la storia: la storia è quello che fu. Ma ci è stato detto di fare lo sforzo di analizzare quella storia, capirla, coglierne gli insegnamenti per evitare gli errori del passato. Ecco perché è necessario darci il nostro spazio nel panorama sociale, culturale e religioso.
Non vi è mai una cultura esclusiva: ogni cultura è figlia di micro sottoculture. La maggior parte di quegli usi viene da terre lontane. Oggi abbiamo un dovere nei confronti delle generazioni future. Quando ci sarà chiesto: “cosa avete fatto”? Io potrò dire che ho allestito questa mostra di maschere africane per raccontare ai cittadini italiani l’organizzazione sociale, culturale e religiosa della cultura negro africana prima del congresso di Berlino. L’Africa è un continente molto ricco, con molte materie prime, giovane. Ma dei venti paesi più poveri, diciotto sono africani. Miliardi vengono stanziati all’Africa dall’Europa come forma di aiuto, eppure ogni giorno barconi di migranti africani sbarcano sulle coste. Forse dovremmo chiederci che fine fanno i soldi che versiamo nelle casse di quei governi, se i giovani continuano a migrare.
Non bisogna avere paura del diverso perché, al peggio, nell’incontro con il diverso rimarrò semplicemente me stesso. Il diverso oggi fa paura perché vi è meno la consapevolezza di chi si è. Quello che si è nella vita non è motivo di orgoglio, né di vergogna, perché è legato alla fatalità del caso. Invece quello che si diventa lo è. Io non ho scelto di essere Senegalese: il caso ha fatto di me un Senegalese. Così Mario Rossi non ha scelto i suoi genitori, il suo nome, dove nascere. La stessa fatalità che ha fatto di lui un Italiano, ha fatto di me un Senegalese. Ma allestire la mostra è merito mio. Dobbiamo premiare il merito. Non è una dannazione essere Africano: il valore umano va al di là del passaporto. Non voglio essere giudicato perché Senegalese, ma sulla base di quello che faccio nella mia quotidianità. Se non viene dato a ciascuno lo spazio per raccontarsi e farsi vedere per chi si è, allora si crea il luogo comune, serbatoio di pregiudizi, soprusi, indifferenza. Allora mi conviene costruire una barriera che mi impedisca di vederti. E per abbattere questo muro mentale c’è un solo strumento: la cultura.
Il problema è politico. Quando si è capo casa, tutti quelli che abitano in quella casa sono figli tuoi. L’ideale sarebbe aprire il salotto ed ascoltarli. Perché i retaggi culturali ci hanno portati a pensare in chiave coloniale, il paternalismo dei “poverini”. Ma anche il povero ha un pensiero: se non ci si mette nelle condizioni di portare anche noi quello che siamo e che ci siamo portati dentro, dall’Africa, allora c’è un problema. Il punto è andare al di là, perché non sono ciò che gli altri vedono guardandomi da lontano. Le parole hanno un senso. Ci si è sempre limitati a sentire gli altri: è giunto il momento di ascoltarli. Ne abbiamo di cose da dire.
La diversità non è un reato: dobbiamo passare da società multiculturali a società interculturali, perché gli esseri umani non si integrano, ma interagiscono e trovano un punto di equilibrio. La via dell’interculturalità non è quella che passa da casa mia, né quella che passa da casa tua, ma si trova all’incrocio tra le due strade, dove piantare una tenda, sederci, bere del tè: unirci attorno a ciò che ci accomuna.
Spiegare chi sei è un dovere morale, perché il territorio che ti accoglie ti dà la possibilità, consegnandoti quel documento, di riconoscerti parte di quella società, ti dice che tu esisti come persona … ma a quale condizione. Ognuno di noi è portatore di valori, di culture e tradizioni che non sono necessariamente quelle di chi ti accoglie. Eppure, non possiamo rimanere perennemente imbavagliati nel nome dell’integrazione.
Ripeto, ciò che si è non è motivo di vergogna o orgoglio, ma ciò che si diventa si. Essere Senegalese è un dato di fatto, lo vedi dai tratti somatici. Ma il pensiero è rimasto tale e quale? Sono ancora rimasto incastrato nelle capanne del villaggio, oppure sono diventato parte della metropoli? Come si fa a saperlo? Mettendomi nelle condizioni di condividere chi sono e da dove vengo.
Io sono figlio di mio nonno, perché oltre a mia mamma e mia zia aveva un solo figlio maschio, che è morto in Francia nella seconda guerra mondiale. Io sono nato poco dopo e mi è stato dato il suo stesso nome: Mohamed. Per questo da bambino avevo il dovere di stare seduto un paio d’ore ogni sera a sentire il nonno raccontare delle maschere.
Il tempo passato in un luogo ti trasforma, anche se non se ne ha visione immediata. In Italia, vivendo da solo, ho imparato a fare tutto a casa: cucinare, lavare, stirare … Quando sono tornato a casa per la prima volta, ho voluto fare un gesto d’affetto per mia mamma, che tanto mi aveva dato. Infatti, ho sempre visto mia mamma faticare per inventarsi dei piatti per sfamarci ed il primo desiderio una volta rientrato a casa è stato quindi di cucinare per lei. Ricordo infatti che quando tornavo a casa da scuola trovavo mia mamma sotto un albero, la pentola sul fuoco e l’acqua che bolliva.
Così ho detto: “Mamma, è arrivato il momento di mostrarti la mia gratitudine”
“Mi hai portato una parrucca ? ”
“No, oggi cucino io per te ”
“Ma sei matto, mi fai vergognare! Cosa diranno i vicini?! ”
Ho insistito, così mia mamma mi ha chiuso in cucina per paura mi vedessero. Faceva un caldo tremendo …. Poi si è affacciata alla finestra per chiedermi cosa preparassi ed ho risposto “Spaghetti al cartoccio: un piatto italiano, vedrai mamma …” Mia mamma è scoppiata a ridere ed ha chiamato mia sorella: “Cosa cucini Mohamed?” “Spaghetti al cartoccio, vedrai …” Anche mia sorella è scoppiata a ridere ed è andata a chiamare le sue amiche. Stupito, ho chiesto: “Ma perché ridete?” “Perché non sappiamo che hai nelle mani, perché quando parli fai così” (gesti) …. Lì mi sono accorto di essermi italianizzato, senza che me ne fossi reso conto.
Dobbiamo essere forti e dire con leggerezza le cose drammatiche e drammatizzare le cose leggere, perché nella storia le nefandezze più brutte hanno sempre avuto basi legali. Ma non tutto quello che è legale è giusto, mentre tutto quello che è giusto dovrebbe essere legale. Quando la sera vado a letto mi pongo queste domande: cosa ho fatto oggi che non avrei dovuto fare e cosa avrei dovuto fare che non ho fatto e come lo ho fatto. E’ fondamentale porsi quelle domande che portano a non vivere con la sufficienza di quanto fai, altrimenti ti siedi sul divano ed è molto grave. Dobbiamo bandire la ragione della forza e far prevalere la forza della ragione. Abbiamo dei maestri che ci hanno lasciato in eredità messaggi di pace e amore, ma, ahimè, le cose non sembrano molto migliorate e, nonostante i maestri, la tendenza a compiere il male sembra spesso avere la meglio. Il mio sogno è quello di vedere l’umanità unirsi attorno a ciò che la accomuna: la stessa appartenenza al genere umano. Non so se il mio sogno potrà mai essere realtà, ma, se ci dovessimo riuscire, non assisteremmo più a lacerazioni, nessuno si sentirebbe più al centro del mondo ma parte di un tutto che è la famiglia umana. Non è difficile, in fondo cosa siamo noi se non un vecchio spermatozoo ed un futuro cadavere. Questo siamo, non vale la pena vivere questo dramma umano. Il passaggio è talmente breve in questa vita che è meglio vivere attimo dopo attimo, senza rimpianti.
SG Runners si costituisce nel 2016, quando un gruppo di amici decide di trovarsi alle 5.30 del mattino per andare a correre. Oggi il gruppo conta una quarantina di persone che si ritrovano in diversi orari della giornata, a seconda degli impegni degli uni e degli altri, per andare a correre (vi sono gruppi mattutini, pomeridiani e serali). Nei weekend generalmente ci si ritrova per correre qualche kilometro in più dei cinque- sei kilometri abituali.
Diversi sono i circuiti utilizzati: il Parco Trapezio è ideale per chi inizia a correre, mentre San Donato è anche un luogo adatto alla corsa in ragione del verde e del poco traffico. Nei weekend invece spesso si corre da Rogoredo fino a Piazza Duomo, dove ci si scatta un selfie. L'importante è correre in compagnia, perché in gruppo ci si motiva e si è più sicuri, ognuno secondo le proprie facoltà. L’auspicio sarebbe la creazione di un circuito permanente che consenta di correre in sicurezza e che unisca i diversi quartieri di Merezzate, Santa Giulia e Rogoredo.
Nel vedere lo spazio condiviso di Merezzate, il 'Living', il desiderio è che possa essere un luogo di incontro per le moltissime associazioni di quartiere che spesso hanno difficoltà a trovare degli spazi per incontrarsi.
Rispetto all’idea di comunità, secondo Roberto e Oscar è più facile sentirsi parte di un gruppo quando si condividono gli stessi interessi. La sfida quindi è quella di aprirsi agli altri ed accogliere le diversità, perché la comunità sia accogliente ed inclusiva.
Il WeMi Piazzetta apre nel gennaio 2019 presso la sede della Cooperativa La Strada a Corvetto. L’avvento del Covid ad un anno dalla sua apertura ha fatto sì che lo spazio WeMi abbia fin da subito messo in campo delle iniziative a sostegno dei cittadini più vulnerabili, facendo rete con i servizi economici ed i banchi alimentari.
L’obiettivo dei diversi Sportelli WeMi attivi nel territorio milanese è quello di fornire un servizio di prossimità al cittadino, individuandone i bisogni e, laddove necessario, orientandolo ai diversi servizi del territorio. A tal proposito il WeMi può contare su di una ricca rete di enti con cui collabora, anche in virtù della presenza storica della Cooperativa La Strada sul territorio. I motivi per cui un cittadino può rivolgersi allo Sportello WeMi sono dei più svariati: dall’orientamento alle misure di sostegno al reddito, dal supporto per le pratiche Inps all’orientamento per gli asili nido ed i centri estivi per i ragazzi, fino al supporto per le prenotazioni mediche. Il servizio WeMi si rivolge quindi anche a quei cittadini con poche competenze digitali o con difficoltà linguistiche che qui trovano degli operatori in grado di supportarli nelle diverse pratiche, ma non solo. Vi sono una serie di servizi a prezzo calmierato, come l’attività di doposcuola per ragazzi con disturbi specifici dell’apprendimento DSA.
Per poter usufruire del servizio, è possibile contattare il WeMi online, per via telefonica o semplicemente recandosi di persona allo sportello. E’ anche possibile prenotare tramite lo 02.02.02.
Il WeMi ha al suo interno uno spazio dedicato a chi sta cercando lavoro, sia offrendo la possibilità di usufruire del PC per una ricerca in autonomia, sia con un supporto nella stesura del CV e nella ricerca attiva. Nel caso in cui la persona necessitasse di una presa in carico più corposa, verrà piuttosto orientata al Centro per il Lavoro accreditato presso la regione Lombardia e gestito sempre dalla Cooperativa La Strada.
Quando una persona si rivolge al Centro per il Lavoro, per prima cosa si cercherà di capire quanto essa sia distante dal mondo del lavoro e fare un bilancio delle sue competenze- spiega Cristina, referente di WeMi e del Centro per i Servizi al Lavoro della Cooperativa La Strada. Si proporranno quindi dei percorsi mirati, che possono variare dall’accompagnamento nella scrittura del cv e dalla simulazione di colloqui, all’attivazione di tirocini formativi ed alla ricerca di corsi di formazione, di cui alcuni completamente gratuiti. Al Centro per il Lavoro si rivolgono sia Italiani che stranieri, molti giovani ed in prevalenza donne rispetto agli uomini.
Rispetto alle politiche attive per il lavoro, in questo momento è attiva la politica GOAL – Garanzia Occupabilità al Lavoro - che offre alle persone che vogliono inserirsi nel mondo del lavoro consulenze gratuite e possibilità di tirocini, anche se l’iter è complesso e molto burocratizzato. Vi sono poi diverse progettualità, come iniziative rivolte a donne in difficoltà o ai giovani in dispersione scolastica. L’auspicio è quindi uno snellimento della burocrazia e maggiori azioni ad hoc a supporto dei giovani.
La Cooperativa La Strada opera da quarant’anni nel quartiere di Corvetto ed è una realtà ben radicata sul territorio. Attualmente la sede è una vecchia scuola e chi è cresciuto qui ricorda di quando frequentava questa scuola. Il quartiere di Corvetto è molto presidiato dal terzo settore in quanto zona di case popolari e con alcune criticità, motivo per cui risulta fondamentale perseguire l’inclusione e la coesione sociale.
La Rivista Africa nasce cento anni fa - centouno per la precisione- nel solco dell’editoria missionaria. Per lungo tempo è stata gestita dai missionari di Padre Bianchi fino a quando, sette anni fa, è stata rilevata dall’editore Internationalia Srl, una piccola impresa fondata da giornalisti appassionati di Africa.
Marco è il Direttore della rivista e si occupa del continente africano da quando aveva diciassette anni. Da giovane ha lavorato come giornalista per Radio Popolare e come Freelance, fino a quando è approdato nella Rivista Africa oltre quindici anni fa, lavoro che gli ha permesso di conciliare il suo mestiere con la passione per l’Africa. Oltre al periodico, la rivista offre diverse opportunità di approfondimenti tematici, attraverso l’organizzazione di webinar, seminari, corsi di formazione e viaggi, sempre con il fine di colmare il vuoto informativo legato al continente.
Infatti, nella narrazione comune il continente africano è spesso sinonimo di guerre e crisi umanitarie. La Rivista Africa si ripropone quindi di raccontare l’Africa come continente giovane, vitale e dalla grande ricchezza culturale (non una sola Africa ma cento Afriche, come titola la rassegna annuale della rivista). C’è quindi una grande curiosità nel voler scoprire il continente al di là dei cliché, degli stereotipi, della paura del diverso e della narrazione della ‘grande invasione’ portata avanti da alcuni politici. Nel fare questo, la rivista non ha sicuramente l’ambizione di farsi portavoce del continente o di rappresentarlo, correndo il rischio di una rappresentazione eurocentrica, ma piuttosto di fornire dei megafoni perché siano le voci degli africani stessi a raccontarsi.
La redazione della rivista si trova nella periferia di Milano, tra Corvetto e Porto di Mare, dove è ospite del Centro Internazionale di Quartiere. Quando si è dovuto scegliere la sede operativa quattro anni fa e diverse erano le opzioni al vaglio, in molti avevano sconsigliato il quartiere di Porto di Mare in ragione del degrado. La rivista ha però voluto cogliere la sfida e venire in periferia e il quartiere si è poi rivelato un posto ricco di giovani talenti con la voglia di mettersi in gioco. Oggi il Centro rappresenta un vero presidio culturale, avendo restituito alla cittadinanza uno spazio sottratto alla criminalità e poi riempito di contenuti, iniziative e vitalità. La Rivista Africa dà il proprio contributo all’animazione del Centro con l’organizzazione di eventi e manifestazioni in tema africano. Tra queste manifestazioni, sicuramente di rilievo è la rassegna delle Cento Afriche, una ‘tre giorni’ di concerti, laboratori, presentazioni di libri, dibattiti, mostre fotografiche e sfilate di moda completamente gratuiti, organizzati dalla Rivista Africa e dalle diverse realtà associative che si occupano del continente.
L’auspicio è quello di continuare a crescere nonostante sia un momento difficile per l’editoria in generale, in quanto i costi della rivista ad oggi sono coperti principalmente dagli abbonamenti di chi è appassionato e continua a mostrare fiducia nel lavoro della rivista.
Sergio è il presidente del Consorzio Morsenchio, ente gestore del mercato coperto, e di Assofood, un’associazione agroalimentare di Confcommercio che rappresenta i mercati comunali e gli alimentaristi di Milano in generale.
Sergio vive in Brianza, gli piacciono infatti la quiete e la natura, ma lavora nel mercato da trentatré anni, anche se lo frequentava già da prima essendo stato suo nonno fruttivendolo qui. Negli anni novanta la situazione era molto diversa: i mercati comunali avevano ancora una funzione calmieratrice dei prezzi per cui al loro interno ospitavano due negozi per tipologia, in modo da assicurare la concorrenza e garantire la continuità del servizio durante le festività. Oggi la situazione commerciale è di molto cambiata e non ha più senso avere dei doppioni all’interno del mercato. La funzione stessa del mercato è cambiata: da calmieratrice di prezzi, a presidio sociale. Di fronte alla concorrenza della grande distribuzione, i mercati oggi sopravvivono se riescono a sviluppare una relazione di vicinato con gli abitanti, unendo alla vendita e alla ristorazione spazi per la socializzazione e mantenendo un forte legame con il territorio ed il quartiere. In questo è importante anche sapersi adattare alla vita di quartiere. Il mercato Morsenchio, ad esempio, apre la mattina prima dell’inizio delle scuole, per venire incontro alle esigenze delle famiglie che qui passano per comprare la merenda o gli articoli di cartoleria. E' poi popolato dagli anziani del quartiere che si ritrovano la mattina a prendere un caffè e dagli impiegati che comprano il pranzo e chiude dopo pranzo quando il quartiere ‘va a dormire’, per poi riaprire nel pomeriggio.
Fondamentale al suo rilancio è stata la ristrutturazione che ha interessato il mercato, i cui costi sono stati interamente a carico degli operatori. Oltre ad aver adeguato la struttura alle norme antisismiche e anti incendio vigenti ed aver aggiunto delle modernizzazioni che lo rendono più fruibile - come la climatizzazione - la ristrutturazione ha creato degli spazi liberi con tavolini e sedie per poter consumare in loco o semplicemente sedersi a chiacchierare. In questo, il mercato rappresenta l’unico spazio di aggregazione libero in quartiere ed ospita il Comitato di Quartiere che qui si incontra e fa le sue riunioni. Prima del Covid, il mercato organizzava ogni mese delle serate a tema, ad accesso libero su prenotazione, serate che portavano molte persone al mercato in dei veri e propri momenti di festa e aggregazione.
Rispetto al quartiere, Sergio apprezza che sia ben servito dai mezzi e la dimensione di paese. Le olimpiadi porteranno delle novità, come il Palazzetto del Ghiaccio, che Sergio auspica siano fruibili anche dopo l’evento sportivo. L’auspicio per il futuro è quello di continuare a lavorare ed avere il riscontro che hanno, adattandosi alla città in continua evoluzione.
Artàporter nasce da un’agenzia di comunicazione e marketing, quando un gruppo di artisti ha deciso di rilevare la problematica del poco spazio occupato dall’arte nel nostro quotidiano. Artàporter è quindi un progetto di arte diffusa, in grado di valorizzare spazi che hanno bisogno di bellezza e artisti che hanno bisogno di spazi. Per vocazione quindi, Artàporter predilige i luoghi periferici e i luoghi del quotidiano, come bar, ristoranti, fiorai, edicole e negozi di ogni genere, che diventano spazi espositivi o 'micro galleries'. Il progetto, nato a Torino, oggi è cresciuto estendendosi a città come Roma e Milano e a borghi del Piemonte e della Liguria, con oltre cinquecento artisti e trecentocinquanta micro galleries in tutta Italia.
Artàporter è una start up che ripensa gli stereotipi dell’arte, che da ‘elitaria ‘, come viene comunemente percepita, diventa accessibile ed invade i luoghi comuni e decentrati. In una città come Milano ad esempio, in cui l’arte è molto presente, la sfida è stata portarla nelle periferie e nella provincia, dove Artàporter ha trovato terreno fertile con molta voglia di fare ed ampli spazi, perché anche chi vive in periferia merita bellezza. Di particolare successo è stata la rassegna Diffusissima Unfair che ha avuto luogo a Marzo 2023 a Milano che ha coinvolto una quarantina di location in tutta la città.
Per partecipare al progetto, come artista o come espositore, basta collegarsi sul sito di Artàporter e fare domanda nella sezione ‘onboarding’. Per degli eventi più ad hoc, vengono pubblicate anche delle ‘call for artist’ a cui è possibile fare domanda sempre tramite la sezione dedicata sul sito. Ogni due mesi le opere cambiano di location per dare la possibilità alle persone di incontrare sempre artisti nuovi. Accanto alle opere viene posizionato un QR code per cui chiunque fosse interessato può acquistare l’opera che mantiene dei prezzi accessibili con una media di trecento- quattrocento euro. Artàporter è un’arte a portata di mano quindi anche perché fruibile ed acquistabile immediatamente.
Per il futuro la start up conta portare, oltre alle arti visive, anche performance dal vivo, come teatro, ballo, musica e danza, con delle vere e proprie 'art competitions'. La raccomandazione quindi è di continuare a seguire e sostenere il progetto.
Flo ha fatto la scuola per parrucchieri ed ha iniziato a lavorare come parrucchiera fin dalla terza superiore. E’ sempre vissuta in Viale Ungheria, posto che definisce vivace, accogliente e con molti giovani.
“Casa mia è qui”, afferma. Qui infatti è andata a scuola ed è cresciuta, e molti sono i ricordi di quando era piccola: primo tra tutti, quando sua mamma la portava al Mercato per la merenda pomeridiana. Adesso che ha un bambino di due anni, vorrebbe che crescesse come è cresciuta lei: in una zona tranquilla, dove le persone si conoscono, dove i bambini possono giocare al parchetto. Qui Flo ha anche la sua rete di supporto, che le permette, in caso di imprevisti, di aver qualcuno su cui fare affidamento per andare a prendere il bimbo a scuola.
Il quartiere ha tutto l’essenziale: le scuole, il verde, il supermercato, la farmacia … e poi ovviamente c’è il mercato coperto con fruttivendolo, cartoleria, pescheria, macelleria, polleria, panetteria, lavanderia, parrucchiere, bar ed anche un polivendolo. Il mercato è un luogo di incontro e socializzazione: per gli anziani, che possono trovare tutti i beni di prima necessità e passare del tempo ai tavolini, chiacchierare …. Ma anche per i bambini, che vengono a far merenda e comprare giochi in cartoleria, e per i giovani, che possono sedersi per un aperitivo. Anche se il luogo preferito dai giovani rimane la Promenade di Santa Giulia. Il mercato è quindi un luogo di aggregazione per tutte le età.
Per Flo comunità significa innanzitutto aiutarsi nelle difficoltà, ed a questo proposito il mercato è il cuore della comunità di Viale Ungheria, un luogo di incontro molto bello. Per il futuro Flo vorrebbe una gelateria ed un posto dove poter fare ginnastica o dei corsi di danza, in più dei campi da calcio che già esistono e della vicina piscina. L’auspicio più grande però è che il quartiere, e soprattutto il mercato, rimanga così com’è, un posto tranquillo dove far crescere i figli. Per sé, l’augurio è quello di aprire un giorno un negozio di sua proprietà, sempre in Viale Ungheria.
La StraRogoredo Santa Giulia riprende una corsa che veniva organizzata negli anni settanta dall’oratorio di Rogoredo. La corsa si svolgeva prevalentemente nel quartiere della vecchia Rogoredo, occupando anche gli spazi che poi sono stati ‘inghiottiti’ dallo snodo della tangenziale. L’evento è poi stato sospeso fino al 2018, quando è rinato nel suo nuovo formato che percorre i quartieri di Rogoredo, Santa Giulia e, recentemente, il nuovo quartiere di Merezzate.
Si tratta di una corsa non competitiva, in cui partecipano corridori ma anche famiglie con bambini, che diventa quindi un’occasione di festa e aggregazione tra i quartieri. Gli abitanti vogliono molto bene a questa manifestazione, come testimonia la grande partecipazione di iscritti - circa seicento a manifestazione - sponsor e organizzazioni locali. L’organizzazione della manifestazione sportiva unisce infatti tutte le realtà locali: dai comitati di quartiere, alle scuole, i commerci, le organizzazioni e l’oratorio. Il percorso si snoda lungo cinque kilometri e richiede la partecipazione di oltre venti volontari per la messa in sicurezza del percorso. La corsa si svolge infatti tra le strade della città ed è in questo anche un’occasione per scoprire scorci e spazi nuovi del quartiere che non percorriamo nella nostra quotidianità.
Nonostante ci siano altre iniziative trasversali ai quartieri, come quella di Tessere Legami che rappresenta un tavolo di confronto tra tutte le associazioni locali volto alla definizione di un calendario condiviso ed alla nascita di idee progettuali, la StraRogoredo Santa Giulia ha il merito di far lavorare concretamente le associazioni ad un’iniziativa comune, ed in questo l’entusiasmo di lavorare assieme è stato grande.
La partecipazione di sponsor locali permette, oltre all’organizzazione dell’evento in sé, di raccogliere dei fondi che vengono reinvestiti totalmente sul territorio, con l’assegnazione di premi alle scuole e, presto, con eventi comuni ai tre quartieri dal brand “StraRogoredo Santa Giulia”.
Il quartiere di Santa Giulia nasce sotto lo slogan “La città nella città”: il progetto edilizio era quindi quello di un quartiere autonomo, una città nella città appunto. Ad oggi il progetto iniziale non è ancora stato completato ed il quartiere si scopre privo di alcuni servizi essenziali nonché di attività sociali presenti invece a Rogoredo, fattore che ha contribuito all’avvicinamento dei due quartieri.
L’auspicio è poi che si riesca a costruire un percorso permanente che attraversi i quartieri e permetta di correre in sicurezza, favorendo momenti di incontro e rafforzando il sentimento di appartenenza. Da genitori, Roberto e Oscar auspicano anche degli spazi che permettano ai giovani dai dodici anni in su di socializzare, coinvolgendoli in attività in cui si ritrovino e di cui si facciano loro stessi promotori.
Originaria di Treviso, Elisabetta è arrivata a Milano negli anni ottanta seguendo un sogno: quello di diventare teatrante. Appassionata del teatro di animazione per ragazzi, del teatro di figura e del teatro con burattini, Elisabetta ha seguito la scuola di animazione teatrale del Piccolo Teatro e poi del Teatro Verdi.
Come spesso però succede, la vita l’ha portata su di un binario inaspettato. Diplomata alle magistrali, Elisabetta faceva l’insegnante per potersi mantenere ed aveva fatto domanda per insegnare all’estero. Così nell’ottantasei è arrivata la chiamata per andare ad insegnare in una scuola elementare ad Asmara, in Eritrea, dove è rimasta per sei anni. Di ritorno in Italia dopo l’esperienza all’estero, il rientro è stato inizialmente difficile, rimaneva il desiderio di partire nuovamente. D’altronde a vent’anni si pensa di poter cambiare il mondo. Quando il preside della scuola di Corvetto dove lavorava le ha proposto di diventare insegnante facilitatrice per nomadi stranieri, si è presentata l’occasione di mettere in valore l’esperienza maturata all’estero ed Elisabetta ha svolto questo ruolo per sei anni. L’esperienza in Eritrea è oramai lontana, ma di quegli anni Elisabetta ha fatto tesoro della consapevolezza di sentirsi in prima persona uno straniero e di doversi integrare in un paese che non è il proprio. Questa sensibilità e l’attenzione alla diversità, Elisabetta l’ha portata nel suo lavoro con gli alunni stranieri in Italia.
Elisabetta lavora oggi alle scuole elementari di Rogoredo, da diversi anni. Di quando è arrivata a Rogoredo ricorda il forte senso di collaborazione che si è venuto subito a creare con il comitato genitori e la vivacità della scuola, elementi che l’hanno portata ad investirsi nelle attività delle associazioni di quartiere in più di quelle scolastiche. Il quartiere è stato quindi accogliente ed inclusivo, terreno fertile per chi avesse voglia di mettersi in gioco. E’ quindi con dispiacere che Elisabetta constata che oggi le famiglie sono più chiuse, minore è la voglia di partecipare e sentirsi parte di un progetto comune, ed è più difficile riuscire a coinvolgere le persone. In questo pensa che la scuola sia lo specchio della società di oggi.
La comunità ideale per Elisabetta dovrebbe essere aperta, collaborativa ed inclusiva. Guardando lo spazio comune di Merezzate, Elisabetta immagina uno spazio di animazione continuo, oltre che un luogo per feste e momenti di socializzazione.
Il Centro Internazionale di Quartiere nasce nel 2018. Il Centro dispone di una sala cinema, una sala concerti, una biblioteca, un giardino, un ristorante … tutti spazi polifunzionali che possono essere utilizzati per diverse attività. “Una volta creato il contenitore, ci vogliono poi i contenuti” – dice Modou, tra i fondatori del Centro. Così il C.I.Q. si è arricchito di corsi di Italiano, Inglese, musica, danza, teatro, laboratori per bambini, conferenze e presentazione di libri, rassegne musicali, eventi …
Prima di arrivare qui a Porto di Mare l’Associazione Sunugal disponeva di un piccolo spazio alla Fabbrica del Vapore. Quando poi il Comune ha aperto il bando per la rivalorizzazione della Cascina Casottello, dove si trova oggi il C.I.Q., l’Associazione ha presentato la sua proposta culturale ed ha ottenuto l’assegnazione dello spazio. In molti avevano sconsigliato Modou di trasferirsi qui, in ragione del degrado del quartiere. “Ma la cultura si può fare anche dentro al Bronx” e l’ostinazione di Modou ha ripagato, in quanto il Centro ha ospitato negli anni moltissime rassegne musicali - dal jazz al blues, rock, punk, afrobeat - e eventi di successo, quali il Festival Do Re Mi Fa Sud, che è oggi alla sua sesta edizione e vede la partecipazione di molti artisti stranieri e del Nord e Sud Italia.
In questi cinque anni il quartiere è cambiato molto grazie anche agli sforzi del Comune di Milano e oggi è un luogo pulito e ordinato. In particolare Modou apprezza le persone che lo popolano ed i negozi di quartiere, come il bar, il tabacchi, il ferramenta, il rivenditore indiano, il negozio marocchino, il mercato. E’ fondamentale che l’offerta culturale non si concentri nel centro città ma sia decentralizzata, in quanto anche gli abitanti delle periferie meritano arte, relazioni e cultura, e che il turista in visita a Milano non si limiti a Piazza Duomo ma venga anche qui, perché la periferia è viva e non deve essere abbandonata a se stessa, in quanto il degrado culturale nasce dallo stato di abbandono.
Il Centro si ripropone di essere quindi un luogo di cultura accessibile a tutti, nella sua semplicità. A tal proposito Modou vorrebbe che il Centro fosse popolato in tutti gli orari della giornata, da giovani e bambini. Un giorno auspica di poter disporre di spazi ancora più ampli, per poter organizzare dei grandi concerti. In questi anni di attività Modou ha avuto moltissime soddisfazioni, nel vedere dei nuovi gruppi esibirsi qui, persone di diverse culture e lingue incontrarsi e conoscersi … in questo il Centro è un esempio di condivisione, dialogo, confronto, partecipazione: qualità che la Comunità dovrebbe avere. “Ma la Comunità è grande come il mare”, mentre loro sono solo un piccolo gruppo di persone che però ce la sta mettendo tutta.
CECILIA COSTANZO
Cecilia ha 47 anni, vive a Catania, città bellissima nelle sue mille contraddizioni.Il suo percorso di studi si svolge in parte anche a Palermo dove consegue la laurea in Psicologia. il 05-02-2002.Nel 2008 si specializza in psicoterapia e psicologia di comunità.Svolge la sua attività di tirocinio, con la Cattedra di Psichiatria della facoltà di Psicologia e presta il servizio presso l'unità di Riabilitazione Psichiatrica dell'AUOP P. Giaccone di PalermoLa sua attività professionale è ambivalente: -Sociale con la Cooperativa Marianella Garcia,-Clinica nel suo studio privato.Ama la sua professione che l'assorbe tantissimo, spesso i suoi fine settimana sono dedicati alla formazione e ai corsi di aggiornamento e le rimane poco tempo da dedicare a se stessa.-Anno 2006 al 2007 è Responsabile di Comunità presso la Comunità Alloggio per disabili mentali, -Anno 2008 attività di docente formatrice, presso aziende locali quali ST e Micron,Nel 2009, si inserisce nell'organico della Cooperativa Sociale Marianella Garcia, divenendo poi negli anni prima socia e poi consigliere di amministrazione. E' nella Marianella Garcia che inizia a conoscere e amare il mondo del privato sociale.Il suo primo ruolo all'interno dei progetti della Cooperativa è quello di Educatore Domiciliare per seguire i minori e i nuclei familiari che, necessitano di interventi educativi strutturati, esperienza molto formativa grazie anche all'apporto e al supporto dei colleghi.Nel corso di questi anni si è occupata e si occupa di diversi servizi della Cooperativa, svolgendo via via sempre di piu la sua professione di psicologa.Importante e significativo è stato ed è il suo ruolo all'interno della Comunità per minori stranieri non accompagnati, i suoi interventi in stretta collaborazione con gli educatori della struttura mirano all'inclusione e integrazione di questi ragazzi portatori di traumi spesso non superati e non ascoltati.Dal 2018 svolge il suo ruolo di psicologa all'interno del progetto "TENERAMENTE insieme verso un'infanzia felice", finanziato dalla fondazione CESVI di Bergamo. che vede la cooperativa partener insieme ad altre città in tutta Italia.TENERAMENTE, è un progetto mirato ai bambini da zero ai sei anni e ai loro genitori, per supportarli nella loro funzione genitoriale e soprattutto per evincere e mettere in atto piani di intervento mirati, qualora ci fossero dei segnali di maltrattamento, attraverso PEI elaborati insieme alle altre figure professionali presenti in struttura, (EDUCATORI, ASSISTENTE SOCIALE E PEDAGOGISTA) e nella rete sociale, costruita in seno al progetto.Nel corso di tutti questi anni sente che la sua professione viene sempre piu riconosciuta e accettata dai nuclei familiari di cui si prende cura e carico, questo le permette di sentirsi quasi realizzata e la spinge a sognare di riuscire un giorno a costruire una "Comunità efficiente", per sostenere e dare pari opportunità a chi è meno "fortunato" per stato sociale e culturale.
Claudia lavora per L’Impronta fin dai primi anni di attività dell’associazione. Laureata in pedagogia, ha iniziato come educatrice, per poi diventare coordinatrice dei servizi e recentemente Direttrice dell’area sociale.
L’Impronta è nata dall’iniziativa di un gruppo di giovani volontari del quartiere Gratosoglio che hanno deciso di investire il loro tempo libero in attività diurne con coetanei con disabilità. Negli anni l’associazione è cresciuta e offre oggi diversi servizi a persone con fragilità, come centri diurni, iniziative di inserimento lavorativo e percorsi di autonomia abitativa per persone con disabilità, centri pomeridiani e spazi compiti per adolescenti e diversi servizi di sostegno alla persona. L’associazione ha anche avviato della attività produttive che si occupano di inserimento lavorativo di persone con fragilità, come un’azienda agricola, dei punti ristoro ed un panificio che aprirà a breve nel complesso di Housing Sociale di 5 Square, nel Vigentino.
L’esperienza dell’associazione nel complesso di 5 Square risponde all’esigenza di accompagnamento alla residenzialità di persone con fragilità, esigenza che ha portato L’Impronta ad avviare già dai primi anni 2000 delle case, o comunità sociosanitarie, che accolgono persone con disabilità media e medio grave, prevedendo al loro interno degli educatori professionali. Nel pre-pandemia l’associazione ha inoltre avviato delle esperienze di appartamenti protetti per persone con fragilità o disabilità lieve e che hanno una loro autonomia nel quotidiano pur necessitando di figure di riferimento.
L’auspicio per il quartiere è che vi sia un maggiore collegamento con l’esterno, per esempio con un potenziamento dei mezzi pubblici, e che questo possa rendere il quartiere partecipato anche dall’esterno.
Il Comitato Genitori dell’ICS Pasquale Sottocorno organizza ogni anno diversi momenti di convivialità, il cui ricavato viene devoluto interamente alla scuola. Silvia, rappresentante del Comitato, menziona come esempio le feste di Halloween, Natale, San Valentino, la festa dell’intercultura che si tiene a Marzo e il festone di fine anno dove i bambini si esibiscono con dei balli. Le attività sono state interrotte negli anni di pandemia e solo quest’anno sono riprese parzialmente.
Silvia è mamma di due bambini, uno delle elementari e uno delle medie, che frequentano entrambi l’ICS Sottocorno. Da piccola ha anch’essa frequentato questo istituto e ricorda che allora vi erano solo due sezioni. Da allora la scuola si è ampliata, merito anche dell’allargamento del quartiere con la costruzione di Santa Giulia e Merezzate. Le domande di iscrizioni sono aumentate negli anni al punto da necessitare la costruzione di un nuovo edificio, inaugurato a Merezzate un paio di anni fa, che accoglie oggi le scuole medie, mentre la sede storica di Rogoredo ospita le classi elementari. In questo modo la scuola ha contribuito enormemente all’integrazione ed allo scambio tra i due quartieri: quello storico e quello nuovo.
Di quando era piccola Silvia ricorda la festa di quartiere organizzata dall’oratorio, in cui le vie di Rogoredo venivano allestite con i colori delle diverse contrade che competevano tra di loro con dei giochi. Con l’ampliamento del quartiere questa tradizione è purtroppo venuta a mancare, come anche quella dimensione di paese tipica di Rogoredo, seppur rispetto a molti quartieri di Milano, Rogoredo rimanga comunque una zona protetta, in cui ci si conosce e ci si sente parte di una comunità.
Silvia auspica più luoghi di aggregazione per i bambini e i giovani, per attività ricreative e di doposcuola. Oggi infatti l’unico luogo di aggregazione è il Parco Trapezio, molto frequentato nella bella stagione, oltre all’oratorio che rimane un riferimento importante per il quartiere. A tal proposito la scuola potrebbe svolgere un ruolo importante di aggregazione e socializzazione e diventare quindi un luogo non solo per lo studio ma dove si possano effettuare diverse attività ricreative. Il Comitato potrebbe anche svolgere un ruolo importante, organizzando momenti di festa che contribuiscano a rafforzare i legami comunitari. Un altro auspicio è quello di maggiori strutture sportive per i ragazzi e per la comunità in generale: essendosi il quartiere ampliato, quelle esistenti rischiano di essere insufficienti.
Cesare e Luca sono rispettivamente il Presidente e il Segretario del Comitato di Quartiere Santa Giulia. Il Comitato nasce nel 2007, inizialmente come gruppo informale su internet, costituito da coloro che avevano acquistato casa nel quartiere allora in costruzione, al fine di costruire una piattaforma di scambio dove confrontarsi sulle problematiche legate ai lavori. Il merito del Comitato è stato quindi di creare dei legami tra futuri vicini di casa e fare gruppo per affrontare le difficoltà. Nel 2008 il Comitato si è costituito formalmente e da allora ha rappresentato un punto di riferimento importante per il territorio.
Quando i primi abitanti si sono trasferiti qui, nella bella pedonale ora ricca di bar, tavolini all’aperto ed alberi c’erano terra e buche. Le case erano come cattedrali nel deserto, circondate unicamente da cantieri. Una volta finiti i lavori, ci sono poi stati problemi legati alla bonifica dei terreni e che hanno portato alla riapertura dei cantieri, con lo svuotamento e poi il riempimento del Parco Trapezio appena ultimato. Sul tema delle bonifiche, il Comitato era riuscito, grazie ad una raccolta fondi degli abitanti del quartiere, ad acquistare una pagina dedicata sul Corriere della Sera.
Con gli anni il Comitato, oltre a seguire l’evoluzione dei cantieri, ha anche promosso diverse iniziative volte all’incontro e alla costituzione di legami comunitari, come biciclettate, partecipazione a mostre, feste di quartiere. Il Comitato ha infatti avuto in gestione per qualche anno il chiosco del Parco Trapezio, utilizzato per questo tipo di iniziative: avere uno spazio da poter utilizzare è quindi fondamentale in quanto ad oggi i principali luoghi di aggregazione sono la promenade e il parco trapezio. Il Comitato è poi tra i promotori della StraRogoredo Santa Giulia, un bellissimo evento che nasce da una corsa storica di Rogoredo e che poi si è esteso ai quartieri di Santa Giulia e più recentemente Merezzate. La StraRogoredo Santa Giulia ha visto negli anni una grande partecipazione ed ha il merito di unire per un giorno i diversi quartieri in una unica, grande manifestazione.
L’ultimazione del quartiere di Merezzate ha portato al completamento di un’area, con nuovi servizi quali un supermercato e dei bar, tuttavia rimangono aree dismesse ed edifici abbandonati ed il progetto iniziale è ancora ben lontano dall’essere ultimato. In vista delle Olimpiadi si parla dell’apertura di un grande parco, un’arena, un supermercato più grande e molto altro … nonostante le incertezze sui tempi, le prospettive per il futuro sono quindi rosee.
Kalabrillo è l'idea vincente di tre ragazzi reggini che hanno sposato l'idea dello street food. Dopo aver lavorato in giro per l'Italia nella ristorazione, hanno pensato bene di tornare nella propria terra e innovare. Così Antonello Delfino, Demetrio Albano e Santo D’Amico, con il loro quattro ruote in giro per il Reggino sono andati a trovare i clienti e a far conoscere il loro prodotti. Lo street food, a Reggio Calabria, è nato con loro e al Castello Aragonose si può trovare il Kalabrillo con il classico “Kalaspada”, il panino con il pesce spada ma che vede l’aggiunta di melenzane locali, pomodoro di Belmonte e olive della Piana.
Adesso sono rimasti in due Demetrio e Antonello e hanno portato avanti la filosofia dei prodotti a chilometri zero, delle specialità calabresi che la fanno da padrone nel menù.
Kalabrillo negli anni è cresciuto e per poter continuare a lavorare anche nel periodo invernale ecco che si è spostato al chiuso: così è nato il ristorante nel cuore della città, in via Possidonea, 46.
Sono trascorsi sette anni da quella felice intuizione dello street food e anche se adesso il lavoro è duplicato, tra strada e ristorante, la filosofia della ristorazione del Kalabrillo è rimasta la stessa: “stare a contatto con la gente”.
Kalabrillo, spiega Demetrio Albano, è “famiglia”. Noi abbiamo creato una squadra che è in sinotonia, lavoriamo ogni giorno ma tra noi c'è un rapporto di fiducia, di stima e di amicizia. Crediamo molto nel valore umano e per questo quando il Consorzio Macramè ci ha proposto la possibilità di fare dei tirocini formativi, e dare lavoro, a due giovani migranti siamo stati felici. Adesso Ahmed e Secka sono parte della “famiglia Kalabrillo” e li abbiamo aiutati a crescere e a radicarsi nel nostro territorio”.
Kalabrillo è aperto al dialogo con le associazioni presenti sul territorio e per questo, insieme all'associazione Aps Comunità Patrimoniale “Scalinata Monumentale di via Giudecca” contribuisce a mantere pulita e verde la zona.
Adesso Kalabrillo cerca due figure da inserire nell'organico: una in cucina ed una in sala.
Roberto lavora nella ristorazione da 42 anni e con De Gusto, situato in Via Ternengo 23 a Torino, inizia anche a produrre personalmente i prodotti che propone. Dalle brioches alla focaccia fino ai prodotti della tavola calda. Nonostante le difficoltà della pandemia il locale di Roberto ha continuato a resistere fino a oggi puntando sulla qualità e sulla scelta delle materie prime che esegue personalmente. De Gusto è aperto dalle 6:30 alle 19:30 dal lunedì alla domenica. Il locale è alla ricerca di risorse con tanta voglia di lavorare nel campo della ristorazione, intraprendenti e sorridenti e che vogliano imparare a mettere le mani in pasta.
Dina è al vertice della Trustfood Srl, società che gestisce quattro punti vendita dei supermercati Decò a Reggio Calabria (viale Calabria 189, via Micene 1, via Ravagnese superiore 122 e via Santa Caterina d'Alessandria 96).
Da otto anni Dina segue tutta l'organizzazione della grande distribuzione e a Reggio Calabria i punti vendita sono diventati anche luogo di integrazione.
Inseriti prevalentemente nella zona sud della città, con un solo punto vendita nella zona nord, i supermercati oltre ad offrire ai clienti i prodotti alimentari, grazie all'impegno di Dina e alla passione per il lavoro sono diventati punto di riferimento anche per il territorio e le associazioni.
Dina ha accolto giovani portatori di handicap e attraverso l'impegno e l'affiancamento è riuscita ad inserirli a pieno titolo nel lavoro. Crede davvero all'integrazione, non solo per le persone portatrici di disabilità, ma anche per i giovani stranieri, e per questo è riuscita a creare un team aperto e solidale che sa accogliere e far crescere i nuovi arrivati.
Racconta che è difficile essere al vertice, come donna, ma che è tenace e lotta sempre per quello in cui crede e per questo anche in tempo di Covid ha saputo tessere relazioni con le associazioni di volontariato e ha accolto dei giovani per la misurazione della temperatura dei clienti in entrata.
È disponibile e aperta ad offrire opportunità di crescita ai ragazzi stranieri.
Enzo gestisce il locale dal 2007 insieme alla sua famiglia. E' aperto dalle 7 alle 19:30 dal lunedì al sabato con colazioni, pranzi, merende e aperitivi. Si trova in zona Parella in Corso Telesio 42 e ci racconta Enzo che la clientela è mista: famiglie, impiegati d'ufficio, insegnanti, studenti. Il locale offre anche un servizio catering che, prima della pandemia, collaborava anche con un'azienda ospedaliera. Per Enzo il "noi" è molto importante ed è per questo che gestisce il locale in famiglia e fa sentire a casa ogni persona all'interno del team, senza lasciare nessuno indietro curando particolarmente e attentamente i rapporti. La risorsa che si aggiungerà troverà una seconda casa e un luogo in cui sentirsi accolto in un clima gioioso e professionale.
Giovanni è un giovane imprenditore di Torino che ha lavorato nell'ambito della creazione e consulenza delle start-up. Quando tutto il mondo ha dovuto fermarsi causa pandemia, ha deciso di dare una svolta al suo futuro focalizzandosi su ciò che lo appassionava e lo gratificava maggiormente: la cucina. La sua voglia di viaggiare e scoprire nuove culture lo hanno portato a vivere per lungo tempo in Gran Bretagna, luogo dove ha avuto modo di sperimentare ancora di più questo hobby che presto trasforma in lavoro. Curioso e intraprendente, Giovanni approfondisce lo studio sulla cucina sostenibile e fusion, particolarità che porta anche in Piemonte grazie all'apertura del suo locale Bistrot Nadim a Torino. Il bistrot è il posto dove si sperimenta il suo sapere e quello del suo socio nonché caro amico. La presenza di una nuova risorsa appassionata e volenterosa rappresenta la ciliegina sulla torta per questa nuova realtà.
Federica è nata e cresciuta a Torino, in centro, proprio dove ha sede il suo locale. Ha una formazione scientifica che ha lasciato da parte per aprire, insieme al suo compagno, il locale El Centenario. All'interno del ristorante possiamo immergerci completamente nell'atmosfera messicana, grazie all'arredamento e ai particolari studiati attentamente. La cucina propone i piatti tipici messicani e una vasta scelta di cocktail che lo staff, con cura e attenzione, offre ai clienti. Federica ha dichiarato di vedere nel suo locale la clientela più diversa, da 0 a 99 anni e molte famiglie. La qualità dei prodotti è molto alta ed è questa la marcia in più del suo ristorante, compresa la disponibilità dello staff nei riguardi del cliente e la forte unione di tutto il team di lavoro. La ricerca di una giovane risorsa che sappia parlare spagnolo è l'obiettivo de El Centenario, modo per non perdere l'atmosfera messicana che il locale ha come solido punto di forza.
Alessandra è una giovane imprenditrice torinese che è laureata in architettura e che ha lavorato a Londra come progettista di giardini, proprietaria di Tauer Bakery situato in via Madama Cristina 22 a Torino in piena zona San Salvario. Da piccolo laboratorio che faceva solo dolci, è diventato il locale che è oggi: con cucina, servizio al tavolo e spazio più ampio. A Londra Alessandra ha affinato la sua passione per la creazione di dolci e per la cucina e ha deciso di portare le "vibes" londinesi anche a Torino, preparando cupcakes con materie prime del territorio e brunch che ti trasportano a Londra morso dopo morso. Tauer Bakery è aperto dal martedì alla domenica dalle 9:30 alle 19, con la possibilità di fare brunch in qualsiasi momento senza bisogno di prenotazione.
Leonardo nasce come architetto, con il sogno di fare lo storico, ma la strada lo porta a cambiare rotta e diventare socio di Paolo Bistrot, locale del suo compagno. Entrambi in un momento di bivio lavorativo, uniscono le forze per dare il via a questo nuovo capitolo. Situato vicino all'Ospedale Mauriziano in Corso Dante 2 a ridosso delle case popolari di via Arquata e la zona Crocetta di Torino, nel 2017 il locale è stato rimesso a nuovo per aggiornare la sua immagine e fare un passo avanti rischioso ma coraggioso che è stato ben ripagato. A oggi può mostrare il frutto dell'ambizioso e duro lavoro. Il team di lavoro di Paolo Bistrot, ad eccezione di Paolo il cuoco e Leonardo che si occupa della sala, è tutto al femminile. Il bistrot offre la possibilità di fare colazione, pranzo, cena fino alle 19:30. Inoltre Paolo Bistrot è anche una gastronomia che permette di acquistare prodotti freschi e cucinati giornalmente.
Dario è un educatore che ha lavorato e lavora molto con i giovani. E' laureato in psicologia e collabora con la Cooperativa Mirafiori da alcuni anni, considera la Locanda nel Parco come una scommessa della cooperativa. Il suo locale accoglie ragazzi e giovani, anche con fragilità, che hanno una formazione nella ristorazione e che abbiano la voglia di mettersi in gioco e imparare in un ambiente sereno e accogliente. Più volte Dario ricorda quanto naturale e "normale" sia il locale e anche lo staff, che crede nella diversità come ricchezza. Mangiare bene senza spendere in modo eccessivo è uno dei punti saldi del posto, proprio per andare incontro alle famiglie e per permettere a tutti di concedersi un pranzo o una cena genuina e attentamente studiata. La Locanda nel Parco, grazie al verde di cui è circondata e dell'ampio spazio di cui dispone, è adatta a ospitare eventi quali feste di compleanno, lauree, pizzate di fine anno, pranzi o cene di lavoro.
Sviluppatosi attorno alle fabbriche della Redaelli, Montecatini e Tana, Rogoredo è stato a lungo un quartiere operaio in cui tutti si conoscevano. I fumi rossi delle fabbriche sporcavano i balconi di fuliggine e rilasciavano nell’aria un odore sgradevole. Poche erano le auto e i ragazzi giocavano in strada come per le strade di un paese.
Storicamente Rogoredo è un quartiere antifascista, anche perché proprio qui era stata aperta una sede fascista e le urla delle persone torturate echeggiavano nelle vie del quartiere. Inoltre, diversi partigiani e operai del quartiere che parteciparono agli scioperi del 43 e del 44 furono deportati dai fascisti.
Domenico è il settimo presidente della sezione A.N.P.I. Rogoredo. Tra le ricorrenze storiche celebrate da A.N.P.I. a Rogoredo ricorda la tradizionale fiaccolata organizzata la sera del 24 aprile, la ricorrenza del giorno della memoria il 27 gennaio- in cui vengono ricordati non solo i numerosi ebrei, ma anche gli avversari politici, i rom e sinti, gli omosessuali, i militari dissidenti e tutte quelle persone invise al partito fascista che furono deportate e uccise- la festa del tesseramento e la festa del 2 giugno.
Alla domanda sul perché sia importante festeggiare il 25 aprile oggi, celebrazione contestata da alcuni politici e personaggi pubblici, Domenico ribadisce che la Repubblica Italiana è nata dalla resistenza ed è importante ricordarlo. La generazione di Domenico ha avuto la fortuna di avere familiari che hanno vissuto l’epoca fascista e che hanno potuto trasmettere la violenza e repressione di questo periodo. Con il tempo, la memoria storica è andata scemando, al punto che i giovani oggi hanno un’idea molto vaga di quel momento storico. Per questo è importante fare attività nelle scuole con i ragazzi e A.N.P.I. Rogoredo, che può contare sulla memoria di un partigiano ancora lucido, oltre alle testimonianze di video e foto dell’epoca, organizza diverse attività nelle scuole. In terza media A.N.P.I. porta i ragazzi a visitare il binario 21 sotto la stazione centrale, da dove partivano i treni diretti ai campi di concentramento, e il bunker in Piazza Grandi, in cui si vede in che difficoltà vivevano le persone durante i bombardamenti. In seconda media organizza una giornata con un rapper in cui i ragazzi elaborano alcuni articoli della costituzione in chiave rap. In prima media tiene degli incontri con degli psicologi che spiegano ai ragazzi i rischi legati ai social, come il cyber bullismo e l’adescamento.
Talvolta vengono organizzate delle mostre come quella sui bambini di Terezin, un campo di concentramento in cui venivano deportati i bambini, la mostra ‘pane nero e pane bianco’, che illustrava le difficoltà alimentari durante la guerra quando lo stato razionava il cibo e ogni persona aveva diritto solamente a 150 grammi di pane al giorno, e la recente mostra sulle diciannove donne che hanno partecipato alla costituente.
Della vecchia Rogoredo a Domenico mancano gli spazi di aggregazione, liberi e accessibili a tutti, che oggi si sono ridotti ai bar di quartiere. Lamenta anche la chiusura di diversi negozi storici, schiacciati dal commercio online e dalla grande distribuzione. Si augura quindi l’apertura di attività commerciali, più attività per i giovani ed in generale più attività culturali, perché il quartiere non si trasformi in quartiere dormitorio. Per l’associazione invece, l’auspicio è che i giovani si avvicinino ad A.N.P.I. per proseguirne l’attività in difesa della costituzione, dei valori della democrazia e della memoria.
Alberto si definisce un cittadino attivo di Rogoredo. Arrivato qui quando aveva poco più di un anno, ha sempre vissuto il quartiere facendosi promotore di iniziative cittadine. Il suo attivismo è iniziato quando aveva 16 anni, quando assieme ad altri ragazzi si ritrovava al bar del Cral di Rogoredo (il dopolavoro della Redaelli) una volta a settimana. Nel 77 è stato poi tra gli occupanti di uno spazio comunale, il deposito degli spazzini nello scantinato della scuola elementare. Qui hanno costituito una biblioteca, organizzato attività di doposcuola per gli studenti e avviato un giornalino politico, chiamato “Magliette a strisce”.
Per diversi anni è poi stato membro attivo del Comitato di Quartiere di Rogoredo, che, oltre ad aver avuto in gestione la biblioteca della Ex Redaelli, ha promosso diverse iniziative di pulizia del quartiere, ripulito la discarica adiacente alle docce comunali trasformandola in un giardino, organizzato attività nelle scuole, istituito il giornale di quartiere e, soprattutto, ripristinato i filari di alberi di via Rogoredo - abbattuti per la costruzione della metro - facendone un percorso botanico con l’etichettatura delle piante.
Nel 2013 nasce con degli amici l’idea di organizzare una rassegna che portasse la poesia fuori dai salotti: è l’inizio di “Cortili in Versi”, una manifestazione che per una settimana vede i cortili di Rogoredo e gli spazi comuni, come la COOP, trasformarsi in luoghi di decantazione di poesie. L’associazione Verde Festival si costituisce ufficialmente un anno dopo e, oltre alla rassegna dei “Cortili in Versi”, si è occupata di diverse attività culturali, tra cui la riqualificazione con murales di Largo Redaelli e del Tunnel Jannacci, sotto il ponte dell’autostrada. L’associazione si è anche fatta promotrice di un progetto di riqualificazione degli Orti di via Feltrinelli e della costituzione di una pista ciclabile che arrivi fino a Chiaravalle, progetti ad oggi non ancora realizzati dalle amministrazioni locali.
Dal 2019 Verde Festival ha in gestione lo spazio delle Docce, in cui sono stati organizzati eventi in collaborazione con altre associazioni, come concerti, cinema, scambio di libri e centri estivi. Da qualche mese lo spazio ospita anche il GAS di quartiere.
Le Docce rappresentano un luogo simbolico di Rogoredo. Qui per anni venivano a lavarsi gli abitanti dei palazzi di ringhiera, quando nelle case vi era esclusivamente un WC ma non un vero e proprio bagno. Dopodiché le docce sono state utilizzate per anni da senzatetto e cittadini stranieri, fino alla decisione dell’assessore di chiuderle e adibire gli spazi ad altro uso.
Le pecore sono il primo ricordo che Alberto ha di Rogoredo. Negli anni sessanta infatti, Rogoredo era un borgo storico con attorno tutti campi. Così da piccolo si ricorda quando si è svegliato ed ha visto i campi davanti casa maculati di pecore al pascolo. Di quando era giovane ricorda anche la spensieratezza di quegli anni senza cellulari, in cui ci si ritrovava tra ragazzi tutti i giorni ai giardini.
Alberto si rallegra dei nuovi progetti dell’arena e del conservatorio e per il quartiere si augura un miglior collegamento ciclabile con Chiaravalle, Forlanini, Porto di Mare e San Donato, oltre alla riqualificazione degli orti.
La squadra di BaskIn di Rogoredo si presenta e ci spiega cos’è il BaskIn.
“Un modo per stare insieme nello sport, comprendendosi nelle diversità”
“Un bellissimo sport che permette a persone di ogni età e con qualsiasi livello di abilità di potersi realizzare a livello sportivo”
“Una valvola di sfogo, un’occasione per stare con altre persone, un appuntamento fisso nella routine settimanale”
“La possibilità di fare sport senza dover dimostrare qualcosa, di essere il più bravo. Vince chi sa fare squadra e stare insieme agli altri”
“Un’occasione per stare insieme ad amici e mantenersi in forma in allegria”
"Più di un gioco di squadra, una famiglia"
“Un insieme di regole, ma la cosa più importante è quella di giocare con un unico scopo, quello di stare insieme”
“Un gioco inclusivo in cui tutti possono partecipare, nessuno escluso”
“Un momento di condivisione con i compagni”
“Un gioco divertente dove c’è il contatto fisico, la sfida, il gioco di squadra … un gioco dove si è tutti diversi ma uniti dallo scopo di vincere”
“Un momento di condivisione che sfocia subito nell’amicizia, nella solidarietà, nell’aiutarsi”
“La gioia dei compagni quando faccio canestro”
“Una valvola di sfogo, un momento in cui tutti i problemi passano in secondo piano perché si pensa solo a divertirsi e a giocare”
“Uno sport senza pregiudizi, in cui entri in campo e giochi senza paura di sbagliare quello che stai facendo”
Il BaskIn, il basket “inclusivo” o “integrato”, è una disciplina sportiva che fa giocare nello stesso campo persone di sesso diverso e con capacità tecniche e motorie differenti. E’ quindi uno sport per tutti, in cui vengono assegnati dei ruoli in base alle capacità tecniche e motorie di ciascuno, così che ogni giocatore si possa confrontare unicamente con giocatori con caratteristiche simili dal punto di vista fisico e tecnico.
Kristina viene dal Belgio e vive a Milano da più di 30 anni. Fa parte dell’Associazione Parco del Ticinello che è nata nel 1989 e di cui ha voluto farsi portavoce durante il nostro incontro. Lavora inoltre, sempre come volontaria, anche per l’Associazione La Baia del Re (nel quartiere Stadera) come insegante nella scuola d’italiano per stranieri.
L’Associazione Parco del Ticinello si configura agli albori come un insieme di persone appartenenti alla parrocchia ma si è oggi spogliata di ogni appartenenza politica e religiosa. Spinta dal desiderio di tutelare i terreni circostanti al Parco (che avrebbero dovuto ospitare la costruzione di nuovi palazzi) tra gli anni ’80 e ’90 l’Associazione ha sostenuto il processo di riacquisizione da parte del comune delle aree verdi del quartiere, le quali ora costituiscono la grande vegetazione del Parco Agricolo del Ticinello. Finite le lotte per la preservazione del territorio, molte sono le attività che l’Associazione continua a portare avanti attraverso il lavoro gratuito e appassionato dei volontari: laboratori didattici con le scuole, iniziative culturali (anche presso la Cascina Campazzo) tra cui concerti e spettacoli teatrali, feste di quartiere (ad esempio: la Festa degli Aquiloni del mese di Aprile, la Festa dell’associazione nel mese di Maggio e la Festa di Sant’Antonio nel mese di Gennaio) e attività ecologiche di cura del territorio (con Fauna Viva organizza le passeggiate naturalistiche).
All’interno del Parco si possono incontrare diversi luoghi e strutture con funzioni specifiche: gli Orti del comune, spazio di condivisione e socialità; l’area didattica gestita dalla Cooperativa L’impronta; e il Vivaio Condiviso di cui si occupa l’Associazione Progetto Persona.
Stare insieme, inclusione, uguaglianza sono alcuni dei valori fondanti dell’Associazione. La cura del verde è una missione concreta <<per far toccare con mano l’agricoltura>>, per preservare quella dimensione agricola che è innanzitutto custode della stagionalità, della relazione con la natura, di un sapere antico e prezioso portato avanti dai contadini della zona.
Il Parco Agricolo del Ticinello è un luogo speciale, spiega Kristina, perché per quanto sia vicino alla metropolitana e al traffico cittadino mantiene ancora quella bellezza incontaminata rara per un ambiente urbano come Milano, dove le persone possono riscoprire la calma e il benessere della natura. Nonostante le dimensioni e la presenza storica nel quartiere, il parco è ancora una realtà poco conosciuta all’interno della città meneghina.
Il senso di comunità per Kristina è un valore prezioso orientato alla condivisione. Condivisione e partecipazione sono processi che hanno bisogno di risorse e di spazi. Intorno a lei nel periodo attuale coglie una mancanza di luoghi di aggregazione che facilitino l’incontro e la crescita condivisa, soprattutto per i giovani. L’Associazione in questo senso vuole configurarsi anche come spazio, occasione, in cui incontrare nuove persone e prendersi cura delle relazioni. Per farlo ha bisogno di un maggiore numero di volontari che diano una mano nell’organizzazione delle diverse iniziative.
Per il futuro Kristina si augura di portare avanti il suo lavoro di insegnante nella scuola di italiano per stranieri e di riuscire a coinvolgerli maggiormente nelle attività dell’Associazione del Parco Ticinello rafforzando ponti di dialogo e connessione. Per l’Associazione del Parco Ticinello desidera veder crescere l’insieme di progetti e attività esistenti grazie all’aiuto di nuovi partecipanti, desiderosi di spendersi per la comunità e per il bene della natura.
E. è un ragazzo albanese di quasi 16 anni, ha raggiunto l’Italia nel mese di ottobre 2022, è stato ospitato inizialmente a Torino poi ad Asti in una struttura, successivamente ha trovato accoglienza in una comunità nei pressi di Alessandria, nel mese di febbraio 23 E.è giunto a Felizzano presso la comunità Il Galletto, gestita dalla Cooperativa Sociale Azimut. I genitori di E. vivono in Albania, sono disoccupati, i suoi fratelli, una sorella di 26 anni ed un fratello di 30 anni hanno entrambi dei figli e vivono al suo paese d’origine. Il ragazzo è iscritto e sta frequentando la terza media, in accordo con il dirigente scolastico e gli insegnanti, affinché possa completare il ciclo di studi e riesca a conseguire la licenza media. E. si reca quotidianamente a scuola a Felizzano, il rendimento scolastico è adeguato, ha instaurato un rapporto positivo sia con i compagni sia con gli insegnanti. Dopo la scuola il ragazzo trascorre parte del tempo in struttura, dove va d’accordo con gli altri ragazzi e con gli operatori, oppure esce per recarsi autonomamente, usando i mezzi pubblici, nelle città di Alessandria o Asti. Il giovane passa il suo tempo giocando a calcio con i suoi compagni della comunità, fa esercizi nella palestra della struttura, esce per fare delle passeggiate con i suoi amici. E. a volte in comunità si occupa di fare piccoli lavoretti per aiutare gli operatori aggiustando oggetti che vanno riparati, è attirato da ciò che è “elettrico” e a settembre 23 inizierà un corso da elettricista presso un istituto professionale ad Alessandria. Il ragazzo ha inventiva e fantasia e sa riutilizzare alcuni oggetti dando loro un’altra destinazione d’uso. Il suo sogno è quello di poter aprire una ditta specializzata in impianti elettrici. Il giovane vorrebbe lavorare ed essere inserito in un progetto di tirocinio in modo da imparare e mettersi alla prova con il mondo del lavoro.
Anna, appassionata giocatrice di hockey in carrozzina elettronica, è la presidente della sezione di Milano di UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Entra in questa realtà nello stesso periodo in cui arriva a Milano. Da studentessa, spinta dal desiderio di sperimentarsi nell’esperienza di fuori sede, decide infatti di lasciare la famiglia d’origine per trasferirsi da Verona al capoluogo lombardo. In UILDM incontra innanzitutto sostegno e motivazione: nella realizzazione dei propri sogni e della propria libertà, UILDM le offre strumenti e compagni di avventura con cui elaborare e rafforzare gioie e fatiche di un nuovo percorso. Inizia così la sua avventura come utente, poi come volontaria e infine come Presedente di Sezione, sempre animata dal desiderio di mettersi a disposizione per gli altri.
L’associazione UILDM è attiva dal 1968. Molti i servizi e le attività che porta avanti, tra cui il trasporto degli utenti per ospedali, terapie, segretariato sociale, commissioni e tempo libero (dimensione questa di grande valore, spiega Anna, perché fortemente connessa all’autodeterminazione, alla crescita, alla progettualità e al benessere dei ragazzi). Dal tempo libero si passa poi a progetti di vita indipendente, dentro e fuori il nucleo familiare, consulenza alla pari, housing sociale, laboratori, tirocini, percorsi di inserimento lavorativo. Ma anche la centralità dello sport e dei campi estivi.
UILDM si configura insomma come uno spazio innanzitutto relazionale, volto ad alimentare il senso di autodeterminazione e di libertà dei ragazzi attraverso il sostegno, il confronto e lo scambio di conoscenze e consapevolezze (da un punto di vista socio-sanitario e di vita quotidiana). Si caratterizza per una certa proattività verso il territorio e le istituzioni con cui intesse progetti di collaborazione e condivisione, a partire da iniziative scolastiche, educative, sportive e di cittadinanza attiva. Anche il volontariato è un elemento cardine dell’associazione.
Per Anna UILDM rappresenta un tornare a casa, un sentirsi in famiglia in cui l’idea di benessere si traduce nell’amare ciò a cui ci si dedica.
Per il futuro dell’Associazione Anna desidera “fare casa di più”: migliorare cioè la capacità della sede di Via Lampedusa di rispondere alle sempre nuove esigenze degli utenti e del contesto circostante. Alimentare uno scambio di vicinato, una condivisione con la comunità attiva e concreta. Far sì che la struttura <<diventi tanto flessibile quanto lo sono oggi le nostre giornate>> spiega Anna, con un approccio maggiormente polifunzionale e rimodernato. Su larga scala il suo auspicio è che tante delle attività svolte dall’associazione diventino sempre meno necessarie, cosicché <<quello che oggi ci chiedono diventi via via più automatico e insito nel tessuto sociale. […] Che si raggiunga non solo una cura alla patologia, ma un tempo più inclusivo che sappia dare valore alle diversità”
Inclusione non solo in termini di barriere e accessibilità ma anche di sguardi, relazione, comunicazione. In questo senso all’interno di UILDM lo sport viene vissuto come strumento d’eccellenza nel percorso di presa in carica della persona con disabilità e nel lavoro più ampio di integrazione sociale e culturale. Oltre allo sport anche musica, arte e teatro rappresentano linguaggi universali capaci di unire e valorizzare le differenze.
Camilla è stata attratta dai colori fin da bambina, quando dipingeva i muri di casa di mamma e papà. Ha scoperto l’arteterapia da adulta, dopo un diploma da perito aziendale ed una laurea in scienze dell’educazione. Ha quindi intrapreso la scuola di arteterapia e si è diplomata al Liceum Academy di Milano.
Dovendo spiegare in cosa consista l’arteterapia, Camilla la definisce un spazio dove accogliere quei bisogni che, se non ascoltati, si manifestano nella vita come problemi e difficoltà. La parola ‘bisogno’ ha infatti in sé la parola ‘sogno’: se impareremo quindi a dar voce ai nostri bisogni, potremo dar voce ai nostri sogni. Rispetto ai principali bisogni rilevati nel corso della sua esperienza, menziona il desiderio di essere ascoltati e visti per quello che si è, l’imparare ad accettare le proprie emozioni e tirar fuori i pesi emotivi, così come il desiderio di non sentirsi soli.
L’arteterapia si contraddistingue dai corsi di disegno o pittura in quanto nell’arteterapia è importante il processo: non interessa quindi il prodotto finale nella sua qualità estetica ma il processo creativo che viene innescato dall’incontro con i materiali e le emozioni. L’arteterapia è quindi uno spazio di ascolto del nostro paesaggio interiore ed è adatta a tutte le età, dai bambini agli anziani. Oltre a lavorare in uno studio privato a Rogoredo e a collaborare con le scuole, Camilla ha anche svolto delle attività con gli anziani, tra cui una signora di ben centodue anni.
In arteterapia si possono usare sia materiali ‘classici’ - come matite, pastelli, acquarelli, tempere - che materiali destrutturati - come foglie, bastoncini, sabbia, materiali di scarto … Questi materiali del mondo naturale aprono immaginari (sabbia e conchiglie ci porteranno in una spiaggia mentre legno, muschio e foglie ci porteranno in un bosco), aprendo le porte a paesaggi esteriori ed interiori. Rispetto all’utilizzo dei materiali di scarto, questo processo si avvicina al kintsugi giapponese, che consiste nel riassemblare oggetti rotti con l’oro: le ferite diventano quindi non più difetti da nascondere ma segni da valorizzare.
Oltre all’arteterapia, Camilla tiene dei laboratori di scrittura creativa ed ha una passione per le danze, in particolar modo per quelle popolari. Alla domanda su come si immagini una comunità, Camilla risponde colorata, variegata, partecipata, iridescente. La comunità deve essere un luogo di scambio, in cui ognuno contribuisce con la propria diversità e in cui ci si sostiene l’un l’altro.
Rispetto al quartiere si auspica più punti di incontro per tutte le età e più attività culturali, mentre per se stessa l’auspicio è di continuare a diffondere l’arteterapia e le sue possibilità trasformative ed aiutare le persone a ricontattare la loro parte creativa.
Paolo è informatico di professione: ha lavorato qualche anno in azienda tra Roma e Milano e ora lavora come libero professionista. E’ arrivato a Santa Giulia nel 2009, quando il quartiere è stato inaugurato. Il quartiere gli ha fatto da subito una buona impressione: è infatti nuovo e strategicamente collegato al centro.
BiblioShare nasce nel 2015 come iniziativa del suo condominio a Santa Giulia. In particolare, nasce dall’esigenza di dare una seconda vita ai numerosissimi libri di cui Paolo dispone a casa, essendo sua moglie una lettrice appassionata. BiblioShare è infatti una libreria virtuale composta dai libri messi a disposizione dagli utenti iscritti: per iscriversi è necessario registrare almeno un libro, ma i libri possono essere molti di più (ed infatti c’è chi ne ha messi a disposizione più di ottanta). Il libri non vengono ceduti ma rimangono nei propri scaffali finché uno degli utenti della propria comunità ne richiede il prestito. Inizialmente si era posto un problema di sicurezza, tuttavia da quando è nata BiblioShare non è mai stato annoverato un furto ed i libri sono sempre stati restituiti al proprietario. La comunità di Santa Giulia – Rogoredo conta oggi oltre diecimila libri registrati. L’iniziativa ha poi suscitato un certo interesse mediatico, con articoli pubblicati su Il Sole 24Ore, Repubblica e Il Corriere della Sera. Nel giro di poco tempo sono quindi nate delle community in tutta Milano ed in tutta Italia. Oltre alle community di quartiere, sono nate delle community tematiche, di appassionati di un determinato genere letterario, così come delle community aziendali.
Diverse sono le differenze tra BiblioShare ed un tradizionale bookcrossing. Innanzitutto con BiblioShare è possibile fare una ricerca per autore e titolo e quindi scegliere il libro tra un’amplia collezione. A quel punto diventa possibile contattare il proprietario secondo le modalità da lui indicate e ci si accorda per lo scambio. Il prestito di libri comporta quindi un contatto tra persone che hanno degli interessi in comune ed in questo senso BiblioShare contribuisce alla creazione di legami comunitari ed ha fatto nascere negli anni amicizie di lunga durata.
A Merezzate il Living potrebbe essere il luogo ideale per favorire l’incontro tra persone. A tal proposito Paolo si augura la nascita di luoghi di aggregazione per attività culturali anche nel suo quartiere, a Santa Giulia. Altri servizi che vorrebbe veder nascere sono una biblioteca, un centro sportivo con piscina … ed uno sportello bancomat.
Per il futuro Paolo si augura che il progetto di BiblioShare si espanda, magari con la creazione di una App, e che i giovani leggano più libri, continuando ad alimentare gli scaffali virtuali della BiblioShare.
Lo GNAM, ovvero il Gruppo Non Violento di Autocoscienza Maschile, nasce negli anni novanta da giovani studenti universitari membri di associazioni pacifiste e non violente. E’ quindi un gruppo informale che prende forma dal desiderio non solo di raccontarsi, ma anche di riflettere sui diversi modi di vivere la maschilità. La voglia di confrontarsi con altri uomini su questi temi nasce dal sentimento di non riconoscersi nei modelli di maschilità proposti. In questo senso è bene distinguere tra ‘stereotipi’, che in quanto tali vengono criticati, e ‘modelli’, che invece sono culturalmente accettati.
Dagli anni novanta sono nati diversi gruppi di autocoscienza maschile e si è generata una certa autocritica da parte della maschilità eterosessuale nei confronti del patriarcato. Allo stesso tempo, si è sviluppata anche una cultura reazionaria che rivendica i modelli di maschilità del passato e che talvolta sfocia in aggressività violenta e linguaggio sessista. Si potrebbe quindi parlare di un maschilismo di ritorno che è diventato più aggressivo proprio perché si sente minacciato. A cambiare rispetto al passato è l’attenzione mediatica rispetto ad alcuni temi che tuttavia non si traduce necessariamente in un cambiamento di costumi.
Recentemente, il gruppo ha pubblicato un libro intitolato “Maschilità Smascherata - L’esperienza del gruppo GNAM”, nel quale si affrontano temi quali la maschilità, la violenza sulle donne, il rapporto con l’omosessualità e, più in generale, i cambiamenti generati dal percorso intrapreso con il gruppo. L’idea di pubblicare un libro nasce già una decina di anni fa, quando ci si è accorti di quanto l’esperienza con il gruppo fosse stata significativa, anche se la spinta finale che ha portato alla pubblicazione è stata data dal periodo di lockdown. In seguito alla pubblicazione, il gruppo è stato chiamato per diverse interviste, presentazioni del libro e ha anche ricevuto un invito a parlare con i ragazzi nelle scuole. L’idea è quindi di far partire altri piccoli gruppi proponendo una modalità di lavoro consolidata sulla base dell’esperienza del gruppo GNAM. L’auspicio è perciò di poter facilitare la creazione di altri gruppi autonomi di autocoscienza maschile e che questi gruppi portino all’attenzione del dibattito pubblico i temi legati alle infinite possibilità di vivere la maschilità, così come il rifiuto netto di ogni forma di violenza (maschile) sulle donne.
Elisabetta è la direttrice di Ottavanota, una scuola di musica nata dodici anni fa e il cui nome anticipa un’intrinseca disposizione a valorizzare il capitale umano: <<Le note sono sette e l’ottava-nota è chi la musica la fa>> spiega infatti Elisabetta, ponendo l’accento sulla dimensione antropica dell’attività. La direttrice incontra la musica da bambina al conservatorio, attraverso lo studio di clavicembalo e organo. Desiderosa di trasmettere la bellezza della musica sceglie il ramo della didattica. Inizia in una scuola privata ma in seguito percepirà le mura come un limite. Ottavanota nasce e si prefigura come sistema aperto verso il quartiere e il territorio. La musica, sottolinea, è bella quando si condivide.
Chiamare Ottavanota una scuola è, per la direttrice, un modo riduttivo di presentarne l’ampio spettro identitario. Molti sono infatti i progetti e le collaborazioni che porta avanti (progetti ludici, musicali, didattici e culturali) attraverso un continuo lavoro di rete con gli altri attori nel territorio. L’obiettivo è aprirsi a tutte le realtà culturali esistenti con un lavoro artistico a 360° (promuovendo ad esempio laboratori e mostre di pittura).
La scuola propone una didattica per qualsiasi livello, per ogni età (dai 6 mesi ai 75 anni) e con tutti gli strumenti. Per i piccolissimi sono state pensate delle classi di propedeutica musicale (6-36 mesi e 3-5 anni). Sono disponibili corsi collettivi di tastiera e chitarra, ma si prediligono lezioni individuali affinché ogni allievo possa esprimersi pienamente attraverso una relazione privilegiata.
Un’equipe di 34 professori altamente specializzati (dal classico, al jazz e al tanghero) segue una squadra di ormai 280 allievi. Il lavoro di rete attuate nel territorio viene coltivato innanzitutto all’interno delle mura scolastiche, perseguendo la collaborazione tra i docenti e incentivando gli allievi a suonare insieme e a costituire, ad esempio, piccole band che accompagnino chi studia canto moderno.
Tra le numerose attività proposte, ce ne sono alcune di cui Elisabetta racconta con grande orgoglio e commozione:
La scuola segue anche diversi progetti nelle scuole dell’infanzia e primarie del quartiere, che hanno l’obiettivo di far emergere i racconti personali dei bambini attraverso laboratori e spettacoli di narrazione e musica. Un nodo cruciale della nostra società, secondo Elisabetta, è infatti la mancanza di ascolto, soprattutto verso i più piccoli.
La musica è il linguaggio universale capace di abbracciare tutti, soprattutto in un contesto milanese multiculturale, insegnando a stare insieme in maniera sana e dialogante. <<Non c’è musica se non c’è ascolto!>> Per diventare bravi musicisti bisogna saper ascoltare. In una società individualista come la nostra, la musica rappresenta una forza incredibile per poter stare insieme.
Gli elementi di ricchezza che identifica nel quartiere sono la voglia di fare rete dei suoi membri (attraverso ad esempio iniziative come “Tessere Legami”) e la natura fortemente inclusiva dei progetti del territorio. Per Elisabetta, ciò che occorre potenziare è uno spazio di espressione per le persone, dove ascoltare, raccogliere, valorizzare e condividere le storie e i desideri delle persone.
Un sogno di Elisabetta è spezzare la settorialità tra settori e individui, valorizzare l’apertura verso la differenza e la fragilità. <<Non si tratta solo delle istituzioni o delle scelte politiche. Siamo noi che possiamo fare la differenza>>.
Per Elisabetta comunità significa, essenzialmente, stare insieme, nonostante i muri fisici, sociali e politici. Per rappresentare questo concetto non sceglierebbe un brano ma uno strumento, il pianoforte. Il pianoforte ha 88 tasti, 88 voci che vibrano insieme, diversamente da altri strumenti, coinvolgendo simbolicamente e contemporaneamente più parti, più attori. Una comunità, un pianoforte, sono fatti di tante voci che si mettono insieme per creare un'unica sinfonia.
Anna, chiamata da molti anche con il soprannome di Alice, ha iniziato a lavorare prima nella comunicazione ed è poi approdata nell’ambito educativo con i bambini. Con una socia fonda del 2004 l’Asilo dei Girasoli inizialmente dentro ad un centro pediatrico e poi in una sede vera e propria. Il nome della Cooperativa è stato scelto in onore della Dea Madre Terra, come celebrazione della generatività, della femminilità e della famiglia.
Moltissimi sono i temi vivi e pulsanti che sostengono il lavoro della Cooperativa e i suoi valori:
Attraverso i linguaggi universali artistici Anna racconta di aver incontrato, all’interno del contesto in cui opera, un ventaglio molto ampio di emozioni: l’arte, secondo lei, avvicina e mette in contatto le persone, promuove il fare insieme, il fluire di pensieri ed emozioni attraverso i materiali e i colori.
Tra i bisogni principali emergenti nel territorio, secondo Anna c’è una grande richiesta di sostegno alla genitorialità, di spazi per i più piccoli, e di migliori equilibri famigliari nell’ autonomia-individuazione-vicinanza con i figli. La comunità può diventare una risorsa di fronte alle solitudini, alle fragilità e alle paure che attraversano il contesto sociale più ampio.
Tra le risorse più forti del contesto, Anna individua immediatamente il sostegno e la collaborazione dimostrati ogni giorno dal tessuto sociale del quartiere.
Per favorire incontro e dialogo tra le persone, Anna suggerisce di attivare e lavorare innanzitutto con la leggerezza: propone infatti di abbandonare la rigida tendenza a riflettere e analizzare i fenomeni per dare invece più spazio agli incontri spontanei, alle produzioni immaginative e gioviali che secondo lei rappresentano delle ottime occasioni di scambio e vicinanza. L’arte diventa così un vero e proprio strumento di espressione per chi ha voglia di stare insieme.
Per Anna il senso di comunità è l’appartenenza ad un gruppo che condivide problemi e sostegno reciproco.
Per il futuro guarda innanzitutto all’imminente apertura di un nuovo spazio nido presso 5Square e in generale si auspica un cambiamento sostanziale nel sistema scolastico italiano, così come la diffusione di un approccio alla conoscenza e alla natura che formi le future generazioni alla sensibilità e alla consapevolezza.
Alessio ha ventidue anni ed abita a Rogoredo da sei anni. Ha scoperto l’ecologia seguendo Greta Thunberg sui social media e poi, durante il lockdown, ha deciso di passare all’azione con iniziative di pulizia del Parco Trapezio e del quartiere di Santa Giulia. La sua iniziativa ha attirato le attenzioni degli abitanti del quartiere fino ad avvalergli un articolo su “Il Giorno”. Così Alessio ha aperto una pagina Instagram dove molte persone lo contattano chiedendogli di potersi unire a lui nella pulizia del quartiere. Il suo desiderio è quindi che più persone che già lo seguono sui social si uniscano a lui partecipando di persona alle sue iniziative domenicali.
Oltre all’ambiente, Alessio ha la passione per gli animali, in particolare per i gatti. Infatti, oltre ad averne uno a casa, si prende cura assieme ad un’amica della colonia felina di Merezzate.
Rispetto al quartiere, Alessio ci dice che Rogoredo è molto migliore della reputazione diffusa dai media. Definisce il quartiere una famiglia, un paesino dentro la città. In particolare Alessio frequenta l’oratorio e le diverse iniziative promosse dalla parrocchia. Per quattro anni ha infatti fatto l’animatore in oratorio e recentemente ha proposto dei workshop per bambini su temi quali il riciclo e la raccolta differenziata. Oltre alle iniziative di sensibilizzazione ambientale, gli piacerebbe ci fosse uno spazio per i giovani per poter studiare e socializzare: ad oggi infatti esiste solo la parrocchia come luogo di aggregazione.
Alla domanda su cosa voglia fare da grande, Alessio risponde l’operatore ecologico. Ci mostra gli oggetti che usa nelle sue operazioni volontarie di pulizia e che gli sono stati donati dall’Ansa, come la pinza raccogli rifiuti, i guanti ed il gilet.
Nel tempo libero Alessio gioca a Baskin e scrive poesie. La passione per la poesia è nata alle medie grazie ad un suo professore che lo ha incoraggiato a scrivere.
Alessio dice che la costruzione di Merezzate ha avuto il merito di avvicinare Rogoredo e Santa Giulia al quartiere di Viale Ungheria, così come l’apertura della scuola media di Merezzate ha ugualmente avuto il merito di unire i quartieri facendo spostare le famiglie. Ciononostante, i quartieri rimangono ad oggi divisi e Alessio si auspica una maggiore unità tra i quartieri.
Come auspicio per la comunità, Alessio si augura una maggiore pulizia del quartiere in quanto ad oggi la sensibilità ambientale è ancora poca, mentre per sé l’auspicio è di vincere i campionati di Baskin.
Laura Cattaneo ha 27 anni e da quasi 10 anni lavora a Felizzano nell’ azienda di famiglia che opera nel settore del florovivaismo producendo e vendendo principalmente piante ornamentali all’ ingrosso a rivenditori o a partita iva. L’azienda, sorta nel 1973, è nata su ispirazione del nonno paterno in qualità di “giardiniere” al castello di Redabue negli anni 40/60. L’ azienda animata da una sana passione per le piante e una spiccata propensione per le nuove tecnologie, si è evoluta acquisendo conoscenze e metodologie dei vari mercati con particolare riferimento ai paesi del Nord Europa. L’azienda attualmente si sviluppa su un’area di 35000 mq, dei quali circa 25000 mq coperti da serre completamente automatizzate. L’azienda è così suddivisa: una parte dove avviene il cash and carry e una parte dove avviene la produzione che è attiva tutto l’anno, soprattutto d’inverno è fiorente quella dei ciclamini e delle stelle di Natale, vi sono 3 grandi serre e 2 parti esterne, il personale impiegato è di 7 dipendenti. L’ azienda è automatizzata riguardo gli impianti di irrigazione, clima e riscaldamento e coinvolge anche la produzione e la piantumazione del taleaggio. Gli orari di lavoro giornalieri sono dalle h.8/12, dalle 14/18, ci sono periodi durante l’anno in cui la produzione è piuttosto intensa, soprattutto in prossimità delle festività come il Natale, la Pasqua, Ognissanti, la Festa della Mamma, San Valentino, in altri momenti meno impegnativi si riesce a dedicare più tempo a mettere a posto le piante, al riordino e alla pulizia all’ interno dei grandi spazi. Le mansioni nelle serre non sono difficili, le persone che vogliono lavorare in questo contesto devono avere cura delle piante, dell’ordine e della pulizia, Laura afferma che le piante “sono vive” hanno bisogno di cibo, ovvero di acqua, concime e di attenzioni, come togliere le foglie secche, i fiori sfioriti, i sacchetti quando vengono consegnate, va dedicato loro tempo. Quando arrivano le piante vanno messe sui bancali per essere esposte e vendute, come in un supermercato, per quanto riguarda la produzione, le piante vengono raccolte dai bancali messe su dei carrelli per essere portate nel magazzino, dove vengono insacchettate e successivamente consegnate al cliente. La vendita si estende sul nord Italia e in parte al centro Italia e qualche esportazione all’ estero. Laura sottolinea che i clienti si affidano e scelgono la ditta Cattaneo per la serietà, la professionalità e la qualità del prodotto, è importante produrre piante sane e belle che possano durare nel tempo. La giovane donna afferma di voler continuare l’attività, è animata da tanta passione che le è stata tramandata dai suoi genitori e ancor prima dai nonni, la sua aspirazione è quella di portare avanti l’azienda, così da non vanificare tutti gli sforzi ed i sacrifici compiuti, garantendo un solido futuro. La tecnologia all’ interno dell’azienda è sempre stata applicata fin dall' inizio, questa scelta è stata compiuta dal padre e dallo zio di Laura, con lo scopo di poterne trarre beneficio e un aiuto nelle numerose mansioni. La parte maggiormente tecnologizzata è quella legata all’ impianto di irrigazione, anche altre mansioni sono affidate all’ automatizzazione, come l’apertura e la chiusura delle finestre, la copertura e scopertura dei pannelli oscuranti, l’utilizzo di lampade che riscaldano alcuni tipi di piante, l’impianto di riscaldamento è alimentato da una caldaia a cippato. Questo tipo di lavoro richiede molto impegno, tanti sacrifici legati alla fatica fisica e ad un grande investimento di denaro, Laura vuole trasmettere passione e conoscenze anche ai nuovi dipendenti, in modo da far crescere l’azienda, per lei lavorare “è come essere in ferie”, tanta è la passione e la voglia con cui lavora e porta avanti i suoi obiettivi, la curiosità e la motivazione ad imparare sono requisiti necessari per poter svolgere questa professione. Occuparsi di questo settore è faticoso, questo tipo di lavoro rischia di non essere portato avanti dalle nuove generazioni, si tratta di un mestiere duro ma ricco di soddisfazioni. Il sogno nel cassetto di Laura è quello di espandere l’azienda in quanto, a differenza di altre parti d’Italia, al nord questo settore è poco sviluppato.
L’associazione Spazio Melotti nasce nell’ambito di un progetto Cariplo riguardante i quartieri di Santa Giulia e Rogoredo. Inizialmente avrebbe dovuto aver sede nella palazzina abbandonata degli “Ex chimici”, l’ultimo residuato dello stabilimento Redaelli. In ragione dei costi elevati delle ristrutturazioni e della necessità di una bonifica del suolo, Spazio Melotti è stato invece ospitato in un negozio situato nel quartiere di Santa Giulia, non lontano dalla Promenade. L’associazione è nata quindi per gestire uno spazio fisico che offrisse iniziative culturali e sociali proposte dagli abitanti stessi. Così un volantino è stato diffuso chiedendo agli abitanti di presentare delle idee sull’utilizzo dello spazio. Diverse le associazioni che hanno proposto iniziative: da Verde Festival a Parlami, da Auser a Ottava Nota … Spazio Melotti ha anche accolto la proposta di costituire un gruppo GAS che durante il lockdown è stato un punto di riferimento fondamentale per il quartiere. Oltre ad attività di sensibilizzazione sul benessere e lo star bene, piccoli concerti e spettacoli teatrali, attività ludiche per i bambini, iniziative di book crossing, Spazio Melotti ha anche ospitato feste di compleanno ed altri eventi ricreativi. Purtroppo lo spazio è stato messo in vendita e l’associazione ha dovuto spostarsi, trovando temporanea dimora allo spazio delle Docce a Rogoredo. Secondo Alberto, Spazio Melotti ha veramente contribuito ad attivare il quartiere di Santa Giulia dove ad oggi non ci sono realtà associative, fatta esclusione per il Comitato di Quartiere. La chiusura dello spazio ha quindi lasciato un vuoto importante al punto che gli unici luoghi di aggregazione che il quartiere offre per i giovani sono i bar. La principale esigenza è quindi costituire un luogo di aggregazione per attività culturali, luogo che potrebbe essere rappresentato dal Chiosco situato nel Parco Trapezio che oggi è gestito dal Municipio e poco utilizzato.
Reb Milano – back to your balance è un poliambulatorio specializzato in servizi di riabilitazione con un ricco ventaglio di offerte per la comunità. Ad accoglierci ci sono Mattia e Lavinia, entrambi classe ’94 e con una lunga appartenenza al quartiere. Mattia, il proprietario, lavora principalmente con gli sportivi in ambito riabilitativo mentre Lavinia, osteopata di formazione, si occupa soprattutto di mamme e bambini.
Il centro, raccontano, nasce a Santa Giulia nel Luglio del 2021, poco dopo l’emergenza sanitaria legata al Covid19. Dopo anni di sollecitazioni da parte di amici e conoscenti, spinti da una forte appartenenza al quartiere, hanno deciso di mettere insieme le loro competenze professionali per creare qualcosa di bello con e per la comunità.
Reb Milano ha un’impostazione reticolare e ampiamente inclusiva: si avvale infatti della collaborazione di innumerevoli professionisti (come medici, nutrizionisti e operatori della salute mentale) ed estende il suo raggio di competenza dall’area neonatale a quella geriatrica. Santa Giulia, spiega Mattia, è una realtà residenziale con una popolazione molto eterogenea, in cui era ed è presente una forte domanda da parte di giovani e famiglie. Per quest’ultime, ad esempio, è stato pensato lo “Spazio Mamma”, un servizio gratuito di aggregazione che, attraverso un lavoro di équipe tra ostetricia e osteopatia, si propone di accogliere le mamme del quartiere affinché si conoscano, si confrontino, facciano rete e sentano di avere un punto di riferimento per qualsiasi necessità. Il poliambulatorio, raccontano, vuole configurarsi anche come iniziativa “sostenibile”, nell’approccio e nelle iniziative condivise con la comunità: nel loro piccolo, in quanto attività commerciale di consumo, si impegnano ad utilizzare prodotti 100% ecologici. Al di fuori del centro seguono e promuovono attività di volontariato ambientale (come ad esempio la pulizia delle strade) perché secondo Mattia <<considerate le condizioni verso cui stiamo andando, come pianeta>> è importante educare a dare un contributo per il prossimo e per l’ambiente.
Parlando con Lavinia e Mattia, è inevitabile farsi travolgere dalla freschezza, dalla passione e dalla spinta altruistica e aggregativa che anima il loro lavoro. Reb Milano si è sviluppato e continua a crescere grazie all’ascolto e alla ricerca empatica a fianco della popolazione: il progetto, nato con lo sguardo rivolto ai bisogni di prossimità, continua ad espandersi con una forte spinta motivazionale grazie al legame affettivo con il territorio. Legame che porta professionisti come Mattia e Lavinia a riconoscersi contemporaneamente promulgatori di servizi e utenti degli stessi, a pensarsi quindi responsabili verso la comunità e sfruttando -ad esempio- la loro visibilità per veicolare messaggi e tematiche rilevanti per il prossimo.
Relativamente al quartiere di Santa Giulia, entrambi lo descrivono come un contesto ricco di potenzialità così come di margini di miglioramento: sono molti i progetti attuativi in corso, anche nella zona limitrofa di Rogoredo, come il nuovo Palazzetto del Ghiaccio previsto per le Olimpiadi del 2026 e i lavori urbanistici disseminati nel territorio.
Tra i bisogni principali, Lavinia indica la mancanza di punti di ritrovo per i giovani (come una libreria o un centro di aggregazione) nonostante rappresentino sempre di più una fetta centrale della popolazione.
Per il futuro del centro Lavinia e Mattia si augurano di consolidare un’identità forte che vada oltre le prestazioni erogate dal poliambulatorio. Il loro sogno è che, accanto all’attività riabilitativa, l’intento collaborativo e propositivo del centro venga sempre più compreso e vissuto dalla comunità, diventando così un punto di riferimento per tutti.
Martina è cresciuta in zona Corvetto, ha poi abitato qualche anno in un monolocale in Città Studi e da qualche tempo si è trasferita a Merezzate. Merezzate infatti è una delle poche realtà dove le case hanno mantenuto dei prezzi accessibili a quanti abbiano uno stipendio ‘normale’ grazie al canone concordato. Adesso Martina abita in un bilocale con balcone e posto auto che condivide con il compagno ed il fatto di avere due ambienti separati, la zona giorno e la zona letto, ha migliorato notevolmente la sua qualità della vita. Il quartiere è bello ed accogliente, a parte qualche piccolo danno causato dai ragazzini del quartiere. Nonostante sia ben collegato al centro con i mezzi pubblici, Martina auspica un miglior collegamento stradale con il centro e più piste ciclabili. Del quartiere apprezza in particolar modo la disponibilità di uno spazio comune per delle attività condivise. Martina si è proposta per delle giornate di co-working e co-studying e le piacerebbe poter partecipare maggiormente alle iniziative di speak up, pilates, thai chi e agli orti comuni, cosa che attualmente non le è possibile perché studia e lavora allo stesso tempo. L’idea del co-working/- studying è nata dalla necessità di trovare un ambiente confortevole dove studiare e creare allo stesso tempo delle occasioni che permettessero alle persone di conoscersi e interagire. Attualmente l’apertura dello spazio comune dipende dalla disponibilità degli abitanti: Martina vorrebbe che ci fosse piuttosto un referente che aprisse lo spazio quotidianamente in modo da renderlo più accessibile.
Il sogno di Martina è poter lavorare nella ricerca, in particolare nelle applicazioni fisiche alla medicina. Martina ha già una laurea in filosofia ed ha lavorato quattro anni in un’azienda in cui si occupava di catena produttiva e relazione con i fornitori. Il Covid ha poi fornito l’occasione per iscriversi alla seconda laurea in fisica, una passione che si porta dietro dal liceo. Alla domanda su cosa accomuni la passione per la fisica con quella per la filosofia, Martina risponde l’interrogarsi sulla realtà. La fisica infatti ci dice come succedono le cose, mentre la filosofia cerca di spiegare perché succedono le cose: infatti, molti filosofi della storia, come Galileo, Newton e Cartesio, hanno anticipato grandi scoperte della fisica.
L’idea che Martina ha della comunità è quella di una famiglia in cui ci si aiuta e in cui ognuno dà rispetto alle proprie possibilità. Una comunità equa, in cui ognuno riceve in base ai propri bisogni, è infatti diversa da una società egalitaria in cui ognuno riceve nella stessa misura, indifferentemente dai mezzi di cui già dispone. La comunità deve essere anche un posto dove ci si aiuta, ci si rispetta, in cui ognuno sia libero di esprimere la propria opinione e in cui le persone si mettono in gioco per il bene comune.
Rispetto ai suoi interessi, Martina si definisce una persona eclettica: appassionata di musica e sport, le piacciono le materie umanistiche così come quelle scientifiche. Le piacerebbe poter organizzare delle serate simposio in cui ci si ritrova per discutere di temi di attualità o di carattere filosofico e scientifico. L’auspicio per il futuro è quello di vivere in armonia e serenità con la sua comunità e che lo spazio comune sia più aperto e accessibile a tutti quanti vogliano proporre delle attività. Purtroppo succede che le divergenze di visioni creino dei fraintendimenti tra vicini, ma per Martina l’importante è sapersi concentrare sulle soluzioni piuttosto che sui problemi e vedere il lato positivo delle cose.
Ali è un ragazzo somalo di 19 anni. È arrivato in Italia circa 2 anni fa per essere responsabile del suo futuro. E’ stato inserito in un Progetto SAI presso il comune di Calanna, a Reggio Calabria per iniziare ad essere più autonomo e responsabile delle proprie azioni. Frequenta lil CPIA a Reggio Calabria. Ha molta voglia di fare e soprattutto di imparare per progettare il suo futuro. Ali ha iniziato un percorso di tirocinio formativo presso un ristorante, ricoprendo la figura di cameriere. Nel tempo ha stretto relazioni significative per il suo percorso ed ha trovato persone che l’hanno accolto ed aiutato.. Oggi ha molti sogni e passioni, la musica, la ristorazione ma soprattutto gli piacerebbe lavorare con i PC come informatico.
Guled è un ragazzo somalo di 20 anni. È arrivato a Reggio Calabria circa 2 anni fa per essere responsabile del suo futuro. E’ stato inserito in un Progetto SAI a Calanna per iniziare ad essere più autonomo e responsabile delle proprie azioni. Frequenta lil CPIA a Reggio Calabria. Ha molta voglia di fare e soprattutto di imparare per progettare il suo futuro. Guled nel tempo ha stretto relazioni significative per il suo percorso ed ha trovato persone che si sono messe al suo posto e che l’hanno aiutato molto. Oggi ha molti sogni e passioni, il calcio ma soprattutto sogna di voler fare il pizzaiolo ed aprire una pizzeria tutta sua.
Il signor Serralunga Giandomenico ha ricoperto l’incarico di Sindaco di Felizzano per diversi anni, dal 1975 è stato anche amministratore e consigliere comunale, si è dedicato all’ attività politica e agli studi storici di Felizzano. Appartiene ad una delle famiglie più antiche del paese, le cui radici sono ben salde e legate alla storia e al passato di Felizzano. Il signor Serralunga nella sua presentazione sottolinea che fin da quando era bambino ha iniziato ad essere interessato alla storia e alle vicende che si sono sviluppate nel tempo, in particolare riferite a Felizzano. Il nome Felizzano deriva dalla parola “Felicianus” di origine latina risalente al I secolo dopo Cristo, è un paese legato alla prima romanizzazione del Piemonte sud-orientale, delle prime legioni romane che occupavano questo territorio, un tempo ligure. Questo paese è stato caratterizzato per la sua posizione geografica strategica rispetto al territorio: è stato un importante crocevia di strade del Piemonte orientale, che collegava la Pianura Padana, la Liguria e la Francia. Qui si incrociavano 2 grandi vie, la Strada Franca e la via Francigena e la presenza di un porto sul fiume Tanaro consentiva i collegamenti con il basso Monferrato e la Liguria. Felizzano, insieme ad un altro paese Quattordio che si trova poco lontano, è stato per la seconda metà del 900, uno dei punti industriali più importanti del Piemonte meridionale. Viene ricordato che Felizzano è stata una terra monferrina legata agli Aleramici, uno dei casati più caratteristici in età Medioevale. Dalla prima metà del ‘500 ha fatto parte del Ducato di Milano e del Ducato spagnolo di Milano. Felizzano è poi passato in mano ai Savoia e fu occupato dai napoleonici di Francia nel 1799, sotto il dominio napoleonico, successivamente è ritornato sotto i Savoia e seguì poi le sorti dello Stato italiano a partire dall’Unità d’Italia del 1861. Come già accennato, la favorevole posizione in cui si trova Felizzano, nel Piemonte sud-orientale, ha visto passare eserciti, commerci, è stata un’essenziale via di comunicazione tra le città di Asti, Alessandria, Casale Monferrato, Acqui Terme e la riviera Ligure. Fin dall’antichità Felizzano ha sempre dimostrato di avere una dimensione “aperta” ad altre culture e altri popoli e ha saputo assimilare influenze molteplici e diverse. Si caratterizza per essere una comunità accogliente, aperta e variegate nelle sue origini etniche. Questo tipo di mentalità ha permesso una certa apertura sociale che ha consentito un giusto rapporto facilitando l’inclusione di altre popolazioni. All’oggi su circa 2200 abitanti poco meno di 1/3 ha origini felizzanesi, circa i 2/3 provengono da altre regioni come la Calabria, la Sicilia, la Sardegna ed il Veneto, questo è avvenuto dopo il secondo dopoguerra, a seguito dello sviluppo industriale. Il signor Serralunga collabora con la scuola presente in paese, illustrando agli alunni le vicende storiche del territorio felizzanese. Ha scritto diversi articoli e saggi storici, scrive per il “Bollettino Parrocchiale” di Felizzano, dal 1949 è la rivista su cui vengono riportate le vicende storiche, culturali, informazioni sugli eventi e le vicende del paese. Il sig. Serralunga sta lavorando per la pubblicazione di un vocabolario del dialetto felizzanese, per salvaguardare il patrimonio linguistico e per la stesura di alcuni volumi sulla storia di Felizzano e sulla storia delle 4 chiese presenti: S. Michele, S. Pietro, S. Rocco e S. Maria della Fonte. In passato sul territorio felizzanese, agli inizi dell’800, tra chiese e conventi se ne contavano circa una ventina, all’ epoca era indice di devozione e di benessere della popolazione. Di grande interesse vengono ricordati alcuni dipinti e sculture realizzati da famosi autori locali del ‘400/’500 come il Moncalvo e il Morgani per citarne alcuni. Per il futuro il signor Serralunga vorrebbe poter portare a termine e pubblicare le sue opere letterarie volte a promuovere, valorizzare e salvaguardare il patrimonio storico, culturale e linguistico del suo paese.
Il calcio freestyle è una disciplina acrobatica che consiste nell’eseguire dei ‘tricks’ con un pallone da calcio, facendo dei movimenti spettacolari e usando tutte le parti del corpo, dalla testa ai piedi. Diverse sono poi le specializzazioni: lo stile upper comprende evoluzioni con la parte alta del corpo, lo stile lower comprende evoluzioni con la parte bassa del corpo e il sit down comprende evoluzioni fatte stando seduti.
Davide si è appassionato al calcio freestyle quando aveva quattordici anni. Si è formato da autodidatta guardando dei video su youtube, iniziando con dei tricks semplici fino ad arrivare a quelli più complessi. Dopo un anno di pratica ha lasciato il calcio per dedicarsi interamente a questa sua passione. Allora non avrebbe immaginato di poter fare della sua passione un lavoro e di raggiungere dei livelli tecnici così elevati. Nel 2020 infatti Davide ha vinto i campionati mondiali di calcio freestyle per due delle sei categorie.
Qualche anno fa è nata l’idea di impiegare questa sua abilità come forma di spettacolo in eventi e celebrazioni. Non di rado succedeva infatti che durante degli allenamenti le persone si fermassero a guardare e si interessassero alla disciplina. Così è nato un gruppo di freestyle composto da cinque persone, quattro freestyler ed una freestyler, provenienti da tutta Italia.
Da sportivo, di Merezzate Davide apprezza gli spazi aperti per allenarsi, come i prati, il campo da basket e l’area per gli esercizi a corpo libero. Mancherebbe giusto una fontanella per le ore di arsura estiva. Definisce il quartiere futuristico e minimalista, in ogni caso bello e tranquillo. Dello spazio condiviso Davide è venuto a conoscenza con il passaparola ed ha partecipato alle giornate di coworking : lo spazio è ben arredato e silenzioso, ottimo per chi lavora smart. Uno spazio da sfruttare quindi al massimo con eventi ricreativi e conviviali per incentivare le persone a conoscersi, oppure per organizzare workshops tematici.
Per Davide una comunità dovrebbe essere basata sul rispetto reciproco e la condivisione. Ai giovani Davide consiglia di seguire le proprie passioni : scegliere quanto ci fa star bene è infatti sempre la scelta giusta. Nel suo caso, la passione gli ha aperto delle porte che non pensava possibili.
Oltre alla passione per lo sport in generale, a Davide piace viaggiare, scoprire culture diverse. In questo si ritiene fortunato perché il suo lavoro gli permette di conoscere persone provenienti da tutto il mondo.
Quello che lo spinge ancora ora ad andare avanti è il sorriso sul volto delle persone, così come l’interesse dei più giovani che si avvicinano a questa disciplina. Per il futuro l’auspicio è quindi di continuare ad avere la stessa passione e carica che lo contraddistinguono ancora oggi.
Valerio e Stefano si conoscono da quando erano giovani. Hanno sempre condiviso la passione per la birra, da cui la decisione di partecipare a fiere del settore, iscriversi a corsi di degustazione e rendere questa passione una professione. Stefano, il mastro birraio, si è formato in Italia e, come tutti i mestieri artigiani, ha migliorato la sua tecnica facendo esperienza. Inizialmente producevano birra per consumo personale e per la loro cerchia da amici, poi la decisione di affittare un locale in Via Rogoredo e costruire un impianto più grande. L’occasione è arrivata con un bando del Comune di Milano per start up di periferia a cui hanno deciso di partecipare assieme ad altri tre amici. Per loro, l’essere basati in una periferia ha quindi rappresentato una opportunità piuttosto che un limite.
Rispetto al tipo di prodotto venduto, Valerio ci spiega come le loro birre cerchino di valorizzare i prodotti del territorio, utilizzando il malto del riso prodotto in Pianura Padana, il mais utilizzato nella polenta e lo zafferano locale. Anche i loro salumi e formaggi sono a kilometro zero.
Rispetto al quartiere di San Martino, restando questo un po’ separato dalla città, c’è ancora uno spirito comunitario e delle dinamiche da paese di provincia più che da grande città. Per esempio, quando hanno aperto, sono state le realtà del territorio a prendere contatto con loro, incuriosite dalla novità. Il quartiere è a misura d’uomo pur offrendo tutte le comodità della città. E’ una zona di confine, al limitare della città, per cui vi sono anche numerose cascine e aziende agricole, oltre ai parchi e le aree verdi. Valerio auspicherebbe più spazi di socialità che siano fruibili ed accessibili agli abitanti, oltre alla risoluzione di alcune problematiche legate alla zona di spaccio non molto distante. L’augurio è quindi che le Olimpiadi siano un’occasione per valorizzare il tessuto sociale e migliorare il quartiere in modo sostenibile senza stravolgere la dimensione comunitaria.
Per Valerio la principale difficoltà che incontrano molti giovani che vorrebbero avviare una start up è il difficile accesso al credito. Nel loro caso sono stati facilitati dal bando del Comune di Milano in cui il capitale sociale richiesto era accessibile. Tuttavia questi bandi sono ancora oggi un’eccezione e le istituzioni dovrebbero investire maggiormente nelle nuove generazioni che hanno molte idee ma pochi mezzi. Loro stessi avrebbero potuto avviare l’impresa prima se ne avessero avuto la possibilità, avendo maturato l’idea dieci anni fa.
Per il futuro Valerio si augura di essere ancora presenti nel quartiere come azienda: significherebbe che ce l’hanno fatta.
Sonia ha un dottorato in ingegneria ed ha lavorato diversi anni in un centro di ricerca in ingegneria nucleare. A Febbraio 2023 ha vinto un assegno di ricerca sull'analisi del consumatore nell’ambito della sostenibilità e dell'agrifood, per cui ha dovuto sospendere la seconda laurea in biologia della nutrizione. La passione per la sostenibilità e l’alimentazione Sonia la ha già da qualche tempo, passione che l’ha portata ad attivare un Gruppo di Acquisto Solidale a Santa Giulia, Rogoredo e Merezzate. Inizialmente ha lavorato come volontaria per una realtà che poi nel 2018 ha chiuso. Quando l’associazione Spazio Melotti ha diffuso i volantini di una 'call for ideas' su come utilizzare lo spazio, lei ed una sua amica si sono proposte per attivare un GAS. Inizialmente utilizzavano un Google Form, poi, quando in pandemia son passate da venti a settanta famiglie, hanno dovuto appoggiarsi ad una piattaforma online sviluppata da un gasista di Novara. Molti ringraziano Sonia ancora oggi per il supporto che il GAS ha fornito al quartiere in pandemia, supporto che è stato reso possibile dal lavoro di molti volontari impegnati nella distribuzione. Recentemente il gruppo ha dovuto spostarsi da Santa Giulia a Rogoredo, dove utilizzano lo spazio condiviso delle Docce. Qui hanno potuto organizzare una cena nel giardino con i prodotti del GAS, evento che è stato molto apprezzato e che contano di ripetere.
Sonia è arrivata a Santa Giulia nel 2009, quando la Promenade non era ancora stata completata. Ha visto quindi il quartiere popolarsi e crescere. E’ un quartiere a misura di famiglia, che Sonia ha cominciato ad apprezzare veramente quando si è investita in attività associative e di volontariato. Allora ha cominciato a sentirsi veramente parte di una bella comunità e si auspica che la partecipazione degli abitanti diventi ancora maggiore. La comunità è infatti una comunità effervescente, con molte potenzialità e molte realtà locali che propongono diverse attività. L’augurio è che ci sia una maggiore integrazione tra quartieri e associazioni e che questo porti le persone a mettersi in gioco in prima persona. A tal proposito il GAS è trasversale ai quartieri di Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate, contribuendo all'integrazione urbanistica, oltre a sensibilizzare su tematiche quali il consumo sostenibile.
Luca è nato e cresciuto a Rogoredo ed è titolare di Tondo Cafè, bar storico della zona, di proprietà della sua famiglia da più di 40 anni. Le sue più grandi passioni sono l’enologia e i vini di qualità - che produce nell’Oltrepò e che ama servire ai propri clienti –, lo sci e la montagna.
Definisce il suo bar un’enoteca di qualità, in cui vende anche vini di sua produzione. Ama profondamente il suo lavoro. Ritiene che il locale sia un punto di incontro e di riferimento per una tipologia variegata di clientela: dagli anziani ai giovani che vengono per un aperitivo, fino ai pranzi di lavoro dei lavoratori della zona, come i dipendenti di Sky. Un luogo ben integrato nell’area, apprezzato dai diversi tipi di avventori che accoglie.
Luca ritiene che il quartiere, a cui lui è molto affezionato, sia cresciuto moltissimo negli ultimi anni. Nonostante la “cattiva pubblicità” e la narrazione legata allo spaccio e al consumo di droga nel cosiddetto "bosco" di Rogoredo, che non vuole minimizzare, ritiene che la zona sia stata riqualificata in maniera importante. Luca è molto legato a Rogoredo, che reputa una zona ben collegata a Milano ma in cui permane un’atmosfera da paese, con un grande senso di coesione, comunità e appartenenza delle persone che ci vivono. Cita il fermento per la prossima apertura del Palaitalia e del Conservatorio, e l'ormai integrato stabilimento di grandi società come Sky e Saipem, che hanno un impatto positivo sul quartiere.
Pensa che il quartiere sia molto migliorato grazie alle persone che si sono trasferite anche negli ultimi anni, che apprezzano la vivibilità e la dimensione comunitaria della zona, oltre alla solidarietà tra le persone e gli abitanti del quartiere. Considera Merezzate, Santa Giulia e Rogoredo un tutt’uno e crede che il quartiere dovrebbe essere pensato e vissuto come unico e unito: è convinto infatti che la sua forza stia nell’unione delle anime che lo compongono e non vuole concepirle come distinte.
Crede che gli elementi su cui bisognerebbe investire, oltre alle nuove infrastrutture in programma, siano le attività commerciali. Evidenzia infatti come troppo spesso, negli ultimi anni, alcuni negozi abbiano chiuso troppo in fretta. Crede dunque che servirebbero attività funzionali alla vita e alle esigenze di chi vive e transita nel quartiere, per continuare a farlo crescere. Cita alcuni esempi riusciti, come la nuova cartoleria Live Bridge e il circolo Mondini, che propone spettacoli teatrali, corsi di ballo e molto altro.
Un altro aspetto essenziale che evidenzia Luca è la necessità di coltivare un contesto sicuro e tranquillo per gli abitanti e le famiglie che ci vivono. Sarebbe inoltre utile per il quartiere avere, per esempio, una piscina, di cui si sente la mancanza.
Ha grande fiducia nel futuro della zona e sulle sue prospettive di crescita. Ritiene che i servizi siano da continuare a sviluppare nella direzione intrapresa per continuare a migliorare il quartiere e i suoi diversi punti di forza.
Classe '33, nato a Ficulle in Provincia di Terni e conosciuto da tutti come "Carlo", il signor Fabbretti si definisce uno << che è partito e non si è fermato più >>. Lo studio immobiliare che gestisce da ormai vent'anni è solo la punta di un iceberg ricco di esperienze. Legato da sempre al mondo dei consorzi, è in uno specializzato nell'analisi dei cementi che inizia il suo percorso. Sono gli anni della guerra, la sua famiglia numerosa conta quasi ventidue membri, le condizioni di vita sono precarie. Con le Imprese Riunite lavora alla costruzione di una diga in provincia di Terni, una mansione faticosa che rievoca con il sorriso << uscivamo imbrattati, però era bello >>. Una volta maggiorenne viene selezionato per un progetto di rifinitura di alcuni impianti ad Alessandra d'Egitto: un'opportunità questa che in diversi periodi della vita lo porta lontano, soprattutto dagli affetti più cari, lasciandogli una sensazione dolceamara di novità, incertezza e nostalgia. In patria decide di allargare i propri orizzonti verso Milano e a San Donato inizia a lavorare per ENI e SNAM, una società di infrastrutture energetiche. A cavallo tra gli anni ottanta e novanta, poco dopo aver deciso di andare in pensione, viene nuovamente coinvolto in un progetto di valutazione e vendita di alcuni terreni e decide poi di rilevare e prendere in gestione lo studio immobiliare.
Carlo ha assistito e contribuito alla trasformazione di Rogoredo da terreno agricolo a terreno industriale, grazie all'insediamento di aziende e stabilimenti (come la famosa Acciaieria Redaelli) che ne hanno guidato lo sviluppo, come anche Sky in tempi più recenti. E sono proprio società come queste che, secondo Carlo, hanno rappresentato un grande elemento di risorsa attraverso posti di lavoro e spinte progettuali. Anche la futura apertura di una seconda sede del Conservatorio è un'occasione preziosa che, come è avvenuto in passato, porterà un grande numero di ragazzi ad implementare il tessuto sociale e culturale del quartiere.
Evidenzia alcune fragilità negli interessi economici e nelle diatribe burocratiche che spesso accompagnano lo sviluppo dei territori; in particolare per il contesto di Rogoredo ritiene necessario rivedere il coordinamento delle attività commerciali (affinché si possano individuare e si possa investire in servizi utili alla comunità) e stimolare, soprattutto nelle nuove generazioni, un atteggiamento non solo performante ma anche paziente e perseverante. Carlo crede molto nell'importanza della collaborazione per la realizzazione di idee e progetti, una collaborazione basata sull'equilibrio tra un pensiero critico individuale e le proposte, le competenze della collettività.
Il signor Fabbretti è una memoria storica del quartiere e delle sue trasformazioni. Racconta di voler scrivere un libro e di essere sempre stato un membro attivo della comunità, svolgendo anche corsi di formazione in ambito immobiliare. A partire dalle avventure che ha vissuto, si descrive come una persona responsabile, discreta e con un forte spirito di iniziativa. Nonostante l'età, dimostra di sentirsi ancora recettivo e desideroso di seguire gli sviluppi che interesseranno il territorio.
Antonio, impiegato in una catena di grande distribuzione, arriva a Santa Giulia nel 2010. Si presenta da subito con molteplici sfumature: da un lato timido e discreto, dall'altro autentico, ardente e perseverante quando si tratta di dedicarsi a qualcosa in cui crede e che lo coinvolge profondamente.
Il calcio, ad esempio, è la sua passione più grande: la carica emotiva, la spinta motivazionale, il senso di appartenenza e di gratuità che gli consente di esperire, sono solo alcuni degli aspetti che rendono questo sport così significativo nella sua vita. Attraverso il calcio si è scoperto portatore di un curioso talento: la capacità, cioè, di ricostruire e collocare con esatta precisione eventi biografici (suoi e di altri) attraverso le date specifiche di alcune partite.
Il lavoro è diventato negli anni una dimensione identitaria preziosa, altamente formativa, dove i riconoscimenti per l’impegno dimostrato hanno via via alimentato la fiducia in se stesso, lo spirito di iniziativa e la sfera relazionale: in un momento di delicata condivisione racconta come, finito il liceo, si sentisse spaventano per il futuro e titubante a esprimersi pienamente. Attraverso il lavoro si è riscoperto più consapevole, portatore di un valore utile anche per gli altri.
Guardando al futuro, Antonio afferma di voler continuare a migliorarsi ed esplorare quanti più orizzonti possibili, in primis attraverso il viaggio. Desidererebbe scoprire la peculiarità con cui gli altri del mondo affrontano la vita, amplificare la comprensione della realtà ma anche di se stesso, mettere in discussione (e potenziare) competenze come l’autonomia e l'inventiva. Ad attrarlo di più, specialmente in Asia e in Sud America, sono i contesti ancora incontaminati, lontani dall’occidentalizzazione moderna e in cui si respirano tradizioni autentiche. Tradizioni che nei territori milanesi più prossimi, afferma, si evolvono e si intrecciano in fucine di eterogeneità e mutamenti.
Negli anni Antonio è stato infatti spettatore delle trasformazioni urbanistiche e generazionali che hanno interessato la città e in particolare il quartiere di Santa Giulia. L'aumento progressivo di famiglie e persone giovani, così come il potenziamento architettonico ancora in atto, hanno delineato un ambiente tranquillo, sicuro e vivibile. E' cresciuto il numero di servizi tra commerci e spazi adibiti allo sport. Le prospettive future, legate soprattutto alle Olimpiadi Invernali del 2026, lasciano presagire continui sviluppi, come il Palazzetto dello Sport in fase di realizzazione.Antonio si augura che vengano implementate soprattutto le risorse per le nuove generazioni: a suo avviso, tra gli aspetti di debolezza, c'è infatti la carenza di luoghi di aggregazione culturale. Un teatro o una biblioteca (come la Valvassori Peroni presente a Lambrate, ad esempio) dove i ragazzi possano incontrarsi per studiare, divertirsi e creare legami in un luogo accogliente con servizi accattivanti. Rendere il quartiere uno spazio vivibile, attrattivo e accessibile non solo per i residenti ma anche per il resto delle città è, secondo Antonio, un aspetto prezioso a cui guardare nel lavoro di progettazione per il territorio. Infine, con un approccio generativo, sottolinea l'importanza di sostenere le famiglie affinché i più piccoli siano protetti e accompagnati nel loro percorso di crescita che, come per il quartiere stesso, può e dev'essere ricco di potenzialità.
Giuseppe, detto Pippo, ha lavorato come cineoperatore per cinquant’anni: film, documentari, pubblicità … In particolare, la specializzazione in steadycam presa a Los Angeles gli ha permesso di lavorare come pioniere in Italia: sperimentata per la prima volta con il film Rocky e consacrata poi dal film Shining, la steadycam era allora sconosciuta in Italia.
Questo lavoro gli ha permesso di viaggiare e conoscere altre culture. Quello che lo ha affascinato è che in tutto il mondo esiste il tiro con l’arco: dalla Cina al Giappone, dalla Mongolia all’Africa … Lo definirebbe quasi una filosofia, il tiro con l’arco: non ci vuole necessariamente forza, ma equilibrio e concentrazione. E’ uno dei pochi sport in cui si può effettivamente raggiungere la perfezione.
L’associazione Arcieri San Bernardo nasce da una prima esperienza a Novegro. L’associazione si è poi trasferita all’abbazia San Bernardo di Chiaravalle - da cui ha preso il nome- fino a quando, essendo cresciuta in numero di associati, si è trasferita qui a Rogoredo. L’Associazione ha instaurato un’ottima relazione con il Municipio Quattro che ne ha riconosciuto il contributo al quartiere, avendo recuperato uno spazio abbandonato e mal frequentato.
Il tiro con l’arco è per tutte le età: dai bambini agli anziani. Il loro socio più anziano ha infatti ottantotto anni. Molte sono anche le donne iscritte e le persone con disabilità che praticano lo sport competendo con quelle senza disabilità.
Con il progetto per le olimpiadi Milano- Cortina il quartiere è destinato ad ampliarsi e popolarsi maggiormente. Pippo si augura che nei progetti del nuovo quartiere rimanga del verde e non ci siano solo costruzioni.
Quello che lo spinge ad andare avanti è la passione per una disciplina che rimane ancora oggi poco conosciuta. L’auspicio è di trovare qualcuno che voglia dedicarvisi con altrettanta passione e portare avanti la compagnia.
Odontoiatra di professione, Alberto ha sempre avuto la passione per lo sport. Al basket si è avvicinato all’età di otto anni ed ha poi continuato a praticare questa disciplina in modo assiduo, fino a diventare giocatore e gareggiare nei campionati. Quando poi ha avuto due figlie femmine ha deciso di avviarle ugualmente al basket.
Allora non c’era molta offerta per il basket femminile a Milano, da cui l’idea di costituire una società che con gli anni si è poi allargata, trasformandosi da società di genitori a vera società sportiva, che annovera una squadra in serie B che per ben tre volte ha disputato la finalissima per accedere alla serie A2. L’associazione è presente in diversi quartieri del municipio quattro, tra cui Merezzate e Santa Giulia, dove ha lasciato il segno avvicinando molte ragazze al basket. Il basket femminile sta crescendo molto in questi ultimi anni - come lo sport femminile in generale- riuscendo ad essere molto coinvolgente. Veder le ragazze avvicinarsi allo sport ed appassionarsi è quello che da sempre motiva Alberto, oltre ai valori che questo sport trasmette, come l’impegno costante per il raggiungimento di un risultato non immediato: valori che possono essere applicati anche ai diversi ambiti della vita, dallo studio al lavoro.
Il quartiere di Merezzate- Santa Giulia è in fase di grande espansione, per cui le strutture sportive esistenti potrebbero iniziare ad essere insufficienti. Le autorità locali dovrebbero quindi investire in infrastrutture sportive come investimento per il futuro. Infatti, portare i ragazzi nelle palestre - piuttosto che lasciarli nei bar e per strada - significa investire in una società migliore. In una società contemporanea dove proliferano atti di sopraffazione e violenza, in particolare nei quartieri periferici, lo sport potrebbe, come sempre ha fatto, dare un contributo importante, veicolando valori quali il rispetto delle regole - anche nel fronteggiarsi l’un l’altro, il fare squadra e l’aiutarsi l’un l’altro. Questi messaggi che lo sport trasmette sono infatti alla base di ogni convivenza civile.
L’auspicio è quello che ci sia una maggiore identificazione del territorio nelle squadre di basket locali ed un maggior coinvolgimento nel supportarle assistendo alle partite.
Anthony è arrivato a Milano all’età di sette anni e da allora ha vissuto in diversi quartieri della città fino ad arrivare a Merezzate tre anni fa. Nato in Perù, non ricorda molto del suo paese natale se non la scuola e la casa. Gli piacerebbe un giorno poter tornare per visitare e conoscere meglio il paese e rivedere parte della famiglia rimasta lì.
Poco dopo essere arrivato nel quartiere ha proposto come attività comune il karaoke. A Merezzate si sperimentano infatti forme di abitare collaborativo e uno spazio, il Living, è a disposizione degli abitanti per delle attività comuni. Il karaoke è stato accolto con entusiasmo: una vicina l’ha aiutato a fare delle locandine che sono state affisse nel quartiere ed alle fermate del bus. Lui invece ha provveduto al microfono ed all’attrezzatura. Rispetto al suo arrivo, l’impressione che Anthony ha del quartiere è cambiata in positivo: le persone iniziano a conoscersi di più, divertirsi assieme e molte sono le attività gratuite proposte. Quando si condividono delle attività infatti, ci si inizia a vedere in modo diverso. Ad Anthony piacerebbe una comunità in cui ci si aiuta l’un l’altro, in cui si ha fiducia nell’altro, senza distinzione tra culture. Un posto dove le persone siano unite e nasca la fiducia tra inquilini e vicini. Come contributo alla comunità, Anthony offre il suo tempo e la disponibilità a rendersi utile. Come auspicio per il futuro, gli piacerebbe un maxi schermo nello spazio comune per delle serate cinema e delle telecamere per una maggiore sicurezza. Quello che apprezza di più del quartiere è il verde, l’area giochi, i bei palazzi e i bar e ristoranti sorti nei quartieri limitrofi.
Chimico fisico di formazione, Francesco insegna alle superiori ed all’università, oltre a dedicare parte del suo tempo alla divulgazione scientifica con il suo blog “pillole di chimica”. Ricorda che fin da bambino aveva una curiosità innata nel voler carpire i segreti della natura e capire il motivo dietro ad un fenomeno naturale. Del suo lavoro apprezza sia l’aspetto accademico che quello divulgativo: da un lato quindi fare ricerca, dall’altro trasmettere questa passione agli altri. Nel suo blog Francesco si rivolge sia a quanti abbiano già delle nozioni scientifiche, sia a quanti si approccino alla scienza per la prima volta. C’è una grande necessità di informazione scientifica in Italia, infatti molti uomini di scienza non fanno divulgazione perché è più difficile parlare di scienza alle persone non addette ai lavori.
Francesco ha anche pubblicato alcuni libri: alcuni più tecnici, come uno studio sulle biomolecole, altri più divulgativi, come un libro sulla chimica degli alimenti e uno sulle fake news. La passione per la lettura la deve a sua madre che era insegnante di lettere. Sarà anche per questo che a Merezzate partecipa al club del libro che è stato avviato tra gli abitanti di quartiere.
Francesco è a Merezzate da tre anni: il quartiere ha destato da subito un grande interesse in lui in quanto ha trovato l’idea della ‘città nella città’ molto innovativa e rara in una metropoli come Milano. Quello che spinge le persone a partecipare alle attività comuni è secondo lui la voglia di conoscersi, di condividere una passione con gli altri, di sentirsi parte di una comunità. D’altronde siamo animali sociali. Una comunità dovrebbe essere innanzitutto felice. Spesso la vita ci porta infatti ad essere stressati e quindi isolarci, mentre tornare dal lavoro e sentirsi veramente a casa, in un luogo dove puoi essere te stesso e spensierato, ci fa sentire più tranquilli e felici. Persona attiva e a cui piace sperimentare in generale, il contributo che Francesco potrebbe dare alla sua comunità è quello di mettere a disposizione le proprie competenze e dare un aiuto come forza lavoro per l’organizzazione delle attività in generale.
Rispetto al quartiere, ci sono tutti i presupposti perché sia un luogo ideale: gli spazi verdi, le costruzioni innovative e sostenibili … Dopodiché è compito nostro renderlo tale perché i luoghi li fanno le persone che si prendono cura del posto che amano.
Il suo auspicio personale è continuare ad aver voglia di fare quello che fa e avere la spinta per andare avanti, mentre per la collettività è quello di avere a cuore il posto in cui si vive come fosse casa propria, rispettare la libertà degli altri, venirsi incontro e sentirsi una comunità.
Elisa è insegnante di tecniche pittoriche con una specializzazione in arte terapia. Inizialmente ha lavorato come perito agrario. L’amore per l’arte l’ha poi portata a coltivare questa passione e formarsi in questo ambito, fino alla scelta di aprire un’associazione nel 2018 a Rogoredo, nella corte di una vecchia carrozzeria, poi asilo, ora rinominata “Corte degli Artisti”. La passione per il disegno la porta avanti da quando era bambina ed ha avuto la fortuna di avere dei genitori che hanno assecondato questo suo interesse. Per qualche anno Elisa è stata insegnante alla scuola di arti applicate del C.R.A.L. del Comune di Milano, dove ha imparato ad interagire con persone differenti tra cui persone della terza età. Le definisce un pozzo di sapere e non a caso la Corte è frequentata da giovani e anziani, tra cui la socia più anziana di oltre novant’anni. Molte sono anche le culture che qui si incontrano: dal Brasile, alla Polonia, la Corte è catalizzatrice di persone da tutta Italia e da tutto il mondo. Luogo di contaminazione culturale, la Corte ha ospitato corsi di pittura tradizionale giapponese, oltre a tecniche di acquarello e pastello. Di tanto in tanto vengono organizzate anche delle mostre, come quella che si terrà a Maggio al Kiss Bar dedicata al tema della Primavera. Della formazione in arte terapia Elisa porta con sé la concezione dell’arte come luogo di benessere ed alla portata di tutti.
Nata e cresciuta a Rogoredo, lo considera un paese nella città. Infatti c’è ancora l’abitudine del caffè e del ritrovo al bar per le persone anziane. Auspicherebbe più attività culturali per gli anziani e più possibilità di incontro tra le persone di diverse fasce di età, un po’ come succede qui alla corte in cui giovani e anziani collaborano assieme. Elisa parla di due momenti importanti di contaminazione del quartiere: un primo momento in seguito alla costruzione delle case popolari e all’arrivo di un gruppo di eritrei, ed un secondo momento con la costruzione di Santa Giulia che ha portato all’arrivo di molte famiglie giovani. Questo ha portato la Rogoredo storica ad aprirsi verso l’esterno, al punto che oggi Rogoredo è un quartiere variegato e multietnico. Per il quartiere Elisa auspica che nella crescita che interesserà il quartiere in vista delle olimpiadi venga mantenuta la stessa qualità della vita e che cadano definitivamente alcuni marchi posti dai media che non appartengono al quartiere.
Maria Luisa è nata a Rogoredo nel 1942, durante la seconda guerra mondiale. Essendoci la ferrovia, si temeva che potessero buttare una bomba nei pressi della stazione, per questo i genitori l’hanno mandata a Pavia dalla nonna, dove ha fatto l’asilo. Maria Luisa è poi tornata a Milano all’età di sei anni, una volta finita la guerra. Ricorda il momento in cui ha conosciuto il suo futuro marito, per strada, quando, essendo finita contro un recinto, lui le disse: “finalmente ti fermi”. Dopo essersi frequentati si sono poi sposati all’età di venticinque anni. Maria Luisa ha lavorato alla Montedison ventun anni, poi quando i genitori si sono ammalati, ha rilevato la loro salumeria in centro a Rogoredo. Si trattava di una salumeria storica che è rimasta aperta dal 1942 al 1998, mezzo secolo.
Quando era giovane a Rogoredo c’era una sala da ballo - dove adesso c’è la Coop, che era uno dei principali centri di ritrovo assieme all’Arci Mondini. Di quando è arrivata la metropolitana ricorda quando, a causa dei lavori, avevano dovuto spostare il mercato verso San Donato. Lei ed altri concittadini avevano poi portato le firme al Comune per ottenere che il mercato fosse rispostato a Rogoredo, dov’è tuttora. Di quando era giovane le manca il cinema e si augura che ne riaprano uno in quartiere. E’ comunque felice che il quartiere si stia rivalutando e si augura che rimanga quel senso comunitario che qui è ancora molto forte.
L’ARCI Mondini offre diversi corsi di ballo, teatro, musica per bambini, ragazzi e adulti. Un ricco palinsesto di serate con musica e ballo arricchisce poi l’offerta dei corsi, sempre più numerosi e variegati. L’iniziativa “Femminile Plurale” sugli stereotipi di genere è stata promossa dall’ARCI Mondini in collaborazione con l’ARCI Bellezza, Maschile Plurale e ActionAid, coinvolgendo diverse associazioni presenti sul territorio come Mare Culturale Urbano e Verde Festival. L’idea progettuale è nata durante il lockdown, quando l’ARCI Mondini aveva avviato un palinsesto di trasmissioni in streaming in cui venivano affrontate tematiche quali l’amore, il potere e la bellezza con una lente di genere. Dalla risposta positiva degli abitanti è scaturita la necessità di sviluppare ulteriormente queste tematiche, organizzando dei talk con la partecipazione di professionisti della materia, attivando delle rassegne teatrali e cinematografiche ed organizzando dei workshop che andassero a scardinare dei preconcetti di genere, come laboratori di cucito per uomini e di officina meccanica per donne. Grazie all’organizzazione di una mostra fotografica diffusa nei negozi di prossimità in cui venivano ritratte le donne del quartiere nelle loro occupazioni quotidiane, le persone, rivedendosi, si son sentite parte di un progetto comune, di una comunità. Il progetto è stato quindi importante nella ricostituzione dei legami comunitari dopo la fase pandemica, ricucendo delle relazioni che nel quartiere son sempre state molto forti.
A Rogoredo esiste infatti un forte senso comunitario, una dimensione di paese, grazie alle moltissime associazioni attive nel quartiere che creano continue occasione di scambio e di incontro. I nuovi progetti urbanistici, quali l’apertura di una sede del conservatorio, dovrebbero portare nel quartiere una presenza importante di giovani che dovrebbero dare une nuova spinta positiva. L’auspicio è che l’impegno sul territorio di realtà come l’ARCI e le molteplici associazioni di quartiere sia maggiormente sostenuto dalle istituzioni.
Rached vive a Milano da trentatré anni: ora abita e lavora a Merezzate ma prima ha abitato in zona San Siro, Navigli e Giambellino. Adesso Rached fa il piazzaiolo ma in passato ha fatto il manovale, il piastrellista, l’imbianchino … Tuttavia la sua passione è la cucina fin da quando era piccolo.
Ricorda infatti di quando andava al mercato con sua mamma a Biserta, la sua città natale. Biserta è una cittadina di mare nel nord della Tunisia, il punto più alto dell’Africa. Di Biserta gli manca il mare, il pesce, la verdura, l’aria, il sole… il clima del Nord Africa è ben diverso da quello di Milano. Di Milano Rached apprezza però le possibilità lavorative, il sistema sanitario, l’organizzazione…
Rached sente di avere due case: una in Italia ed una in Tunisia. In Italia Rached si è costruito una famiglia: i suoi figli vanno a scuola qui ed avranno un futuro qui. Tuttavia Rached ha mantenuto un forte legame affettivo con la Tunisia e ci tiene affinché i suoi figli passino del tempo nel paese delle sue origini, perché essere a metà tra due culture è una grande ricchezza. Rached stesso parla Tunisino, Arabo, Italiano e Francese.
Di Merezzate pensa che sia un posto tranquillo, a misura di famiglia. Apprezza il campo da basket, le attrezzature, lo spazio comune allestito, … si sente fortunato a vivere e lavorare qui. Alla domanda su quale sia il contributo che sente di poter dare alla sua comunità risponde “delle ottime pizze perché la felicità è nel cibo”. Rached ama fare la pizza, anche se il suo piatto preferito resta il cous cous. Per Rached la comunità dovrebbe essere unita, senza distinzione tra culture. Per il futuro Rached auspica la pace in tutto il mondo.
Fabrizio è il Responsabile del Circolo PD di Rogoredo. Fabrizio è nato a Rogoredo ed ha visto il quartiere cambiare. Si ricorda ancora di quando c’erano le acciaierie Redaelli e di quando in Corso Lodi c’era una moltitudine di piccole fabbriche che facevano materiale elettrico, turbine ed altre componenti. Adesso, lungo l’asse Rogoredo- Porta Romana, sono scomparse tutte le fabbriche. I primi ricordi del quartiere sono di quando andava a scuola e si trovava con gli altri ragazzi a giocare a calcetto. Ricorda anche il Circolo Mondini come luogo storico di aggregazione nel quartiere, oltre alla parrocchia. La sua famiglia è di sinistra da generazioni: i suoi nonni e poi i suoi genitori erano iscritti al PC, per cui lui porta avanti la tradizione di famiglia con l’impegno politico e sul territorio.
Tra le iniziative del Circolo ricorda le oltre 700 firme raccolte nel quartiere in seguito al trasferimento del medico di base che serviva 1.500 famiglie. Grazie a questa petizione ed al dialogo con le istituzioni, è stato possibile avere un nuovo medico di base che opera tutt’ora a Rogoredo. Il Circolo del PD è quindi sempre stato un punto di riferimento della partecipazione dal basso. Il Circolo si è anche attivato a favore del progetto che vede l’apertura di una sede del conservatorio a cui Fabrizio tiene molto personalmente: l’apertura del conservatorio porterebbe infatti a Rogoredo una moltitudine di giovani legati al mondo della cultura e della musica.
La comunità di Rogoredo è sempre stata tollerante e accogliente. Infatti a San Martino c’è stato il primo centro di accoglienza di Milano, poi chiuso per questioni politiche. L’auspicio è quindi che la comunità rimanga così com’è: accogliente e che non lascia indietro nessuno.
Nato a Varese e trasferitosi a Milano all’età di ventisette anni, Vinicio è stato tra i primi abitanti di Merezzate. Ricorda quando il quartiere era ancora in via di costruzione e al posto dei palazzi c’erano gli scavi. I primi abitanti sono arrivati durante il lockdown, per cui si respirava un’atmosfera di quiete surreale. Ora il quartiere si è popolato ed assumerà un volto ancora nuovo in ragione della riqualificazione delle zone circostanti in vista delle Olimpiadi Milano- Cortina.
Vinicio ha partecipato alla costituzione del Comitato di Quartiere, con il quale ha portato avanti diverse istanze vis-à-vis della proprietà e delle istituzioni pubbliche, perché nei nuovi progetti che riguardano il quartiere siano tutelati gli interessi degli abitanti.
Attualmente è impegnato nella costituzione di un’associazione di quartiere che gestirà lo spazio condiviso, ‘il Living’, con attività legate allo sport, alla cultura, al benessere, al gioco. Ad oggi le attività capaci di aggregare il maggior numero di persone sono quelle legate allo svago e ai momenti di convivialità, come il corso di balli latini e le feste di quartiere. A tal proposito gli abitanti di Merezzate collaborano con quelli del complesso residenziale Moneta che si sono già costituiti in associazione ed hanno aperto una redazione per informare delle attività svolte su diversi canali a seconda delle fasce d’età: dalle locandine, alle comunicazioni mail e whatsapp, ai post su facebook e instagram.
Per Vinicio un abitare collaborativo è un luogo in cui le persone hanno allo stesso tempo degli spazi privati e degli spazi per attività comuni, come lo spazio Living e il campo da basket. La comunità deve essere innanzitutto inclusione, partecipazione e crescita personale. Resta ancora da costituire una rete di supporto alle persone più fragili, come gli anziani, così come l’attivazione di una portineria di quartiere che offra dei servizi base agli abitanti.
Il contributo che Vinicio sente di dare già alla sua comunità è il suo tempo, il bene più prezioso, le sue capacità pratiche ed organizzative e l’impegno a coinvolgere sempre più persone. Nel tempo libero dal lavoro e dalle attività comuni, a Vinicio piace organizzare delle uscite al mare e in montagna o riservarsi del tempo con gli amici.
Per il futuro Vinicio vorrebbe veder nascere una maggior ricchezza di servizi, come una palestra o un centro medico, e una maggiore attenzione per il bene comune. L’auspicio è infine di riuscire a costruire una comunità partecipata e la nascita di un’associazione di quartiere.
Il centro Icare nasce nei primi anni duemila ma è stato preceduto da diverse esperienze, quali una ludoteca gestita da un gruppo di genitori che avevano l’esigenza di una gestione condivisa del tempo libero dei figli. Attualmente il centro offre attività di doposcuola ad una dozzina di ragazzi della scuola media ed ospita le riunioni di un comitato di persone che si occupa dei problemi urbanistici legati al quartiere.
Daniele è stato professore universitario all’Università degli Studi di Milano, Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali. Fin da quando si è trasferito a Rogoredo nel 1985 ha partecipato a titolo volontario a diverse iniziative, come attività di doposcuola nella ‘casa bianca’ di Via Feltrinelli, un insediamento di edilizia popolare per famiglie sfrattate, ed attività legate alla prima esperienza della scuola di italiano per stranieri con un gruppo di donne eritree. E’ stato inoltre presidente del Circolo Mondini per sei anni.
Quando è arrivato a Rogoredo esistevano diversi spazi aggregativi che ora han chiuso, come la birreria e l’ex cooperativa, oggi supermercato Coop. Il problema della mancanza di spazi di aggregazione, soprattutto per i più giovani, è un problema che si tocca con mano. Rogoredo è infatti un quartiere in espansione demografica: le case abitate dagli operai della Redaelli sono state col tempo occupate da famiglie più giovani, così come l’aumento dei prezzi delle case ha spinto in certi casi le persone anziane a trasferirsi nell’hinterland. Più che di un quartiere, Daniele parla di un insieme di quartieri - San Martino, Rogoredo Vecchia, Santa Giulia, Merezzate - con identità diverse e talvolta scollegate urbanisticamente. Il lavoro delle molteplici associazioni mira a cercare di sviluppare un’identità comune e di fornire soluzioni condivise a problemi comuni come la viabilità, la mancanza di spazi di aggregazione, la carenza di medici di base e l’assenza di alcuni servizi come un’edicola. Per il futuro, l’auspicio è che i quartieri si mescolino e che ci sia un rinnovato desiderio di partecipare e occuparsi dei problemi collettivi.
Luigi lavora per il Gestore Sociale di Redo Merezzate e si occupa delle questioni amministrative legate alla manutenzione e gestione del condominio. Ha lavorato per diversi complessi di housing sociale in diversi quartieri e da un annetto lavora a Merezzate. In questi ultimi sette anni Luigi ha lavorato per diverse aziende, occupandosi sempre della parte amministrativa. Nato a Napoli, quello che più gli manca della sua città Natale è lo sguardo sull’orizzonte osservando il mare.
Occupandosi di manutenzione e segnalazioni, è spesso a contatto con le persone. Entrare nelle case delle persone per questioni tecniche legate a delle segnalazioni è un po’ come entrare nel vissuto e nella storia delle persone. Luigi gestisce anche le consegne degli immobili ai nuovi arrivati, per cui ha visto la comunità costituirsi. Partecipa ad alcune delle iniziative comuni, come gli eventi e le feste, così come ad alcuni aspetti legati alla gestione dello spazio Living, lo spazio comune. Chi arriva a Merezzate infatti sperimenta un nuovo modo di abitare e stare assieme e lo spazio Living è un luogo messo a disposizione degli abitanti per incontrarsi e promuovere delle attività volte a conoscersi meglio. Merezzate è un quartiere molto variegato, per età, vissuto e provenienza. E’ quindi un luogo dove persone con esperienze e provenienze diverse si incontrano e si mescolano. Una comunità per Luigi dovrebbe essere spensierata ed inclusiva, non solo delle diversità ma anche delle opinioni altrui. Per il futuro Luigi si augura rispetto, partecipazione e che questa esperienza possa essere da modello per altre esperienze di abitare collaborativo in tutta Italia.
Bruno Dalchecco è il Presidente Sezione ANA Associazione Nazionale Alpini di Alessandria ed Ennio Besola è il Capogruppo Alpini di Felizzano in specifico. Dalchecco si arruola nel 1976 e fa parte dell’Associazione Nazionale Alpini, fa subito un accenno storico riguardo la nascita del corpo degli Alpini, fondato a Napoli nel 1872. Dal 1919 i reduci della 1° Guerra Mondiale hanno fondato l’ANA che raggruppa gli Alpini, il loro motto diventa “ Aiutare i vivi per ricordare i morti”, riportato sulla colonna mozza all’ Ortigara nel 1920 dove si è svolto il primo raduno nazionale, da allora ogni anno, come consuetudine, avviene in una diversa città d’Italia. L’ANA, con sede nazionale a Milano, conta 4300 gruppi in tutta Italia suddivisi in 80 sezioni, mentre all’ estero si contano 30 gruppi suddivisi 29 sezioni, si tratta dell’associazione d’arma più grande al mondo. All’interno di ogni sezione vi sono vari gruppi, in quella di Alessandria si contano 35 gruppi e circa 1500 iscritti, può essere presente un corpo di Protezione Civile all’ interno della sezione, dove si aiutano gli enti locali e viene fatta beneficenza. Gli Alpini in arma portano pace e democrazia, gli Alpini in congedo continuano a portare avanti i valori e il loro motto. Ogni anno l’operato degli Alpini viene rendicontato e riportato in un “Libro Verde” dove viene raccolto il numero delle ore svolte di volontariato per eseguire opere di solidarietà e di sostegno al prossimo, con un valore monetario molto alto, a questo si aggiungono i soldi devoluti in beneficenza raccolti attraverso varie iniziative nel corso dell’anno. Lo spirito degli Alpini è animato dalla solidarietà e volto all’ aiuto nei confronti di chi è bisognoso, ad esempio a livello nazionale sono stati costruiti vari edifici, all’ estero ad esempio in Ucraina oppure in luoghi in cui ci sono state calamità naturali. Si ricorda il grande impegno e coinvolgimento da pare degli Alpini durante e dopo l’alluvione di Alessandria nel 1994. Dal 2005 è presente la figura femminile all’ interno degli alpini, dove svolge mansioni identiche a quelle maschili. L’ANA da 3 anni organizza campi scuola a livello nazionale che coinvolge ragazzi dai 16 ai 25 anni svoltisi in Sicilia e in Sardegna, per la durata di 15 giorni. La sezione di Alessandria organizza da diversi anni il campo scuola per giovani dai 10 ai 15 anni, sia per maschi, sia per femmine. Il 17 settembre 2023 ci sarà l’inaugurazione del monumento agli Alpini antistante la Stazione ferroviaria di Alessandria, in quel weekend si terrà in città la riunione del centro studi nazionale dove si riuniranno tutte le sezioni ANA, questo evento è motivo di orgoglio da parte del Presidente Dalchecco, il quale auspica che possa a breve svolgersi anche il consueto annuale Raduno Nazionale proprio ad Alessandria. A Felizzano il gruppo è nato il 15/4/1984, è composto da un buon numero di iscritti, alle attività ed iniziative organizzate partecipano spesso i soliti associati. La caratteristica che accomuna gli alpini è “la passione con cui vengono fatte le cose”, sottolinea Besola Ennio, e quando si agisce con passione e impegno le cose riescono bene. Gli Alpini collaborano attivamente con gli istituti scolastici di Felizzano coinvolgendo le scuole elementari e medie con varie manifestazioni, ad esempio la festa dell’ albero, la giornata ecologica e la giornata mondiale della sostenibilità. Queste attività svolte nelle scuole riscuotono sempre molto successo e sono molto apprezzate, i ragazzini vengono coinvolti e dimostrano interesse. Nel comune di Felizzano sono stare realizzate opere a cure degli Alpini, come ad esempio il ripristino del viale della Rimembranza, la ristrutturazione dell’attuale sede del gruppo, è stato inaugurato il monumento dedicato all’ Alpino in un’ area concessa dal Comune, si è stipulata anche una convenzione con l’amministrazione comunale per la pulizia e la sicurezza all’ interno del paese di Felizzano. Si riferisce che ogni anno vengono devoluti molti soldi in beneficenza, per quanto riguarda la realtà di Felizzano, in particolare, sono state acquistate delle lavagne LIM e altri materiali per la scuola, viene mantenuta attiva e attrezzata l’ aula dei laboratori, sono presi in adozione a distanza 2 bambini stranieri, questo denaro viene solitamente ricavato da alcune iniziative come ad esempio le cene che avvengono nella sede. Il gruppo di Felizzano è attivo, funziona bene, garantisce aiuto e sostegno attraverso attività e iniziative rivolte alla cittadinanza. Prossimo impegno sarà la seconda domenica di maggio al raduno nazionale che si terrà quest’ anno a Udine.
Filippa, da tutti conosciuta come FINA, è una donna di 70 anni, dalle mille sfaccettature, ferma sui suoi valori, combattiva, ma nello stesso tempo dolce e accogliente E' un'Assistente sociale, una mamma e una nonna.Originaria della provincia di Caltanissetta, ha vissuto gli anni universitari e lavorativi a Catania, una città che l'ha accolta ma che lei non ha sentito mai sua, perchè, molto forte il legame con le sue origini.Dopo il diploma, si è iscritta a Scienze Politiche, ma durante gli studi, una esperienza per diversi anni, all'interno di una associazione per ragazzi portatori di handicap ha dato una svolta significativa alla sua vita.Da quel momento la sua nuova Mission è diventata: -aiutare e sostenere i più deboli-Quindi cambia facoltà , e si iscrive alla Scuola Superiore dei Servizi Sociali, e dopo tre anni è diventa appunto una Assistente Sociale.Per 47 anni, ha svolto la sua professione all'interno dell'Amministrazione Pubblica del Comune di Misterbianco (CT), con il supporto di figure professionali provenienti dal Privato Sociale grazie ai progetti presentati dalle varie Cooperative del territorio.Il lavoro in questi anni non è stato facile, le vite dei tanti nuclei familiari che ha incrociato e preso in carico erano deprivate sia economicamente che affettivamente, spesso il suo ruolo non veniva riconosciuto e accettato, per tanti la sua figura aveva solo uno scopo: "TOGLIERE I BAMBINI".Si è spesa in tante battaglie, anche le piu disperate, perchè per lei, anche il piu piccolo dei risultati raggiunti era pur sempre qualcosa..un piccolo granello che avrebbe fatto sentire accolto chi si sentiva inascoltato, dimenticato.Proprio per questo non ha mai perso l'entusiasmo e la voglia di darsi.All'età di 67 anni è andata in pensione.Per Fina, è stato un momento difficilissimo, legato soprattutto alla prematura perdita del compagno di una vita, senza piu il lavoro e i collehi si è rifugiata nella famiglia.E poi un giorno, inaspettivamente la sua routine familiare è stata interrotta dalla proposta della Cooperativa Marianella Garcia.Con quest'ultima e alcuni suoi collaboratori nel corso di tutti questi lunghi anni lavorativi ha stretto rapporti di stima e affetto significativi, per cui alla proposta di ritornare a lavorare come assistente sociale in un nuovo progetto "Teneramente", finanziato da Cesvi e di cui la Garcia e partenr, ha subito accettato.Progetto molto innovativo, della durata di tre anni. Ha ripreso cosi a fare l'assistente sociale e insieme all'equipe multidisciplinare, formata da un coordinatore, uno psicologo, un pedagogiste e gli educatori professionali e diverse agenzie del territorio sanitarie e non. Ad essere seguiti e presi in carico dall'intero team, sono le famiglie e i bambini da zero a a sei anni, che vivono situazioni molto particolari e delicate.Sente di essere cambiata, come lei stessa ha detto durante l'intervista, è meno rigida, più accogliente, più dolce, meno istituzionale.Ha un part-time, perchè la sua famiglia, soprattutto i nipoti hanno bisogno di lei e lei ha bisogno del suo tempo per ascoltare e vivere finalmente il suo essere "Donna".
Gianluca ha lavorato per molti anni come barista ma la sua passione è il disegno. Diplomato al liceo artistico, aveva iniziato lavorando in delle agenzie di pubblicità. Dopodiché ha trovato lavoro come disegnatore di fotogrammi per i cartoni animati, tra cui menziona la serie animata di Lupo Alberto. Il disegno è la sua passione da quando era bambino e continua ad esserlo ancora oggi. Il suo sogno è infatti quello di poter realizzare un cartone animato da lui ideato. Gli piace infatti l’idea di creare un progetto suo piuttosto che lavorare come dipendente per qualcun altro.
Nato e cresciuto in zona San Siro, ora abita in fondo a Via Ripamonti. Di dove vive ora apprezza la tranquillità, il verde e la dimensione di paese. Gli piace infatti fare delle passeggiate al parco e a casa si prende cura del giardino. Tuttavia la sua occupazione preferita nel tempo libero rimane il disegno.
Per Gianluca una comunità dovrebbe essere inclusiva e accogliente e dovrebbe avere degli spazi aggregativi per stare insieme. In passato ha tenuto dei laboratori per bambini sulla creazione di animali in carta pesta in cui si è molto divertito. Il contributo che immagina poter dare alla comunità è quindi quello di svolgere delle attività artistiche con i bambini. Il suo auspicio per il futuro è quello di fare un lavoro che lo appassiona e che faccia divertire gli altri.
Jorgelina è arrivata dall’Argentina nel febbraio 2020, poco prima che scoppiasse la pandemia. E’ arrivata per fare un viaggio nella terra dei suoi avi, essendo il suo bisnonno calabrese, ed è poi rimasta in Italia. Ha vissuto un anno e mezzo in Valtellina e poi si è trasferita a Milano, ospite di un’amica. L’inizio è stato difficile: ha dovuto adattarsi al freddo della montagna ed imparare la lingua. Oggi Jorgelina, Koki per gli amici, studia graphic design e lavora in un bar caffetteria a Merezzate. Prima di lavorare qui ha fatto esperienza nella ristorazione e nel reparto di customer service di un’azienda internazionale, dove teneva i contatti con la Spagna. Nata e cresciuta a Buenos Aires, le piace la dimensione cittadina e a Milano si è costituita la sua comunità, fatta di colleghi, compagni di scuola e vicini. Il suo sogno è quello di lavorare da remoto per poter girare il mondo in un camper. Appassionata di comunicazione, oltre al lavoro e lo studio fa volontariato in una radio locale e spera di poter lanciare presto un suo podcast. La comunicazione è infatti per lei un modo per farsi vicini alle persone, non farle sentir sole, creare empatia ed affrontare temi in cui le persone possano identificarsi.
Alla domanda su cosa faccia una comunità tale, Jorgelina risponde l’empatia, l’accettazione della diversità, la comunicazione e la felicità. Il suo posto ideale dovrebbe avere uno spazio di mutuo aiuto, un centro culturale libero e accessibile a tutti ed essere partecipato. L’auspicio per la sua comunità è che ognuno possa trovare qualcosa che ama fare perché la felicità rende le persone più buone.
Edoardo è laureato in statistica e si sta specializzando in data science. Si tratta di una figura professionale relativamente nuova che si occupa di analisi dati e collabora con i data analyst. Il data science è una scienza che si occupa dello studio e interpretazione del dato e di come questo possa diventare fruibile e comprensibile al pubblico. E’ quindi una disciplina che si può applicare a qualsiasi ambito: medico, demografico, sociale, marketing, …
A Edoardo piace viaggiare: è infatti recentemente tornato da un anno di Erasmus in un paesino della Norvegia e si sta ancora riadattando alla vita cittadina. Da qualche anno abita a Santa Giulia: si ricorda quando ancora non c’erano la promenade, il parco trapezio e i palazzi nuovi. Oggi il parco e la promenade sono luoghi vissuti, ed è un quartiere popolato da molte famiglie giovani con figli. Quelli di Rogoredo, Santa Giulia e Merezzate sono quartieri dove c’è ancora una dimensione di paese, tra ragazzi ci si conosce tutti e ci si ritrova spesso al bar oppure al parco. A parte questi luoghi di aggregazione manca però un posto per il doposcuola, per cui Edoardo vorrebbe costituire un gruppo di ragazzi universitari che supportino i più giovani nel percorso scolastico, sia con un aiuto compiti che con dei percorsi di orientamento. Attraverso l’incontro con laureati e giovani lavoratori e la loro esperienza infatti, i più giovani potrebbero scoprire nuovi interessi ed interessarsi a dei percorsi professionali. Oltre a questo progetto personale, Edoardo ha un interesse per il giardinaggio e si è reso quindi disponibile come volontario per l’iniziativa degli orti condivisi di Merezzate.
Il Baskin nasce a Cremona venti anni fa dall’idea di un papà con una figlia con disabilità motorie ed un insegnante di educazione fisica. L’idea del basket “inclusivo” o “integrato” è infatti quella di uno sport che possa far giocare nello stesso campo persone di sesso diverso e con capacità tecniche e motorie differenti. E’ quindi uno sport per tutti, in cui vengono assegnati dei ruoli in base alle capacità tecniche e motorie di ciascuno, così che ogni giocatore si possa confrontare unicamente con giocatori con caratteristiche simili dal punto di vista fisico e tecnico. E’ un gioco che si può giocare in qualsiasi campo da basket, con l’aggiunta di due canestri più bassi che vengono posizionati lungo la riga del metà campo.
L’iniziativa del Baskin a Rogoredo nasce all’interno della società sportiva Primavera 2005 da un gruppo di amici appassionati di sport e con una sensibilità per il mondo delle disabilità. Il Covid ha ritardato l’inizio dell’attività sportiva che è stata avviata nell’Ottobre 2021, inizialmente con un gruppo ristretto che si è andato via via allargando. Oggi la squadra si compone di genitori e giovani con disabilità e non, che vengono anche da quartieri e paesi vicini.
Luca, tra i fondatori del Baskin Rogoredo, abita nel quartiere da qualche anno. Rogoredo è un quartiere bello e dinamico, con molte associazioni impegnate nel territorio ed in continua espansione. Recentemente sono arrivate molte famiglie con bambini per cui il quartiere è in forte espansione demografica. Quello che lo motiva ad investirsi nel volontariato è la passione per lo sport e l’inclusione, che per lui significa il sapersi accogliere come si è, con i difetti, i limiti e le caratteristiche di ognuno. L’auspicio è che cresca l’interesse per questo sport e che nascano sempre più realtà di basket inclusivo a Milano e altrove.
Stefania è una persona dai molteplici interessi: ha lavorato all’assessorato alla cultura del Comune di Milano, poi per una casa editrice ed attualmente si occupa di orientamento ed organizzazione di eventi per la scuola di design del Politecnico di Milano.
E’ stata tra i primi abitanti di Merezzate ed ha da subito trovato la quiete nel quartiere riposante. Le è sempre piaciuto organizzare e condividere momenti di socialità con gli amici, per cui quando è venuta a conoscenza del progetto di social housing ha subito fatto domanda. Avvicinandosi l’età della pensione, le piace pensare a forme di abitare collaborativo tra vicini e si è quindi proposta per tenere un club di lettura nello spazio comune di Merezzate. La partecipazione a queste attività, come il club di lettura o le serate di speak up, sono un’occasione per conoscersi e raccontarsi.
Tra i suoi luoghi preferiti ci sono gli orti nel quartiere vecchio e quando può le piace andare a fare delle passeggiate in montagna. Per il futuro spera di poter avere più tempo da dedicare a se stessa e di condurre una vita dai ritmi meno frenetici. Per il quartiere auspica l’apertura di negozi di prossimità come un fruttivendolo, un giornalaio oppure una libreria indipendente.
La sua idea di abitare collaborativo è quella di un quartiere capace non solo di offrire delle occasioni di svago e incontro per giovani e famiglie, ma anche in grado di supportare le persone più fragili come gli anziani.
Antonella lavora da quando aveva diciassette anni: è stata impiegata in diversi uffici per poi arrivare alla Rinascente di Piazza Duomo, dove ha lavorato dieci anni negli uffici amministrativi e diciotto anni nel reparto vendita. Ha preso una pausa dal lavoro quando ha avuto i figli ed ora è in pensione da meno di un anno. Nata in Viale Ungheria da genitori pugliesi, ha sempre vissuto nel quartiere. Si affeziona molto ai luoghi, per cui non c’è un altro posto dove vorrebbe abitare. Da quando è in pensione si è riappropriata del proprio tempo: prima era una vita frenetica, tra lavoro, famiglia e casa, ora invece sta riscoprendo gli hobby, come leggere, disegnare e fare lavoretti in casa. Di quando era piccola ricorda i moltissimi negozietti che popolavano il quartiere: i negozi di giocattoli, casalinghi, la drogheria … e la merceria Kiss dove vendevano intimi e capi d’abbigliamento. Oggi molti negozi hanno chiuso a causa della concorrenza della grande distribuzione. E’ rimasto il mercato comunale, ancora frequentato dagli abitanti del quartiere. Alla domanda su cosa spinga le persone ad andare al mercato ancora oggi, Antonella risponde la voglia di dialogare, scambiare due parole, conoscersi … il contatto con le altre persone. C’è ancora un certo senso di comunità, forse maggiormente tra gli adulti in quanto i giovani preferiscono altri quartieri come la vicina Santa Giulia. Lei stessa ama passeggiare fino a Santa Giulia per andare a prendere un caffè con le amiche. Antonella rifiuta di considerare il Viale come un quartiere dormitorio e anzi lo definisce delizioso, anche se desidererebbe un maggiore decoro urbano con dei bei marciapiedi, delle panchine e dei bei baretti allestiti.
Da piccola passava molto tempo in cortile: le porte delle case erano aperte ed i bambini si ritrovavano a giocare nei cortili. Oggi la vita di cortile non esiste più e mancano dei luoghi di aggregazione per ragazzi e bambini, fatta eccezione dell’area gioco e del campo da calcio. Ha chiuso anche la biblioteca comunale.
Antonella è volontaria al Comitato di quartiere di Viale Ungheria. L’interesse per il bene pubblico viene da lontano: da giovane era iscritta al sindacato ed ha frequentato per molto tempo la sezione del partito a cui era iscritta. Ha sempre dato molta importanza alle relazioni con le persone ed oggi, disponendo di tempo libero, desidera dare il suo contributo alla comunità con volontà e impegno.
Il Comitato di Quartiere di Viale Ungheria e Dintorni nasce nel 2016 con l’intento di migliorare la vivibilità e la coesione sociale del quartiere, così come con quello di dialogare con le istituzioni per cercare delle soluzioni alle istanze dei cittadini. A tal proposito Fabrizio, Presidente del Comitato nonché uno dei membri fondatori, ricorda l’impegno con cui il Comitato si è battuto durante quattro anni per migliorare l’illuminazione pubblica nel Viale.
Tra le iniziative del Comitato si possono menzionare la realizzazione di panchine rosse in occasione della giornata contro la violenza sulle donne, la pulizia del viale con Legambiente, dei momenti di aggregazione ed il progetto “Mind The Gap” in collaborazione con ActionAid, attualmente nella sua seconda edizione. Il progetto propone diverse attività di doposcuola completamente gratuite a bambini, ragazzi ed adolescenti ed effettivamente la mancanza di un luogo di aggregazione, non solo per i giovani ma anche per i senior, era e rimane una delle principali esigenze sentite dagli abitanti. Esigenza che si fa sentire oggi più che mai in ragione del ritrovato desiderio di socialità emerso dopo la pandemia.
Fabrizio abita il quartiere da cinquant’anni. Tra i ricordi belli del passato menziona i concerti organizzati al parco dell’Abbazia Monluè. Diverse sono poi le personalità nate nel quartiere: dal portiere Zenga ai cantanti Francesco Sarcina delle Vibrazioni e Malika Ayane. Di bello il quartiere di oggi ha gli spazi verdi, la buona connessione grazie ai mezzi pubblici e la coesione sociale che ancora oggi caratterizza il quartiere. A tal proposito il Mercato Comunale ristrutturato rimane un punto di riferimento per gli abitanti nonché un luogo di incontro.
Dopo una vita dedicata all’insegnamento ed al servizio pubblico, non solo come Presidente del Comitato ma anche nella passata esperienza di Consigliere di municipio, l'auspicio di Fabrizio è che le istituzioni continuino a dialogare con i cittadini e che i risultati ottenuti spingano i cittadini ad una ancor maggiore partecipazione.
L’Associazione Parlami nasce nel 2018 dall’esigenza di mettere al servizio della cittadinanza diverse professionalità. Oggi l’associazione si compone di logopedisti, psicologi, osteopati, biologi nutrizionisti, arte terapisti e psicomotricisti dell’età evolutiva, con l’obiettivo portare avanti attività di sensibilizzazione e prevenzione rivolti a bambini ed adulti. L’associazione nasce a Rogoredo non solo per il legame con il territorio delle sue fondatrici ma anche in ragione della necessità di offrire agli abitanti dei servizi specialistici allora assenti.
Tra le iniziative di particolare successo, possiamo menzionare il ciclo di incontri “mio figlio cresce”, che ha portato sui diversi aspetti legati alla crescita: affrontare dal punto di vista emotivo l’ingresso alla scuola elementare, prevenire abitudini che possono portare a disfunzioni masticatorie e del linguaggio, prevenire i disturbi alimentari e del linguaggio, etc. L’associazione collabora anche con le associazioni locali sportive grazie ai suoi nutrizionisti e osteopati e con le scuole proponendo agli insegnanti laboratori sull’utilizzo della voce. Il grande valore aggiunto dell’associazione è l’approccio olistico e l’interdisciplinarità con cui vengono affrontati i temi grazie alla collaborazione tra i diversi specialisti che la compongono.
Durante la pandemia l’associazione ha continuato la sua attività di sensibilizzazione con l’organizzazione di webinar che hanno avuto un grande successo. Adesso invece a prevalere è una rinnovata voglia di stare insieme e di partecipare ad attività culturali e ricreative in presenza.
Della “vecchia Rogoredo” Annamaria, presidente dell’associazione, ricorda con nostalgia i negozietti di quartiere, come la drogheria, la salumeria, … oggi diversi negozi hanno chiuso in ragione della diffusione dei supermercati e dell’e-commerce. Delle Rogoredo attuale Annamaria apprezza la connessione con il centro grazie al trasporto pubblico ed il grande lavoro di riqualificazione della zona circostante alla stazione. Di grande valore è inoltre il senso comunitario degli abitanti del quartiere, rafforzato dal fatto che Rogoredo non è un quartiere di passaggio in quanto chiuso tra la ferrovia e la tangenziale. I diversi luoghi di aggregazione, come i giardinetti di Via Rogoredo, il Parco trapezio, le scuole, la parrocchia e le diverse iniziative itineranti delle associazioni stanno favorendo l’integrazione tra la Rogoredo storica ed il quartiere nuovo di Santa Giulia, prima poco comunicanti.
Quello che spinge Annamaria a fare questo lavoro dal 1985 è la passione, il contatto con le persone, la curiosità scientifica e l’arricchimento dato dal poter lavorare con professionisti a lei complementari.
Laura si definisce una persona eclettica: nella vita è stata insegnante, impiegata, contabile ed edicolante. Moltissimi sono gli hobbies: ufficiale di gara di judo, cantante e tesoriera di un coro, ama il bricolage e le attività manuali così come tutto quanto abbia a che fare con hardware e software. Attualmente tiene un laboratorio gratuito di alfabetizzazione digitale per adulti ed in passato si è già fatta promotrice di un laboratorio di scrapbooking, ovvero l’arte di fabbricare album fotografici e altri oggetti personalizzati con carta e altro materiale da riciclo, e dell’iniziativa degli orti comuni.
Milanese da generazioni, nata e cresciuta in zona Navigli, Laura si è trasferita a Merezzate un paio di anni fa. Aveva visto il bando e le piaceva l’idea di condivisione e socialità che sta alla base del co-housing, anche se lamenta una scarsa partecipazione alle iniziative comuni da parte degli abitanti. Quelli che invece partecipano alle iniziative sono spinti dalla voglia di condividere, stare assieme e creare amicizie e Laura stessa afferma di aver creato in quartiere delle solide amicizie. Alla domanda su quale sia la principale risorsa del quartiere, Laura risponde indubbiamente la possibilità di avere un bellissimo spazio comune per poter organizzare delle attività condivise.
Di tempo libero Laura ne ha molto poco: infatti, oltre a proporre dei laboratori, è rappresentante di scala – un lavoro a tempo pieno afferma- e presidente del Comitato di Quartiere di Merezzate. Il Comitato è stato creato due anni fa e si ripropone di fare da tramite tra abitanti ed istituzioni rispetto ad alcune istanze, come la riqualificazione dei palazzi abbandonati e la possibilità di avere una fermata del bus più vicina. Per alcune di queste iniziative si stanno coordinando con il Comitato di Quartiere di Santa Giulia: ad esempio, stanno organizzando un incontro con il municipio ed il comune per illustrare agli abitanti come cambierà il quartiere in vista delle olimpiadi. A tal proposito i progetti sono veramente molti: dai nuovi quartieri che sorgeranno, alla nuova sede del conservatorio, il Palaitalia, gli esercizi commerciali … si parla anche di una connessione Milano- Cortina in un’ora di treno. Laura auspicherebbe anche una maggiore ricchezza di servizi e commerci, magari un centro commerciale. Il quartiere è indubbiamente molto bello, bisogna però che ci sia la volontà di prendersi cura del bene comune e a tal proposito menziona alcuni atti di vandalismo.
Rispetto alla domanda su cosa la spinga ed impegnarsi per la sua comunità, Laura risponde l’empatia ed il desiderio di essere d’aiuto.
Domenico si è trasferito a Milano dalla Campania cinque anni fa, per cercare lavoro dopo aver conseguito la laurea. Si occupa di analisi dati ma è anche appassionato di grafica, video editing e di tutto quanto abbia a che fare con l’informatica. Abita a Merezzate da tre anni, anche se, lavorando già in zona Rogoredo, ha visto la costruzione dei palazzi e la nascita del quartiere. Quando poi sono stati pubblicati i bandi per le case, ha deciso di fare domanda per poter essere più vicino al lavoro. Oggi il tempo risparmiato negli spostamenti casa- lavoro lo investe in attività di volontariato utili alla sua comunità.
Domenico è infatti tra gli organizzatori delle serate in lingua Inglese aperte a tutti gli abitanti del quartiere e partecipa ad attività promosse da altri, come le serate giochi e le riunioni di quartiere. Queste serate sono diventate l’occasione per conoscere i propri vicini e creare un sentimento di comunità e gli hanno permesso di trovare persone con interessi a lui affini come il trekking, il tennis, i viaggi. Appena trasferitosi, l’organizzazione di queste attività è stata un po’ difficoltosa a causa delle limitazioni imposte dal Covid, ora invece chiunque può proporre delle attività nello spazio comune, il “Living”, purché siano aperte ed accessibili a tutta la comunità. Nella App di quartiere è possibile visionare in calendario l’insieme delle attività promosse e prenotarsi.
Gli abitanti sono consapevoli di essere fortunati ad avere uno spazio ampio ed arredato a disposizione della comunità, così come della responsabilità derivante dalla gestione di questo spazio comune per il coinvolgimento di tutti. Alla domanda su cosa lo spinga ad impegnarsi per la sua comunità, Domenico risponde “il piacere di vedere la gente che sorride, si saluta, si incontra e fa due chiacchiere”: creare relazioni crea un ambiente migliore, di condivisione, una qualità della vita migliore. Dove abitava prima non c’erano queste occasioni di incontro tra vicini. Già prima dell’assegnazione delle case sono stati organizzati degli incontri tra futuri vicini per favorire la conoscenza reciproca e la comprensione dell’Abitare Collaborativo. In uno di questi, è stato chiesto di fare un lavoro comune ed il suo gruppo ha lavorato assieme alla realizzazione di un cortometraggio.
Domenico ricorda ancora la prima impressione di quando è arrivato a Merezzate: gli ampi viali, gli spazi verdi … sembrava di stare in una villeggiatura. E’ una zona sempre più vissuta e frequentata, e lo sarà sempre di più con i lavori in vista delle Olimpiadi. Essendo una ex zona industriale, rimangono ancora molti spazi da riempire, come terreni ed edifici abbandonati: l’auspicio è che la comunità venga coinvolta nella presa di decisione riguardo a questi luoghi. A tal proposito, delle sinergie si stanno creando tra i comitati dei quartieri di Merezzate, Santa Giulia e Viale Ungheria. Del quartiere Domenico apprezza i luoghi di aggregazione, come il Parco Trapezio dove va a correre e la promenade ricca di bar. Auspicherebbe degli impianti sportivi come piscine, campi da tennis o da calcio.
L’auspicio per il futuro è che aumenti la partecipazione alle attività di quartiere e che si rafforzi lo spirito di comunità. Per sé, Domenico auspica di crearsi un giorno una famiglia qui a Merezzate.
Stefano si è trasferito a Rogoredo dal quartiere Corvetto sette anni fa, quando ha avuto la sua bambina. Nato a Milano, la sua famiglia è originaria del Sud Italia, per cui lui stesso fatica a definirsi Milanese. Rogoredo è un quartiere con molto da offrire per le famiglie con bambini: il Parco Trapezio è un luogo di incontro durante la bella stagione, così come il circolo Arci e l’oratorio che organizza spettacoli e feste. Il quartiere è in continua evoluzione: intere aree sono state riqualificate recentemente, come la zona circostante alla stazione con il nuovo food district. Ci sono poi i principali servizi e molte aree verdi. Un quartiere che si rinnova e che sta destando interesse crescente per chi cerca casa.
Prima Stefano lavorava in un altro quartiere di Milano, cosa che lo ha portato a vivere poco Rogoredo. Poi la scelta di aprire una cartolibreria nel centro storico di Rogoredo: una scelta che nasce dalla volontà di aprire una propria attività dopo aver lavorato per anni come impiegato nel mondo bancario assicurativo. L’occasione è stata data dalla chiusura della cartoleria storica di Rogoredo e dalla necessità di offrire questo servizio per le famiglie e per le scuole. Rispetto al precedente lavoro, Stefano apprezza poter stare a contatto con le persone ed instaurare un rapporto di conoscenza e fiducia con i propri clienti.
Le principali difficoltà legate al mestiere sono dovute al fatto che, nonostante ben collegato al centro, il quartiere non è una zona di transito, motivo per cui i clienti si limitano principalmente agli abitanti della zona. A tal proposito i lavori di riqualificazione legati alle Olimpiadi dovrebbero aprire nuove prospettive.
La Servente Magic Shop è un negozio di magia situato a Rogoredo che si occupa di vendita al dettaglio, produzione e commercializzazione, in Italia ed all’estero, di giochi di prestigio. La Servente offre inoltre la possibilità, sia ai prestigiatori esperti che ai neofiti della magia, di corsi individuali per migliorare le proprie tecniche.
La Servente nasce come e-commerce nel 2018 dalla passione del suo titolare, informatico di formazione ed allora consulente in comunicazione digitale per un’agenzia di Crema. Dopo due anni di attività online la scommessa di aprire un negozio nel centro di Rogoredo, nello spazio della lavanderia storica del quartiere, e di farne la propria attività principale. L’apertura del negozio ha coinciso con la pandemia per cui inizialmente il negozio ha beneficiato della curiosità degli abitanti “babbani” del quartiere, essendo le esibizioni dei professionisti temporaneamente sospese. Attualmente il lavoro è tornato ai tempi pre-pandemia con la ripresa di fiere di settore e spettacoli dal vivo.
Trattandosi di un settore di nicchia, La Servente lavora con tutta Italia, Europa e altri paesi del mondo, motivo per cui del quartiere vengono apprezzate le facilità logistiche legate alla presenza della ferrovia – inclusa l’Alta Velocità, della metropolitana e della tangenziale.
In questi anni il quartiere ha cambiato volto e sta tornando l’interesse ad acquistare casa qui. La qualità della vita è molto alta in quanto in quartiere è rimasta una dimensione comunitaria difficile da trovare altrove, c’è poco traffico e si beneficia della vicinanza al centro grazie alla metropolitana. Ci sono i servizi necessari come il supermercato, la farmacia, la posta, il tabacchi ed una serie di negozi di quartiere. La scorsa estate ha aperto il nuovo food district vicino alla stazione e nuovi negozi apriranno nei prossimi mesi. La nuova sede del conservatorio, con un campus per giovani studenti, dovrebbe aprire a breve.
L’auspicio è che riaprano i negozi: alcuni colleghi hanno infatti dovuto chiudere in ragione delle difficoltà legate all’impatto dell’e-commerce sul commercio al dettaglio ed al cambiamento nelle abitudini dei clienti con la diffusione dell’acquisto online. La voglia di ripartire e l’interesse per il quartiere fanno ben sperare per il futuro.
L’Associazione Lop Lop nasce a Roma dieci anni fa per iniziativa di alcune giovani neolaureate in Storia dell’Arte e si occupa di educazione all’arte ed al patrimonio rivolgendosi ai pubblici più diversi: da famiglie con bambini ad adolescenti, adulti ed anziani. In questi anni l’associazione si è ampliata ed ha attualmente sede a Milano, dove opera nei quartieri di San Siro, Cascina Merlata e Redo Merezzate. L’attenzione ai quartieri di periferia nasce dalla constatazione che, in grandi città come Milano, l’offerta culturale tenda a concentrarsi nelle zone centrali. Questo ha portato negli anni alla creazione di quartieri dormitorio percepiti dagli abitanti stessi come privi di significato in quanto hanno poco da offrire dal punto di vista dell’offerta culturale.
L’Associazione Lop Lop porta quindi delle proposte culturali volte a cambiare il modo in cui gli abitanti guardano al proprio quartiere perché inizino a percepirlo come un luogo ricco di patrimonio. Un esempio è il progetto “Nuovi Occhi Sul Quartiere” che coinvolge famiglie con bambini, adolescenti ed anziani in attività interdisciplinari che spaziano dalla fotografia alla danza ed alla poesia con un approccio intergenerazionale.
A Merezzate l’associazione ha attivato dei laboratori per famiglie e bambini a tema “la cultura ed il cibo”, oltre ad eventi tematici come una festa di natale. La partecipazione a questi laboratori sta aumentando grazie al passaparola degli abitanti ed alle relazioni di fiducia che si stanno istaurando con le famiglie.
Nell’elaborare la propria proposta, l’associazione parte dal dialogo con le famiglie e l’ascolto dei loro bisogni e desideri. Una serie di Tavole Rotonde saranno organizzate nei tre territori al fine di co-progettare la proposta culturale per il 2023, che avrà come tema principale la contemporaneità. La prima tavola rotonda a Cascina Torrette ha visto la partecipazione di genitori e bambini, insegnanti e professionalità legate al mondo dell’educazione. Da questa prima giornata di confronto è emerso come dopo la pandemia ci sia un gran bisogno di ricostruire relazioni di senso, riscoprendo non solo la vicinanza emotiva ma anche fisica. La fisicità è intesa non solo come bisogno di stare insieme fisicamente e di riscoprire la comunicazione nelle sua totalità, inclusa quindi la sfera della comunicazione corporea, ma anche come riscoperta del proprio corpo per capire, imparare e trasmettere emozioni. Fisicità che è altrettanto centrale nell’esperienza artistica dove il corpo è lo strumento per capire l’opera d’arte, vivere i colori, esprimere la creatività … Emerge quindi il bisogno di riscoprire l’arte come esperienza fisica rispetto all’approccio didattico basato sullo studio.
Ramona è una genovese trapiantata a Torino. Ha conseguito un diploma da cuoca, ma non ne ha fatto una professione, per cui la cucina è rimasta una passione. Ha poi conseguito una laurea breve in materie marittime ed aeree, che le ha dato la possibilità di lavorare a Genova, presso uffici che si occupavano di pratiche legate a queste attività.
Dal 2010, per amore, si è trasferita a Torino, dove ha cominciato a svolgere lavori, prevalentemente d’ufficio, ricoprendo vari ruoli; dalla segretaria, all’addetta di telemarketing, alle vendite.
Vorrebbe riprendere a lavorare, ovviamente le piacerebbe ritornare in un ufficio, ma la situazione contingente un po’ difficile, la porta ad accontentarsi di svolgere qualsiasi lavoro, che si possa conciliare con la sua attività di mamma.
Legge molto, perché è una donna molto curiosa. Una frase che ripete spesso alle figlie: “leggete, per poter scrivere bene”.
Si interessa di questioni di legalità; è infatti collabora con l’Associazione volontari Capitano Ultimo e le piacerebbe molto organizzare nelle scuole, dei laboratori che trattino i temi legati alla legalità, oppure incontri con adulti e ragazzi per dibattere la questione.
Scrive su qualsiasi argomento che le passi per la mente e ha collaborato con un giornale locale ligure, con articoli di cronaca, vignette o caricature; sì perché anche il disegno rappresenta un modo per esprimere una personalità forte, empatica e soprattutto vivace. La passione per l’arte l’ha ereditata dalla mamma, maestra d’arte ceramista, dipinge ceramiche e ogni cosa le capiti tra le mani.
Danila abita in Viale Ungheria dal 1959. Ragioniera di formazione e da poco in pensione, Danila ha lavorato in amministrazione e nelle risorse umane. Del vecchio Viale ricorda i moltissimi negozi di quartiere: negozi di abbigliamento, alimentari, macellerie, salumerie, panetterie … oltre al mercato comunale che esiste tuttora. Danila ricorda anche la gioia di quando è arrivato il tram nel Viale, tram che oggi collega il Viale al centro in una ventina di minuti. Oggi il quartiere è forse tra le periferie meglio collegate al centro.
In passato l’oratorio fungeva da luogo di aggregazione per i più giovani e per gli anziani che lì si trovavano a giocare a carte. Oggi è rimasto il centro sportivo e il campo da calcio, ma mancano biblioteche e centri o iniziative culturali. Il Comitato di Quartiere di Viale Ungheria, dove Danila fa la volontaria da circa un anno, ha attualmente attivato un progetto che promuove diversi laboratori per ragazzi nel doposcuola, per far fronte al bisogno molto sentito della mancanza di luoghi di aggregazione per i giovani.
Disponendo di tempo libero, le ore spese in volontariato sono il suo contributo per la comunità. Delle istanze promosse dal comitato presso le pubbliche amministrazioni, Danila ricorda quella volta a migliorare l’illuminazione pubblica nel Viale e l’attuale campagna per il rifacimento del manto stradale. L’auspicio per il futuro è che ci possa essere una zona pedonale e che ci sia un maggiore senso civico e rispetto per il bene comune da parte degli abitanti. Del quartiere di oggi Danila apprezza il senso comunitario: molte sono le persone nate e cresciute qui e che in età adulta hanno deciso di tornare ad abitare nel Viale. Il Mercato comunale rappresenta a tal proposito un luogo di incontro soprattutto nei fine settimana.
Mare Culturale Urbano si ripropone di attivare i territori attraverso la cultura, con una particolare attenzione per i territori periferici della città di Milano. Nel 2016 Mare Culturale Urbano apre una sede in Cascina Torrette, nella zona di San Siro, con l’attivazione di una programmazione artistica ed attività laboratoriali. Da allora la Cascina diventa il cuore di Mare Culturale Urbano, che nel 2020 si estende aprendo tre nuovi spazi a Cascina Merlata, San Cristiforo e Merezzate. Si tratta di “Food Hubs”, ovvero luoghi di convivialità dove il cibo diventa il canale per favorire l’incontro e la costituzione della comunità.
Michele è il community manager di Mare Culturale Urbano e ci porta l’esempio di un laboratorio gratuito di scrittura creativa avviato nel 2018 a Cascina Torrette che è stato in misura di canalizzare i bisogni e desideri degli adolescenti del quartiere. Questo laboratorio ha infatti dato vita al Progetto “Voci di Periferia”, in cui una quarantina di giovani rapper e trapper trovano uno spazio a Mare per esprimersi ed esibirsi con cadenza mensile. Il laboratorio di scrittura creativa sarà attivato anche a Redo Merezzate, oltre a laboratori di street art e teatro.
A Merezzate Mare Culturale Urbano si inserisce in un contesto di housing sociale, in un quartiere nuovo dove una parte delle abitazioni è a canone concordato per far fronte all’emergenza abitativa della città di Milano. Qui Mare ha due locali: un bar caffetteria ed una pizzeria. I nuovi abitanti hanno cominciato ad occupare le abitazioni un paio d’anni fa, nel periodo in cui la pandemia limitava gli scambi e le interazioni sociali. Quello che è emerso con il ritorno alla normalità è stato il desiderio di stare insieme, ritrovarsi e costruire quelle relazioni di mutuo aiuto che costituiscono il perno del vivere insieme.
Qui a Merezzate Mare Culturale Urbano ha già attivato dei laboratori per bambini e famiglie, degli spettacoli ed eventi culturali e delle residenze artistiche. Le residenze artistiche sono il tratto distintivo di Mare, intese come una occasione in cui degli artisti abitando il territorio entrano in contatto con gli abitanti e costruiscono con loro un percorso che culmina in un piccolo evento finale. Lo scorso anno la residenza era stata curata da una compagnia italo-francese che aveva fatto un percorso con gli abitanti partendo dalla panificazione, raccogliendo ricette ed esperienze legate alla panificazione da ogni parte del mondo, facendo dei laboratori di panificazione e chiudendo con un banchetto finale che aveva visto una buona partecipazione.
L’auspicio di Michele è quello di continuare a ritrovarsi e costruire un progetto comune con e per la comunità.
E’ un tecnico di igiene ambientale Rita e si occupava di sicurezza nei luoghi di lavoro. Ha fatto formazioni sulla sicurezza e seguito lo smantellamento dell’amianto dai tetti dei prefabbricati di alcune aziende. Nata a Milano, ha abitato e lavorato a Trezzano sul Naviglio, L’Aquila e Villa Rosa sul mare, in Abruzzo. Si è trasferita a Merezzate due anni e mezzo fa, avendo vinto un bando per affitti a canone concordato, per stare più vicina alla figlia in seguito a dei problemi di salute che hanno portato a diverse operazioni.
Prima di accedere alla casa ha dovuto partecipare a diversi incontri sul collaborare e vivere assieme, incontri che sono stati utili per conoscere delle persone del quartiere, non avendo nessuna conoscenza del luogo. Ora Rita li conosce tutti i suoi vicini: è di carattere aperto e portare fuori il cane ha facilitato l’incontro con l’altro. Si offre quindi per fare delle piccole commissioni, come ritirare la posta o fare del baby sitting, così come ha sempre trovato persone del quartiere disposte a dare una mano quando le è capitato di sentirsi poco bene.
Ci parla dello spazio living, uno spazio interamente arredato, con servizi igienici e cucina, e delle attività che vi vengono organizzate da e per gli abitanti: Il laboratorio di lettura, lo spazio di coworking, il pilates e il thai chi, le serate giochi, i laboratori di Inglese, le serate cinema, i corsi di alfabetizzazione informatica … lei partecipa al laboratorio di lettura ed alle uscite al cinema, anche se la sua passione rimangono il teatro e il ballo. Per chi abita da solo, queste sono occasioni di socializzare, chiacchierare e stare in compagnia. Ricorda con particolare piacere il laboratorio di panificazione, a cui aveva seguito una festa in giardino con del cibo e balli dei diversi paesi del mondo. In quell’occasione c’era stata una grande partecipazione ed entusiasmo da parte degli abitanti.
Del suo quartiere Rita apprezza particolarmente il giardino e la prossimità con il supermercato. Si augura che ci possano essere in futuro anche uno studio medico, uno sportello psicologico o di ascolto.
Il suo auspicio per il quartiere e per il mondo, ci dice infine, è quello di essere uniti nonostante le diversità, come dice la bandiera della pace esposta sul suo balcone.
Alessandro è insegnante di musica alla scuola secondaria di primo grado Pasquale Sottocorno di Merezzate dall’anno della sua inaugurazione quattro anni fa. La scuola - che oltre alle aule conta diversi spazi comuni, come la palestra ed il campo da basket, uno spazio polifunzionale, una biblioteca, aule di musica ed informatica- è stata inaugurata dal Sindaco di Milano e dagli Assessori all’Educazione e all’Urbanistica nel 2019. Oggi tutte le sezioni sono al completo, al punto che la scuola non è in grado di assorbire l’insieme delle domande di iscrizione. Questo in ragione della crescita demografica del quartiere che si è rivelata superiore alle previsioni. Situata al crocevia dei quartieri di Merezzate e Santa Giulia, nonché punto di riferimento per i quartieri limitrofi di Rogoredo e Morsenchio, questa scuola rappresenta un luogo di integrazione di diverse realtà, accogliendo ragazzi e ragazze di diverse estrazioni sociali e paesi di provenienza.
Docente da vent’anni, Alessandro spiega come la scuola di oggi dia molta importanza alle attività laboratoriali, integrando quindi elementi di educazione non formale, come il tutoraggio tra pari e i lavori di gruppo. Gli insegnanti stessi possono far affidamento su di un pool di psicologi ed esperti capaci di guidare i ragazzi alla scoperta di se stessi, come nel caso dei laboratori di educazione all’affettività. Alessandro stesso tiene dei laboratori pomeridiani di canto corale cha hanno visto crescere il numero di partecipanti nel corso degli anni, essendo stato in misura di intercettare il bisogno di socialità e l’entusiasmo dei giovani. Per coinvolgere i ragazzi oggi – afferma- bisogna saper farli appassionare, saper tirar fuori il meglio in un’età complessa di transizione dall’infanzia all’adolescenza.
Per i giovani i quartieri di Merezzate – Santa Giulia offrono diversi spazi di aggregazione, come la pedonale, i parchi, le aree giochi ed il campo da basket.
SHENOUDAE' un ragazzo egiziano di 18 anni.Ha lasciato il suo paese ed è giunto in Italia ad ottobre del 2022.In Egitto continua a vivere tutta la sua numerosa famiglia, tranne una sorella che ormai da anni vive a Milano.lI sente e li vede regolarmente attraverso le video chiamate. E' un ragazzo timido, gentile e molto educato.La prima cosa che ti colpisce sono i suoi bellissimi e grandi occhi verdi,che si illuminano ad ogni suo sorriso. Non parla molto volentieri del suo viaggio, dice solo che è stato molto lungo e brutto....ma il desiderio di una vita diversa e suoi compagni di sventura gli hanno dato la forza di affrontarlo. Shenouda, giunto a Catania è stato accolto dalla Fondazione Cirino la Rosa.I primi mesi sono stati molto difficili, la lingua italiana, la nuova cultura e il distacco dai suoi genitori, adesso sta bene in Comunità, ha instaurato pian pianino un buon rapporto con gli operatori e i minori che ci vivono, molti dei quali sono egiziani, tra questi c'è anche Ayman. Il pomeriggio frequenta regolarmente la scuola (CPIA/Pestalozzi),per imparare l'italiano e conseguire la licenza media.Acquisita la licenza, gli piacerebbe frequentare un corso di cucina che lo faccia diventare un bravo CHEF.Il suo sogno quando sarà piu grande e sarà diventato bravo è quello di aprire un Ristorante tutto suo a Milano, cosi da ricongiugersi con la sorella.Vuole diventare ricco, non solo per lui ma per aiutare la sua famiglia. Ha anche un'altra passione: il FOOTBALL, segue regolarmente le partite , la sua squadra del cuore è il Real Madrid e il suo campione LIONEL MESSI, alla quale si ispira quano gioca a calcio, sia nei campi della struttura che lo ospita che nei campetti sparsi in città.Forse quando sarà "grande grande"si sposerà con una ragazza egiziana e avrà dei figli.
Angela ha 32 anni, è una giovane pedagogista nata e cresciuta Catania nel quartiere San Giorgio, che nonostante tutti i suoi limiti trova il posto più bello dove vivere.E' una ragazza molto dolce e appassionata della sua professione.Ama stare con gli amici, la famiglia, adora questa città e il suo mare dove si rifugia appena può.Da cinque anni, lavora presso la Fondazione Cirino La Rosa che accoglie minori italiani e MSNA, svolgendo oltre al suo ruolo di pedagogista altre mansioni all'interno della casa che la fanno sentire utile e indispensabile.Non guarda orari e turni, vuole esserci, ritiene questo luogo e chi lo vive un prolungamento della sua famiglia.Ha un ottimo rapporto con i colleghi, con la quale pianifica il lavoro.
Per i minori, cerca con attenzione e cura di costruire percorsi che li portino nel tempo ad acquisire una loro indipendenza lavorativa ed abitativa.Si occupa dell'accoglienza, del loro inserimento a scuola, dai corsi di alfabetizzazione fino al conseguimento della licenza media presso il CPIA del quartiere (Ist. Pestalozzi)Tiene i contatti con i vari Enti di Formazione, che possano far acquisire qualifiche professionali e far svolgere tirocini lavorativi, nella speranza di veri e propri contratti lavorativi. Cura e pianifica, sempre con l'ausilio dei colleghi le attività sportive e ludiche.-CALCIO-PING PONG-LABORATORIO TEATRALE-FESTE E GITE DIDATTICHE-Ascolta: i loro sogni, le loro fragilità, le loro paure e gioisce dei loro traguardi.Angela, nonostante le difficolta di chi opera nel sociale, in questa terra martoriata di suo, che riconosce l'importanza di chi svolge tali professioni, ma non li gratifica sicuramente regolarmente da un punto di vista economico, ritiene che il suo sia il LAVORO PIU'BELLO che si possa fare.Ed è all'interno della Fondazione che immagina la sua vita.Angela, spera tanto che nel tempo si infonda sempre più il principio dell'integrazione tra le diverse culture dei popoli e che le diversità di ogni essere umano possano imparare a convivere serenamente, senza giudizi e pregiudizi, ma facendone tesoro come un bene unico e prezioso, a cui ogni essere umano attingere anche solo con un semplice abbraccio.
Ayman è un ragazzo egiziano, ha 18 anni.Ha lasciato il suo paese e la sua famiglia ed è giunto in ITALIA ,cinque mesi fa.E' un ragazzo alto, timido, che stra cercando pian pianino di dare un senso alla sua giovane vita in un paese straniero ma che gli piace.Giunto a CATANIA è stato accolto dalla Fondazione Cirino La Rosa, che accoglie minori stranieri e non, la loro sede da decenni è nel quartiere di San Giorgio.AYMAN si trova bene in comunità, ha un buon rapporto sia con gli operatori che con il gruppo di pari che vivono in struttura, molti dei quali provenienti dal suo paese e come lui quindi hanno affrontato il viaggio, lungo e doloroso ma pieno di sogni.Il pomeriggio frequenta regolarmente la scuola e spera di conseguire al piu presto la licenza media, nonostante abbia ancora parecchie difficoltà con la lingua italiana.La mattina invece, frequenta un Corso di Panificatore, presso l'Istituto San Giuseppe di Catania. Da grande vuole fare lo CHEF, gli piace la nostra cucina e si diverte a sperimentare nuovi piatti insieme agli operatori di turno in cucina.Nel suo tempo libero oltre che stare in giro per la città con gli amici, gli piace giocare a Ping Pong, a tal proposito gli piacerebbe che al Cirino comprassero il tavolo, cosi da organizzare dei tornei.Un'altra cosa che lo rende felice è l'essere entrato dal mese di novembre a far parte del gruppo teatrale della MILIZIA dell'IMMACOLATA, con i suoi nuovi compagni ( grandi, piccoli e alcuni stranieri come lui) balla e si diverte, ha gia preso parte ad un MUSICAL, andato in scena a fine dicembre.Catania gli piace e un giorno spera di trovare lavoro in un bel ristorante che gli permetta di vivere e realizzare tutti i sogni che gli hanno dato la forza di affrontare il viaggio e il distacco dai suoi affetti più cari.
Nato nel lodigiano ma residente a Milano da una cinquantina d’anni, Angelo abita a Merezzate da due anni e mezzo. Si è trasferito qui al momento della pandemia ed ha da subito apprezzato il verde e gli spazi comuni all’aperto. Da circa un anno si occupa degli orti comuni e ci mostra le coltivazioni attese per la prossima estate: melanzane, peperoni, angurie, finocchi … oltre alle spezie -come il prezzemolo e il rosmarino, le sempreverdi insalate, e i tulipani e le viole piantate dai bambini dell’asilo di Merezzate. L’orto è accessibile a tutti gli abitanti di Redo che possono quindi usufruirne gratuitamente.
E’ stata una vita in viaggio quella di Angelo, che ha lavorato per delle multinazionali americane e belghe: Europa, Asia, America … il suo posto preferito rimane Sharm El Sheikh in Egitto, dove tuttora ama recarsi in vacanza. Adesso ama fare una vita tranquilla: passeggiate in bicicletta, visite ai musei, uscite con gli amici. Si rallegra dei nuovi progetti che arricchiranno il quartiere di un nuovo parco e di un palazzetto del ghiaccio in vista delle Olimpiadi Milano- Cortina. Se già quindi i servizi non mancano, presto ne nasceranno altri: un nuovo supermercato, dei nuovi commerci e delle strutture volte ad accogliere i visitatori e gli sportivi delle olimpiadi. In questi tre anni il quartiere è perciò destinato a cambiare completamente volto.
Debora è una giovane mamma di tre figli e con il marito vive in un piccolo alloggio in affitto. In famiglia lavora solo lei, come addetta alle pulizie, part time, presso Il Politecnico di Torino, da 19 anni. Si trova molto bene e l’ambiente è accogliete. La situazione economica non è florida, quindi Debora cerca di appoggiarsi ad associazioni che possono aiutarla a far fronte alle esigenze della famiglia. È una donna positiva e ricca di iniziativa che cerca di conciliare lavoro, famiglia e impegni vari dei ragazzi. Infatti confessa che è molto difficile e accontentare le esigenze di tutti, quasi impossibile.
Oltre a cucire molto bene, ama leggere, quando stacca un po’ la spina ed è soprattutto abile nei lavori manuali. Usa la sua grande creatività per realizzare oggetti utili, risparmiando. Questa attività le permette anche di staccare la spina dai problemi, che sono molti e sono lei si trova a gestirli.
E’ una vita dedita all’insegnamento quella di Fabio, insegnante e Presidente dell’Associazione Scuola Popolare di Italiano per Stranieri di Rogoredo, che da trent’anni dedica una parte del suo tempo libero all’insegnamento della lingua italiana a stranieri. La scuola di Italiano di Rogoredo è una delle prime scuole per stranieri di Milano. Essa nasce infatti trentatré anni fa dall’esigenza di accogliere nel quartiere di Rogoredo un gruppo di donne eritree. Da allora la scuola si è allargata, grazie anche al passaparola dei suoi studenti, ed offre oggi due corsi serali di Italiano per principianti, un corso intermedio ed un corso intermedio avanzato, oltre alle classi diurne rivolte a sole donne, nate per venire incontro alle esigenze familiari delle numerose madri di famiglia presenti nel quartiere.
Milanese nato e cresciuto in Porta Ticinese, Fabio definisce il quartiere di Rogoredo come un quartiere dinamico ed in continua evoluzione. In questi anni il quartiere ha conosciuto diverse ondate migratorie, accogliendo migranti originari dal Medio Oriente- Nord Africa, dall’Est Europa e, più recentemente, dall’America Latina e dall’Africa Sub Sahariana. La scuola si rivolge sia a quanti sono arrivati in Italia da poco tempo e necessitano di imparare i rudimenti della lingua italiana, ma anche a quanti, lavorando in Italia già da diversi anni, desiderano perfezionare la propria padronanza della lingua. L’arrivo in questi ultimi anni di persone analfabete nelle proprie lingue di origine ha spinto la scuola a formare i propri volontari, circa una ventina, con dei corsi di specializzazione nell’insegnamento della lingua ad analfabeti.
La scuola fa parte della Rete Scuole Senza Permesso, che organizza anche attività ricreative e culturali come delle giornate al cinema, delle uscite guidate ai musei e delle gite fuori porta. Il torneo di calcetto degli anni passati ha anche riscosso un grande successo tra i corsisti. Oltre alla barriera linguistica, i migranti oggi devono far fronte a barriere burocratiche e sociali, motivo per cui la scuola si appoggia ad una rete di associazioni ed enti benefici capaci di offrire un supporto legale, burocratico e medico-sanitario in caso di necessità.
A telecamere spente che Fabio ci confessa come, in questi trent’anni di volontariato, senta di aver ricevuto dalla comunità più di quanto ha dato.
Vita, è una donna molto dinamica ed empatica, figlia di padre pugliese migrato a Torino per lavoro, trascorre un’infanzia felice con una famiglia numerosa. Appassionata di disegno, frequenta per 2 anni l’Accademia di Arte, ma le spese che deve sostenere per la frequenza ed i materiali, sono troppo elevate per la sua famiglia, quindi decide di abbandonare la scuola, per iscriversi ad un corso di contabilità. Capisce subito però che non è la strada giusta per lei. Poi, per caso, un’amica la prega di accompagnarla presso un salone di parrucchieri e lì scopre un mondo che le permette di coniugare la sua passione per l’arte, con l’apprendimento di una professione, che l’accompagna per gran parte della sua esperienza lavorativa.
Vita è una donna molto curiosa, oltre che cultrice del bello. Ama infatti leggere e le sue letture spaziano dai romanzi, ai libri di scienza. Le piace moltissimo seguire la nipotina negli studi, perché questo le permette di riprendere ed approfondire materie che nel passato aveva giudicato poco importanti.
Shuvo è un ragazzo del Bangladesh, ha 18 anni.Due anni fa ha deciso di lasciare il suo Paese, e di giungere in Italia, dopo un viaggio difficile e tortuoso, spinto dal desiderio di cambiare la sua vita.E' un ragazzo molto timido, educato e riconoscente alla sua famiglia , con la quale continua a mantenere i rapporti grazie ad interneNel 2020 giunto a Catania, è stato affidato insieme ad altri connazionali alla Comunità Marianella Garcia, che ha sede nel quartiere San Giorgio.Dal suo racconto si evince che si trova molto bene sia in struttura che in città, nonostante le difficoltà iniziali legati alla lingua e ad una nuova cultura.Difficoltà che ha pian pianino imparato a superare, grazie al lavoro di accoglienza e ascolto degli educatori della Comunità e agli insegnanti della scuola nella quale è stato iscritto.Per rendere più facile l'apprendimento della lingua italiana e crearsi nuovi amici, ha anche partecipato ai corsi di italiano e ai vari laboratori e gite proposti da Civico Zero,A giugno di quest'anno dovrebbe raggiungere un importante traguardo, il conseguimento della licenza media.Inoltre da luglio 2022, è inserito in un tirocinio lavorativo di sei mesi, che dovrebbe concludersi a breve, grazie ad un progetto proposto dall'ente di formazione ARCHE'.Tirocinio che svolge con grande entusiasmo e partecipazione, presso l'OSTELLO di Catania, una realtà lavorativa gestita da giovani imprenditori catanesi, che da anni accoglie e forma molti minori stranieri non accompagnati, attraverso i progetti proposti dalle varie comunità e tra esse la Marianella Garcia.Le 25 ore settimanali di Shuvo, sono suddivise tra giorno e sera, per affiancare sia lo chef, come aiuto-cuoco, che il pizzaiolo, per il desiderio di imparare l'arte della pizza.Shuvo in questi ultimi due anni è diventato piu' allegro , meno timido e molto affettuoso con le persone alle quali vuole bene.Nel tempo libero dopo aver vinto la "VERGOGNA", cosi come dice lui, si è avvicinato al gruppo teatrale della Milizia dell'Immacolata, prima come semplice spettatore attirato durante le prove dalla musica e dalle risate e poi pian pianino inserendosi sempre più, grazie all'accoglienza dei ragazzi , degli adulti e del regista e fondatore del gruppo Giovanni Salamone, che lo hanno aiutato tantissimo in questo processo di crescita e verso la quale prova un grosso senso di riconoscenza e appartenenza.Insieme al suo gruppo si diverte , balla e canta, ed ha già preso parte a diversi Musical, che sono stati rappresentati in diversi teatri e piazze di Catania e provincia.Non sa cosa gli riserverà la vita, se rimarrà a Catania o cambierà città, ha sicuramente nel cuore un grande sogno, una pizzeria tutta sua. Un altro obiettivo che si è prefissato e che spera potrà raggiungere, nonostante le difficoltà legate alla lingua è l'iscrizione presso una scuola guida del quartiere e l'acquisizione della tanta agognata Patente.
Percorso che gli è stato proposto di intraprendere come beneficiario del progetto TEMPO AL TEMPO.Quest'ultimo traguardo, quando raggiunto insieme ad una maggiore stabilità lavorativa contribuiranno sicuramente alla sua crescita e indipendenza di giovane- adulto, ormai integrato in questa città.
Per SHUVO, non è stato facile raccontarsi e farlo addirittura anche davanti una telecamera, se tutto ciò si è realizzato e grazie al forte affetto che ci lega.Grazie di tutto
Franco è una persona gentile, educate e molto disponibile. Ha avuto una vita piena che lo ha portato a svolgere diverse attività: nel campo dell’edilizia, come muratore, elettricista, fabbro, imbianchino, pulizie. Ha una grande manualità, infatti si definisce un “tuttofare”, ma gli piacerebbe gestire la portineria di un palazzo. Avendo infatti avuto problemi di salute, non può affrontare lavori troppo pesanti.
Ha due figli, di cui è molto orgoglioso e con cui ha un ottimo rapporto. I genitori originari del sud, si sono trasferiti a Torino per lavoro. Il padre il cuoco, faceva le stagioni in località fuori Torino, anche straniere. Spesso, quando finiva la scuola, portava Franco, che era un bambino un po’ irrequieto, con sé mentre la mamma accudiva il fratello più piccolo.
Per una serie di vicissitudini personali ha svolto lavori socialmente utili, che gli hanno permesso di implementare le sue competenze e gli hanno aperto nuove prospettive. Attualmente vive in un alloggio in condivisione con altre persone ed è in attesa di una nuova sistemazione. Essendo un uomo socievole va d’accordo con i coinquilini e, in generale, con le persone con cui lavora e collabora attivamente, offrendo il proprio aiuto in caso di necessità.
Nel tempo libero ama frequentare gli amici, andare ogni tanto a ballare, ma soprattutto ha scoperto che gli piace molto visitare luoghi nuovi, soprattutto perché non riesce a stare fermo in casa. Spesso passeggia per le vie del centro e gli piace l’idea di riscoprire la città in cui è nato, visitando anche musei, chiese, piazze etc. A volte prende il treno e parte alla scoperta dei dintorni di Torino.
Jessica ha 30 anni e dal 2021 lavora come apprendista per l’ATT, impresa sociale segata all’associazione Attivitabile, che promuove progetti e attività per ragazzi con disabilità cognitive. Jessica si occupa di amministrazione ed è contenta del suo lavoro. Ha molteplici interessi, tra cui il nuoto, che pratica 2 volte alla settimana ed è volontaria della Croce Rossa e ha una gattina che la tiene molto occupata, segue anche un corso di teatro che le sta insegnando molte cose. Si reca sul posto di lavoro in treno, ma tra i suoi obiettivi di autonomia, c’è quello di trovare una casa vicina al posto di lavoro. Jessica ha un diploma nell’ambito del sociale che le ha permesso di entrare e conoscere l’ambito della disabilità, nonostante essa stessa si riconosca delle difficoltà. Ha conseguito una laurea in lingue. Sa lo spagnolo ed il portoghese. Ama leggere, ma è poco costante, mentre ascolta moltissima musica, preferibilmente musica italiana. Ama anche il cinema, frequenta le sale cinematografiche e ha seguito un corso di video montaggio.
Stefania è una giovane cagliaritana che ha lasciato la Sardegna dopo una laurea triennale si è trasferita a Torino, per studiare psicologia clinica e interventi nella comunità. È una persona estremamente attiva e curiosa, infatti svolge attività di volontariato presso alcune associazioni, occupandosi sia di questioni di genere, che di immigrazione: svolge attività di servizio civile e sta lavorando presso un’associazione specializzata in interventi educativi e di supporto allo studio.
Alla fine del percorso universitario, dopo il tirocinio obbligatorio, le piacerebbe lavorare in un centro per tossicodipendenti, anche se in realtà il lavoro nel quartiere inteso come una comunità, è quello che l’attira di più perché l’ambiente in cui si vive, determina il benessere di una persona. Ciò contribuisce a migliorare la qualità della vita dei quartieri più disagiati, permette di pensare, a che li vive, di non dover subire un destino già segnato perché’ si è nati a pochi chilometri dal centro.
Nel suo tempo libero ricama, soprattutto quadretti, magliette. Legge moltissimo, dai saggi ai romanzi. ll suo preferito è il Cardellino. In questa fase è più dedita alle serie televisive che può interrompere quando vuole. Il crime è il suo genere preferito, tanto che grazie, ad una serie di documentari ha deciso di entrare in contatto con un carcerato negli Stati Uniti e con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio, da anni è diventata amica di penna di un ragazzo, che sta scontando la sua pena in Texas.
I ritmi lenti della sua regione, che tante volte le sono stati stretti, a volte le mancano, così come la sua famiglia, gli amici. Ma la voglia di cambiare e vedere cose diverse, oppure la consapevolezza di non avere alternative, l’hanno portata a scegliere Torino come luogo in cui fermarsi. Chissà…. Forse per un po’.
Ylenia, fa parte dell’associazione “A Casa Nostra” ed è una ragazza che tiene molto alla sua indipendenza ed autonomia, che cerca di costruire anche attraverso l’aiuto degli educatori, con cui impara a muoversi in tranquillità per il quartiere. Ama frequentare l’associazione e adora il mondo del trucco, che pratica sia su sé stessa che sugli altri, in particolare sua mamma. Ascolta anche molta musica, soprattutto quella legata al programma di Amici, che segue con i compagni. Ha frequentato un corso prelavorativo in cui seguiva lezioni di informatica, ma probabilmente non era adeguato alle sue esigenze. Ora segue un corso di ristorazione, in particolare sala bar e sembra piacerle molto. È una ragazza molto sensibile, vorrebbe aiutare gli altri facendo del volontariato.
Alessandro come Ylenia, appartiene all’associazione e gli piace moltissimo, perché’ la trova accogliente, ha la possibilità di fare attività molto interessanti e ha trovato nuovi amici. Segue anche lui il corso per sala bar, che trova molto interessante. L’anno scorso ha seguito un corso di grafica e ha fatto uno stage in una cartotecnica, esperienza che gli è piaciuta molto. Gli piace disegnare i personaggi della Disney. Aiuta anche sua mamma in libreria, anche se lui non ama i libri. Ascolta musica di ogni genere, anche degli anni 80, che chiama d’epoca. È un tifoso sfegatato del Toro e ha seguito per un po’ di anni un corso di judo, che ha abbandonato, perché’ richiedeva un impegno e un’attenzione troppo gravosi.
Serena fa parte dell’associazione “A Casa Nostra” e durante la giornata va a lavorare alla Zanzara, un laboratorio in cui creano e decorano oggetti: magliette, penne etc. A volte con delle frasi un po’ colorite ma scherzose. Quando era piccola voleva diventare veterinaria, come la sua mamma, ma bisogna studiare troppo. Ama ovviamente gli animali e li accudisce: ha tre gatti, un cane e ospitano anche quello del fratello, che è diventato ormai parte integrante della famiglia. Quando non lavora, Serena sta con la sua educatrice o va all’associazione, dove svolgono attività manuali con i volontari di alcune associazioni, come “Gli Anni d’Argento”, oppure seguono laboratori con psicologi su varie tematiche. Quando con gli altri ragazzi trascorre il fine settimana all’associazione, vanno a fare la spesa, cucinano. Lei ama cucinare perché’ ha fatto la scuola alberghiera, quindi dà una mano anche a casa.
Alex, compagno di intervista, frequenta anche lui l’associazione, ha 25 anni. Attualmente sta frequentando un centro in cui gli insegnano a cucinare e gli piace molto. Quando non lavora gioca con il nintendo, ama nuotare e quando è con gli amici dell’associazione si diverte ed esegue i lavori di casa in base ai turni assegnati: gli piace lavare i piatti. Legge i fumetti e ha un cane di cui si occupa.
Alda ha 26 anni e fa parte dell’associazione “A Casa Nostra”, dove ha avuto modo di fare nuove amicizie, in particolare con Silvana e Davide, ma anche con tutti gli altri ragazzi del gruppo. Ama la musica: il rock, la musica albanese e l’hip hop, che balla e che rappresenta una vera passione. Tutti i giorni si reca al centro diurno e con i compagni fanno passeggiate, si fermano al bar per stare un po’ insieme ed ascoltare la musica. Le piacciono molto i pesci, ha un acquario, ma se ne occupa suo padre, perché’ a lei piace di più osservare i pesci che nuotano. Al circo ha conosciuto Alessia, che è diventata un’amica inseparabile, anche per le interviste.
Alessia ha quasi 19 anni. Ama il calcio, ha fatto giocoleria al circo e le piace frequentare l’associazione “A Casa Nostra”, dove ha incontrato nuovi amici. Quando trascorre lì il fine settimana, ama cucinare i primi piatti. È brava, perché’ gli amici apprezzano. Il mattino va a scuola e frequenta il prelavorativo, dove segue lezioni di informatica e svolge attività laboratoriali artistiche, che apprezza decisamente di più dell’informatica. Ama disegnare, in particolare il joker. Ascolta la musica rap e le canzoni romantiche. Nel pomeriggio vede la sua educatrice, passeggiano o stanno a casa, dove Alessia ha due gatti che ama molto. Ma c’è una passione importantissima nella sua vita, la Juventus. È una tifosa sfegatata, ma corretta, raramente litiga durante il derby.
Maria Sofia è una giovane abitante del borgo, con la passione per il mare. Sin da piccola, durante le vacanze, si è interessata alla vita della flora e della fauna del mare. Ha quindi deciso di intraprendere gli studi per diventare una biologa marina, impegno di studio che unisce alla passione per la fotografia, che la porta ad immortalare qualsiasi soggetto attiri la sua attenzione. La fotografica le ha permesso di conoscere molte persone, che come lei condividono la stessa passione. Ha una grande manualità e crea oggetti con tutto ciò che le capita tra le mani, soprattutto gioielli. Appassionata di musica ne ascolta molta, soprattutto il jazz, ha suonato la batteria, per poi passare, come autodidatta, all’ukulele.
Lo scoutismo Agesci le ha dato la possibilità di maturare esperienza di vita di comunità con i ragazzi, che le ha permesso poi di poter lavorare nei centri estivi sia come animatrice volontaria, che come aiuto studio e compiti.
Lavora con un’associazione anche nel monitoraggio e nell’analisi del gradimento del flusso dei visitatori nei musei, attività che le permette di rapportarsi con un pubblico adulto.
Vive da sempre a Madonna di Campagna, ma lamenta la mancanza di centri di aggregazione per adolescenti per cui diventa difficile stringere amicizie vicino a casa. È però soddisfatta dei mezzi pubblici che collegano il quartiere con il resto della città.
Franco Chiarlo, suo pseudonimo Aldo Menghevoli, nasce ad Alessandria, vive a Felizzano (Al) dove svolge la sua attività artistica “a tutto tondo”: è al tempo stesso pittore, musicista, scrittore e poeta. Si tratta di una figura poliedrica la cui sensibilità individuale fa la differenza nel definire il concetto di bellezza. Le sue opere cercano nuovi significati e nuove forme, tracciano segni che evocano espressioni importanti. Franco Chiarlo ha scritto un libro di freddure, diverse poesie, si esprime attraverso la pittura e, le tecniche che utilizza, sono state acquisite attraverso l’esperienza diretta e la consultazione di tutorial, questo lavoro è stato accompagnato da buona volontà e dalla continua necessità di imparare e di migliorarsi. L’artista si definisce soddisfatto e contento degli obiettivi raggiunti ma sempre alla ricerca di nuovi stimoli e dell’apprendimento di cose nuove. Utilizza i Social per divulgare le sue opere e per farsi conoscere, molte delle quali sono state esposte in varie mostre. Essere pittore oggi per lui significa andare oltre gli schemi, è una condizione profonda che lo tocca nell’ anima. Le sue opere, tra cui le poesie, prendono ispirazione dal momento, possono passare giorni senza toccare un pennello, così spiega Franco Chiarlo, esprimendosi ad esempio, attraverso la scrittura. Il consiglio che si sente di rivolgere ai giovani o a chi manifesta un interesse a queste forme espressive è quello di provare, di riprovare, di non scoraggiarsi, secondo la propria esperienza è possibile imparare e migliorare ed ottenere risultatati soddisfacenti. Nel suo futuro auspica che la sua arte possa essere apprezzata in maniera più ampia da un vasto pubblico.
T. M. M. nasce 16 anni fa in Senegal da una famiglia numerosa (5 sorelle e 2 fratelli), il padre è in pensione e la madre è una commerciante, tutti vivono nel suo paese eccetto una sorella che lavora e vive in Marocco. T. si trova in Italia da 7 mesi, il viaggio per arrivarci è stato molto difficile: è partito dal Senegal, ha raggiunto il Mali, poi l’Algeria, si è diretto in Spagna, ha attraversato la Francia per arrivare in Italia. La prima città che lo ha ospitato in Piemonte è stata Tortona, che si trova vicino ad Alessandria, ha vissuto qualche mese in una struttura di accoglienza per poi essere stato trasferito a Felizzano (Al) in una comunità MSNA. T. è un ragazzino dal carattere mite e gentile e ha subito trovato appoggio e sostegno negli operatori con cui condivide la quotidianità e le proprie preoccupazioni. Frequenta la scuola di alfabetizzazione CPIA ad Alessandria e conosce altre lingue imparate a scuola in Senegal, ritiene di non fare molta fatica nello studio dell’ Italiano in quanto “simile” al Francese, che aveva imparato nel suo paese. T. racconta che in Senegal studiava e giocava a calcio in una squadra della sua città nel ruolo di difensore centrale o centrocampista, allenandosi 3 volte alla settimana. Attualmente sta frequentando gli allenamenti presso la squadra del paese di Felizzano, si è ben inserito e ha buoni rapporti con i ragazzi e la Società sportiva. Come ripete più volte, T. vorrebbe poter continuare a giocare a calcio, diventare un calciatore professionista, anche se ammette di essere interessato alla meccanica, essendo una materia che aveva studiato a scuola. T. vorrebbe prendere ispirazione da un famoso calciatore suo idolo, Cristiano Ronaldo, il quale rappresenta per lui un esempio di vita in quanto Ronaldo ha iniziato da semplice giocatore e, con impegno e costanza, ha saputo realizzarsi e diventare famoso. Il ragazzino spera in un buon futuro e auspica di poter realizzare il suo sogno, diventando calciatore, e di guadagnare molti soldi per poter aiutare chi ha bisogno.
Federica Gismondi vive a Felizzano ed è la Presidente fondatrice dell’Associazione Bambini affetti da paralisi ostetrica, si tratta di situazioni molto rare in cui insorgono problemi durante il momento della nascita ed i bambini nascono con una lesione ai nervi e una paralisi che coinvolge gli arti superiori. La paralisi da parto è un “evento avverso”: si tratta di un danno non volontario causato da un trattamento od una procedura sanitaria errata che determina la necessità di un monitoraggio aggiuntivo, terapie e cure specifiche. Questa associazione ha sede a Felizzano e nasce nel 2002, a seguito dell’esperienza personale vissuta da Federica, in quanto nel 1995 è nato suo figlio, bimbo macrosomico di 4.900 grammi, il quale ha presentato fin da subito una condizione di paralisi agli arti superiori e la donna, non sapendo come poter affrontare la situazione e non avendo riferimenti in Italia, ha deciso di andare a Boston, il medico che all’ estero ha visitato il bambino le ha consigliato di rivolgersi all’ Ospedale pediatrico G. Gaslini di Genova, dove è stato poi seguito e curato dall’ équipe medica dell’ ospedale genovese. All’ oggi il ragazzo, dopo aver subito 3 interventi, dopo cure e un percorso mirato di riabilitazione, ha recuperato l’ uso del braccio all’ 80% e conduce una vita normale. L’associazione ha l' accesso ad un portale attraverso una pagina social dedicata all’accoglienza delle famiglie che hanno questo tipo di problema, lo scopo dell’associazione è quello di fornire indicazioni dal punto di vista sanitario, giuridico e giudiziario, dare un orientamento in modo che le famiglie sappiano a chi rivolgersi per ottenere le informazioni ed i sostegni necessari di fronte ad un tragico e raro evento di questo tipo. Le famiglie che si trovano a vivere queste situazioni soffrono molto, hanno bisogno di sapere che possono contare su persone che hanno vissuto la stessa esperienza, Federica sottolinea che questa situazione non deve essere vista come “un fardello o una croce” ma bisogna cercare di imparare da questo fatto avverso, trovare una spinta per andare avanti. Più di 700 famiglie in tutta Italia fanno parte di questa associazione, hanno iniziato a formare una rete di saperi e conoscenze per chi ne avesse bisogno, si sono creati riferimenti curativi in varie parti della penisola, è importante sottolineare che è fondamentale intervenire in tempi rapidi nei confronti di questi bambini, al massimo entro i primi 5/6 mesi di vita, per poter rimediare ai danni subiti con cure adeguate. La Gismondi sottolinea che l’associazione è cresciuta molto negli ultimi anni, sono stati fatti parecchi progetti, quello più importante è relativo alla prevenzione, infatti sono stati acquistati manichini simulatori, coinvolti professionisti medici e ginecologi formatori, fatto numerosi corsi di formazione aperti a tutti i professionisti, è fondamentale coinvolgere tutto lo staff medico, per superare il gap del parto, superare le difficoltà e gli stati confusionali degli operatori. Negli ultimi tempi si è riscontrata una riduzione del 30% dei casi di paralisi da parto. L’associazione sta lavorando per creare dei riferimenti/ linee guida per l’ orientamento delle famiglie di fronte a questi eventi. Ogni 2 anni vengono organizzati recall sulle terapie, molte informazioni arrivano anche da altri paesi stranieri che vanno riadattate alle esigenze fisiche e anatomiche delle persone. Il messaggio di Federica è quello di avere sempre fiducia nella medicina, nel progresso e nel futuro scientifico per il benessere sia ragazzi sia delle famiglie coinvolte in questo tipo di situazione.
Armando Pilotti è il proprietario del Family Park che è stato aperto a Felizzano nel 1997 e quest’ anno compie 25 anni. Il parco è nato in quanto nelle zone limitrofe non esisteva un’attrazione di questo tipo, l’obiettivo era quello di far divertire grandi e piccoli proponendo giochi di vario genere in un contesto immerso nella natura. Il Family Park fu una delle prime strutture in Italia a proporre giochi gonfiabili, tappeti elastici, e diverse attrazioni in un’area molto grande che all’oggi conta 12 ettari. Dopo pochi anni dall’apertura, visto il successo ottenuto e le richieste da parte della clientela, è stata aperta la piscina con scivoli e un grande “fungo”. Ogni anno il parco cerca sempre di proporre delle novità che possano attirare e stimolare i frequentatori al fine di trascorrere piacevoli giornate di svago e relax. Il Family Park offre molti servizi: esistono percorsi didattici, naturali e ricreativi, oltre alla piscina e alla possibilità di divertirsi in acqua, si possono conoscere gli animali che vivono nelle aree a loro dedicate immerse nel verde, mangiare nell’ area ristoro e nelle postazioni barbecue, trovare ombra sotto una delle numerosissime piante, se ne contano 400 nel parco ed ogni anno ne vengono piantate di nuove. Pilotti ha voluto creare un parco adatto alle famiglie e a misura di bambino, dove i genitori possono essere tranquilli in quanto viene garantita sicurezza e attenzione ai più piccoli.
Giuseppe Zumbo, Enzo Marra e Pietro De Marco sono i tre soci lavoratori della Cose&Casa Srl - Unieuro, nata a seguito di una cessione di ramo d'azienda.
Il rischio di perdere il lavoro e la voglia di mettersi in gioco hanno portato i tre soci a creare un grande magazzino nella periferia sud della città, che è diventato punto di riferimento anche per il territorio non solo per l'attività commerciale, sempre pronta a soddisfare le esigenze dei clienti, ma anche per l'impegno sociale.
Cose&Casa è aperta al dialogo e crede nei valori dell'integrazione: tra i suoi dipendenti c'è un giovane immigrato arrivato a Reggio Calabria ancora minorenne. Non è il solo caso, questo. Anche una ragazza dell’est Europa è stata inserita in un tirocinio lavorativo.
Ma non finisce qui: per le consegne a domicilio la società ha scelto di affidarsi aalla Casa di Miryam, cooperativa sociale operante sul territorio reggino.
Ubicata in via Laboccetta 110 a Reggio Calabria, Cose&Casa ha contribuito alla crescita del quartiere, dove esistono diverse marginalità e problematiche, proprio per questo i tre soci hanno intrapreso un dialogo con le istituzioni locali e con il comitato di quartiere per facilitare il cambiamento.
Ahmed è un ragazzo egiziano di 20 anni. È arrivato a Reggio Calabria circa 7 anni fa per essere responsabile del suo futuro. Inizialmente è stato affidato ad una Casa Accoglienza per MSNA dove è rimasto fino al compimento dei 18 anni. Ha avuto l’opportunità di studiare e formarsi, concludendo la licenza media.
Attualmente vive un’esperienza di coabitazione con altri due ragazzi e frequenta l’ultimo anno di un Istituto Tecnico settore informatico.
Negli ultimi anni si è dato da fare, grazie ad un progetto di inserimento lavorativo ha intrapreso un percorso all’interno di un Ristorante dove attualmente si trova bene ed ha modo di intessere relazioni.
Ahmed ha trovato persone che si sono messe al suo posto e che l’hanno aiutato molto. Oggi ha molti sogni e passioni, la fotografia, il calcio ma soprattutto è appassionato di informatica. Ahmed sogna. Dopo aver concluso tutti gli studi e dopo essersi formato professionalmente, sogna di diventare tecnico informatico o programmatore.
QUEEN MUSIC, storico negozio di musica in via Borgaro 45, fondato da Sergio e suo fratello Savino nel 1978, inizialmente al numero civico 33 sempre della stessa via, ma con spazi diversi, decisamente più ristretti. Vendevano 33 e 45 giri e poi con l’evoluzione dei supporti musicali hanno adeguato la loro offerta, accontentando la clientela sia della zona, che quella che veniva anche da fuori Torino.
Il nome del negozio deriva da una grande passione per il gruppo musicale dei Queen, in particolare per Bohemian Rhapsody, che i due fratelli proponevano come sigla iniziale per le serate in una discoteca torinese. Selezione inizialmente poco gradita dal pubblico, con il tempo, la scelta contro corrente ha premiato, offrendo nel locale, una selezione rock in un momento in cui nelle discoteche si ballava la disco music.
Poi le strade dei due fratelli si sono divise in armonia e Sergio dal 2002 si trasferisce al 45. Grande appassionato di fotografia, ricorda le immagini scattate alla PFM quando, non ancora famosa, si esibiva nel teatro dell’oratorio Valdocco, quello di quartiere.
Sergio ha sempre abitato in questi borghi, da bambino giocava a calcio in un campo, che non era altro che un pratone, ma che venne chiamato con il suo nome, Il campo di Cippo. Dei quartieri di Lucento e Madonna di Campagna conosce tutto, i gruppi musicali nati in zona, i musicisti famosi che vivevano a pochi passi dal negozio, che per tanti anni ha gestito con la moglie Silvana e quelli che venivano a suonare nei locali della zona, come Lucio Dalla, per esempio.
Dopo il covid, che ha avuto anche per loro degli effetti devastanti sull’attività e con l’arrivo dell’età pensionabile, la decisione di chiudere il negozio, per dedicarsi a tanti altri progetti da realizzare. Uno fra questi la fotografia, soprattutto quella naturalistica, che li porta a passare le pause pranzo al parco della Pellerina. Hanno anche aperto una pagina facebook: Pellerina Mon Amour, che raccoglie i loro scatti. I viaggi, la musica e i concerti occuperanno il resto del loro tempo e poi chissà quante altre cose ancora.
Sidy ha origini senegalesi, ma vive in Italia da molti anni, dopo aver visto la guerra nel suo paese.
È un uomo solitario che legge libri di filosofia in francese, ama tenersi aggiornato con la lettura dei quotidiani e ha una grande dote, una notevole manualità. È infatti in grado di aggiustare de intervenire su oggetti meccanici, in ambito edile è particolarmente esperto nella tinteggiatura e lavora anche il legno.
Gli piace moltissimo lavorare e nonostante sia una persona solitaria, ama lavorare in collaborazione con altre persone, infatti i suoi amici sono coloro che, nel corso della vita, hanno lavorato con lui. E' curioso e impara velocemente le nuove attivita' che gli vengono proposte.
Simone ha 19 anni e sta frequentando la V superiore dell’istituto alberghiero, con specializzazione sala e bar. Ora sta facendo uno stage presso il ristorante Fonderie Ozanam, come prevede il suo programma di studi e sta approfondendo in particolare l’attività di sala.
È un ragazzo molto tranquillo e ciò che predilige, in realtà, è il lavoro nel settore caffetteria, che gli dà maggiore possibilità’ di avere contatto con il pubblico, perché’ dà molta importanza all’accoglienza del cliente.
È un giocatore di calcio, nel ruolo di portiere, presso una squadra di Eureka di Settimo Torinese, che pare sia abbastanza forte, con cui partecipa agli Special Olimpics.
Ha molti amici con cui organizza uscite e gite, muovendosi con i mezzi pubblici.
Con la Fondazione Time2 durante l’estate ha partecipato a molte attività sportive, tra cui un trekking sulle langhe che è durato ben 5 giorni, in collaborazione con l’ASL e altre associazioni.
Tra qualche mese dovrà affrontare gli esami di maturità, ma non sembra per nulla preoccupato, per fortuna.
Louis Nero è un regista internazionale, con una laurea al Dams a 17 anni realizza il suo primo film "Golem" e lo porta in giro per l'Italia fino a quando una importante casa di produzione non lo acquista, da lì la sua più grande passione diventa anche la sua professione.
In questa intervista ci porta alla scoperta del mondo del cinema e dell'arte, di come per lui il cinema sia una forma d'arte attraverso cui trasformare e aprire la visione che si ha sulle cose del mondo, come forma di educazione e di libertà.
I suoi film sono uno spaccato di storia, cultura, misticismo e spiritualità, attraverso di essi si parla dei grandi temi dell'umanità, perché "se esci dal cinema esattamente uguale a come sei entrato, vuol dire che non abbiamo fatto un buon lavoro."
www.altrofilm.it
Diana Dell'Erba, attrice e regista che abita in Borgo San Paolo ha aperto e porta avanti l'associazione Il Velo di Maya, attraverso la quale propone diverse attività legate alla crescita e al benessere personale, si occupa di organizzare eventi e incontri legati al mondo dell'arte, del benessere e della medicina ancestrale, l'obiettivo è quello di creare un sistema che aiuti le persone a lavorare su se stesse per trasformarsi e diventare ciò che realmente si è, il benessere della persona è guardato da un punto di vista olistico, quindi fisico, mentale e spirituale.
Dall'esperienza che Diana vive in prima persona, diventare madre, nasce il portale www.maya.vision che si occupa di divulgare e far conoscere il parto gentile e la nascita rispettosa, attraverso podcast, meditazioni, film, documentari, corti, articoli, blog, incontri e consulenze, tante informazioni quindi per alzare il velo di Maya su quello che è il passaggio iniziatico per eccellenza, il parto.
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Consorzio Intercomunale Servizi Sociali di Pinerolo e la Cooperativa Carabattola raccontano il progetto TeenLab, sviluppato in coprogettazione e dedicato all'accompagnamento educativo di ragazzi e ragazze dai 16 ai 29 anni, un progetto che ha come obiettivo quello di promuovere delle azioni di contrasto alla dispersione scolastica.
Saifur Rahman è nato in Bangladesh, ha 18 anni. Il ragazzo è l'ultimogenito di una numerosa famiglia che attualmente si trova nel suo paese natale; entrambi i genitori ed un fratello maggiore hanno problemi di salute, Saifur per aiutare la sua famiglia, ha deciso di trasferirsi in Occidente per trovare un lavoro e dare un sostegno ai suoi famigliari. Il ragazzo ha frequentato per 4 anni la scuola elementare e ha iniziato molto presto a lavorare come muratore, successivamente come operatore video editing e video maker in un negozio di fotografia. In accordo con la sua famiglia, quando era ancora minorenne, ha lasciato il suo paese per raggiungere l'Europa, ha trascorso qualche tempo in Libia dove ha lavorato come muratore e come lavapiatti, in questo periodo Saifur è stato sottoposto a maltrattamenti ed fuggito in Italia sbarcando a Lampedusa per poi risalire arrivando in Piemonte dove è stato ospitato a Tortona in un centro di aiuto e poi trasferito nella Comunità per minori non accompagnati “Il Galletto” sita a Felizzano (Al). Fin da subito il ragazzo si è contraddistinto per la sua gentilezza, la sua sensibilità, per l'altruismo e la disponibilità sia nei confronti degli operatori, sia verso gli altri ragazzi della struttura. Saifur afferma di “sentirsi bene a fare del bene”. Il giovane sa parlare diverse lingue, attualmente frequenta la scuola di alfabetizzazione ad Alessandria, le sue conoscenze sono state acquisite sia attraverso le sue esperienze vissute sia attraverso lo studio e la consultazione dei social e della visione di film/video, il ragazzo si definisce “open mind”, ovvero disposto ad imparare e ad affrontare nuove situazioni. Il giovane riferisce di avere vari interessi come ad esempio la cucina, afferma di cucinare volentieri per le altre persone, occupandosi di riordinare e di pulire spontaneamente gli spazi utilizzati anche dagli altri. Sa utilizzare con una certa dimestichezza smartphone e telecamere, abilità apprese da video tutorial e poi impiegate anche in alcune sue esperienze di lavoro, gli piacerebbe lavorare come meccanico in un'autofficina. Saifur è disponibile a svolgere attività di volontariato all'interno della piccola comunità locale, mostrandosi interessato e curioso di ampliare le proprie esperienze.
Asmae è una giovane mamma marocchina, in Italia dal 2006.
A Torino ha studiato e conseguito il diploma di terza media, oltre ad aver frequentato un corso per addetti alberghieri, in particolare servizio ai piani. Nel suo paese natale ha conseguito il diploma di maturità e ha frequentato un anno di università, per lo studio della letteratura araba.
Ha lasciato gli studi per venire in Italia, dove ha inizialmente lavorato presso una lavanderia industriale. Dopo la nascita delle bambine ha dedicato tutto il suo tempo alla loro educazione, anche perché’ gli orari dei corsi che avrebbe voluto frequentare, non si conciliavano con quelli della scuola.
Ora che le ragazze sono cresciute è occupata come badante presso una signora anziana, ed è un’attività che le dà molta soddisfazione. Se potesse scegliere un’alternativa, le piacerebbe fare la cuoca, perché’ ama molto cucinare sia cucina italiana che marocchina.
Asmae è una persona solare, che trasmette tranquillità, molto curiosa soprattutto: ama lo studio, se potesse studierebbe qualsiasi cosa e aiutare le sue bambine negli studi le piace molto; ascolta qualsiasi tipo di musica e ama socializzare e organizzare attività, quando il lavoro e la gestione familiare glielo permettono.
Grazia è la presidentessa dell’Associazione A Casa Nostra che si trova in via Sesia a Torino
Una realtà che esiste da 5 anni con l’intento di creare una possibilità per ragazzi con disabilità intellettive non gravi, di crearsi un futuro abitativo autonomo, fuori dalla famiglia.
Questo progetto è cominciato con un gruppo di 4 ragazzi, che sono sempre presenti e altri che nel tempo si sono avvicendati. Ad oggi sono 6. Il percorso è ovviamente lungo ed il Covid ha rallentato molto le attività: i ragazzi e dovrebbero sviluppare una serie di abilità che riguardano la gestione pratica di una casa; poi la parte sicuramente più impegnativa che riguarda le dinamiche del vivere insieme e la gestione delle dinamiche che ne scaturiscono. Per questa area in particolare, sono seguiti da 2 professioniste psicologhe che li aiutano nel percorso. Ci sono inoltre educatori che li seguono nelle varie attività, come ad esempio laboratori sulla gestione del denaro. Ci sono giorni cosiddetti residenziali, in cui i ragazzi convivono giorno e notte, per brevi periodi.
L’associazione si autofinanzia, attraverso donazioni delle famiglie partecipanti, con attività e con l’intervento diretto dei ragazzi che realizzano oggetti che vengono venduti in occasione di mercatini, come quello di Natale, organizzato a beeozanam.
Tra i risultati sicuramente più importanti è il legame che si è creato tra i ragazzi che hanno formato un gruppo veramente coeso.
Inez è una signora brasiliana, di origini italiane: i nonni erano piemontesi, di Alessandria.
In Brasile, oltre ad occuparsi di un figlio malato, svolgeva lavori come sarta, poi come portinaia.
Vive a Torino da 2 anni e ha sempre svolto l’attività di badante con anziani non autosufficienti. Le piacerebbe continuare ad occuparsi di persone anziane o riprendere il suo lavoro di sarta, o di portinaia.
Attualmente lavora in un’azienda di pulizie, ma il carico di lavoro è troppo pesante per lei.
È una donna molto scrupolosa e affidabile, che nel suo tempo libero ama leggere, soprattutto la Bibbia. Un’altra cosa che ama fare è andare al ristorante e mangiare con amici e parenti. Del suo paese le manca soprattutto la famiglia, di cui è molto orgogliosa, anzi sta cercando di ricostruirne l’albero genealogico, per scoprire quanto più possibile della sua storia.
In Italia ha amici brasiliani e Torino le piace moltissimo, perché si sente a casa, si sente sicura, perché nel suo paese c’era troppa violenza. Purtroppo per impegni di lavoro non è riuscita a visitare bene la città, ma appena può, organizza scampagnate e passeggiate nei parchi, perché’ l’amore per la natura rappresenta un’altra delle sue passioni.
Eugenia è una signora solare e piena di energia, che da 22 anni è in Italia e da 7 qui a Torino. In Romania gestiva un ristorante frequentato da persone straniere e parlava in tedesco e un po’ in inglese. Amante dei viaggi e curiosa della vita si è trasferita prima a Londra per perfeziona la lingua e poi a Valencia, per imparare lo spagnolo, che le piace moltissimo. Poi è approdata a Bari, che considera come sua città natale, per lavorare come assistente domestica per una signora, con cui ha mantenuto un bellissimo rapporto.
Che dire di Eugenia? È una persona indipendente ed autonoma, che si è costruita tutto da sola, che ha messo passione, onestà e dedizione in ogni attività che ha svolto. Le attuali difficoltà di salute le impediscono oggi di fare tutto ciò che vorrebbe, soprattutto di lavorare. Dato il suo carattere empatico, è riuscita nel tempo a coltivare nuove amicizie accoglienti, nei vicini di casa. A Torino ha lavorato con anziani, anche se non nasconde le difficoltà incontrate in certe situazioni, ma anche gli attestati di fiducia e affetto che le sono state riservate in altre occasioni, da parte di persone che non conosceva.
Il Sig. Antonio Di Stasi, nato nel 1940 in provincia di Potenza, da genitori pugliesi ha da sempre un’invalidità al piede, che gli ha impedito di svolgere le attività che avrebbe desiderato. Ha condotto gli studi maturità classica a Napoli e a 18 anni è venuto a Torino. Si è sempre occupato come impiegato di assicurazioni, pratiche auto ed il suo grande rimpianto risale a quando da giovane, avendo vinto un concorso per entrare nella Guardia di Finanza, è stato scartato a causa della sua invalidità. Per il lavoro svolto per anni come impiegato, nessuna delle aziende ha versato i suoi contributi, quindi ad oggi percepisce una pensione sociale. Vive con la sua compagna, anche lei con gravi problemi fisici e non riescono a far fronte alle spese ordinarie di gestione dell’alloggio di edilizia popolare in cui vivono.
Oggi purtroppo la sua vista è compromessa e non può più coltivare alcune delle sue grandi passioni, come la lettura dei classici e soprattutto il modellismo: ha costruito navi bellissime costruendo i pezzi da sé. Tutto è iniziato, quando da ragazzo costruì un gocart con i pezzi di ricambio presi dall’officina del fratello e comincio' a scorrazzare per il paese, mettendo tutti in allarme.
Nesrine è una giovane mamma, attiva e propositiva. Molto abile nel disbrigo delle pratiche burocratiche, soprattutto quelle online, è diventata il punto di riferimento di amici e conoscenti che le chiedono aiuto. Vive in Italia da 24 anni e dopo aver ottenuto la licenza media, ha lavorato come cameriera, lavapiatti, impiegata in servizi di pulizia, badante. Le piacerebbe riprendere gli studi e frequentare un corso di infomatica. Ha anche un sogno, fare la pasticcera e cucinare piatti italiani, per arricchire il suo bagaglio culinario, che comprende anche piatti della tradizione marocchina.
Giovanni ha 34 anni, nasce e vive a Catania, nel quartiere di San Giorgio, luogo dimenticato da tutte le Istituzioni, dove regna il degrado e il delinquere, ma dove esistono alcune realtà che cercano di fare qualcosa per esso e la gente che lo vive.E' un educatore e socio della Cooperativa Marianella Garcia, Associazione che si occupa di servizi ai minori e loro famiglie e MSNA.
Ama il suo lavoro, stare con i giovani e costruire con loro percorsi di crescita è la sua missione, crede che attraverso il bello, la cultura, il teatro e la musica nascano e crescano comunità sane, aggreganti e accoglienti.E' anche il fondatore e Direttore Artistico di un Gruppo Teatrale, che trova la sua collocazione fisica all' interno degli spazi della Milizia dell'Immacolata, Associazione di missionarie che da cinquanta anni opera per il bene del territorio e che da dieci anni offre i suoi locali al gruppo teatro, che ha il loro nome.Giovanni, crea e dirige i suoi spettacoli, cura con molta attenzione i momenti delle prove e di aggregazione, periodicamente organizza serate, pomeriggi di giochi, merende e gite che vedono coinvolti dalla sua nascita più di 70 persone.
Il primo gruppo teatrale della Milizia dell'Immacolata, era formato da 12 persone, che da subito hanno creduto di poter rendere così la loro vita più "bella".
Adulti, anche over 80 e ragazzi che con la loro partecipazione e voglia di fare hanno contribuito alla crescita del gruppo e rappresentare negli anni diversi spettacoli -musical, di natura laica anche se, molto forte è la loro matrice religiosa, con il solo fine di veicolare attraverso essi valori come la pace, l'amore ,la giustizia, la fratellanza, la condivisione e l'accoglienza. Il loro successo come già detto è cresciuto nel tempo e gli spettacoli, sono stati richiesti anche fuori la citta di Catania, in bellissime piazze della provincia.Ciò che ha spinto Giovanni a credere, volere e trasmettere tutto ciò, era il desiderio di rendere COMUNITA' un quartiere, arido e abbandonato , che non aveva niente da offrire ai suoi abitanti.
Giovanni, sente e trasmette ai suoi ragazzi che il Teatro è Cultura, Bellezza, Espressione, Inclusione, Sacrificio e Divertimento.
Gli adulti ,gli anziani del quartiere sono stati i primi ad approcciarsi a questo mondo, sicuramente erano quelli alla quale il trascorrere degli anni aveva tolto quasi tutto, poi da li il coinvolgimento dei figli, dei nipoti, degli amici degli amici e anche dei MSNA, che vivono all' interno della Comunità, nello stesso edificio dell'Istituto.
L' aggregazione tra gli adulti, i giovani e i minori stranieri, come ci racconta Giovanni è avvenuta naturalmente, questi ultimi hanno sicuramente trovato un luogo accogliente, che li fa sentire "famiglia", sicuramente diversi per colore di pelle ,cultura e provenienza, ma non per i sentimenti e il diritto all'amore.Anzi le diverse culture, il cibo e la difficoltà iniziale della lingua li hanno spronati se è possibile ancor di più, innescando in essi voglia di conoscenza, supporto e condivisione.Lo scopo che li accomuna è la voglia di stare insieme e di portare in scena degli spettacoli bellissimi, ognuno con il proprio ruolo, grande o piccolo che sia, vuol far sognare e divertire gli spettatori.Il sogno di GIOVANNI è di continuare ad essere un bravo educatore e un punto di riferimento per chi è solo ed ha smesso di sognare, perchè nessuno glielo ha insegnato.Il teatro per lui e i suoi ragazzi è gioia di vivere.
Mirko Saraceno
Presidente dei I "BRIGANTI RUGBY DI LIBRINO"
MIRKO, è uno studente di Economia Aziendale, ha 25 anni,
Oltre all'amore per lo studio e tutto ciò che è conoscenza , arricchimento coltiva da ormai 17 anni una grande passione per lo sport e in particolar modo per il RUGBY.
Sport praticato nei campi di San Teodoro a Librino. che in tutti questi anni sia come giocatore che come allenatore gli ha dato tantissimo sia per quanto riguarda le vittorie sportive che per il suo percorso di crescita.
AMICIZIA, SACRIFICIO, LEALTA', CONDIVISIONE E ACCOGLIENZA sono i valori che ha acquisito grazie al Rugby
Per questo ha deciso di non abbandonare il quartiere che lo ha accolto e i ragazzi che quotidianamente vivono il campo e tutto quello che l'Associazione sportiva di rugby i BRIGANTI, con il loro progetto di coesione e inclusione sociale da a loro, in questa periferia cosi mal vista e abbandonata dalle Istituzioni, ma che offre tante possibilità di riscatto se solo lo si vuole e si lotta per cambiare le cose.
Da qualche anno ne è addirittura divenuto Presidente, ed è appunto a Librino, periferia ovest di Catania presso il Campo San Teodoro Liberato, recuperato dal lavoro dei volontari dopo anni di incuria, che lo incontriamo.Accanto ai campi immensi e ben curati, si scorge un ampia zona dedicata all'orto, gestito e voluto da alcuni abitanti del quartiere, mentre all'interno della struttura oltre gli spogliatoi e la palestra, una grande sala è dedicata alla Librineria e al doposcuola per i più piccoli, mentre un angolo è stato adibito a bar, vissuto da tutti come luogo di incontro.Tutti gli spazi sono ben curati e colorati.Il progetto voluto dai BRIGANTI, non si è fermato neanche dopo un incendio doloso di cui sono stati vittima una decina di anni fa, dando prova di come lo sport possa essere davvero uno dei principali motori di cambiamento alle brutture che ci circondano.Il quartiere di Librino dove vivono oltre 80.000 abitanti, per questo considerato una città nella città, è un luogo con un forte tasso di criminalità organizzata, che trova terreno soprattutto nei giovani attirati dal facile guadagno, ma che grazie al loro impegno è anche una zona dove si vive e si respira un' aria sana e di riscatto.Per arrivare ai campi di rugby si supera la PORTA DELLA BELLEZZA ( arricchita da opere e foto, grazie al progetto dell'artista catanese Lo Presti) e poi una serie di palazzi, alcuni di essi fatiscenti e una discarica a cielo aperto.I Briganti, negli ultimi decenni hanno cambiato la vita dei giovani e giovanissimi abitanti del quartiere, che era nato negli anni 60/70 come una città ideale, divenendo invece una grande aerea di edilizia abusiva, di spaccio e criminalità.Il campo è frequentato da ragazzi e ragazze di tutte le età : -7 squadre juniores, 1 squadra senior maschile, 1 senior femminile e una squadra over 40.
I ragazzi che frequentano il campo sono oltre 200.
Nessuno di essi paga per fare sport o per usufruire degli spazi e servizi della struttura.
Il sogno di MIRKO, è che tutti i giovani di qualunque estrazione sociale, colore della pelle, religione possano sentirsi partecipi della loro vita e non ghettizzati.
Per questo insieme al suo gruppo lavora quotidianamente, affinchè tutta la Comunità di Librino, possa diventare parte attiva e sana della città e grazie allo sport piccoli passi sono già stati fatti.
Grazie
Massimiliano Vasta vive ad Alessandria e gestisce tre pizzerie da asporto con consegna a domicilio denominate “Planet Pizza”. Il primo locale viene aperto nel 2003 ad Alessandria, la partenza non è stata semplice ma l’impegno e la costanza di Massimiliano hanno fatto sì che, con il passare del tempo, il locale avesse la sua clientela e venisse ampliato negli spazi. Successivamente sono stati aperti altri due locali: uno a Castelletto Monferrato e uno a Castellazzo Bormida, in provincia di Alessandria, solo con servizio serale. Le esigenze sono aumentate ed è stato assunto nuovo personale con mansioni ben specifiche all’interno dei vari esercizi commerciali. Massimiliano racconta che non amava studiare, preferiva lavorare e, dopo una breve esperienza di lavoro come fabbro, all’età di 17 anni ha accettato la proposta di lavorare presso la pizzeria di uno zio sul lago di Garda, provando a fare la stagione estiva. Al ragazzo è subito piaciuto fare il pizzaiolo, era contento di sapere che alla gente piaceva mangiare quello che preparava e, da quel momento, non si è più fermato e ha continuato a fare il pizzaiolo viaggiando, studiando per ampliare le proprie conoscenze e per migliorare la propria professionalità. Massimiliano insegna il mestiere del pizzaiolo in corsi di formazione ai giovani che hanno voglia di imparare, sottolineando che, scegliere di fare questo tipo di lavoro, comporta molti sacrifici, impegno, saper lavorare in squadra, anche sotto pressione, continuare ad essere aggiornati ed essere sempre animati da nuovi stimoli per migliorarsi e rispondere alle esigenze di una clientela sempre più attenta a ciò che consuma. Massimiliano, spinto da una mentalità imprenditoriale e motivato dalla voglia di rinnovarsi, ha voluto puntare ed inserire la preparazione di impasti diversi dal tradizionale, offrendo prodotti differenti e di qualità. Massimiliano si ritiene soddisfatto e realizzato rispetto ai risultati ottenuti fino ad ora, scherzando afferma che vorrebbe che in ogni città ci fosse un “Planet Pizza”! La voglia continua di crescere e di rinnovarsi accompagnano le ultime battute di Massimiliano, l’ uomo conclude sottolineando la volontà di svegliarsi tutte le mattine e di fare il lavoro che sa fare, sapendo di dare sempre il meglio.
Ahmed, è un ragazzo egiziano giunto in Italia nel 2016, dopo un viaggio lungo, pericoloso e affrontato senza i genitori.
Giunto al Porto di Catania, è stato affidato dalla Prefettura alla Comunità per Minori Marianella Garcia, nel quartiere di San Giorgio a Catania.
Il suo percorso a Catania non è stato facile, aveva solo 11 anni quando è stato accolto dagli operatori e catapultato in una realtà diversa da quella di origine, con l la difficoltà della lingua, la mancanza della famiglia e l'accettazione di nuove regole.La Comunità, i suoi operatori, la scuola sono stati fondamentali per il suo percorso di crescita.Grazie alla scuola ha imparato la lingua ed ha iniziato a tessere una rete amicale con il gruppo dei pari italiano, acquisendo con molta facilità atteggiamenti, uso del dialetto e amore viscerale per la musica neo melodica, molto amata dai ragazzini del quartiere.A settembre è stato iscritto regolarmente alla scuola media del quartiere, anche se con molte difficoltà dovute soprattutto alla poca voglia di studiare ha concluso il percorso conseguendo la licenza media, in tre anni.Successivamente, ha frequentato la scuola professionale Archè con indirizzo cucina, credendo di voler un giorno lavorare come cuoco in un ristorante, passione che nel tempo è scemata ma, che gli ha permesso di conseguire un ulteriore titolo di studio come operatore di cucina.Nel corso di questi anni ha sviluppato le sue due grandi passioni il Rugby e il Teatro, attraverso esse ha imparato ad accettare le regole, e dargli la giusta valenza.Per la sua integrazione nel territorio sono state fondamentali l'Associazione Sportiva di Rugby - I BRIGANTI dI LIBRINO e il Gruppo Teatrale della MILIZIA DELL'IMMACOLATA.Ahmed è ormai un ragazzo catanese a tutti gli effetti, ama la musica neomelodica, vive il quartiere e la città come se ci fosse nato.
Mantiene con la sua famiglia di origine un rapporto telefonico costante, ma è riuscito a fare suoi alcuni affetti fondamentali .
Sia i compagni di squadra che i componenti del gruppo, grandi e piccoli lo hanno accolto senza alcun pregiudizio e con molto affetto.
sempre attraverso l'esperienza del rugby e del teatro è nata in lui una nuova passione lavorativa .fare l'EDUCATORE.
Stare con i bambini, aiutarli nel gioco, allenarli e farli diventare dei giovani adulti lo gratifica moltissimo.
Spesso dopo gli allenamenti massacranti nel campo, si reca alle prove teatrali o viceversa, ma è tanta la voglia di ballare, recitare, giocare e di stare con il proprio gruppo di grandi e coetanei che vive tutto ciò come linfa vitale.
Ogni domenica affronta le partite di rugby sia con la sua squadra che con quella dei piccoli che allena settimanalmente.
Con il gruppo teatro in questi anni è stato protagonista di diversi spettacoli, rappresentati a Catania e provincia.
Il ragazzino capriccioso, insolente e dispettoso è divenuto negli anni, grazie alla comunita che lo ha accolto un giovane uomo, pieno di sogni e aspettative che riesce ad essere un punto di riferimentoe stimolo per gli altri.Ahmed vorrebbe viaggiare, ritornare nel suo Paese, rivedere e riabbracciare i suoi, ma ritornare sempre a Catania.Non pensa al matrimonio, la cultura dell'Egitto non gli appartiene piu.Oggi è pronto ad iniziare con grande entusiasmo questa sua nuova esperienza di tirocinio/lavorativo presso il centro aggregativo Punto a Capo, della Marianella Garcia.Spera di essere bravo e di non deludere, chi nel corso di tutto il suo percorso, gli ha dato fiducia ed ha creduto in lui, sostenendolo soprattutto nei momenti più bui.
Lucia, è madre di due figli adolescenti, ha 50 anni e vorrebbe trovare un’occupazione. È pienamente consapevole del fatto che a questa età, soprattutto per una donna, sia difficile reinserirsi nel modo del lavoro. Da un anno prende parte al progetto Home to Home finanziato dalla città di Torino promosso da che le ha permesso di fare un tirocinio presso una palestra come receptionist. Questa esperienza le ha permesso di riutilizzare competenze acquisite quando in passato lavorava in un’azienda, che per via della crisi, poi ha cessato la sua attività. Il lavoro all’accoglienza la realizza pienamente, perché’ è una persona molto empatica, socievole e solare. Dopo aver perso il lavoro, la famiglia ed in particolare due figli l’hanno tenuta impegnata, finche’ non ha ricominciato a lavorare saltuariamente con agenzie di interinale.
Lucia ha frequentato il liceo artistico e oltre a dipingere e disegnare, ama frequentare mostre e musei. I viaggi, anche una semplice tratta in treno, la fanno sentire bene e soprattutto libera. Ha visitato molto l’Italia, in particolare la Puglia, regione di origine della sua famiglia. È una donna ricca di interessi: ma cucinare perché’ apprezza la convivialità che il cibo porta con sé, sa fare anche i dolci, cuce, ama coltivare le piante sul balcone, leggere, passeggiare immersa nella natura. Ha un sogno, riprendere a studiare, in particolare Scienze dell’Educazione, ma visto che al momento non è possibile, studia con i suoi figli le materie scolastiche.
Luciano, torinese di Madonna di Campagna, nasce in una famiglia di operai di origine pugliese. Da ragazzo un po’ irrequieto, viene mandato a studiare a 14 anni presso un istituto religioso di salesiani a Milano.
A 16 anni con la qualifica di motorista meccanico torna a Torino e il padre gli trova un lavoro come carrozziere. Si specializza nella preparazione delle vernici, matura una grande esperienza nella conoscenza dei materiali e lavora in carrozzeria, a fasi alterne, per 37 anni.
Ha lavorato nell’ambito dell’abbigliamento, in una fabbrica di gomma plastica, dove facevano i tappeti delle auto, poi di nuovo in carrozzeria.
Luciano è una persona che ha molta cura della sua figura, veste bene e ha sempre fatto molto sport, calcio soprattutto. Ama la musica, passione che ha trasmesso ai suoi figli. Come la sua famiglia di origine è di fede cattolica, anche se per un certo periodo particolarmente difficile della sua vita se n’è allontanato.
Ama lavorare, anche se il mestiere di carrozziere è un po’ pesante e preferirebbe trovare qualcosa di più leggero: pulizie, bar, ristorante; preferibilmente un’attività a contatto con le persone, perché’ Luciano è una persona attiva e socievole, che ama stare in mezzo alla gente.
Paola è nata a Cuneo nel 1927, durante il fascismo. Si ricorda che a scuola avevano le divise e ogni sabato pomeriggio dovevano andare ai campi sportivi; la maestra diceva loro di prendere la lana dei materassi per fare le calze per i soldati. C’era un clima fortemente patriottico con la volontà di far grande l’Italia.
Quando è iniziata l’occupazione dell’Albania, lei abitava vicino alla stazione di Pinerolo: c’erano le tradotte piene di soldati entusiasti che cantavano inni, circondati da gente che li applaudiva.
Come “giovane italiana” aveva dovuto scrivere lettere ai soldati in guerra in Russia per incoraggiarli.
Ha studiato segretarie d’azienda e ha iniziato a lavorare a Cuneo alla FIAT, dove ha conosciuto suo marito. Normalmente le donne sposate venivano licenziate, ma a lei avevano concesso di rimanere fino alla prima malattia perché i dirigenti erano amici del marito. Poi ha avuto 3 figli e la sua vita è andata avanti su quei binari.
Durante la guerra il marito era stato arruolato e aveva fatto la campagna di Russia, dalla quale era tornato e aveva scritto un diario per non perderne il ricordo. Poi era dovuto andare al confine con la Germania, dove era stato rinchiuso in una scuola. Raccontava poco di quel periodo, ma si ricordava sempre di quando era stato liberato. Gli avevano dato alcuni marchi per comprare qualcosa da mangiare e c’erano solo due bar aperti, perché la città era stata bombardata. Quello più bello non serviva il caffè con i cucchiaini d’argento agli italiani e allora lui aveva finto di essere francese.
In casa di riposo con lei c’è la moglie di un ragazzo che faceva l’interprete per i tedeschi a Cuneo e passava le informazioni ai partigiani e che lei incontrava sempre sulla strada da Spinetta in macchina con i tedeschi. Quando si vedono si fermano a ricordare la sua storia.
Di Cuneo le piace molto via Roma, dove suo suocero aveva un bellissimo alloggio di fronte a Sant’Ambrogio, ma ora purtroppo l’hanno venduto per pagare la casa riposo.
Oreste è nato nel 1934 a Roata Rossi. I suoi genitori gestivano l’Aquila reale a Cuneo: una piccola osteria nel centro storico con il posto per fermare i cavalli nel cortile. Quando aprirono l’attività non c’era ancora la stazione; ogni martedì venivano al mercato i pescivendoli da Savona e, se avanzavano qualcosa, passavano dall’osteria per venderlo a prezzo ridotto.
Ha frequentato l’Istituto Tecnico di Savigliano. A 18 anni ha iniziato a lavorare in ferrovia prima a Torino e poi a Cuneo. Come macchinista ha viaggiato molto: Ventimiglia-Sanremo, Savona, Torino e qualche volta anche Pisa.
La Stazione di Cuneo un tempo era vivace: c’erano gli alloggi dei capi deposito, stazione, servizi al primo piano e al piano terra il ristorante, il tabaccaio, un'edicola e la biglietteria. Oggi gli alloggi sono vuoti e i servizi chiusi, tranne la biglietteria che resta aperta poche ore al giorno.
Oggi è un luogo deserto e purtroppo sono state soppresse tante linee come quella per Mondovì o per Saluzzo-Airasca. Vorrebbe che tornassero ad affittare gli alloggi e ripristinassero i servizi per renderla viva.
La sala reale della stazione, dove venivano accolti il re o altri ospiti importanti, oggi inutilizzata, sarebbe da valorizzare. Bisognerebbe immaginare un’azione di recupero dell’edificio, come quella di Porta Nuova a Torino; far tornare la stazione un luogo sempre attivo, un presidio per la zona, un luogo che trasmette sicurezza e vivacità.
Tanti anni fa a Cuneo c’era il filobus, che collegava la stazione dei treni a Piazza Torino, passando per corso Giolitti, corso Nizza e via Roma. Il deposito era su Corso Giolitti, vicino al Cinema Fiamma.
A Oreste è sempre piaciuta Cuneo, oggi, grazie ad alcuni interventi, è ancora più bella. Un tempo era più ordinata e tranquilla, ma c’era meno gente e la sera si andava a letto prima. Era animata dai mercati: quello del martedì e quello del venerdì, quello dei bozzoli da seta, quello in Piazza Virginio e quello delle granaglie vicino al Comune.
Irma è nata a Cuneo, poi si è trasferita con la famiglia a Busca. Quando si è sposata, è andata a vivere a Saluzzo per poi tornare a Cuneo, nel 1966, per gestire il Torrismondi, in via Michele Coppino 33.
Al ristorante ha passato buona parte della sua vita, circa 30 anni, lavorando prima con i cuochi e poi con suo figlio Pierpaolo, fino alla cessione.
All’inizio l’attività comprendeva bar, ristorante e albergo, poi hanno diviso la gestione. Lei e il figlio hanno preso il ristorante, mentre la mamma e il fratello l’albergo e il bar.
La scelta di prendere in gestione il Torrismondi è stata naturale, perché Irma veniva da quel mondo: sua mamma prima gestiva un piccolo bar/ristorante a Busca. Non le dispiaceva lavorare nel settore della ristorazione: si conosceva tanta gente, soprattutto medici che venivano con i rappresentanti a fare pranzo per ascoltare le proposte, accettarle, discuterle.
Oggi il ristorante è diventato un bar/tavola calda e le dispiace vederlo così cambiato: un tempo era un’istituzione. Sicuramente la posizione, vicina all’ospedale, aveva avuto anche il suo merito nel farlo diventare un punto di riferimento.
A Irma piace molto Via Coppino: un tempo, seppur principalmente residenziale, era una zona vivace. Vicino al Torrismondi c’erano un negozio di articoli sanitari, una pasticceria e un ortofrutta. Oggi si rattrista un po’ a vedere come sia diventata più piatta, senza movimento.
Della trasformazione che il suo quartiere ha vissuto si ricorda anche la realizzazione della piazza parcheggio dell’INPS, dove prima c’era uno spiazzo con una casa diroccata che è stata demolita.
Cuneo per Irma è una città bellissima e negli ultimi anni ci sono state iniziative di ulteriore abbellimento: Parco Parri, Viale Angeli, Corso Dante. Corso Nizza invece è sempre rimasta più tranquilla.
Le piace camminare lungo Corso Nizza fino a Rondò Garibaldi e risalire lungo il viale Angeli. Un tempo andava fino al Santuario degli Angeli, ma oggi si ferma prima, perché la passeggiata altrimenti diventa troppo lunga.
Xiomara è una giovane donna proveniente dall’Ecuador, ma che ha vissuto in Spagna prima di venire in Italia 8 mesi fa. Ha lavorato in entrambi i paesi come truccatrice professionale e ricostruzione unghie, taglio capelli, perché’ l’istituto che ha frequentato, l’ha preparata a svolgere attività nell’ambito della cura della bellezza della persona. È una ragazza molto intelligente e versatile che svolge anche altre attività: sa cucire, sia abiti che complementi d’arredo, lavora a maglia, cucina bene, soprattutto i dolci. Vuole lavorare e quindi svolgerebbe anche altre mansioni come le pulizie, badare a bambini o persone anziane. In Italia ha lavorato in una caffetteria, dove ha avuto modo di imparare un po’ l’Italiano, ora sta frequentando un corso e guarda film in italiano per capire anche le espressioni facciali. I suoi genitori sono rimasti in Spagna e in Italia con lei, oltre al marito e alla figlia, c’è la suocera che le dà una mano, permettendole così di trovare un lavoro che le lasci il tempo di godersi sua figlia.
Xiomara e’ solare, molto empatica, collaborativa e si impegna in ogni cosa che fa.
Iyke e’ nigeriano e vive in Italia, paese che ama molto e da cui si è sentito ben accolto, dal 2007. Nella sua terra natale, dove ancora vivono i genitori, coltivava il riso. Appena giunto in Italia, in provincia di Rieti, si è ritrovato in mezzo alla campagna, quasi come a casa. Si è occupato di raccogliere le olive, di mantenere puliti i terreni e di giardinaggio. Poi ha svolto mestieri diversi: piastrellista, ambulante al mercato con un banco di vestiti. Nel 2015 lo ha raggiunto la moglie e nel 2016, a seguito di una proposta di lavoro, si sono trasferiti a Torino. La ricerca di un alloggio è risultata subito difficile, ma le capacità relazionali di Iyke ed il suo spirito positivo, gli hanno permesso di incontrare una persona, Giovanni, affettuosamente definito “il Nonno”, che ha dato loro una grande mano. Nel frattempo sono nati due bambini, un maschietto e una femminuccia. Ad Iyke, che ora lavora nell’ambito della sorveglianza nei supermercati, piacerebbe trovare un nuovo lavoro che gli permetta di provvedere al meglio alla sua famiglia. Gli piacerebbe il settore edile oppure riprendere l’attività di giardiniere. Il tempo libero ama passarlo con gli anziani amici, cercando di intrattenerli cantando e ballando.
Eleonora della Garen è una signora di cultura Sinti che, fino a pochi giorni prima della pandemia, ha vissuto presso il Campo Sinti di Pinerolo. Eleonora è molto legata alle sue tradizioni e alla sua cultura anche se rivendica una certa indipendenza ed autonomia.
Ha due figli di 24 e 12 anni e, tra pochi mesi, diventerà nonna. Insieme al suo bambino più piccolo, vive presso una casa popolare di Pinerolo anche se i suoi legami con i fratelli, le sorelle e le persone del campo restano solide e profonde. Eleonora ha a cuore l’idea di scardinare i luoghi comuni e lo stigma che ancora oggi esiste verso la cultura Sinta.
Uisp (Unione Italiana Sport Per tutti) è un’associazione di promozione sportiva e sociale che ha l'obiettivo di estendere il diritto allo sport per tutte le persone, Gaetano come vicepresidente e Matteo come segretario generale, si occupano di gestire le attività della sede di Torino.
L'obiettivo è favorire tutte le presone e le associazioni dilettantistiche per rendere lo sport sempre più un mezzo di educazione e di inclusione sociale, attraverso la promozione di tutte le iniziative sportive sul territorio.
In particolare nella circoscrizione 3, Uisp Torino fa parte del patto di collaborazione per lo spazio Cumiana 15, insieme alle altre associazioni proponenti supportano e realizzano attività ed eventi educativi e sportivi. Oltre alle attività nello spazio, Uisp si occupa anche di educativa di strada, lo sport diventa il mezzo con il quale riuscire ad arrivare a ragazzi e ragazze per fornire loro delle alternative, le possibilità di sviluppare le loro passioni e potenzialità, fornendo mezzi e reti di associazioni a supportare le predilezioni di ciascuno.
Perché è importante fare sport e lo sport deve essere per tutti.
Paolo ha 36 anni, è laureato in Ingegneria meccatronica e per 10 anni ha lavorato come trasfertista programmatore. Un anno fa si è licenziato senza avere opzioni lavorative, poi ha colto l’opportunità di una supplenza, così ha scoperto i suoi “talenti”. Questo lavoro gli regala il contatto con i ragazzi e molto più tempo libero. Secondo Paolo, sarebbe fondamentale ripensare il mondo del lavoro garatendo più tempo per altro.
Nel tempo libero fa volontariato, acquisendo competenze e sentendosi maggiormente parte della comunità. Vorrebbe che più persone, in particolare giovani, partecipassero superando la paura del prendersi una responsabilità.
Partecipa a iniziative che danno spazio alla sua passione (smontare oggetti per capire come funzionano) e gli permettono di usare competenze per recuperare beni e rimetterli in funzione. Secondo lui, i punti di recupero hanno sia un potere ambientale che sociale perché diventano punti di aggregazione, occasioni per aprirsi alla comunità.
Come volontario della bici-officina, mette a frutto gli studi da accompagnatore cicloturistico e amplia le competenze confrontandosi con chi è più esperto. Questo spazio è diventato un riferimento per migranti e ciclisti amatoriali; gli piacerebbe si formassero anche i fruitori sulla riparazione delle biciclette.
Con Libera, collabora alla riparazione di computer e apparecchiature tecnologiche: il materiale, fornito gratuitamente dalla popolazione, viene aggiustato e donato a chi ne ha bisogno.
Quest’anno Paolo si è messo in gioco in politica nella Commissione ambientale a Borgo San Dalmazzo. Vorrebbe che la politica fosse percepita come qualcosa che riguarda tutti, lavorando per capire cosa porta al disinteresse e cambiare la situazione.
Per il futuro vorrebbe che si creasse una politica condivisa tra Cuneo e i Comuni vicini attenta all’ambiente e alla sostenibilità. Ad esempio, si potrebbero creare linee di connessione con i paesi limitrofi, come le metropolitane leggere francesi.
Nicolò lavora come web designer, grafico e videomaker per l’agenzia Libellula.
Vive in Cuneo Nuova, a pochi passi dall’ospedale, con sua moglie e la loro bimba di 4 anni. Si impegnano quanto più possibile per essere presenti nella vita di quartiere. Questa zona è interessata solo marginalmente dai problemi legati all’area della stazione.
Ha vissuto ad Asti e a Torino prima di venire, 6 anni fa, a Cuneo, dove, con sua moglie, ha scelto di abitare per uscire dalla dinamica da grande città: il caos e il traffico non gli mancano certamente. Indubbiamente gli manca l’offerta culturale; Cuneo ha sicuramente fatto progressi, ma può ancora lavorare per dare un’offerta che non riguardi solo l'enogastronomia, ma che valorizzi anche cultura e musica.
Inoltre vorrebbe che esistesse un polo aggregativo come la Casa del quartiere di Torino, dove ritorna con la famiglia: far rivivere uno spazio chiuso con servizi e attività legati al quartiere, un luogo ricco di proposte e in cui poter portare le proprie idee, che non dipenda dalle amministrazioni Comunali, ma continui nel tempo.
Inoltre vorrebbe che si portasse avanti l’importante lavoro di apertura e tolleranza nei confronti di tutti che si è avviato con la popolazione negli ultimi anni.
A Cuneo si trova bene: ha una dimensione più rilassata che aiuta a stare in famiglia. Ama anche la vicinanza del verde e della natura e la presenza di un buon sistema di passeggiate per famiglie: nelle valli attorno a Cuneo, si divertono a sperimentare i percorsi per famiglie.
Un altro punto di forza di Cuneo è che ci sono molte attività, anche se tendono ad essere un po’ monotematiche. Ultimamente, tuttavia, l’offerta si sta diversificando con iniziative come ad esempio la pulizia del Parco Monviso. Grazie a questo momento, Nicolò ha socializzato con altri residenti, cosa che per lui non è sempre facile, venendo da fuori e lavorando molto in casa.
Nicolò in passato è stato musicista in una band e conserva ancora la passione per la musica: ama suonare la chitarra e cantare.
Cristina lavora per LVIA (Associazione Internazionale Volontari Laici), realtà fondata nel 1966 da Aldo Benevelli, prete partigiano, con l’intento di realizzare progetti di cooperazione internazionale in Africa.
LVIA opera in 10 Paesi africani per garantire diritti fondamentali quali cibo, acqua e salute, avvalendosi di personale locale e di qualche “espatriato” per il coordinamento. In questi Paesi organizza viaggi di conoscenza per scoprire i progetti e incontrare altre realtà e scambi giovanili con momenti di formazione condivisa. Affronta tematiche come acqua, ambiente, sicurezza alimentare, inclusione, migrazione di ritorno, riciclo ed educazione. In Italia collabora a progetti nazionali e locali su temi come l’economia circolare, il clima e la cittadinanza attiva.
A Cuneo organizza attività di sensibilizzazione e raccolta fondi nelle giornate mondiali dell’acqua e dell’alimentazione e collabora a progetti.
Un esempio è il progetto “Nutrire l’inclusione, far crescere la comunità” per creare occasioni di inclusione e ridurre lo spreco: i volontari, residenti e migranti, raccolgono le eccedenze alimentari al mercato e presso alcuni esercenti e le donano alle famiglie bisognose. I negozi coinvolti, gestiti da persone con background migratorio, spesso hanno poca eccedenza, ma forniscono alimenti esotici, che sono ben accolti dalle famiglie e stimolano lo scambio di ricette e l’organizzazione di eventi sulla tematica. Il gruppo di 15 volontari è molto motivato ed eterogeneo sia come background che come età.
Tutte le informazioni sui progetti si trovano sulle pagine social e sul sito, nella newsletter mensile o nel giornalino cartaceo.
LVIA ricerca volontari per i progetti o a supporto dell’attività d’ufficio: ci si può candidare via mail, telefono o presso la sede.
LVIA vuole proseguire il progetto Nutrire l’inclusione, implementare il coinvolgimento degli abitanti e dei commercianti del quartiere, proseguire un servizio e incrementare le relazioni con le realtà già attive a Cuneo e nel quartiere.
Eiman è una giovane donna solare e molto comunicativa, di origine egiziana. Viveva la Cairo, dove ha compiuto i suoi studi per conseguire un diploma triennale da elettricista, anche se non ha mai esercitato questa professione. Ha lavorato come receptionist e segretaria in un hotel. Si è sposata e 14 anni fa si è trasferita in Italia. Ha 3 bambini in età scolare e a Torino ha svolto attività di segreteria in ufficio, aiuto pulizie e assistente nel campo dell’arredamento. La sua terra di origine le manca moltissimo: gli aromi, i colori, il cibo…, ma ciò che le manca di più è sicuramente la sua famiglia. In particolar modo le feste a casa dei genitori, quando si riuniva con le sorelle e le loro famiglie per il pranzo della domenica. Suo padre lavorava in Arabia Saudita e quando la famiglia si riuniva viaggiava per l’Egitto e andavano al mare ad Alessandria e Hurghada.
In Italia si trova molto bene e nel quartiere ha moltissimi amici di ogni nazionalità. Organizza con loro merende al parco con i bambini e in estate feste per ritrovarsi. Molto dedita alla famiglia, si sveglia presto al mattino per preparare la colazione ai ragazzi che devono andare a scuola, poi svolge tutte le mansioni domestiche e prepara il pranzo. Quando è con i suoi figli esce, li porta al parco, o se il tempo è brutto guardano dei film in inglese o cucinano insieme i dolci.
Siccome i ragazzi ormai sono grandi, Eiman vorrebbe tornare a lavorare e ad occuparsi della sua formazione: le piace lavorare al computer e vorrebbe approfondire la sua conoscenza dei programmi, per un eventuale impiego come segretaria. Ha un desiderio su tutti, lavorare con gli immigrati, vorrebbe infatti diventare mediatrice culturale, ma il suo diploma egiziano non è riconosciuto in Italia. Le piacerebbe comunque trovare un modo alternativo per realizzare questo suo desiderio.
Ha la patente, cucina bene sia i piatti della tradizione egiziana che quelli italiani, in particolare i dolci. Ha seguito un corso di sartoria e si diverte a confezionare complementi di arredo per la sua casa. Ascolta musica araba, ma le piacciono anche Gianna Nannini e la canzone Bella Ciao. Legge libri italiani e in arabo per aiutare i figli nello svolgimento dei compiti. Ama il cinema egiziano, in particolare i film romantici. Camminare da sola per la città e nei parchi le dà modo di godersi a pieno il tempo libero.
In Italia ha visitato molte località del Piemonte ed è stata in vacanza in Liguria, perché il mare è un altro aspetto dell’Egitto che le manca molto.
Gianni è una persona curiosa, desideroso di imparare cose nuove e di tenersi aggiornato rispetto alle novità che la tecnologia ci impone di conoscere. Per questo motivo ha frequentato un corso di orientamento sull’uso consapevole e sicuro di internet e di guida nei servizi digitali. Ha inoltre preso parte al progetto Home To Home finanziato dalla città di Torino, per il quale ha effettuato un tirocinio presso le cooperative e associazioni coinvolte nel progetto, in qualita' di manutentore, addetto pulizia e ripristino edile.
Figlio di genitori pugliesi emigrati a Torino, ha svolto nel corso della sua vita diverse mansioni, dall’operatore meccanico in un a litografia, al barista, al panettiere, tubista; nel campo dell’edilizia, ha lavorato come saldatore a filo continuo. Queste attività gli hanno permesso di sviluppare una grande manualità e soprattutto un grande senso di adattamento alle situazioni e alle mansioni. Impara velocemente e ora vorrebbe trovare un lavoro più tranquillo, come custode, o giardiniere. Ha la patente, ma preferisce spostarsi a piedi o con i mezzi pubblici, anche per andare a trovare i nipotini che abitano fuori città.
Ferdous Sarker è un ragazzo proveniente dal Bangladesh, ha compiuto 18 anni il 26 luglio 2022, è arrivato in Italia nel 2021, dopo aver trascorso alcuni mesi in Libia. Il ragazzo racconta che la sua famiglia è composta da: padre, madre e tre sorelle, la più piccola di 12 anni; Ferdous è zio di tre nipotini figli delle sorelle maggiori. Il padre era un muratore ma per problemi di salute ha smesso di lavorare. Ferdous racconta di aver studiato da quando aveva 6 anni fino al compimento dei 10 anni, ha interrotto gli studi e ha cominciato a lavorare per aiutare la famiglia che si trovava, e si trova tuttora, in difficoltà economiche. A 11 anni Ferdous ha iniziato come aiuto muratore, poi ha continuato a lavorare in un negozio di alimentari, la paga era misera. All’ età di 16 anni ha lasciato il suo paese per arrivare in Libia, nella città di Bengasi, dove per 8 mesi (da gennaio 2021 ad agosto 2021) è stato cameriere in un ristorante in cui vi lavoravano altri connazionali, il proprietario del locale gli ha preso il passaporto e non glielo ha più ridato, inoltre non veniva pagato regolarmente. Il ragazzo è arrivato successivamente in Italia, a Lampedusa, affrontando un rischioso viaggio sul gommone, per poi raggiungere un centro di accoglienza nel nord Italia, a Chivasso, dove è stato per un mese. A settembre 2021 Ferdous è stato trasferito presso la comunità “Il Galletto” di Felizzano (Al), luogo in cui vengono ospitati minori stranieri non accompagnati, dove vi è rimasto fino ad aprile 2022, in quanto è stato collocato presso un social housing ad Alessandria per meglio agevolarlo nel frequentare il tirocinio. Dal 4 maggio 2022 Ferdous ha iniziato l’attività di tirocinio della durata di sei mesi presso una pizzeria per poter apprendere il mestiere di pizzaiolo. Il ragazzo ha dimostrato di avere buona volontà e di essere diligente, puntuale e interessato ad imparare. Ferdous frequenta tutt’ora la scuola di alfabetizzazione CPIA ad Alessandria, livello A2, tre giorni a settimana, tutti i venerdì va in Moschea per le funzioni religiose e per pregare, ha mantenuto contatti con altri suoi connazionali e con ex compagni di comunità, con i quali condivide la passione del cricket. Ferdous si immagina il suo futuro in Italia e di poter trasferire qui la sua famiglia, attualmente la sostiene economicamente inviandole del denaro essendo l’unico membro del nucleo a lavorare.
Alice, è una laureanda in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali alla Reggia di Venaria, la sua specializzazione è sul restauro della carta.
Arrivando da una famiglia di artisti anche lei segue le orme dei genitori, anche se con un diploma scientifico, è da sempre innamorata dell'arte quella che si guarda certo, ma che si fa in particolare, infatti ha scelto da subito una scuola che le permettesse di mettersi all'opera.
La specializzazione sulla carta le ha permesso non solo di imparare a restaurare opere ma anche a produrre e confezionare un libro da zero, partendo dal cucire i fogli al foderare una copertina. Ha sviluppato una passione anche per la fabbricazione della carta, partendo da scarti di fogli già utilizzati e sbizzarrendosi nel formare nuove combinazioni di colore e trame, le piacerebbe molto poter organizzare corsi e laboratori per insegnare anche alle altre persone come autoprodursi la carta, pratica che definisce terapeutica e meditativa.
Presa la laurea vorrebbe andare a lavorare in qualche laboratorio in archivi storici, per consolidare le conoscenze apprese a scuola, per poi buttarsi nel mondo più dinamico delle mostre d'arte, organizzando trasporti di opere ed esposizioni vere e proprie.
Silvia Lorenzino è un'avvocata e una delle socie fondatrici di Svolta Donna, centro antiviolenza che nasce come spazio di ascolto per dare supporto a donne vittime di violenza, presto diventa punto di riferimento per il territorio e l'associazione cresce e aumenta i servizi che mette a disposizione gratuitamente.
Il centro ad oggi si occupa di fornire consulenza legale, sostegno psicologico, contatto con un'operatrice che fornisce tutto il sostegno e le informazioni necessarie per intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla relazione violenta, sostegno all'empowerment lavorativo, sostegno per la ricerca e accoglienza in emergenza abitativa, supporto all'abilitazione educativa, e molto altro; un sostegno e un accompagnamento a tutto tondo.
L'obiettivo infatti è fornire alle donne che si rivolgono allo sportello tutti gli strumenti per prendere una decisione in autonomia e consapevolezza, è solo la donna a decidere cosa è meglio per sé stessa e quali possano essere i passaggi per raggiungere ciò che vuole e ricostruire ciò che è, crescita della consapevolezza e autocomprensione dei propri bisogni le parole d'ordine.
Svolta Donna si occupa di organizzare anche laboratori nelle scuole, portando il tema dell'affettività e delle relazioni sane, perché è necessario partire dall'educazione dei giovani, per educare ad un nuovo modello culturale che sradichi comportamenti sbagliati introiettati nell'ambiente sociale e culturale della famiglia di origine.
Uscire dalla gabbia in cui giovani uomini e donne sono rinchiusi, perché la violenza è il sintomo, sia di assenza di parità che di modalità di intendere le relazioni sbagliate, in cui si frammentano i ruoli maschili e femminili in base a stereotipi che impediscono di raggiungere la piena realizzazione personale.
Si devono creare nuove opportunità per le persone che hanno il diritto di sviluppare le loro aspirazioni senza vincoli a stereotipi di genere per contrastare il substrato culturale che alimenta la violenza.
I servizi del Centro Svolta Donna sono totalmente gratuiti e quello che si trova all'interno è uno spazio di ascolto senza giudizio.
Il numero verde per informazioni e richieste è 800 093 900.
Sara Granero con altre colleghe food artists, fondano Cucina Wow, un laboratorio creativo che trasforma il cibo in opere d'arte.
Il loro cibo è buono, bello ed etico, l'obiettivo è trasmettere la cultura e l'amore per il cibo, divertendosi e giocando senza sprechi, tutto quello che viene prodotto, per eventi e laboratori, viene poi mangiato e anche gli scarti vengono trasformati e riutilizzati.
Cucina Wow si occupa sia di creazioni per eventi o brand, ma anche di laboratori e corsi di cucina per adulti e bambini.
Sara è logopedista e dopo il suo quarto figlio decide di rallentare e dedicarsi alla famiglia, la cucina creativa arriva quando sente il bisogno di trasformare una necessità e una passione in lavoro. Grazie al suo background, sa quanto la cucina sia un mezzo per formare ed educare, la manipolazione del cibo può diventare esperienza, divertimento e uso di tutti e 5 i sensi, la sperimentazione porta all'assaggio.
Attraverso la creazione di cibo si trasmettono concetti multidiscliplinari, si parla di storia, di geografia e si fa educazione alimentare, il laboratorio diventa un momento di aggregazione, anche tra genitori e bambini.
Francesco (co-amministratore delegato), Elisa (responsabile comunicazione), Roberto (responsabile magazzino e della logistica interna) e Stefania (responsabile comunicazione e marketing) ci raccontano Nova Siria, azienda che opera nel settore metalmeccanico dal 1932, a conduzione famigliare da allora ma che conta ad oggi 80 dipendenti.
Nova Siria è un'azienda che si potrebbe definire all'avanguardia nel contesto italiano per la cura e la valorizzazione del fattore umano, Francesco parla dei suoi dipendenti come dei sarti che producono su misura, perciò le persone e le loro competenze sono essenziali, cresciuto nell'azienda aperta dai nonni, gli hanno trasmesso il valore della famiglia e l'attenzione ai bisogni dei dipendenti.
"Investire nelle persone, poi ti torna indietro, ripaga sempre."
Nova Siria ha un'età media dei lavoratori di 39 anni, è un'azienda che ha deciso di puntare sui giovani e di creare un'organigramma sempre più trasversale attraverso la formazione continua, la delega delle responsabilità, la valorizzazione dei talenti e delle capacità individuali. A Nova Siria hanno capito come sapersi trattenere le persone, e i talenti, sapendo quanto ormai sia l'importante coniugare vita e lavoro, la ricetta è un perfetto mix tra disciplina e concessioni, passando attraverso percorsi di formazione per far crescere i dipendenti.
Tante sono le iniziative che portano avanti oltre alla produzione giornaliera, attraverso la creazione di un giornalino aziendale, mensilmente raccontano qualche curiosità sui dipendenti, valorizzando chi per esempio ha avuto un'idea innovativa che migliora il lavoro in azienda, oppure essendo un'ambiente lavorativo multietnico, si condividono curiosità su tradizioni e cucine etniche di tutto il mondo. Un modo per allargare la famiglia, imparando a conoscersi anche se non si lavora fianco a fianco.
E' stato creato anche uno sportello di ascolto per i dipendenti, perché una persona che sta meglio come singolo, poi sta meglio inserito in un gruppo. Sono stati offerti corsi di italiano gratuiti per dipendenti di diversa nazionalità, come strumento di welfare e di inclusione sociale.
Possiamo tranquillamente definire Nova Siria come un bozzetto ben riuscito, di come potrebbe funzionare il mondo se si prestasse cura e attenzione alle persone, una vera eccellenza del territorio Pinerolese e Italiano.
Chiara è assistente sociale presso il CISS di Pinerolo, un lavoro che è poco conosciuto e molto spesso legato a narrazioni distorte, in realtà lei ci racconta quanto sia un mestiere legato all'empatia, un lavoro che molto spesso ti porti a casa e a cui dai priorità, mettendolo davanti a famiglia e interessi personali.
L'assistente sociale si occupa della creazione di progetti di co-costruzione, di gestione di interventi a sostegno del nucleo familiare, è una figura di aiuto e crescita, che promuove l'autonomia delle persone prese in carico.
I servizi sociali per Chiara sono come una missione.
Un progetto che sta portando avanti è quello legato al Campus Osta, campo in cui vivono persone di etnia Sintu, il Campus mira alla realizzazione di progetti individualizzati per giovani e adulti, progetti di supporto alla socializzazione, al favorire l'inclusione scolastica e allo sviluppo di autonomia e indipendenza delle persone che vivono nel campo, sono progetti di politiche attive di inclusione.
È nato in Francia ed è a Cuneo da quando ha 13 anni, ha studiato come disegnatore meccanico e ha lavorato nell’ufficio tecnico Michelin per 33 anni.
Ora è pensionato, vedovo e vive con il figlio. Ha una casa in montagna ed è un grande appassionato di bicicletta da corsa, da sempre, perché gli permette di mantenere attivi testa, orientamento e fisico, in estate e inverno. La sua prima bicicletta da corsa l’ha avuta a 13 anni e oggi che ha 75 anni continua ad andare.
Quando era piccolo aiutava la mamma nel bar di famiglia, il poco tempo libero lo usava per la bicicletta.
È responsabile di un gruppo di ciclisti a Confreria e fa parte dei volontari della bici-officina de La Boa, dove ha iniziato dopo aver insegnato ad andare in bici ad un gruppo di ragazze come volontario per la cooperativa Momo.
Lavora come volontario anche nel condominio e fa l’hobbista per gli amici. Si reputa un volontario da tanto tempo, anche solo con gli amici: aiutare gli dà soddisfazione. Se è in grado di dare il proprio aiuto in base alle sue competenze, lo fa con piacere.
Da giovane gli piaceva disegnare e dipingere, ma non ha mai fatto corsi; oggi la pittura non gli interessa più. Ha deciso di studiare come disegnatore meccanico, perché il titolo gli permetteva di lavorare con il disegno, mentre la pittura non gli avrebbe permesso di sostenersi. Il suo lavoro in Michelin gli piaceva molto, anche se nei 33 anni di attività, è cambiato moltissimo, soprattutto con l’arrivo dei programmi di disegno, come AutoCAD. Quello che gli dava più soddisfazione era il poter disegnare cose che poi venivano realizzate davvero e che lui conosceva alla perfezione perché erano “sue creature”.
Quando è nato suo figlio si è dedicato alla famiglia e in particolare al figlio, perché quando aveva 10 anni ha perso la mamma.
La sua esperienza da emigrato italiano in Francia gli ha fatto capire cosa significa essere “stranieri”. Al di là della nazionalità, crede che la differenza la faccia la persona.
Viviana fa parte della Fondazione Opere Diocesane Cuneesi ed è coordinatrice di un progetto di Domiciliarità nato 6 anni fa dalla preoccupazione di una famiglia di non avere qualcuno a cui rivolgersi “nel caso succedesse qualcosa”. Questa esigenza è comune a molte persone che vivono in appartamenti senza ascensore, soli, in attesa di entrare in una residenza per anziani o con il desiderio di ritardare l’ingresso.
Oggi circa 80 persone accedono al servizio: per usufruirne è sufficiente chiamare il numero di riferimento ed effettuare un colloquio finalizzato a strutturare un progetto personalizzato. Il costo per l’assistito è molto più basso rispetto a quello delle RSA.
Il principale metodo di conoscenza e diffusione è il passaparola, ma quando si diede avvio al progetto si distribuirono anche alcuni volantini nei punti strategici.
È emerso, nel tempo, come il bisogno primario sia il desiderio di compagnia: le richieste sono legate più alla sfera relazionale ed emotiva che a quella sanitaria o di aiuto fisico. Con le persone assistite si creano rapporti di amicizia e fiducia.
Le prestazioni vanno dall’alzata del mattino all’igiene personale, dall’accompagnamento alle visite mediche alla consegna di pasti a domicilio, dalla fisioterapia alla parrucchiera, alla pedicure…Non possono coprire l’intera giornata, ma sono qualitativamente molto alte.
Presso Casa Famiglia si può consumare il pranzo in condivisione e, al pomeriggio, partecipare alle attività: qui sono nate amicizie e storie d’amore. Prima del covid era nato “1 ora da diva”, un momento in cui ci si faceva belle, un pretesto per stare insieme, divertirsi e mangiare qualche dolce. Durante il Covid si è cercato di portare avanti il progetto, nonostante le difficoltà, e oggi si cerca di ripartire come prima.
Viviana vede la Domiciliarità come il futuro e spera in una presa in carico di questa necessità anche da parte del Comune per ampliare il servizio in stretta collaborazione con le realtà che già ci lavorano.
Nicolò ha 35 anni, è geologo libero professionista. Ha studiato a Torino e lavorato per un po’ di tempo in Università, facendo ricerca con un dottorato in geotermia. È poi stato per 5 anni in Canada, a Quebec City, dove si è occupato di studi sulle potenzialità della geotermia come fonte alternativa di riscaldamento, entrando in contatto con le popolazioni autoctone dei villaggi del Nord del Quebec. Da poco è rientrato a Cuneo, sua città natale. Al suo rientro, non ha trovato la città particolarmente cambiata. L’impatto più grande è stato quello con una società diversa, in generale, da quella canadese. Ha notato comunque una maggiore presenza di piste ciclabili e di parchi. La dimensione di Cuneo e la sua vicinanza alle montagne gli hanno regalato il piacere di tornare.
Parla correntemente il francese, che ha migliorato in Quebec. Dalla sua esperienza canadese ha portato a casa la consapevolezza dell’impatto da immigrato in una società diversa, in cui tutto deve essere costruito da zero, e un diverso approccio alla vita con un minore attaccamento al lavoro lasciando spazio per coltivare hobby, passioni...
Gli piace fare sport all’aria aperta e fare volontariato, attività che risponde alla sua necessità di dedicare a qualcun altro parte del suo tempo. Collabora con la biciofficina della Boa e con l’LVIA nel progetto “Nutrire”, che prevede il recupero delle eccedenze mercatali per ridistribuirle ai più bisognosi.
In Canada, oltre al lavoro in Università, faceva il meccanico part-time in un negozio di biciclette, attività per liberare la mente in alcuni momenti della settimana, dedicandosi ad un lavoro “fisico”.
Per il futuro di Cuneo spera in più “mobilità intelligente”: una città che si muova sempre di più senza macchine grazie ad un sistema di servizi che collegano le frazioni al centro. Spera inoltre che ci sia più integrazione, che richiede sforzo ad aprirsi, conoscere, legare, uguale da parte di chi vive qui da tanto tempo e di chi arriva.
Vittorio ha 29 anni ed è nato in Cuneo Centro. È titolare del The Corner, un bar-ristorante aperto a dicembre 2021, che offre dalla colazione all’aperitivo e l’idea è di fare prossimamente anche i brunch la domenica. Tutto il background di Vittorio è stato importante per questo lavoro di imprenditore e ristoratore, che lo porta sia ad amministrare sia ad aiutare in cucina o a servire ai tavoli, insieme agli altri 12 lavoratori.
Con il bar è “ritornato alle origini”, riprendendo in mano il suo diploma all’Alberghiero di Dronero. Prima, Vittorio ha lavorato all’estero nell’ambito della finanza, prima in Germania e poi in Inghilterra, da cui ha preso ispirazione per lo stile “inglese” del locale.
Il locale ha un wifi che può essere usato da studenti e lavoratori; sotto i divanetti ci sono le prese elettriche e usb per ricaricare i propri dispositivi. La cucina è a vista, con attorno i tavoli per mangiare, la pianta è triangolare e al centro ha un albero.
La sfida è stata quella di aprire un luogo bello ed elegante in una zona difficile, con l’obiettivo di portare nel quartiere persone benestanti con un potere di acquisto e di spesa medio-alto e migliorare con questo tutta la zona.
Nel weekend si tengono alcuni eventi con dj sempre nuovi che finiscono prima della mezzanotte e rispettano i livelli di musica definiti da regolamento comunale; infatti per il momento il rapporto con il vicinato è buono. La clientela è principalmente caratterizzata da persone tra i 20 e i 45-50 anni.
Rileva che da quando si sono insediati la situazione nel quartiere è diventata migliore, anche la sera la frequentazione è aumentata e l’illuminazione del locale ha incrementato la sicurezza, anche se ciò non basta per risolvere i problemi che ci sono.
Valentina è una mamma di tre bambini e lavora come medico di famiglia a Cuneo da quasi otto anni, in uno studio insieme ad altri colleghi nel cuore del quartiere Cuneo Centro, in via Meucci.
Tra i suoi 1300 pazienti ci sono persone di tutti i tipi, estrazioni sociali e nazionalità: il suo lavoro le permette di conoscerle in modo profondo. In questi anni ha notato che la composizione dei suoi pazienti è cambiata: gli anziani “storici” del quartiere sono venuti a mancare e sono aumentati i pazienti giovani provenienti da altri stati e con cui non sempre è facile capirsi e per questo, in alcuni casi, intervengono mediatori culturali.
Inoltre spesso gli stranieri non conoscono i servizi sanitari a cui possono aver accesso, quindi una parte del lavoro del medico è anche di informarle su questi.
Il covid non ha aiutato: le persone sono molto più chiuse, insicure, spaventate, esasperate. Questo ha portato a un isolamento delle persone che non cercano più l’incontro, le situazioni conviviali e sono più ansiose e meno serene. Questo aspetto lo riscontra non solo negli anziani, ma tra i giovani che non lavorano e non studiano.
La cosa essenziale per stare bene è uscire di casa, muoversi: Cuneo è una città adatta a farlo, con tanti spazi aperti, piazze e parchi. Così facendo, le occasioni per incontrarsi, fare cose ecc. nascono di conseguenza.
Valentina, negli anni, ha imparato che bisogna avere cura di se stessi, del proprio equilibrio mentale e della propria salute, tenersi del tempo per fare cose al di fuori del lavoro, mettere dei limiti alla disponibilità verso i pazienti.
Per il futuro del quartiere vorrebbe che i tanti locali sfitti si riempissero di attività, che ci fossero bambini che giocano nei giardini, persone anziane che si incontrano e camminano per le strade con qualcuno sottobraccio.
Carlo ha 80 anni, nella sua vita a fatto il dirigente d'azienda e l'imprenditore, circa 4-5 anni conosce Sergio Rosso, presidente e fondatore della rete Asili Notturni di Torino, insieme iniziano ad immaginarsi come sviluppare lo stesso progetto sul territorio Pinerolese, però costruito in base alle esigenze di una cittadina diversa da Torino e che già ospitava e ospita tanti progetti di sostegno sociale, nasce così uno studio dentistico per le fasce più fragili, l'Asilo Notturno di Pinerolo offre quindi le sue prestazioni a chi ha bisogno di cure odontoiatriche che il Sistema sanitario nazionale non copre.
L'obiettivo è fornire cure dentistiche gratuite a tutti quei pazienti che non si possono permettere di andare dal dentista e grazie al lavoro di rete sul territorio, si sviluppano collaborazioni con altre realtà e associazioni per diffondere l'iniziativa tra chi ne può aver bisogno, particolare cura viene messa nell'aiutare famiglie numerose e bambini.
Il loro è un welfare di comunità, perché dalla salute della bocca passa sia il benessere psicologico che quello fisico delle persone, il male ai denti può compromettere digestione, cuore, circolazione, e molto altro.
"Il coraggio delle idee e la costanza nelle azioni sono il nostro modo per contribuire a cambiare il mondo. Questo semplice principio è stato il fondamento sul quale si è sviluppato il processo per la realizzazione dell'ambulatorio dentistico di Pinerolo. [...] Salvaguardare la dignità di coloro che si rivolgono agli asili notturni in cerca di sostegno è sempre stato per noi prioritario e in tal senso, i recenti progetti portati avanti dalla nostra associazione, oltre alla loro fattività e concretezza, sono davvero funzionali per una fetta di umanità fortemente fragile o marginalizzata, e solitamente ignorata dai più. Grazie alla nostra equipe di volontari professionisti, possiamo sentirci dei veri innovatori accoglienti del cosiddetto welfare no profit."
Sergio Rosso, Presidente Asili Notturni Torino
Simone è laureato in architettura, ma non ha mai fatto l’architetto con continuità, lavorando principalmente come grafico. Ha cambiato lavoro perché si sentiva chiuso in un vortice, non riuscendo a fare ciò che voleva, come voleva. Oggi lavora con l’Associazione culturale Noau, realtà che gli permette di essere parte di un gruppo con una visione comune. Inoltre è volontario nell’Associazione Origami con cui organizza eventi musicali. Continua ad essere incasinato tra le tante cose da fare, ma soddisfatto nel farle.
Per lui il detto “Fai della tua passione un lavoro e non lavorerai nemmeno un giorno della tua vita” è una grande falsità: è fondamentale ritagliarsi del tempo per gli interessi, per non fare nulla e per staccare la testa e trovare un equilibrio.
L’arrivo della figlia Carlotta, sei anni fa, ha modificato la vita di tutta la famiglia e lo ha portato a fare alcuni cambiamenti.
La sua passione più grande è la musica, il suo più grande rimpianto è non saper suonare. Ha messo questo interesse anche nel suo lavoro: era il “sesto elemento non suonante” di un gruppo cuneese, organizzava concerti, tour e scriveva pezzi. È stato inoltre tour manager e social media manager per alcuni artisti.
Per lui è fondamentale passare del tempo con persone diverse per entrare in contatto con altri punti di vista, confrontarsi, cambiare insieme, crescere.
Con la famiglia vive in Cuneo Centro, dove abita da quando aveva 6 anni. Frequenta il quartiere, dando una mano con le sue competenze, ad esempio disegnando il logo del Comitato. Recentemente ha potuto lavorare nella zona insieme a Noau, portando iniziative culturali inedite.
Pensa che Cuneo sia una buona “zona di comfort”, anche se il suo quartiere è un incastro non sempre facile di persone diverse per abitudini, culture, punti di vista. Vorrebbe che ci fosse più disponibilità a ragionare sulle necessità anche degli altri, non creare conflitti per cose piccole e irrilevanti: è compito di tutti impegnarsi ad ascoltare e capire, prima di giudicare.
Roberta abita nel quartiere Cuneo Centro, è mamma di tre figli, è educatrice professionale e ha sempre lavorato a contatto con la disabilità.
Quando frequentava le superiori, faceva volontariato con i disabili e così ha deciso di iscriversi al corso di formazione per educatori.
Ha iniziato lavorando, per circa un anno, nell’ex manicomio di Racconigi ed è stato molto pesante e impegnativo. Oggi segue le attività di un centro disabili a Borgo San Dalmazzo.
Roberta, nel suo tempo libero, lavora a maglia, all’uncinetto e al ricamo. Inoltre le piace realizzare i fiocchi nascita: al momento li prepara per parenti e amici. In un precedente lavoro, sempre con i disabili, aveva messo questa sua passione nell’attività e realizzato un laboratorio di cucito.
Abita a Cuneo fin da quando era bambina, ma all’epoca viveva dove oggi ci sono le piscine comunali. Quella zona un tempo era già campagna: i suoi nonni stavano lì e avevano le mucche. Anche i suoi figli sono cresciuti lì, nonostante lei abitasse in centro, perché tutti i suoi familiari vivono lì e lei torna spesso perché si sta bene.
Roberta ama molto la sua città, un amore “viscerale”: quando le capita di allontanarsi per un tempo più lungo, rientrando si sente bene guardando ciò che la circonda. Vedendo la “corona di montagne” si sente subito a casa.
Nel suo quartiere è attiva: non le piace lamentarsi, ma poi tirarsi indietro se le viene proposto qualcosa.
Per il futuro è un po’ preoccupata perché ha visto un cambiamento repentino e in negativo nel suo quartiere, oltre che in altre zone della città: negozi abbandonati, sporcizia, violenza. Spera possa esserci una maggior sicurezza e tranquillità tornando la sera da soli, soprattutto per ciò che spesso avviene sotto casa. Ha anche pensato di spostarsi, però le dispiacerebbe per i legami che ha creato nel quartiere e inoltre vorrebbe dire svendere l’alloggio perché gli immobili in zona hanno perso valore.
Riccardo è nato a Fossano nel 1935 e, dopo aver lavorato in un Autogrill per quattro anni, è stato gestore del Bar Ricky per 35 anni, dal 1970.
Quando arrivò a Cuneo, tutti gli dicevano “Non andare a Cuneo, non riuscirai ad andare avanti”: era difficile entrare nei giri di amicizie e conoscenze già esistenti. In effetti, in confronto a Fossano che era più un “paesone”, a Cuneo era difficile conoscere anche chi abitava sul tuo stesso pianerottolo.
Prima del suo arrivo, il bar prima era un’osteria, “Da Demo”: per qualche mese la gestì ancora come osteria ed era frequentata da uomini che già al mattino bevevano mezza bottiglia di vino.
Poi trasformò l’osteria in un bar e così l’attività divenne più remunerativa. Partendo dalla sua esperienza in Autogrill, iniziò a proporre alcuni cibi che si proponevano ai clienti internazionali in autostrada e a cui i cuneesi non erano abituati, come gli hot dog. Nel suo bar mise anche un microonde, comprato a Milano, tecnologia che all’epoca nessuno conosceva.
Il suo bar era un ritrovo per studenti, data la vicinanza alle scuole. Nella tavernetta, dove gli studenti che “schissavano” la scuola andavano a nascondersi, aveva inserito un jukebox.
Riccardo abitava e lavorava nella stessa zona che era bella e tranquilla: c’erano molti uffici e lavoratori.
Il suo bar apriva alle 5:00 per dare un servizio a chi partiva presto dalla stazione e chiudeva alle 20:00, presto rispetto agli altri locali presenti in città. Era un bar principalmente di passaggio, con soli due tavolini. All’epoca era anche l’unico gestore di bar di Cuneo a fare le ferie, cosa che fu motivo di critiche dai clienti che dicevano “Guarda questo che si è già fatto un sacco di soldi e può andare in ferie”.
Oggi il suo bar è gestito dal figlio e ha cambiato il nome in “Torrefazione Dotta”.
Patrizia è volontaria da circa 20 anni nella San Vincenzo, un’associazione di laici cattolici presente a Cuneo dal 1855 che promuove la persona umana attraverso un rapporto di vicinanza. Il volontariato per lei è uno strumento straordinario che educa alla carità, un’esigenza dell’uomo di interessarsi agli altri, mettendo in comune ciò che ha per partecipare alle vite altrui.
L’Associazione lavora in rete con altri enti sociali del Terzo Settore, il Comune e molte altre realtà e i suoi volontari seguono tutte le attività, non occupandosi di un solo settore. Patrizia è tesoriera, si occupa delle questioni amministrative e di emergenza abitativa (San Vincenzo mette a disposizione 5 case per famiglie in emergenza). È inoltre referente di Casa Madre della Speranza, una casa di accoglienza femminile che in 10 anni ha accolto circa 90 donne in difficoltà, talvolta accompagnate da bambini. Le donne ospitate lavorano nella stireria creata con il progetto “Donne di ferro”, un servizio gratuito per i fruitori che permette alle ospiti di fare un’azione “restitutiva”. In questo momento si occupa inoltre dell’accoglienza di alcune famiglie ucraine.
La visita in famiglia è l’attività che a Patrizia piace di più: andare a casa delle persone crea una relazione diversa, porta le persone ad aprirsi di più e ti porta anche a essere coinvolto maggiormente.
La San Vincenzo ha inoltre dei centri viveri per la distribuzione di borse con alimenti di base. Prima della pandemia, la domenica mattina, presso il Duomo, distribuivano la colazione alle persone bisognose. Quest’attività coinvolgeva i giovani a differenza delle altre che richiedono maggior tempo e costanza. Per far crescere lo spirito volontaristico nei ragazzi, la San Vincenzo ogni anno promuove nelle scuole il progetto “Nei suoi panni”: una premiazione di progetti sociali da sviluppare.
Per l’associazione sarebbe utile rinnovare i linguaggi e migliorare la presenza sui social per poter arrivare maggiormente alle nuove generazioni.
Patrizia vive in via Meucci e, da 20 anni, lavora nel suo bar in Via Silvio Pellico, che è un luogo familiare, un punto di riferimento del quartiere, dove ognuno si sente a casa sua. Ascolta le problematiche dei suoi clienti davanti ad un caffé e cerca di essere d’aiuto a tutti, anche a chi non può permettersi un panino.
Prima di gestire il bar con la sua socia Chiara, ha lavorato nella cucina di una casa di riposo e poi ha fatto pasta fresca per 7 anni.
A Patrizia piacciono le mucche, i pascoli, la montagna: i suoi genitori erano contadini e da piccola ha allevato un suo vitellino. Oggi a casa ha due gatti con cui dialoga la sera quando torna a casa. Le piace molto andare a camminare. Non le piace, invece, stirare e infatti si fa aiutare da una signora del quartiere.
A Patrizia piace Cuneo per la tranquillità e la qualità di vita, anche se pensa che per i giovani ci vorrebbe un po’ di movida in più.
È innamorata del viale di Via Silvio Pellico, le piace lo scambio etnico, anche se non è sempre facile: crede che spesso bisognerebbe mettersi nei panni di chi arriva da altre parti del mondo.
Il suo sogno nel cassetto è aprire un piccolo chioschetto su una spiaggia…non si sa mai.
Nicolò ha 26 anni e nel suo tempo libero ama vivere la montagna, soprattutto la Valle Maira perché è selvaggia, affascinante e congelata nel tempo.
È operatore dell’accoglienza in Caritas. Segue prevalentemente le attività legate al progetto Presidio, volto a combattere il caporalato e lo sfruttamento in ambito lavorativo. Lavora anche nel CAS per l’accoglienza dei profughi ucraini, allo sportello fisso di presidio del punto .Meet e in progetti di accompagnamento a persone senza fissa dimora.
Da circa un anno collabora con la Caritas, realtà che ha incontrato nel suo precedente lavoro in Diocesi all’interno del progetto Policoro, dedicato ai giovani.
Nicolò ha studiato presso la scuola agraria di Cuneo, in seguito si è iscritto a Educazione Professionale e poi ha frequentato due anni di Teologia, ma non ha terminato i percorsi iniziati. Il mondo del sociale gli è sempre piaciuto e lo ha approcciato da diversi punti di vista: come volontario in parrocchia e nell’ambito dei corridoi umanitari e come assistente alle autonomie.
Nell’ambito in cui opera, percepisce un bel lavoro di rete, una rete che sostiene tutta la mole di azioni da portare avanti. Una nota dolente è la scarsa partecipazione dei giovani, anche se, quelli che ci sono, sono molto motivati e bravi. Sicuramente è necessario cambiare il modo di comunicare per rendere appetibile e attraente per le nuove generazioni la scelta di impegnarsi nel volontariato.
Per parte sua, agli altri giovani dice: “impariamo ad ascoltare e prendiamoci il nostro spazio per chiedere ad alta voce quello che crediamo ci spetti, perché questo è il nostro tempo”.
Mauro è un ex operaio di una fabbrica di serramenti. Oggi è un pensionato con una grande passione per la bicicletta, lo sport e i viaggi. Ha scoperto la bicicletta, quando ha iniziato ad utilizzarla per andare a lavoro. Le capacità manuali, invece, le ha sviluppate grazie al suo lavoro da serramentista.
Seguendo i suoi interessi, è diventato volontario nella biciofficina de La Boa. Per lui è un’attività piacevole, soprattutto per i sorrisi che riceve quando aggiusta una bici.
Ha sempre viaggiato, spinto dalla curiosità di scoprire sempre posti nuovi. Prima si muoveva in vespa o in moto dormendo in tenda, poi in albergo e infine con il camper, con cui ha girato tutta l’Europa e gli permette di fermarsi ovunque voglia. Anche quando è in vacanza, non si dimentica la bicicletta: la usa per spostarsi da dove parcheggia il camper alle spiagge o alle città da visitare.
Prima di vivere a Cuneo, Mauro abitava in una frazione. Il cambiamento più grande da affrontare è stato quello di non vedere mai chi abita di fronte a te. Con il tempo, ha imparato ad occupare solo i suoi spazi, senza condividere troppo con gli altri. Pur non vedendosi tra vicini, a Cuneo si sa sempre tutto di tutti: la mentalità è tanto “da paesino”, soprattutto in relazione ad alcuni personaggi.
Mauro apprezza le comodità della città: piste ciclabili che ti permettono di lasciare la macchina ferma per settimane.
Apprezza molto i Paesi del Nord, caratterizzati da una forte cultura eco-sostenibile. A Cuneo non ci sono ancora la mentalità e le infrastrutture giuste, anche se gli spazi ci sarebbero: Mauro sogna un cambiamento in questa direzione per la sua città. Immagina un sistema di parcheggi di testata con un servizio di navette che portino in centro e permettano di lasciare l’auto in periferia e una rete di piste ciclabili che colleghino tutte le frazioni.b
Matteo ha 23 anni, da quando ha cinque anni abita a Cuneo, in via Silvio Pellico. Per questo motivo ha vissuto tutte le evoluzioni del quartiere, rendendosi conto che la situazione e gli abitanti sono cambiati molto. Le attività storiche si sono spostate o hanno chiuso e sono state sostituite da attività etniche. Cambiando i negozi, si è modificata anche la frequentazione.
Alle superiori ha frequentato l’I.T.I.S., scuola che non gli è piaciuta per niente. Poi ha deciso di andare all’università e studiare comunicazione, una delle sue passioni. Un’altra è il calcio: gioca in una squadra fin da quando era bambino. Il suo sogno sarebbe unire le cose che gli piacciono e occuparsi di comunicazione sportiva, diventando il social media manager di una squadra calcistica importante. Nel suo piccolo ha iniziato a farlo per il Caraglio, la sua squadra.
Ritiene che il Social Media Manager sia un lavoro importante per aiutare le attività ad essere presenti su Internet, perché oggi qui avvengono tutte le ricerche.
Essendo nel quartiere da quando ha 5 anni, Matteo vede la “Cuneo per i giovani” molto altalenante: ci sono alcuni eventi per i giovani, ma gestiti e organizzati non con continuità. Tra i giovani è diffusa l’idea che Cuneo sia una città per i vecchi, dove prevalgono gli ostacoli alla possibilità di fare festa la sera e non ci sono altre possibilità di fare cose diverse dal mangiare e bere qualcosa in un locale o andare in una delle poche discoteche rimaste. Manca un vero luogo di ritrovo riconosciuto in cui fare qualcosa di diverso. A Matteo piacerebbe ci fosse un appuntamento fisso ogni settimana attrattivo per i giovani, nello stesso spazio, che potrebbe diventare per i ragazzi un punto di riferimento.
Matteo non vorrebbe vivere in un posto diverso da Cuneo, per la sua posizione vicina a montagne e mare, per il suo clima, per il suo essere “città-non-città”, con una dimensione giusta perché si possa stare in tranquillità e anche per le persone un po’ chiuse, ma piacevoli.
Matteo è un tatuatore da più di 25 anni, quando non era nemmeno considerato un vero lavoro, ma per Matteo è molto di più: l’ha aiutato ad affrontare il mondo.
Ha trasferito il suo negozio in Via Silvio Pellico nel 2017, perché aveva bisogno di alberi, verde e quiete: dove stava prima c’era troppo chiasso.
In merito alle problematiche di quartiere, Matteo pensa che, in realtà, i problemi ci siano dappertutto e che il problema vero sia far sempre finta di non vedere o guardare solo per poi giudicare, mentre bisognerebbe saper ascoltare per abbattere i muri.
Grazie al suo lavoro, è entrato in contatto anche con situazioni “estreme” e ha imparato a coglierne il lato positivo: la multietnicità della zona gli ha permesso di conoscere tante persone, usi e costumi, sensi estetici, simbologie diverse, situazioni molto stimolanti. Il suo mondo è fatto di immagini, simboli, culture: quando può incontrare culture differenti, gli si spalanca un mondo.
Si definisce molto curioso. Oltre che per i tatuaggi e il disegno, ha una grande passione per la musica: definisce la sua vita come una grande colonna sonora.
Gli piace inoltre andare in bici, isolarsi, stare nei boschi e in tutti quei luoghi che gli permettono di staccare la spina e uscire per un po’ dalla quotidianità.
Ha tante idee che gli piacerebbe sviluppare nel suo studio, aprendo alcune attività al pubblico.
Sogna un grande concerto (o tanti concerti diffusi) in una via Silvio Pellico chiusa al traffico, con persone che si incontrano, si scambiano punti di vista e una grande jam session finale.
Perché non unire le idee? Se si è in tanti, il peso dell’organizzazione diventa più gestibile.
Mariella lavora per la Cooperativa Sociale Orso; a Cuneo, è la coordinatrice del progetto e luogo Città dei Talenti, nato da un bando in cofinanziamento tra l’Impresa Sociale Con I Bambini e la Fondazione CRC. In quel periodo alcune organizzazioni in Provincia di Cuneo stavano lavorando sull’orientamento precoce e questa è stata l’occasione di creare un luogo fisico dedicato al tema.
La Città dei Talenti, situata al primo e secondo piano del Rondò dei Talenti, mette insieme 17 partner tra cooperative e agenzie formative, che collaborano per organizzare attività volte a sviluppare una riflessione sull’orientamento a partire dal tema dei talenti destinate alle classi terze e quarte della scuola primaria e prime della secondaria di I grado. L’obiettivo è aiutare bambini/e e ragazzi/e (dai 7/8 anni) a esplorare i loro talenti, capire le loro predisposizioni e attitudini che in futuro possono guidare le loro scelte: infatti chi trova la strada giusta, non la abbandona.
A Città dei Talenti si può accedere per diverse attività: il percorso esperienziale con il gruppo classe o come singoli, laboratori, ecc. Tutta l’offerta è disponibile su www.cittadeitalenti.it, e ci si può anche iscrivere alla newsletter per rimanere aggiornati.
Chi accede allo spazio può fare un viaggio per scoprire soprattutto i talenti che non conosce: ognuno di noi naturalmente ne possiede almeno cinque. Inoltre si possono scoprire lavori meno conosciuti, in ambiti diversi da quelli normalmente presentati.
Il messaggio che si vuole trasmettere è che l’importante è fare bene le cose che ci piacciono, al di là dello “status” che nella società i vari lavori hanno.
Margherita è nata a Polonghera il 26 febbraio 1925 da una famiglia di nove fratelli e sette sorelle avuti da due madri diverse (tra loro sorelle), in una cascina in campagna.
Custodisce molti ricordi legati alla guerra partigiana, che toccò da vicino la sua famiglia.
A 21 si è sposata e ha fatto la mugnaia per vent’anni, a Osasio (TO), in un mulino tradizionale alimentato dalla forza motrice dell’acqua.
La sua prima figlia, Luigina, ha lavorato per molti anni all’Ospedale Santa Croce a Cuneo e viveva nel convitto dell’ospedale. Per lei, Margherita e il marito si sono poi spostati a vivere a Cuneo.
Negli anni ’60-’70 Cuneo finiva dove c’era l’Ospedale e di quel periodo si ricorda il Cantagiro a Cuneo. In quell’epoca si costruirono molti palazzi che sostituirono le cascine. Nel vicinato gli abitanti erano molto uniti, ci si conosceva tutti. Margherita potrebbe raccontare aneddoti su ciascuno di loro.
Luca è un agente di commercio in un ingrosso di formaggi e salumi. Da alcuni anni ha scelto di andare al lavoro in bicicletta: da San Rocco Castagnaretta a Confreria, tutto l’anno, 15 km tra andata e ritorno, con tutto il necessario per ogni condizione meteo.
Passando dal Movicentro, ha iniziato a notare alcuni stranieri che si mettevano a posto la bici ma spesso erano in difficoltà anche nel fare piccole cose, più volte ha pensato di andare ad aiutarli. Poi è venuto a conoscenza dell’esistenza della bici-officina e così ha deciso di collaborare come volontario dando una mano con le poche competenze in suo possesso e mettendosi in gioco.
Con il servizio in bici-officina, ha la possibilità di impegnarsi per fare qualcosa per chi ha bisogno, rendendo concrete quelle che spesso sono solo parole. Inoltre dal confronto con i frequestatori di questo spazio, impara ogni giorno qualcosa: loro fanno davvero i chilometri pedalando tra casa e lavoro. Prendendo esempio da loro, la bicicletta potrebbe diventare il principale mezzo di trasporto ogni volta che è possibile sostituirla alla macchina.
Per Luca la bicicletta è una passione, poi è diventata mezzo di trasporto: lo rilassa e gli permette di avere del tempo per sé. Nella mezz’ora che impiega per andare a lavoro pensa, incontra e saluta altre persone; piccoli aspetti che diventano parte della sua routine.
Per lui la bicicletta dovrebbe diventare uno status symbol, in grado di attrarre anche i giovani, come oggi lo sono l’iphone o la macchina: pulita, economica, silenziosa. Forse un problema è che non sostiene il consumismo.
Lui ama pedalare per il Parco Fluviale, che offre scorci bellissimi da godersi e che consiglia a tutti.
Spera che Cuneo rimanga il “paesone” che ora è, con persone che si conoscono e si salutano e con tante piste ciclabili.
Helen è nata in Ecuador nel ’79 ed è in Italia da 14 anni. Quando è arrivata, non conosceva né la lingua né il Paese. Ha iniziato facendo tanti lavori differenti tra cui la badante e la baby-sitter.
In Ecuador ha avuto una figlia, che ora ha 19 anni, poi qui in Italia si è spostata e ha avuto un altro figlio.
Oggi gestisce un locale, il Chicken King, in via Silvio Pellico, che ha rilevato nel 2018 inseguendo il suo sogno di lavorare nella cucina, ma non sapendo nulla su come gestire l’attività. All’inizio si è sentita un pesce fuor d’acqua e negli anni ha avuto anche momenti difficili e tanti ostacoli da affrontare e superare. Sente che ancora oggi non ha raggiunto quello che sognava per il suo locale.
La cucina che propone è ecuadoriana e domenicana (pollo fritto, pesce, gamberi, chevice, empanadas, platano) ed è apprezzato dagli altri sudamericani che vivono a Cuneo. Gli italiani invece non la conoscono ancora abbastanza.
Quando ha aperto il suo locale, si aspettava maggiore apertura da parte degli abitanti. Invece si è trovata ad affrontare uno scontro tra abitudini locali e modo di vivere sudamericano (aperto, rumoroso, con musica ecc.). Con il tempo, sta riuscendo ad adattarsi al contesto in cui si trova, controllando maggiormente la sua clientela.
Sono stati tanti i momenti in cui ha pensato di andarsene e mollare, ma è difficile staccarsi da qualcosa che si è creato.
In futuro spera che i residenti possano vederla con occhi diversi, non solo per il rumore creato dal suo locale, ma anche per il suo impegno come lavoratrice e impreditrice, rispervandole maggior rispetto. Helen vorrebbe che il quartiere si popolasse di nuove attività in grado di riempire i locali vuoti e creare un luogo vivo, ma anche maggiormente sicuro e controllato.
A tutte le persone che vivono nel quartiere, Helen vuole lanciare un invito a venire conoscerla e ad assaggiare i suoi piatti (dice che il suo pollo è il migliore di Cuneo!).
Guido ha 66 anni ed è in pensione da un anno e mezzo. Ha lavorato in Posta per 35 anni, occupandosi delle spedizioni e interagendo con il pubblico allo sportello.
Ha vissuto 3 anni a Roma in una comunità internazionale e un anno e mezzo a Torino. Andandosene ha aperto la propria mente e capito che Cuneo non è che un puntino del mondo.
Fin da giovane ha deciso di dedicare parte del suo tempo libero al volontariato. Ha svolto il servizio civile in Caritas come alternativa alla leva militare, occupandosi di prima accoglienza e di attività parrocchiali per i giovani. Oggi è volontario alla bici-officina del progetto La Boa. Ha scelto questa attività perché voleva impegnarsi in un contesto “laico”, non legato al mondo religioso, lontano dal dare insegnamenti.
Nel restante tempo libero si dedica alla manutenzione della sua casa e all’apicoltura, per la quale ha ereditato la passione da suo suocero. Nell’apicoltura non si finisce mai di imparare, ogni volta è come andare a scuola per entrare nella mentalità delle api.
Per il futuro di Cuneo vorrebbe idee nuove che permettessero di recuperare realtà aggregative che oggi rischiano di scomparire.
Lucrezia e la sua collega gestiscono come associazione culturale “Gioie di Creta” una bottega in cui vengono prodotti manufatti artistici in ceramica e svolte attività didattiche.
Lucrezia è pugliese e fa l’insegnante a Cuneo, dove vive da alcuni anni. Ha studiato restauro all’Accademia di Belle Arti di Milano e qui entrata in contatto con il mondo della ceramica.
I primi anni a Cuneo svolgeva il lavoro al tornio a Torino, dove condivideva la sede con altre associazioni culturali che mettevano i loro spazi a disposizione di artisti. Nel 2016 ha dato vita all’associazione a Cuneo, con cui svolge prevalentemente attività didattica: I suoi workshop, della durata di una o massimo due giornate, non sono tanto professionalizzanti, quanto ludico-creativi. Dall’utilizzo di semplici strumenti nascono oggetti strani, imperfetti, ma che custodiscono la personalità di chi li ha creati. Le attività sono rivolte a tutti dagli 8 anni in su e si collocano nel periodo tra settembre e giugno. Organizzano anche apposite attività per le scuole.
La bottega è nel quartiere Cuneo Centro ed è frequentata da chi la cerca appositamente e non da chi ci si imbatte per caso.
Secondo Lucrezia il quartiere ha una buona potenzialità, ma necessita di essere rivalutato e non abbandonato. Vorrebbe che attività come la sua fossero scoperte anche da chi frequenta il quartiere. Il rapporto con il vicinato è ottimo e qui si respira quell’umanità che in altri posti è difficile da trovare: ci sono piccole botteghe, negozi e attività di vicinato che è importante preservare.
Gianluca è un artista e un compositore di musica per strumenti elettronici e acustici. La sua attività l’ha portato a viaggiare tanto, ma ha poi deciso di tornare a Cuneo, dove insegna al conservatorio. Con la famiglia vive nell’unica via di Cuneo che “non quadra”, la “diagonale”. Le situazioni troppo regolari, del resto, non gli sono mai piaciute: qui c’è tanto di trasversale e questo è sia un limite che un’opportunità.
Il locale Kebap sotto casa ha aperto quando lui è arrivato e Gianluca è diventato amico del gestore: queste sono le opportunità della diversità, una salvezza contro un pensiero sterile che non segue il ritmo a cui sta andando il mondo.
La casa in cui vive era stata acquistata dai suoi genitori, trovata “per caso” entrando nell’agenzia immobiliare sbagliata. All’epoca, ci viveva la sorella dei Fratelli Vaschetto, partigiani morti per la libertà. Questa memoria storica gli ha trasmesso angoscia e energia allo stesso tempo e così ha messo lo studio in casa perchè l’arte, come la libertà spesso sembra inutile, ma è indispensabile come l’aria.
Il lavoro lo porta a essere spesso fuori città per tessere legami e relazioni che non si possono creare a Cuneo. Però è contento di aver viaggiato prima ed essere tornato a Cuneo che reputa ottimo posto per diverse cose: per crescere i propri figli, per essere creativi. Spesso sono gli stessi cuneesi a non rendersi conto di questo; c’è un “understatement” diffuso che vede sempre migliore quello che c’è fuori.
È affezionato all’isolato in cui vive: è una zona “vera”, però purtroppo c’è una carenza di spazi per stare insieme e fare socialità, al di fuori degli spazi commerciali.
Vivendo qui ha dovuto abituarsi a lavorare con il rumore, cosa non sempre semplice. Crede che la trasformazione del quartiere debba avvenire passando dalla condivisione e dalla conoscenza, mettendosi sullo stesso piano, diminuendo la paura e dandosi regole comuni. Solo se ogni residente si metterà in gioco creando un terreno comune rispettato e condiviso, si potrà arrivare ad un clima positivo.
Franco è stato funzionario europeo e ha vissuto in Belgio per oltre 30 anni. Quando è rientrato a Cuneo, ha scoperto una provincia più ricca di qualità di quanto possa sembrare dall’esterno, ma ancora poco aperta sul mondo e con scarse capacità di relazione sia all’interno che fuori. Come la definisce lui, Cuneo è una “provincia talpa” che lavora molto e mette poco il naso fuori.
Franco ha studiato filosofia e ha insegnato per qualche tempo prima di partire per il Belgio. Poi è stato a Roma, dove ha raccolto l’esperienza belga con i migranti, occupandosi di accoglienza ai tempi della Legge Martelli. Per alcuni anni ha collaborato con il Gruppo Abele a Torino. Nel 2005 ha fondato, insieme ad altri amici, l’Associazione per l’Incontro delle Culture in Europa (APICE) con l’obiettivo di raccontare il mondo, in particolare l’Europa, e semplificarne le complessità altrimenti difficilmente percepibili. APICE fa formazione, scrive articoli per i giornali piemontesi e organizza attività nelle scuole per sensibilizzare ai valori dell’Unione Europea; la sua sede si trova, non a caso, a Cuneo in un’area densa di istituti scolastici.
In una stagione di comunicazione orizzontale e volatile, crede che sia importante che i giovani leggano libri, strumenti di “penetrazione verticale” che trattano un tema in profondità. Il libro è stato un grande veicolo della costruzione europea e ha fatto la modernità dell’Europa.
Franco reputa che i cittadini di Cuneo e del cuneese siano “Europei a loro insaputa”: non hanno ancora capito che le frontiere non sono muri, ma saldature tra popoli.
Per lui la Cuneo del futuro esiste già, deve solo esserne cosciente, aprire le finestre verso l’esterno e dare la parola alle giovani generazioni, ma in un dialogo intergenerazionale, perché senza storia è difficile immaginare il futuro.
Longboard Crew Italia, nasce da un gruppo di appassionati di skateboard, con la voglia di trovarsi e praticare insieme divertendosi. Non è un caso se il loro motto è "sport, amicizia, divertimento".
Da gruppo Facebook per organizzare le uscite in tavola, si trasformano in associazione per poter partecipare ad eventi e manifestazioni e per poterne organizzare loro stessi. Nasce quindi un'associazione sportiva che oltre a fornire insegnamenti e organizzare eventi in tavola, si occupa di progetti sociali anche nelle scuole.
Lo sport, la tavola e il gruppo, diventano il mezzo attraverso cui generare inclusione sociale, creare senso di appartenenza e sviluppare cittadinanza attiva. L'obiettivo è valorizzare l'unicità, facendo delle diversità un punto di forza da apprezzare e sviluppare.
Ad oggi, i progetti portati avanti da Longboard Crew Italia sono progetti di diffusione della pratica sportiva nelle scuole e per le strade, lotta alla dispersione giovanile, educazione civica e partecipazione sociale, sviluppo di capacità e autofomazione di competenze attraverso lo sport e il lavoro di squadra.
Sono tanti i progetti di insegnamento gratuiti e accessibili a tutti, finanziati anche grazie ai corsi e ai laboratori a disposizione per ogni livello ed età.
Francis arriva dalla Nigeria ed è in Italia dal 2016. I primi 4 anni ha vissuto a Borgo San Dalmazzo, in un centro di accoglienza. Pur avendo riscontrato alcune difficoltà, è riuscito a superarle più velocemente di altri.
All’inizio ha seguito corsi di italiano ottenendo il certificato A2. Pur avendo la maturità, ha dovuto frequentare la scuola serale a Cuneo per avere il diploma di terza media. Contemporaneamente ha frequentato un corso di falegnameria a Savigliano.
Quindi ha prestato servizio civile in Croce Rossa a Borgo San Dalmazzo, dove continua a collaborare. Dopo aver frequentato un corso, nel 2020 ha iniziato a lavorare come mediatore interculturale, lavoro che per lui è un modo per aiutare coloro che vivono oggi quello che lui ha vissuto alcuni anni fa. Si è iscritto ad un corso da OSS per poter essere di supporto fisico e morale a chi ne ha bisogno. Oggi lavora nella Casa di riposo di Robilante: il suo lavoro gli piace molto.
Come mediatore interculturale collabora all’interno del progetto La Boa per l’associazione Spazio Mediazione Intercultura. Inoltre aiuta i volontari della Biciofficina a entrare in relazione con gli stranieri che si presentano per richiere una bicicletta o far aggiustare la loro. Anche questo lavoro per lui è facilitazione: infatti la bici è il mezzo che gli stranieri utilizzano per andare a lavorare nei campi.
Nel 2019 ha anche preso la patente, cosa che gli ha permesso di essere ancora più attivo in Croce Rossa.
Francis oggi è felice del suo percorso e di quello che sta facendo. Dopo sei anni e dopo tante trafile, ha ottenuto un permesso di soggiorno per due anni, documento che gli permette davvero di poter pensare al suo futuro.
Francis vede un miglioramento nelle trasformazioni di Cuneo Centro. Se tre anni fa era diventato un posto “maledetto”, dove lui stesso aveva paura a venire, oggi vede più convivenza e comunicazione e meno discriminazione e disuguaglianza. In generale trova il quartiere più vivo e meno frequentato da nullafacenti. Si augura che per il futuro la situazione possa ulteriormente migliorare.
Romeo ha un sogno, vuole diventare un attore. Gli piacerebbe diventare il protagonista di un film d’azione, anche se predilige il genere horror alla Dario Argento. Non ha avuto una vita molto semplice, ma ora vive con 4 persone in un appartamento gestito dalla Cooperativa Biosfera, tra cui Enza, che è diventata la sua compagna. Insieme vanno al mare, nuotano e condividono molti interessi, tranne il ballo, perché Romeo non ama ballare. Pare abbia anche una bella voce, ma non ama esibirsi.
Lorenzo è un ragazzo di 21 anni, con la passione per il rap e la trap. Ha un produttore e un team che lo seguono nel suo progetto musicale, che comincia a dare i primi risultati. Vive in un alloggio gestito dalla Cooperativa Biosfera, con altre 4 persone, con le quali va d’accordo, anche se con alti e bassi. Ha conseguito un diploma di perito aziendale e ha frequentato un corso prelavorativo ad Avigliana per diventare un magazziniere e sta studiando per ottenere la patente per poter finalmente cercare un lavoro. È un ragazzo un po’ solitario che ama trascorrere il tempo libero, dopo aver svolto i suoi turni di lavoro in casa, ascoltando la musica, componendo e giocando alla Play Station. Ama il calcio, infatti da ragazzino ha giocato in alcune squadre, ma per via del covid, ha dovuto interrompere l’attività fisica che vorrebbe riprendere per rimettersi in forma e trovare una nuova squadra.
Vincenza vive da un anno in un appartamento gestito dalla Cooperativa Biosfera, con altre 4 persone. Nonostante la sua non sia stata una vita facile, Enza, come preferisce farsi chiamare, è una donna con una vitalità invidiabile. È molto brava nei lavori domestici, che le piacciono molto. Quando si organizzano attività di gruppo non si tira indietro e collabora con tutti volentieri. Coltiva la passione per le gite nei dintorni della città, ma anche viaggi in Italia. Ha visto Venezia e quando può va al mare con Romeo, il compagno conosciuto nella casa. Cucina, ama il cinema, sa ballare la tarantella ed il tango argentino e le piace passeggiare per il centro e guardare le vetrine di abiti nei giorni feriali, quando c’è poca gente.
Marissa è originaria di Lima, con il marito ed i figli si è trasferita a Torino da pochi mesi, congiungendosi al resto della sua famiglia, che vive qui da più tempo. È psicologa e in Perù ha lavorato presso il ministero della pubblica istruzione, nella selezione del personale addetto alla scuola. Ha anche svolto attività di supporto psicologico per bambini con disabilità e prima della laurea ha conseguito un diploma in amministrazione, che le ha permesso di lavorare, nell’ambito del ricevimento clienti e contabilità. Ha due bambini e sta cercando di organizzare la sua nuova vita in Italia. Le piacerebbe vedere riconosciuto il titolo di studio conseguito in Perù e ricominciare a lavorare, riuscendo ad affidare i suoi figli in mani sicure ed esperte, durante la sua assenza. Ama leggere romanzi impegnativi, vedere film con suo marito e soprattutto occuparsi dell’educazione dei suoi bambini. In particolare in Perù accompagnava la sua bimba più grande a vedere musei, assistere a rappresentazioni teatrali, perché’ pur avendo solo nove anni, è una giovane artista che ha girato pubblicità ed è stata protagonista di un film ambientato nella foresta peruviana. Il sogno di Marissa, oltre a contribuire a mantenere la sua famiglia, sarebbe quello che la figlia continuasse la sua carriera e potesse riprendere la sua formazione, frequentando corsi di ballo e recitazione, che però hanno dei costi elevati. Marissa è anche un’abile cuoca specializzata in cucina peruviana, ma sta imparando anche a cucinare piatti italiani.
Francesco è presidente del Comitato di Quartiere Cuneo Centro dal 2021 e risiede a pochi metri dalla sua sede.
È economista del lavoro, analista di dati, studioso di fenomeni socio-economici e lavora nel centro studi di Fondazione CRC.
Da quando è nato il Comitato (inizialmente come gruppo informale), è attivo nella vita di quartiere. È un impegno oneroso, ma le dinamiche del quartiere l’hanno appassionato fin da subito e spinto a investire parte del suo tempo libero per risolvere problemi e raccogliere proposte.
Trova utile e prezioso per tutti avvicinarsi alla vita del quartiere perché questo può avere impatti positivi nella quotinianità, nelle relazioni, nel sentirsi parte di una comunità più grande.
Al di là del direttivo, il comitato è aperto a incontri, scambi e dialogo con tutti gli abitanti; organizza momenti in cui raccogliere le voci di chi abita questa zona per indirizzarle, se serve, verso l’amministrazione o verso chi è competente rispetto ai temi trattati.
In estate, il giovedì, il comitato diventa una sorta di “sportello cittadino”: per un’ora si mettono alcune sedie fuori, ci si confronta su come è andata la settimana e si esprimono necessità e proposte. Le problematiche vengono raccolte e diventano argomento per cui immaginare possibili soluzioni da portare all’amministrazione comunale.
Nel gestire i cambiamenti in atto, Francesco trova difficile riuscire ad avere sufficienti informazioni per comprenderli, valutarli e poter attivare servizi e presidi che se ne occupino.
È compito di chi può farlo, anche solo in termini di tempo, provare ad accompagnare questi cambiamenti segnalando i conflitti da risolvere e ricercando le competenze necessarie a farlo.
Tra qualche anno immagina il quartiere con le stesse diversità attuali: bisogna cercare di stare nel cambiamento, essendone parte nel modo più virtuoso possibile. In questo il comitato continuerà ad avere il ruolo di collettore con l’obiettivo di alimentare gli scatti positivi degli abitanti nel vivere le trasformazioni in atto.
Fana viene dal Senegal e vive nel quartiere Cuneo Centro da 22 anni. Ha un marito e tre figli di 20, 18 e 13 anni che sono nati a Cuneo e sono ben integrati. Non hanno mai avuto problemi a scuola o a casa e hanno molti amici italiani. In casa si parlano diverse lingue (italiano, senegalese e il loro dialetto) mischiandole tra loro.
Quando è arrivata a Cuneo, gli africani erano pochi e ha imparato l’italiano per riuscire a inserirsi meglio.
Oggi Fana lavora con la Cooperativa Fiordaliso nel progetto SAI di accoglienza, imparando moltissimo sulla realtà e sulla sofferenza delle persone. Così ha capito di essere più fortunata di altri.
Inizialmente arrivavano solamente uomini; lei si occupava di aiutarli a capire come muoversi per fare la spesa, avere i documenti necessari e comprendere le abitudini italiane.
Fana trova faticosa comunicare con le persone da accogliere quando non capiscono che le numerose domande servono ad aiutarli. Il loro modo di fare prepotente deriva dalle storie difficili che li hanno portati a non fidarsi degli altri: ci vuole tempo per costruire un rapporto che li porti ad aprirsi e a raccontare il loro vissuto.
Un’altra parte del suo lavoro prevede il confronto con le mamme e i bambini e questo le piace molto.
Di Cuneo ama la tranquillità, ma non le piace la chiusura, anche se è meno marcata di 20 anni fa. Il problema è che ancora si fa fatica a capire che siamo tutti uguali: per esempio, molti proprietari di case non vogliono affittare ad africani.
Le piacerebbe che i cuneesi fossero più disponibili a conoscere le persone straniere, che ci fossero più spazi dedicati ai giovani e ai migranti per organizzare attività di comunità e più facilità nelle pratiche burocratiche.
Del Senegal le mancano la famiglia e la vita in un ambiente tranquillo, ricco di persone e aperto. Ha sempre detto di volerci tornare, ma lo farà solo quando i figli saranno completamente sistemati ed è consapevole che, ritornando, sarà difficile reintegrarsi, perché quando vanno là in vacanza si sentono come emigrati in Senegal.
Fabiano ha 26 anni, ha studiato lingue a Genova e in Germania, dove è stato in Erasmus. Conosce l’inglese e il tedesco, appresi all’università, e anche un po’ di spagnolo. Anche se si è appena laureato, ha già insegnato lingue e crede che sia il lavoro che fa per lui.
Gli piace molto viaggiare e scoprire nuove culture: si sente un “mediatore naturale”.
I Paesi, scoperti in viaggio, che ama di più sono quelli che si affacciano sul Mediterraneo: Italia, Croazia, Grecia, Turchia e Francia Meridionale. Spera di poter andare preso anche in Spagna.
Gli piace la musica e, da alcuni anni, segue dei corsi di ballo (hip hop e dance hall). Ama cucinare e ha una passione per le macchine, anche se si ritiene una persona attenta all’ambiente.
Abitava nel quartiere Cuneo Centro prima di andare a studiare a Genova. Questo gli ha permesso di apprezzare il valore ed il potenziale della propria città: le due visioni della città “da dentro” e “da fuori” sono molto diverse. Oggi trova Cuneo più aperta e “colorata” dal punto di vista delle persone che la abitano. Ne apprezza la tranquillità e i ritmi “da paese”, il fatto che sia una realtà protetta e la vicinanza con il contesto naturale che dà tanto respiro. Nonostante la riscoperta dei valori della sua città, si sente più a suo agio a vivere in una città più grande.
Gli piacerebbe riuscire a vivere di più il quartiere di Cuneo Centro perché lo vede pulsante di vita, anche se ricco di complessità.
Enrico è il direttore della Caritas Diocesana di Cuneo, il cui scopo è tradurre in atti concreti la proposta del Vangelo in particolare nell’ambito della carità.
La Caritas si occupa di sostegno alle persone povere e in difficoltà in un’ottica di profonda umanità svincolata da qualsiasi interesse.
Cuneo Caritas coopera con Comune, Prefetture, Enti del Terzo Settore, servizi sociali e Croce Rossa. Raccorda le Caritas parrocchiali, diffuse sul territorio, per creare una rete di accoglienza. Gestisce una mensa, alcuni dormitori e un centro vestiario. Tutti i servizi sono coordinati dal centro di ascolto, che si occupa di incontrare le persone, accoglierle e capirne le necessità per accompagnarle in un percorso di autonomia.
I dati raccolti dai centri di ascolto, analizzati da un osservatorio, fanno emergere che le problematiche principali sono la casa, il lavoro (sottopagato e in condizioni difficili) e l’istruzione da cui derivano povertà, bisogno di cibo e vestiario.
Al di là dei servizi (“opere segno”) sono attivi diversi progetti in rete con realtà locali:
Inoltre Caritas propone momenti che calino i giovani nel vivo delle attività assistenziali presenti sul territorio. Quest’esperienza li apre a una comprensione più profonda dei bisogni dell’altro.
Il lavoro di sensibilizzazione viene portato avanti anche nelle scuole, dove, attraverso l’alternanza scuola-lavoro e alcuni incontri, si informano le classi sui bisogni legati alla povertà e alle migrazioni.
L’Ente è sempre desideroso di accogliere proposte nuove, provenienti da singoli, da parrocchie o altre realtà; a prescindere dal prezioso apporto dei volontari, c’è sempre bisogno di idee e di “creatività” che possono e devono arrivare da tutti, soprattutto dai giovani.
Cristina ha 36 anni, è un’educatrice professionale e, dal 2019, vive nel quartiere Cuneo Centro con il marito e la figlia di 9 mesi.
La sua passione per aiutare gli altri, che la caratterizza fin da quando era bambina, l'ha spinta a scegliere la professione di educatrice. Per anni, ha lavorato con gli adolescenti in una comunità per minori, mentre oggi lavora con gli adulti, prevalentemente nel centro storico di Cuneo.
Cuneo per lei è cambiata molto e in meglio, rispetto a quando era piccola. Come mamma, vorrebbe però che ci fossero ancora più occasioni educative per i più piccoli.
A Cristina piace leggere e ascoltare musica. Vorrebbe che, nel suo quartiere, venissero organizzati eventi culturali o che aprissero locali in cui poter chiacchierare, prendere dei libri, godere di piccoli eventi culturali per tutta la famiglia.
Cuneo, per lei, è una città tranquilla, adatta alle famiglie, ma non molto attrattiva per i giovani. Vorrebbe che aumentassero le iniziative di integrazione per le persone straniere, così come di inclusione per chi ha disabilità.
Vorrebbe che non ci fossero “ghetti”, mentre spesso oggi è ciò che avviene.
Chiara abita a Borgo San Dalmazzo con un marito e due figli. Dal 2001 lavora negli Asili Nido; oggi è educatrice e coordinatrice dell’Asilo nido comunale I Girasoli e del Micronido Le Primule, in Via Silvio Pellico. Il nido, che è il primo ad essere aperto a Cuneo, ha una capienza di 75/80 bambini lattanti, semi-divezzi e divezzi, dai 3 mesi ai 3 anni di età. Il Micronido ha 24 bambini da 1 a 3 anni.
L’asilo supporta le famiglie nell’educazione dei figli e nell’inserimento sociale nell’ambiente che li circonda, con un’équipe di educatori e ausiliarie che fanno parte della ditta Sodexo Italia.
Le famiglie che accedono provengono da tante culture diverse: la priorità dell’asilo è l’integrazione e l’inclusione, che raggiungono anche grazie a mediatori culturali che sono di supporto nella comunicazione.
L’asilo nido è un punto fermo che risponde ai bisogni primari, in un percorso di relazione tra personale e famiglie che spesso porta ad instaurare rapporti molto belli con una valenza educativa forte. Negli anni la richiesta è sempre più alta e non si riesce a dare risposta a tutta la domanda.
L’asilo è fortemente legato al territorio, così come gli altri nidi comunali della città (che in totale hanno 200 posti): tutti gli iscritti provengono dalle aree circostanti.
Tutte le informazioni nenecessarie per iscrivere i propri figli si possono trovare sul sito web del Comune di Cuneo: l’accesso in graduatoria permette quasi sempre di entrare nei nidi, solitamente a settembre. Il servizio è a pagamento, in base all’ISEE.
L’asilo è “aperto” al quartiere tramite il giardino dei nidi, che può accogliere attività e pubblico al di fuori dell’orario di apertura ordinaria.
Chiara vede nel quartiere una sempre maggiore inclusione: una strada aperta dai progetti realizzati nella zona e che dialoga anche con l’asilo nido.
Cecilia ha quasi 25 anni, ha frequentato il liceo linguistico a Cuneo e si è laureata al triennio in Comunicazione Interculturale a Torino. Lavora da un paio di anni con la Cooperativa MOMO: ha iniziato con il Servizio Civile nel centro aggregativo della Casa del Quartiere Donatello e nel progetto SAI. Attualmente lavora nel quartiere Cuneo Centro: in una casa che ospita due donne del progetto SAI e in un’altra che ospita alcuni uomini che lavorano e sono inseriti nel progetto Accoglienza diffusa 2.0.
Grazie al Servizio Civile, si è completamente immersa in ambiti che pensava potessero essere interessanti per lei e, una volta avuta la conferma delle sue sensazioni, si è potuta inserire gradualmente nel suo attuale contesto lavorativo.
Il suo ruolo come operatrice dell’accoglienza del progetto SAI è quello di aiutare le donne rifugiate con asilo politico ad integrarsi nel territorio e a lavorare per la loro autonomia. Cecilia è la prima persona che chi viene accolto incontra e il suo ruolo è fare da filtro tra loro e l’equipe di operatori.
I principali lavori da portare avanti con le persone accolte sono: l’apprendimento della lingua, le questioni legali connesse ai documenti, la ricerca di un lavoro e della casa e, infine, l’uscita dal progetto di accoglienza.
Ama la vicinanza e la condivisione di un percorso con le persone accolte, da cui si riceve anche tanto, aspetti che il suo lavoro le regala. Anche se questo scambio e la relazione umana possono essere anche molto faticosi.
Dal suo punto di vista l’accoglienza delle ragazze in Cuneo Centro da un lato permette loro di essere vicine a Corso Giolitti che ha un’alta frequentazione multiculturale e una forte presenza di negozi di articoli etnici, dall’altra porta con sé la complessità di abitare in condomini in cui gli altri residenti, tutti italiani, hanno abitudini molto diverse e con cui è difficile integrarsi. Come operatrice, si mette in ascolto e cerca di far conoscere al resto degli abitanti il progetto e di trovare insieme una mediazione.
Per Cecilia, i tentativi di mettere insieme le persone che popolano il quartiere di Cuneo Centro, anche se diverse, facendole partecipare in maniera condivisa alcune piccole attività sono un tassello importante per sviluppare una convivenza e è importante continuare in questa direzione.
Caterina abita ai confini del quartiere Cuneo Centro, che frequenta per progetti legati al suo lavoro e per vicinanza al luogo in cui vive.
Ha studiato a Torino arichitettura per il restauro e la valorizzazione dei beni culturali e del paesaggio. Ha iniziato a lavorare come architetto, ma non era la sua strada. Così ha trasformato il suo bagaglio di studi in qualcosa in linea con il suo modo di essere, formandosi presso la Fondazione Fitzcarraldo. Si è occupata di sviluppo del territorio in uno studio e per il Parco del Monviso all’interno di un progetto europeo; ha anche lavorato presso l’Abbazia di Staffarda come operatrice culturale.
Nel suo lavoro le mancava però una parte creativa e così è diventata progettista culturale nell’Associazione culturale Noau. Trasforma idee in progetti per cui cerca finanziamenti e che gestisce, una volta operativi.
Del suo lavoro ama le relazioni con le persone, la capacità di dare forma a un’idea, la scoperta continua di cose nuove e l’incontro con persone arricchenti e stimolanti.
Ama disegnare, fotografare, passeggiare, andare in bici, da poco ha ricominciato ad andare in canoa. Ha scoperto la fotografia durante l’Erasmus in Belgio e l’ha approfondita in un corso a Torino: le piace “leggere” l’interazione delle persone con gli altri e con il contesto, anche architettonico.
Ha vissuto a Torino e a Saluzzo, per poi tornare a Cuneo, dove, sempre in relazione alla sua dimensione medio-piccola, le sembra che siano aumentate le occasioni culturali. Spera che il fermento culturale cresca ancora: maggiore offerta di corsi creativi, più occasioni di socialità e tante contaminazioni da fuori, che pensa offrano uno sguardo diverso sulla città e portino novità.
Di questa città ama il potersi muovere a piedi e avere attorno un’atmosfera rilassata e tranquilla, cosa che in una città grande manca.
Vorrebbe vedere valorizzati luoghi come i Bagni Pubblici, la Villa Invernizzi, la Stazione e in generale le piazze di Cuneo (Piazza dello Sferisterio, Piazza Europa,..) che potrebbero essere ripensate come spazi di incontro.
Barbara ha 50 anni, 1 marito, 3 figli, 4 gatti, 3 cani, 2 conigli. Vive nel quartiere Cuneo Nuova, ha un negozio di occhiali, ma ha sempre fatto la mamma a tempo pieno. Questa decisione non l’è pesata e si sente realizzata, ma ora che i figli stanno prendendo le loro strade ogni tanto si sente un po’ “spersa”.
Definisce Cuneo una città “di apparenza”, in cui non è possibile esprimere totalmente quello che si è e le proprie scelte. Si può essere facilmente giudicati ed esclusi, se non si segue ciò che la maggior parte delle persone sceglie. Le fa male vedere come sia una città con una mentalità un po’ ristretta, legata alle vecchie abitudini perché questo non invoglia i giovani a rimanere.
Nel tempo libero ama leggere, passeggiare con i suoi cani, passare del tempo con le persone che ama. Riconosce che Cuneo offra tanto per vivere all’aria aperta, anche se nota come, nel tempo, sia diventata più sporca e meno civile: i grandi lavori di riqualificazione del centro storico hanno penalizzato la “parte alta” della città che definisce “morta”, dimenticata.
Per il futuro di Cuneo vorrebbe più possibilità per i giovani, eventi meno commerciali, iniziative più votate alla relazione tra le persone, alla socialità, all’incontro con la diversità, perché aiuterebbero ad aprirsi al mondo.
Arianna è originaria di Cuneo. Nel 2022 ha iniziato il Servizio Civile con la cooperativa Emmanuele (opportunità conosciuta tramite gli educatori de La Pulce e la scuola): ha deciso di cimentarsi con una cooperativa sociale, anche se le sarebbe piaciuto anche lavorare con il CRAS al recupero animali o negli asili nido con i bambini.
Con il suo Servizio Civile può dare un contributo alla società, vivendo esperienze che la riempiono soprattutto interiormente attraverso il contatto e lo scambio con le persone. Quest'occasione è per Arianna un modo per capire cosa potrà diventare il suo lavoro e inoltre le sta facendo conoscere alcune attività e iniziative (cinema, tornei, ecc) che prima non conosceva, per difficoltà comunicative tra tali realtà ed i giovani.
Le dà soddisfazione poter realizzare qualcosa per gli altri, permettere di fare cose nuove alle persone con cui lavora e in cambio ricevere anche solo un sorriso.
Da giovane abitante di Cuneo, un lato positivo che vede è il poter avere tutto a portata di mano. Dall’altra, pensa non esista un luogo di incontro e di riferimento per i giovani come lei, aspetto che porta i vari gruppi a disperdersi per la città e non incontrarsi.
I giovani passano il loro tempo “a fare avanti e indietro per la città”: crede che per avere appeal su di essi sia necessario proporre qualcosa di completamente nuovo oppure che riguarda e ricrea delle “sfere” che interessano loro.
Inoltre le mancano un’offerta ricreativa e occasioni di incontro in città, soprattutto serali e musicali, per giovani della sua età.
Immagina un evento per giovani in centro, con alcuni gruppi che suonano, ma in cui i volumi permettano anche di ascoltarsi e parlarsi e, sparsi per lo spazio, chioschi dove prendere da mangiare e bere.
Antonella è mamma e nonna. Da qualche anno fa parte della realtà delle Botteghe Equo Solidali, nata a Cuneo molti anni fa con l’apertura di una prima Bottega nel Quartiere San Paolo. Il commercio equo solidale si impegna per garantire ai produttori e lavoratori di avere il giusto compenso e il rispetto di orari sostenibili di lavoro, non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche a livello nazionale.
AltroMercato è il principale consorzio importatore di materie prime e dà la possibilità di lavorare ad altre realtà riconoscendo il giusto prezzo. In Italia ci si rifornisce da cooperative che lavorano con lo stesso spirito che Altro Mercato adotta all’estero. Il marchio è garanzia di qualità, di solidarietà e di equità.
Nelle botteghe si può trovare una vasta gamma di prodotti alimentari sia provenienti dal commercio equo solidale, che biologici locali. Inoltre si possono acquistare capi d’abbigliamento provenienti da progetti italiani in India, oggettistica artigianale e molti altri prodotti.
Le botteghe, che fanno tutte parte della cooperativa Proteo, si trovano a Cuneo, Mondovì, Fossano e Saluzzo. Lavorare in una cooperativa sociale significa avere un progetto, uno scopo che va oltre il lavoro di tutti i giorni, un messaggio da trasmettere agli altri.
Sarebbe utile poter creare un contatto diretto tra i cittatini e la bottega AltroMercato per far conoscere maggiormente il negozio, la filosofia, le persone e soprattutto i volontari che lavorano in bottega. Essere volontario in bottega significa decidere di dedicare il proprio tempo libero al progetto. I nostri volontari sono principalmente pensionati che hanno voglia di scoprire tutta la filosofia che sta dietro al prodotto venduto e di mettersi in relazione con altre persone.
Antonella desidera che il quartiere in futuro sia più vissuto, più frequentato dalle persone e cercato dai turisti. Oggi questa zona è un contesto completamente diverso rispetto al centrale e vicino Corso Nizza da cui vorrebbe prendesse spunto.
Anna ha 34 anni, è la compagna di Francesco, presidente del Comitato di quartiere Cuneo Centro, di cui anche lei fa parte. Da poco tempo è diventata mamma di Alice.
Nata e cresciuta nel quartiere, in Corso Dante, ha studiato al liceo scientifico e poi si è trasferita a Torino, dove si è iscritta a Scienze Matematiche. Dopo un anno di Erasmus a Friburgo, è rientrata e ha iniziato a lavorare in banca a Biella, dove è rimasta per 5 anni, mentre il suo compagno viveva in Germania.
Nel 2018 è stata lei, convincendo poi anche Francesco, a decidere di tornare a Cuneo perché qui sta bene: ha le sue relazioni, la famiglia e la comunità a cui sente di appartenere. Il ritorno è stato positivo anche perché nello stesso momento sono tornati altri amici.
Tornata a Cuneo, ha continuato a lavorare per la banca da remoto, ma sentiva che quel lavoro non le apparteneva più e, dopo il Covid, è diventato sempre più complicato e stressante. Si è resa quindi conto di non volere quella vita basata solo sul lavoro e ha deciso di dimettersi. Oggi insegna ed è molto felice di questo cambiamento.
Da neo-mamma, nel quartiere la comunità è molto accogliente e offre un senso di appartenenza che apprezza molto. La città offre molte iniziative per famiglie con bambini e anche per questo è un ottimo luogo in cui crescere i propri figli.
Le piacciono la pallavolo e il beach volley, le camminate, stare con le amiche, chiacchierare e condividere, soprattutto tra donne. Nei mesi di gravidanza si è dedicata molto alle discipline dello yoga e del rilassamento.
È sempre molto attirata dall’impegno civico e le piace dare qualcosa indietro alla comunità in cui vive e da cui riceve tanto.
Anna vorrebbe che a Cuneo ci fosse una maggiore visione politica sul futuro, soprattutto rispetto a temi quali la mobilità sostenibile, la vivibilità, le alternative al consumo di suolo.
Spera che tutta l’energia che c’è nel quartiere si possa convertire in una forza positiva in grado di trasformare la zona e renderla attrattiva.
Anna ha 55 anni, ha studiato al Liceo Artistico, poi all’Accademia Europea di Design e oggi è un’educatrice professionale. Lavora dal 2018 a Casa Famiglia, prima aveva già lavorato in altre Residenze per Anziani e con giovani in progetti di comunità, di prevenzione nelle scuole, di promozione giovanile.
Ha iniziato il lavoro sociale per caso: un giorno le è stato proposto di condurre alcuni laboratori in occasione di uno scambio internazionale. A questa proposta ne sono seguite altre rivolte ai giovani e così ha deciso di prendere il diploma da educatrice mentre lavorava.
Al centro del suo lavoro ci sono persone e relazioni: giovani e anziani condividono un grande bisogno di essere visti e valorizzati per quello che sono in una fase di transizione.
Nel suo lavoro è importantissimo da subito entrare in relazione con la persona e poi animarne le giornate, creando un “tempo di qualità” con laboratori che stimolino a mantenere alcune capacità attive. L’entrata in una RSA stabilisce un prima e un dopo: in questo “dopo” le attività programmate sono fondamentali per mantenere vive le menti delle persone e per far nascere una comunità. Le proposte sono musicali, creative, cognitive e fisiche. Anna porta le sue passioni, arte, natura e movimento, nel suo lavoro e le fa dialogare con le persone che abitano Casa Famiglia.
Nell’organizzazione di laboratori il rapporto con le scuole crea un legame con la città e mette in moto le energie migliori di bambini e anziani. Lo scambio è reciproco ed è cercato e atteso da entrambi i lati: bambini e anziani si arricchiscono a vicenda.
Per mantenere una partecipazione alla vita cittadina si organizzano uscite e gite. Casa Famiglia vuole sempre di più essere una casa aperta alla città, una risorsa di memoria che valorizza le persone che la abitano e che è ricchezza anche per chi sta fuori.
“Da cosa nasce cosa”: Anna crede nella possibilità che da progetti, iniziative, scambi, incontri possano nascere relazioni e nuove opportunità per tutti.
Andrea è cresciuto in via Meucci, dove ancora vivono i suoi genitori. Circa 15 anni fa si è trasferito a Torino per studiare comunicazione interculturale e lavorare nel sociale. Ha cominciato con persone di altre etnie, rifugiati politici: la sua prima esperienza è stata in Bosnia in un campo umanitario post-bellico, dove ha compreso l’importanza di lavorare a contatto con le persone. Poi si è avvicinato al mondo della psichiatria nell’ambito delle comunità e infine a quello della disabilità nei centri diurni.
Per 3 anni ha interrotto l’esperienza nel sociale, è andato all’estero sperimentando in parte la dimensione del “migrante”. Ha studiato e gettato le basi per quello che è il suo lavoro primario: l’insegnante di lingua, inglese in contesti aziendali e italiana ai parlanti altre lingue.
Per Andrea l’insegnamento è facilitazione, ovvero una posizione paritaria tra docente e studente.
Da poco ha iniziato a realizzare un documentario, seguendo la sua passione per il cinema, insieme a quella per la musica, indirettamente legata al lavoro con il video. Questo suo sperimentarsi mette insieme dimensione emotiva, creativa, intellettuale, in un decentramento da sé. Il documentario “L’isolato” lo vede indagare il cambiamento che vede nel quartiere: da un lato ritrovare il sé bambino e tutto quello che c’era, dall’altro ritornare a casa da adulto in un mondo che fisicamente è lo stesso, ma umanamente è cambiato. Un quartiere che, quando era piccolo, era una zona residenziale percepita tranquilla, ma con meno incontro e comunità. Gli piacerebbe che in futuro si cogliessero le opportunità date dall’attuale incontro/scontro, facendo coesistere tutte le visioni e le necessità nello stesso luogo, dove tutti rinuncino a qualcosa di sé, ma ritrovino qualcosa di più arricchente.
Ha un ottimo rapporto con Cuneo a cui ha imparato a non chiedere ciò che non può dargli, come un’offerta culturale particolarmente animata, e a rivalutare altri aspetti, come un contesto naturale altamente accessibile.
Alessandro ha 22 anni, originario di Barge, vive a Cuneo dall’estate 2022 nel cohousing 4G, in un appartamento con altri tre coinquilini: questo cambiamento gli permette di avere indipendenza e rivivere la socialità dopo gli anni di pandemia. Un cohousing è uno spazio condiviso con altre persone che spesso hanno altre culture. Alessandro convive con un italiano, un senegalese e un ecuadoriano: questo aspetto gli piace molto, perché il mondo “non è il posto in cui nasciamo, ma è molto più grande”.
Ha scelto la coabitazione dopo aver conosciuto altre realtà di cohousing collaborando con la Caritas a Saluzzo: qui ha iniziato a lavorare nel mondo dell’accoglienza ai migranti e a vedere come le équipe di operatori sociali operano e ne è rimasto affascinato. Ha quindi fatto domanda per il Servizio Civile per mettersi in gioco in questo ambito e così è iniziata la sua esperienza nella cooperativa MOMO, dando una mano nell’area migranti: gestione quotidiana del SAI (sistema di accoglienza e integrazione per richiedenti asilo e rifugiati), collaborazione nella scuola e nella Casa del Quartiere Donatello e nell’ufficio legale del punto MEET.
Allessandro collabora nei fine settimana con la Pro Loco di Paesana, un gruppo di giovani che organizzano eventi culturali e ricreativi per “togliere un po’ di grigiore” e riprendersi in mano i luoghi in cui vivono. È un ambiente che gli piace molto perché tutti sono “inesperti” e entusiasti di fare e provare, anche sbagliando.
Ad Alessandro piacciono il rap, il disegno e lo skate, che pratica quando ha un po’ di tempo libero.
Alberto lavora nell’ufficio di Cuneo Centro del Consorzio CIS (Compagnia di Iniziative Sociali), che ha sede ad Alba. Si occupa di inserimenti lavorativi, negli ultimi anni soprattutto riguardanti stranieri, collaborando anche con il progetto SAI del Comune di Cuneo. Gli piace interagire con le persone e aiutarle a superare le difficoltà. Lo scambio con gli stranieri può anche essere faticoso perchè può generare malintesi e/o incomprensioni riguardo la cultura lavorativa italiana.
Laureato in Psicologia del Lavoro, ha lavorato nell’ambito delle comunità terapeutiche e servizi per le dipendenze, prima a Bologna e poi, da circa 30 anni, a Cuneo, nel Consorzio che vede l’inserimento lavorativo come strumento per pensare al futuro della persona uscita dalla comunità.
Lo sportello di Cuneo Centro, sportello SAL accreditato dalla Regione Piemonte, si inserisce in Crocevia46, polo sociale con servizi per persone fragili e in difficoltà. Prima del Covid era possibile presentarsi direttamente, dopo è diventato obbligatorio prendere appuntamento, aspetto che ha reso più complesso l’accesso. Per rispondere a questo problema, si ascolta anche chi si presenta senza appuntamento dal lunedì al venerdì dalle 9:30 alle 12:00 e si riserva solo ad appuntamenti il giovedì pomeriggio.
Le persone si rivolgono allo sportello soprattutto tramite passaparola. Il primo colloquio è di conoscenza: si costruisce un curriculum e ci si iscrive al centro di collocamento. Dopo, la persona viene guidata nella ricerca lavorativa negli ambiti legati alle proprie competenze.
Nel cuneese rileva che non c’è in generale uno scetticismo da parte delle aziende nell’assumere stranieri, ma si richiedono di base la conoscenza dell’italiano e il possesso della patente. Le offerte sul territorio non mancano, spesso però non ci sono i presupposti per potersi candidare.
Pensa che a Cuneo si generino talvolta pregiudizi dovuti al fatto di non essere abituati a vedere alcune scene anche innocue, come un gruppo di persone straniere che aspettano il proprio turno fuori da un ufficio di collocamento. questi pregiudizi fanno interpretare eroneamente alcuni fatti.
Afshin fa il barbiere da quando aveva 18/19 anni e studiava disegno industriale all’Università in Iran. Oggi ha 29 anni, è un rifugiato politico e continua a fare il barbiere a Cuneo in Corso Giolitti nel suo negozio, King Hair.
Grazie al suo lavoro, conosce ogni giorno persone con diverse idee, colori, nazionalità, ragionamenti. I suoi clienti sono sia italiani, sia africani, sudamericani, asiatici: questo lo ha reso capace di ascoltare, sentire storie e capire persone diverse. Nel negozio lavora con lui un ragazzo nigeriano: gli piace avere un collega, che per lui è come una famiglia, di diversa nazionalità.
Nel quartiere si trova bene, per lui questo luogo oggi è una casa per le persone più deboli, che hanno bisogno di essere protette: non deve essere abbandonato, ma valorizzato. Gli dà fastidio che si dica “Una volta, Corso Giolitti era il posto più bello di Cuneo”. “Perché ora non lo è? Che cosa c’è che non va? Le persone straniere? Gli spacciatori? Le persone che bevono?“. Secondo lui, i problemi delle persone più in difficoltà spesso derivano dalla mancanza di documenti che impedisce loro di lavorare: la maggior parte di loro vorrebbe solo farsi una vita, ma mancano le basi per farlo. Per risolvere i problemi bisogna affrontarli all’origine, prima che diventino irrecuperabili, dando all’inizio un’opportunità per costruire qualcosa. Il mondo sta cambiando, ma noi dobbiamo entrare dentro i cambiamenti, capirne le radici e non cercare solo di eliminarli.
Afshin canta, scrive e registra video in un gruppo e sta costruendo una specie di studio di registrazione in casa. Vuole far crescere anche quest’attività perché qui ha la libertà di parola che gli mancava in Iran, dove c’era censura imposta dalla dittatura, motivo per cui ha dovuto abbandonare il suo Paese.
Per il futuro del quartiere vuole Libertà, a cui è intitolato il Piazzale della Stazione, perché significa permettere a ogni fenomeno di nascere.
Gabriele, masso erratico di Cumiana 15 - patto di comunità stipulato tra diverse realtà e associazioni - ci racconta BloomingTeam "il team che fa fiorire le idee" che si occupa di smart city e smart community, dal punto di vista sia tecnologico che sociologico.
Il loro obiettivo è di trasformare questo luogo in un think tank, in cui iniziare a pensare come trasformare i luoghi, far incontrare le buone idee e le buone pratiche per farne nascere di nuove, un cantiere da cui prendono vita "fioriscono" nuovi mondi immaginati, che siano per tutti e raccontino bellezza.
Ideificio Torinese vuole rispondere con l'associazionismo ai diversi bisogni dei giovani, in Cumiana 15, si occupa non solo della gestione di un'aula studio, ma diventa anche incubatrice di idee sociali, attraverso l'ascolto e la comprensione dei bisogni, cercano di dare risposte alle esigenze del territorio.
Attraverso un Patto di coprogettazione per la gestione dello spazio di via Cumiana 15, Ideificio Torinese e altre associazioni iniziano il percorso di cogestione del bene comune, ex sede di uffici Lancia.
In questo luogo d'incontro che a loro piace definire "piazza coperta", "laboratorio", "officina interattiva", viene sperimentata la gestione comune di uno spazio pubblico e aperto a tutti, che essendo modulabile, si presta a numerosi utilizzi e funzionalità.
Ideificio Torinese è uno spazio associativo che abbraccia temi a 360°, incubatore di idee e sviluppatore conoscenze, raccoglie proposte singole o iniziative collettive e aiuta a costruirne una forme sviluppando alleanze e progettualità comuni.
Elisa fa parte dell'Associazione popolare Via di Nanni, da quando si è trasferta nel quartiere, ormai da qualche anno.
Come lei ci racconta, l'associazione è un comitato spontaneo di cittadini e residenti del quartiere che lavorano per la promozione sociale, l'animazione, l'integrazione e la cura del territorio in cui vivono, in particolare nato con l'obiettivo di tutelare l'area pedonale di Via di Nanni.
L'idea è promuovere azioni di sviluppo di comunità e l'integrazione nel quartiere, attraverso momenti di aggregazione sociale come le feste di via, il guerrilla gardening, la pulizia e cura degli spazi comuni.
Michele ha 22 anni, ha frequentato l’istituto alberghiero e ha ottenuto la qualifica. Attualmente è alla ricerca di un impiego. Ha lavorato nel settore della ristorazione, in macelleria per la preparazione dei tagli e le consegne a domicilio, in gastronomia e come badante per persone anziane. Ama il contatto con il pubblico e vorrebbe lavorare presso un fast food. Ha una grande passione per il mondo dello spettacolo, in particolare per il teatro: recita e vorrebbe coltivare la sua abilità come truccatore, seguendo corsi di specializzazione, che hanno però dei costi troppo elevati. I suoi progetti futuri comprendono oltre la patente e una casa sua, la possibilità di fare viaggi che gli permettano di imparare le lingue e conoscere quanti più luoghi possibili. Se dovesse scegliere tra un film ed il libro da cui è tratto, sicuramente sceglie quest’ultimo, poiché gli offre la possibilità di immaginare i personaggi e immergersi nelle situazioni. La lettura dei romanzi di Stephen King occupa parte del suo tempo libero. Ascolta moltissima musica, è un grande fan di Lady Gaga, che rappresenta per lui una fonte di ispirazione. Non disdegna però l’ascolto di musica italiana, in particolare di Emma Marrone e Tiziano Ferro.
Cristina vive nel quartiere Madonna di Campagna da molto tempo con il figlio di 22 anni. I suoi genitori, di origine siciliana, sono emigrati in Canada e hanno poi fatto ritorno a Torino, dove lei è nata. Da molti anni lavora part time per un’azienda che fornisce i pasti alle scuole. Si occupa della distribuzione del pranzo ai bambini e quando riesce chiacchera e cerca di dare loro una mano a consumare le pietanze. Le piace molto ciò che fa, ma per arricchire le sue competenze, vorrebbe frequentare un corso per Operatrice Socio Sanitaria, teme però che i costi e la mancanza di tempo le impediscano di frequentare. Ama leggere romanzi, anche se lamenta la mancanza di una biblioteca in zona, che le permetta di prendere i libri in prestito senza doverli acquistare, perché’ il suo stipendio non le permette spese “superflue”. Le piace il mare e ascolta musica, quella italiana però.
Andrea ama molto il lavoro che fa: è un cameriere e sta svolgendo il suo tirocinio dopo il diploma conseguito all’istituto per il turismo. Si impegna perché’ vuole continuare a migliorare ed imparare quanto più possibile. Vive fuori Torino con la mamma e ama prendere i mezzi pubblici per spostarsi in città. È un abile nuotatore, pratica tutti gli stili e quest’anno ha partecipato alla XXVII edizione dei Giochi Nazionali Estivi Special Olympics, tenuti a Torino, raggiungendo un ottimo piazzamento. Oltre al nuoto, ama ballare danze di gruppo e ascolta musica popolare perché gli dà allegria. Gli piace molto passeggiare nei boschi e tagliare la legna nella casa di montagna della nonna.
Raffaella, Cecilia, Simone e Cristian sono il cuore pulsante della nuova Gastronomia Veg. Nuova, anche se esiste da più di 20 anni, perché ora si è ingrandito non solo lo spazio ma anche il team di lavoro.
Il team di Gastronomia Veg è variegato e composito, ognuno di loro porta dentro al gruppo capacità ed esperienze che arricchiscono, la gastronomia nasce da un'idea di Raffaella, che l'ha portata avanti per tutti questi anni, poi con la lungimiranza e l'entusiasmo di chi sa fare rete davvero, la famiglia si è allargata e in questa intervista ci raccontano che cosa fanno e che cosa continueranno a fare per i prossimi (glielo auguriamo) 20 anni.
Non solo gastronomia e servizio d'asporto, ma anche ristorazione, con ampio spazio interno e un bellissimo dehor su Via Dante Di Nanni, e catering per grandi eventi.
Jacopo ha 22 anni e le idee molto chiare. Dopo aver frequentato un corso triennale di FP sala bar e un anno di specializzazione ha colto l’occasione di fare esperienza in stage in Italia e all’estero e dopo essersi fatto una solida base lavorando presso ristoranti bar e come panettiere, due anni fa decide di aprire con mamma e fidanzata Sorsi e Morsi nella sua Felizzano.
Il locale è aperto già dalle 5 di mattina per le colazioni, per seguire con gli aperitivi e l’attività di ristorante soprattutto per persone di passaggio e lavoratori della zona che arrivano nella pausa pranzo, la chiusura è verso le 19.00.
La sua posizione in una via di passaggio fra Asti ed Alessandria porta il locale ad avere clienti per lo più in cerca di un pranzo veloce e soprattutto a kilometro zero, dove le materie prime sono semplici, legate alla tradizione locale e con fornitori del paese.
L’attenzione di Jacopo è molto sul cliente, che cerca la qualità, ma anche la relazione umana. Per ora non ha ancora avuto modo di ospitare ragazzi in stage ma gli piacerebbe, cercando di essere un buon maestro.
Asd Kombat System nasce a Felizzano nel 2015 dall’idea di Claudia e Romeo di essere punto di aggregazione sociale e sportiva per il paese in cui vivono, Felizzano.
L’idea alla base è fornire un servizio fruibile da tutti, soprattutto per quei ragazzi che non avrebbero la possibilità di spostarsi per fare sport, ed essere alternativa agli sport più comuni come il calcio.
La palestra è aperta dal mattino alla sera dando l’opportunità di scegliere l’orario migliore e trovare sempre un ambiente accogliente e familiare sia nel settore marziale sia in quello fitness del sollevamento pesi e del body building.
Altra attività proposta sono corsi di difesa personale che curano da un punto di vista non solo tecnico fisico ma anche da un punto di vista psicologico comportamentale e che sono frequentati da persone di tutte le età.
Caratteristica dei due istruttori è restare sempre aggiornati sulle evoluzioni più recenti delle discipline grazie al costante confronto con colleghi esteri.
Il loro approccio personalizzato ha portato anche un riscontro positivo nei casi di ragazzi iperattivi e nel loro obiettivi vorrebbero essere riconosciuti sempre più come polo innovativo rispetto alle arti marziali, al fitness, all’attività di palestra, in modo che ogni persona che entra possa trovare il modo di divertirsi.
R. ha 17 anni, è arrivato in Italia da 1 anno da Vlona una grande città dell’Albania.
Nel suo paese Rakip ha frequentato la scuola dell’obbligo e come molti suoi coetanei giocava a calcio e a basket.
Nella sua famiglia di origine il fratello maggiore fa il cameriere e anche per questo una volta arrivato in Italia oltre a imparare l’italiano in un corso A2 presso Cpia di Alessandria si è iscritto al 1° anno di un corso di formazione triennale per diventare cuoco.
Nel suo futuro vede questa come una professione possibile perché gli piace cucinare e vorrebbe proseguire a formarsi e avere la possibilità di imparare sul campo in un tirocinio.
Attualmente si trova presso la Comunità Il Galletto di Felizzano, in futuro gli piacerebbe spostarsi in una città grande come Genova o Torino.
R. è un ragazzo tunisino di 17 anni. È arrivato in Italia nel settembre 2021, dopo essere restato un mese a Messina è andato in una comunità a Solero, e da qui alla comunità il Galletto di Felizzano.
E’ nato a 30 km da Mahdia, una cittadina turistica sul mare, dove abita ancora la famiglia, che sente molto spesso al telefono, in particolare la sorella di 16 anni e il fratello di 13 che vanno ancora a scuola e sono orgogliosi di quello che lui fa.
In Tunisia ha studiato fino alla seconda liceo, nei weekend ha sempre aiutato il padre nel suo negozio di parrucchiere, attività di famiglia già da suo nonno. Questa è un’attività che sente sua perché l’ha sempre vista svolgere come una cosa normale.
In Italia si trova bene, non conosce bene Felizzano, preferisce prendere il treno e andare ad Alessandria e Tortona, dove si è fatto degli amici fra i suoi connazionali e anche qualche ragazzo italiano.
Fin da piccolo ha come hobby il disegno, si reputa una persona creativa.
Quest’anno fa frequentato il Cpia Liv A2, parla bene l’italiano e lo comprende, vuole prendere la Licenza media la patente e poi iscriversi in un corso di formazione professionale per fare l’unico lavoro che pensa di conoscere e che gli piace, il parrucchiere.
Spera di poter lavorare presso qualche parrucchiere esperto e poi riuscire ad aprire un negozio tutto suo, da uomo e da donna.
La titolare Franca ci racconta l’evoluzione dell’impresa di famiglia, Artepane rilevata da lei e il marito Antonio nel 1994 da un’attività di panetteria chiusa ormai da tre anni.
All’inizio si è dovuto farsi conoscere, quasi con un’attività di porta a porta che ha dato i suoi frutti iniziando a rifornire anche rivenditori di Alessandria e poi della provincia intera. Dai primi due supermercati clienti ora sono più di 50 i punti riforniti quotidianamente.
Nella sua crescita Artepane si è da subito configurata come un’impresa familiare; infatti, delle 13 persone impiegate attualmente in mansioni produttive di trasporto fanno parte anche la sorella di Franca, i due figli e il nipote, il sogno dei titolari è che i figli siano sempre più coinvolti e possano prendere le redini dell’attività.
La loro attività è prevalentemente basata sulla produzione di pane, grissini e prodotti innovativi che Antonio, anima creativa della produzione studia costantemente. A fianco della produzione salata hanno una produzione di prodotti da forno dolci e per poter far fronte alle diverse lavorazioni recentemente hanno ingrandito l’area produttiva in una nuova sede.
Trovare personale giovane disponibile in questo settore non è così facile, in quanto è un lavoro che richiede disponibilità ad orari notturni e a lavorare nei festivi. Per iniziare è utile aver frequentato un corso della scuola alberghiera o specifico di arte bianca come a suo tempo ha frequentato il titolare Antonio. Non è comunque obbligatorio, si può imparare anche appassionandosi al lavoro, con tanta gavetta e disponibilità.
Franca dice di avere sacrificato tanto a questa impresa ma di aver anche già realizzato tanti sogni, nel futuro vorrebbe affiancare alla panetteria in paese anche un’ attività commerciale in cui oltre alla vendita si possano servire colazioni e pranzi veloci.
Manuel è un ragazzo di 23 anni ed è di origine sarde. Da qualche anno vive a Torino con la sorella, il marito e 2 nipoti. Dopo aver abbandonato la scuola superiore per perito agrario, ha lavorato nell’azienda agricola di famiglia, poi la decisione di trasferirsi a Torino, per provare una nuova vita. Grazie all’associazione Insuperabili, di Corso Unione Sovietica, ha trovato degli amici. Ha seguito corsi di formazione presso l’Enaip e ora svolge il suo stage presso le Fonderie Ozanam di via Foligno 14. Lavora in cucina come lavapiatti, aiuto cuoco e si occupa delle pulizie dei locali. È molto contento del suo lavoro e quando torna a casa, si rende utile nelle pulizie o gioca con i nipotini. Se dovesse scegliere un’altra attività, farebbe il magazziniere.
Manuel è una persona molto gentile, educata e disponibile. Ama viaggiare ed è un appassionato di calcio, sia come spettatore, tifa per l’Inter, che da giocatore, con la squadra degli Insuperabili. Ha un sogno, gli piacerebbe fare lo stuart sugli aeri. Il suo futuro lo vede in una casa tutta sua, indipendente economicamente e da soprattutto da solo, perché’ vuole seguire le partite di calcio indisturbato.
Schadia è una giovane donna, molto energica e piena di iniziative; ama l’arte, la didattica e soprattutto le piacerebbe operare nell’ambito del sociale. Ha conseguito un diploma in tecnico del turismo, ad indirizzo sociale; un diploma universitario presso l’Accademia di Belle Arti a Torino, con una tesi sull’arte terapia, perché’ crede nel valore terapeutico dell’arte, in connubio con la natura. Il bello fa sentire bene, dice. Dipinge, si occupa di grafica e ha esposto alcune sue opere nel comune di Sant’Antonino di Susa e in alcuni locali pubblici. Al Caffè Basaglia, ha tenuto corsi di pittura e ha esposto alcune opere sulla psichiatria dell’arte. Si è occupata di laboratori artistici e attualmente si occupa di orti, altra grande passione, nello spazio WoW e al Parco Tonolli. In particolare degli orti in cassone, che hanno finalità educative e rigenerative per la cittadinanza. Ha partecipato a progetti per la preparazione e la distribuzione dei pacchi alimentari durante la pandemia. Le piacerebbe diventare educatrice. Attualmente sta seguendo un corso di apicoltura. Ha seguito anche un corso di teatro e le piacerebbe poter recitare e frequentare i teatri
Ama viaggiare, legge saggi di psicologia, critica d’arte, geopolitica. Ama anche i romanzi psicologici. Ascolta la musica trash, ma in realtà le piace tutta la musica, soprattutto quella che mette carica. Le piacerebbe lavorare in una casa di quartiere e partecipare a progetti di sfondo sociale.
Felizzano è un paese di 2200 abitanti situato al nord ovest della provincia di Alessandria, ma anche vicino ad Asti per questo i suoi abitanti si spostano a lavorare in entrambe queste città.
Felizzano ha avuto un passato industriale nel campo automotive ormai definitivamente finito, ma che fra gli anni ‘60 e ‘90 dava lavoro a 2000 persone, è stata la molla che ha fatto crescere il paese, ora alla ricerca di un’identità economica che in questo momento è rappresentata da un tessuto commerciale e artigianale vivace.
A Felizzano l’immigrazione ha vissuto più fasi, dalla prima degli anni 90 prevalentemente albanese, si sono poi aggiunte una comunità senegalese e marocchina, fra loro ci sono commercianti ed artigiani e le persone si sono sempre ben integrate.
Luca è un sindaco al secondo mandato nonostante la giovane età, è molto vicino agli abitanti con cui è in contatto costante anche grazie ai social ed ha come obiettivo far diventare il paese attrattivo per i giovani e le imprese, migliorando i servizi e mantenendo un occhio di riguardo alle iniziative culturali e legate ai giovani sia con manifestazioni tradizionali (festa della leva) sia con nuovi momenti in cui la comunità si possa aggregare grazie all’associazionismo.
La presenza della comunità Il Galletto di minori stranieri non accompagnati potrebbe essere inserita maggiormente, la difficoltà consiste nel fatto che i ragazzi restano poco tempo, non hanno il tempo di vivere Felizzano, sarebbe bello poterli legare al territorio con opportunità lavorative.
Valentina è originaria della provincia di Cuneo, laureata in antropologia vive a Torino da ormai 11 anni, città che le sta particolarmente a cuore ma vissuta sempre con sentimenti contrastanti, come lei stessa ci racconta. Sempre alla ricerca di nuove esperienze qualche anno fa Valentina ha deciso di cambiare vita per inseguire il suo sentire, un "salto" alla rincorsa di ciò che la rappresentava veramente...sicuramente non stazionario. Una delle sue grandi passioni è la poesia che ritiene vita e fonte di energia, specchio del suo modo di vivere.
Per Valentina scrivere e vivere sono una cosa sola e la ricerca di questa pura fonte di vita è sempre al suo ordine del giorno.
S. ha 17 anni e viene dal Bangladesh, esattamente da Munshiganj nel distretto di Dhaka.
Nel suo paese ha lasciato il papa, agricoltore, la mamma casalinga due sorelle più grandi e due fratelli uno maggiore e uno minore. In Bangladesh ha frequentato solo la scuola elementare (4 anni Primary school) poi è andato da subito a lavorare nelle coltivazioni di riso per problemi economici negli ultimi periodi il problema delle inondazioni ha reso la vita molto difficile.
Nell’aprile del 2021 è partito dal suo paese muovendosi con dei passaggi anche di fortuna, è passato dalla Libia e di li via mare è arrivato a Lampedusa. Successivamente è stato inserito nella comunità MSNA il Galletto di Felizzano.
S., che parla bengalese un po' di urdu ed inglese, sta frequentando presso il CPIA di Alessandria un corso livello A2 per migliorare il suo attuale livello di italiano, per il prossimo anno pensa di iscriversi anche alla Licenza media.
Vorrebbe poter prendere non solo la patente ma anche il patentino del muletto, per lavorare come scaffalista nel frattempo è in cerca di lavori semplici, di pulizia o cura aree verdi all’aperto o in fabbrica, in modo da poter imparare meglio la lingua che per una persona in arrivo dal suo paese è complicato.
Nel tempo libero esce con gli amici, per ora limitati alle persone che ha conosciuto in comunità e al CPIA, gli piacerebbe iscriversi in palestra e anche per fare nuove amicizie con ragazzi italiani della sua età.
Il suo sogno è poter mettere da parte un po' di denaro per avviare un’impresa tutta sua nel commercio, un emporio dove vendere vari tipi di merce anche abbigliamento, in questo il carattere aperto e gentile può essere un valore aggiunto. Chiacchierando con lui, nonostante la difficoltà linguistica si percepisce un’attitudine al vedere il lato positivo della vita, anche nelle difficoltà.
Gli piacerebbe rimanere in una città non troppo grande, magari proprio Felizzano o una città nelle vicinanze ad Alessandria o Asti
Francesca ha 22 anni e da più di due anni fa la volontaria presso la Croce Verde di Felizzano.
Per diventare volontaria ha fatto un corso di 9 mesi, 3 di lezioni teorico- pratiche e 6 di tirocinio.
Attualmente nella Croce Verde di Felizzano ci sono 90 volontari di cui 30 attivi, la loro età va dai 17-18 ai 65-70, in più dal 2018 sono stati assunti 7 dipendenti.
Felizzano si trova in mezzo a due province, capita quindi di essere chiamati non solo dalle vicinanze del paese ma di arrivare fino ad asti ed Alessandria.
L’attività si divide fra servizi ordinari, accompagnamenti a visite ed esami per persone impossibilitate a recarvici con i propri mezzi e chiamate di attivazione soccorso del 118, le urgenze. Tra le altre attività la croce verde organizza dei seminari sul primo soccorso su richiesta delle scuole per sensibilizzare i ragazzi sull’importanza del primo soccorso, inoltre fa assistenza in occasione di feste, sagre, eventi sportivi e musicali. In questi casi non è solo lavoro ma anche divertimento e svago, perché si passa del tempo con altre persone con cui si è affiatati.
Francesca che, come professione, fa l’assistente domiciliare si vede a lungo in questo ruolo di volontaria, una vera e propria passione iniziata con il corso 118, in futuro si vede sempre aggiornata, convinta nel frequentare corsi per migliorarsi.
A un ragazzo che vuole intraprendere questo percorso dice che i corsi sono importanti, ma poi la vera sicurezza te la fornisce la pratica ogni situazione è diversa dalle altre. bisogna prendere con serietà l’impegno preso, anche quando magari la persona che sta male non è facile da trattare. La parte relazionale è fondamentale ed è anche quella che da più soddisfazioni.
Il 30 Novembre 2012 nasce,da un’intuizione di Rocco Pinto e unitamente ai suoi soci, la libreria Il Ponte sulla Dora, di cui ricorrono a fine mese i nove anni della sua attività.
Possiamo senz’altro affermare che il vissuto di Rocco si è contraddistinto da un amore viscerale nei confronti della cultura e in particolare del libro infatti la sua esperienza sin da giovane è maturata prima in una libreria universitaria, poi nel gruppo Abele per poi confluire nell’attuale libreria.
Per determinare l’attuale denominazione di questo spazio culturale, Rocco e i suoi soci hanno svolto una puntigliosa ricerca, coinvolgendo tramite la rete gli abitanti del borgo ed i futuri lettori al fine di trovare un nome, il più possibile condiviso, per la libreria.
Da un'attenta esamina è venuto fuori che il prescelto era “Il Ponte sulla Dora”.
Muovendosi tra le strade del borgo e frequentando i locali, Rocco ha potuto verificare la vivacità del posto che all’epoca presentava al centro della piazzetta una vasca, ora non più presente, sulla quale si alternavano in volo aironi e gabbiani.
L’inizio dell’attività è stata caratterizzata da un attento censimento tramite interviste dei principali attori del borgo che vanno dalla panettiera Concetta di Cerignola, al pasticcere Raspino, ai maestri cioccolatai Perla e Gobino sino al ferramenta Carcano.
Questo ha permesso di avere una dettagliata mappa delle principali attività del luogo.
Il recente periodo di lockdown ha visto la chiusura per alcuni mesi della libreria.
E’ nata così una nuova iniziativa che ha coinvolto gli abitanti del borgo invitandoli a scrivere la propria storia. Si sono così create un insieme di racconti di famiglia perfettamente integrati tra di loro che hanno permesso grazie anche all’editore Graphot la nascita di un libro, Borgo Rossini Stories. Sull’onda di questa esperienza si stanno predisponendo nuove edizioni che riguardano i principali borghi della città come Porta Palazzo, Santa Rita, Barriera di Milano.
Il borgo per Rocco è unico, sia nel bene che nelle cose meno positive. Tutta la sua attività si può riassumere nella scritta che si trova all’ingresso e che recita :
“Libri lettori e idee in movimento”.
Giuseppe Mastruzzo è il direttore del IUC - International University College di Torino. Prima di entrare in IUC, dal 2003 al 2007 è stato Responsabile Studi e Ricerche di Confservizi Lazio, l'Associazione delle utilities e dei servizi pubblici di Roma. Il campus si sta trasferendo in Aurora in via Cigna nella sede della Fondazione di Giulio Einaudi. Qui nascerà il primo nucleo del nuovo campus universitario popolare destinato ad accogliere le attività didattiche e scientifiche dell’International University College of Turin, i quindicimila volumi della biblioteca personale dell'editore Giulio Einaudi, parte delle iniziative culturali e ricreative del Caffè Basaglia, storico centro di animazione sociale della comunità che vive nei pressi della Dora.
Silvano è una persona che non nasconde la propria precarietà attuale, gli manca di un lavoro stabile e non nega il disagio avvenuto per la perdita dello stesso, per la separazione dalla moglie, e per l'ingerenza della famiglia d'origine che non lo ha supportato e creduto, ormai i rapporto è perso. Ha ricostruito la propria esistenza con la famiglia attuale in cui si identifica per valori e capacità.
E. ha 17 anni viene dall’Albania, da Lushne, una città vicino al mare, grande circa come la nostra Alessandria. Nel suo paese ha lasciato il papa, muratore, la mamma casalinga e due sorelle già sposate. A Lushne ha frequentato la scuola dell’obbligo per 9 anni e 1 anno di professionale come elettricista. È arrivato in Italia nel 2021 ed è ospite della comunità il Galletto di Felizzano. Da quando è in Italia ha iniziato a frequentare il CPIA di Alessandria, adesso è al livello A2, è un ragazzo curioso e cerca di capire la lingua, quando non capisce chiede e si aiuta con il traduttore del telefonino.
Oltre all’albanese e all’italiano conosce l’inglese imparato a scuola. Gli piacerebbe poter fare un corso idraulico, perché è un lavoro che un po’ conosce, in Albania aiutava lo zio in questo lavoro, vorrebbe fare anche uno stage o un tirocinio
In Italia ha amici albanesi ed italiani, con cui gioca a calcio nel campetto del paese e gli piace uscire.
Felizzano gli piace perché è un paese tranquillo, per vivere si immagina a d Alessandria, un po' più grande dove c’è tutto ma non è caotico.
Cristina è una giovane donna che ha saputo trasformare i sogni in progetti e i progetti in realtà. Vive con una compagna a Argo CV abitazione leggera, dove ha anche la residenza.
Lavora attualmente presso il comune di Pinerolo è anche tirocinante, nonché cittadina e persona con una buona consapevolezza. La sua residenza abitativa prevede la presenza di operatori professionali che l'accompagnano nelle varie fasi del suo percorso.
Ha la passione per la lettura, per lo sport e per il teatro, ultimamente anche per la radio con un progetto in partenza presso COESA cooperativa sociale. Gioca a curling presso il Palaghiaccio di Pinerolo, pratica tiro con l'arco, e non manca mai allo sghembo festival teatro di strada sempre nella città Pinerolese.
La sua versione della città è inclusiva e non discriminante lo accenna nell'intervista, per questo ci tiene che sia alla portata di tutti senza barriere architettoniche e culturali. Non si tira indietro nelle sfide della vita, perciò si reca a lavoro a piedi nonostante lasua diversa abilità. Si è integrata benissimo nell'attuale contesto lavorativo, raccogliendo l'approvazione dei colleghi: i suoi bisogni sono appunto quelli di una città che pur fornendole stimoli e possibilità possa essere più percorribile.
Cristina nella sua vita non ha mai smesso di sognare e non solo è dotata di un carattere grintoso.
Patrizio Righero è il direttore del giornale VITA DIOCESANA PINEROLESE che, da alcuni anni, rappresenta un riferimento insostituibile per il pubblico lettore del bacino Pinerolese. Vita Diocesana nasce oltre dieci anni fa su iniziativa dell’allora vescovo emerito della diocesi di Pinerolo, monsignor Debernardi Piergiorgio con l'obiettivo di mettere in luce e dare respiro a tante belle iniziative culturali, sportive, politiche presenti sul territorio della diocesi di Pinerolo.
Il giornale ha una tiratura di circa quindicimila copie ed è stampato ogni quindici giorni. Il giornale è supportato da una fitta e motivata rete di volontari che si occupano, a vario titolo, di proporre articoli, cercare materiale innovativo e, soprattutto, aiutare nella distribuzione nei vari territori.
Vita Diocesana si propone ai cittadini come un dono di valore che, prova, a mettere in luce soprattutto quelle belle realtà piccole che, diversamente, rischiano di essere dimenticate e accantonate; proprio perché si ispira a valori cristiani, si propone come un interlocutore aperto e universale con tutti, attivando spazi di dialogo e confronto soprattutto con chi ha pensieri e ideali diversi.
Nel tempo, Vita Diocesana, ha offerto spazi di collaborazione a persone che correvano il rischio di essere emarginati e che hanno ritrovato, anche grazie a quel piccolo ma sostanziale impiego, una nuova opportunità di inclusione.
Michela e Linda sono cittadine Aviglianesi da sempre e hanno scelto di dedicarsi al territorio che vivono e amano per poter offrire servizi ai bambini e alle famiglie.
L'Associazione C'era Una Volta realizza attività e laboratori per bambini e ragazzi, i servizi che vengono maggiormente apprezzati dalle famiglie sono il doposcuola del periodo invernale e le settimane di Centro Estivo del periodo estivo. Le famiglie che incontrano hanno vissuti alle spalle molto diversi l'una dall'altra e le richieste di aiuto sono molteplici.
Nel rapporto con le famiglie riuscire ad essere davvero utili e accompagnarle nella comprensione dei servizi porta il sorriso ad operatori e operatrici che si prendono in carico i nuclei familiari a tutto tondo per cercare di dare sempre il migliore supporto alle richieste che arrivano.
I prossimi passi che vorrebbero fare sono costruire sempre più spazi e momenti di incontro e riuscire a strutturare sempre più attività, dal supporto psicologico, all'accoglienza per la fascia d'età sotto i 3 anni.
Roberto lavora da sempre nel mondo della ristorazione e dei locali. Il Bowie caffè, affacciato sul Lungo Dora, è la sua ultima avventura. Un posto per colazioni, pause pranzo e aperitivi, animato da giovani studenti e lavoratori che frequentano la zona. Un luogo di incontro con una bella musica che ti accompagna, in piena sintonia con il quartiere che è vivace e in movimento ma senza la frenesia del centro. Roberto trasmette con passione le sue competenze e la sua esperienza ai suoi dipendenti che nel corso degli anni sono stati molti e hanno aperto bar in tutta Europa.
Enea piace definirsi un grande appassionato attivista civico, legato al mondo delle associazioni particolarmente a quelle della salute mentale.
Amante della scrittura che quasi definisce come un ancora di salvezza, Enea si è specializzato nella scrittura autobiografica, un metodo che vuole lavorare sui ricordi e sull’auto narrazione.
Lo stare insieme è quello che secondo Enea ci porterà fuori dall'egocentrismo dandoci l’opportunità di vedere il mondo con occhi nuovi.
La Dott.ssa De Biasio lavora presso il servizio di medicina legale della città, nel distretto Torino sud, in via Foligno 14. Questo servizio svolge diverse funzioni sul territorio. Rispetto alla prevenzione si occupano delle visite per le pratiche di invalidità civile (leggi 104 e 68), su appuntamento, dopo la richiesta effettuata all’Inps. Si effettuano visite per riconoscimento di maternità anticipata, oltre che quelle legate al rilascio e rinnovo patente, procedure per la cessione del quinto e varie altre certificazioni medico legali. In via Foligno si effettuano anche le visite per il tribunale legate alle adozioni. Per quanto riguarda il riconoscimento dell’invalidità, a questo centro si rivolgono i residenti di zona. Le commissioni per queste pratiche sono composte da un numero di professionisti previsti dalla legge e, contrariamente a quanto si crede, non si tratta di visite, ma di una valutazione circa la documentazione medica specialistica presentata dal richiedente. La commissione esprime il proprio parere che viene inviato all’Inps, il quale prende la decisione definitiva e si occupa anche dell’eventuale revisione della pratica, nel corso degli anni. Molto del lavoro, una volta terminato il servizio al pubblico, si svolge prevalentemente su atti che in base alla legge richiedono solo l’invio di documentazione da parte del paziente.
Francesca abita nel quartiere Madonna di Campagna da più di 30 anni. È madre di tre figli; dopo la nascita del terzo, ha deciso di lasciare il lavoro presso un ente di formazione, per dedicarsi alla cura ed educazione dei suoi ragazzi, che la aiutano moltissimo nelle sue attività. Ora che sono cresciuti Francesca si dedica molto al volontariato, con una particolare predilezione per la cura dei cani. Collabora con associazioni e offre stallo agli animali in attesa di adozione, lei stessa ne ha 6. Cerca con cura le famiglie adottanti e le segue passo dopo passo, dal momento in cui prendono in carico il cane. È sempre a disposizione per dare loro una mano, come ad esempio occuparsi degli animali quando la famiglia non c’è, o si occupa di trovare qualcuno di fiducia all’interno di una vasta rete di conoscenze. Sono nate così tante belle amicizie che la sostengono, comprando ciò che è necessario per il mantenimento e la cura degli animali, che costituiscono un onere considerevole. Nel quartiere la riconoscono come una persona disponibile e degna di fiducia, per questo motivo, soprattutto le persone anziane, si rivolgono a lei per la spesa o lo svolgimento di commissioni. Diplomata come operatrice turistica, ha cominciato a lavorare presso un centro di formazione, con cui ha collaborato per 13 anni, ricoprendo diverse mansioni. Questo lavoro le ha permesso di entrare in contatto con realtà umanamente e socialmente diverse, che hanno contribuito alla sua maturazione personale. È stata anche una volontaria dell’associazione Paideia. Trascorre molto del suo tempo con i figli, con i quali ama viaggiare, soprattutto in Piemonte, vedere mostre, leggere libri ad alta voce.
L’associazione nasce nel 2000 da un progetto di convivenza tra anziani, prevalentemente donne e giovani studenti universitari fuori sede. Nata come costola di un’altra associazione operante sul territorio, Minollo, si è poi staccata per dedicarsi, tra le molte attività, ai progetti intergenerazionali, che rappresentano una novità nel panorama della attività del terzo settore. Il riscontro di questo lavoro è stato eccezionale, ma ancora di più il risvolto che si è venuto a creare, perché l’iniziale relazione di aiuto, si è trasformata in una relazione di affetto, come tra nonni e nipoti.
Il volontariato, ci racconta Ester, non è gratuito, perché porta qualcosa ad ognuno delle persone coinvolte, per cui la definizione che oggi si vuole dare al lavoro svolto dai volontari, è quello di scambio. I ragazzi portano la loro energia, forza fisica, passione, novità, tecnologia, dall’altra parte trovano tradizione, esperienza, memoria, ma soprattutto affetto.
Un altro principio importante è quello della consapevolezza che chiunque è portatore di competenze che, anche se non si vogliono mettere in gioco, devono però poter essere riconosciute. Questo è un aspetto importante, di cui si tiene molto conto, nella progettazione delle attività negli spazi gestiti dall’associazione. In particolare si lascia che siano gli anziani a portare le loro esigenze e desideri e da lì lasciare che siano essi stessi a mettersi in gioco, sia da un punto di vista pratico, ma soprattutto relazionale, perché ciò aiuta a superare le diffidenze e a creare comunità. Gli spazi, per casualità o volontà, sono frequentati da donne e gestiti da volontarie donne e questa rappresenta un’ulteriore caratteristica che rende particolari questi luoghi.
Ester vive fuori Torino e quando non lavora, passeggia in montagna, ama frequentare le persone “serene”, gioca a pallamano, sport che le piace moltissimo, soprattutto per l’ambiente positivo che crea. Ha un cane anziano che adora e con il quale cerca di trascorrere quanto più tempo possibile.
Erika è un’educatrice e coordina le attività educative sul territorio della circoscrizione 5, per l’Associazione Minollo, che nasce nel 1985, ma che dal 2008 ha la propria sede, presso la nave dell’architetto futurista Nicolaj Diulgheroff, in Via Foligno 14 a Torino. L’associazione si avvale della collaborazione di 10 operatori, di 14 ragazzi del servizio civile e di volontari. Le attività sue sono orientate ai giovani e la sede è anche un centro di protagonismo giovanile. Il lavoro si svolge prevalentemente con le scuole del quartiere e della città, attraverso la promozione di interventi di educazione informale, nell’ambito soprattutto, della prevenzione alla dispersione scolastica. Le attività si svolgono sia a scuola che in sede e comprendono il doposcuola, laboratori creativi e artistici; dal 2010 Minollo si occupa anche di Estate Ragazzi, sia in via Foligno che nelle scuole. Con il centro giovanile è in atto da 4 anni, una collaborazione con il Salone del Libro, che ha permesso ai ragazzi di entrare in contatto con realtà dell’editoria anche digitale e con il MUFANT, nell’ambito della fantascienza. Il rapporto che si instaura con le famiglie del quartiere è di grande fiducia. Loro affidano i figli agli educatori, durante l’Estate Ragazzi e continuano a mantenere il rapporto che durante l’anno scolastico. Le attività dell’associazione sono cominciate lavorando con i giovani delle classi minori del CPIA1 (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti), che oggi sono per la maggior parte di origine straniera e, sovente, appena giunti in Italia e non accompagnati. Attraverso i progetti in cui vengono coinvolti i ragazzi, come quello della solidarietà alimentare, si riescono a coinvolgere anche le loro famiglie, creando solidi legami. L’associazione crea e mantiene reti e collaborazioni, non solo con le scuole, ma con le realtà della zona come beeozanam, i commercianti ed il mercato di Borg Vittoria, per il recupero del cibo invenduto, le biblioteche. Nel tempo che le rimane, Erika fa la mamma e cerca di coltivare i rapporti con gli amici.
Lorenzo è un giovane residente del quartiere, animato da una grande passione per la recitazione, tanto da farla diventare la sua professione. Sin da bambino si divertiva a ripetere allo sfinimento le battute e recitava le scene dei film e dei cartoni animati che guardava. Un corso di teatro organizzato nel liceo che frequentava, il Giordano Bruno, gli ha permesso di cominciare a studiare recitazione, diventando poi lui stesso docente del medesimo laboratorio, anche se poi la pandemia ha interrotto momentaneamente questo percorso.
Collabora con il Bloom Teatro di Torino e con una compagnia teatrale nel canavese, recitando e conducendo laboratori di recitazione, per adulti e ragazzi. Il teatro ha permesso a Lorenzo di raggiungere una maggiore fiducia e consapevolezza di sé stesso, permettendogli di lavorare su alcune insicurezze. Lo gratifica molto, nella sua attività di insegnante, trasmettere le regole e le nozioni della recitazione, ma soprattutto sapere che il corso ha portato negli allievi, delle trasformazioni personali, se pur minime. Già l’interazione all’interno del gruppo fra persone di età differenti, che si scoprono unite da una comune passione e l’energia che questo genera, rappresentano per lui, motivo di grande soddisfazione.
Lorenzo è laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Torino, con una tesi sulla storia del cinema. Ama i film e la lettura di qualsiasi genere, ma con una predilezione particolare per il fantasy e i fumetti. La sua formazione di attore è avvenuta presso l’accademia Sergio Tofano di Torino, diplomandosi dopo un percorso di tre anni. Ha studiato recitazione, dizione, espressione corporea, danza classica, improvvisazione, elementi di regia teatrale, insieme a tutte le altre discipline curriculari.
La sua esperienza come attore spazia un po’ in tutti i generi, affrontando testi classici, ma anche di drammaturgia contemporanea. Collabora nella scrittura delle sceneggiature, nei riadattamenti per la scena di racconti, romanzi. Lavoro quest’ultimo, che gli permette di rendere ancora più personale la sua interpretazione dei personaggi che porta sul palcoscenico.
La Torre di Aly nasce come un centro ludico e doposcuola, ma in realtà le attività che si svolgono sono molteplici: oltre a supportare i bambini a livello scolastico, Sabrina Noemi, Claudia e gli altri collaboratori del centro, vanno a prendere i bambini all’uscita della scuola, cercano di seguire le famiglie nei rapporti con gli insegnanti, oltre che a livello educativo. Durante i periodi di vacanze o di chiusura della scuola, il centro accoglie i ragazzi organizzando giochi e attività, che gli permettano di socializzare fra di loro e con gli adulti, in un ambiente accogliente, inclusivo, sicuro e, soprattutto, ricco di stimoli. Le età dei bambini e ragazzi che frequentano il centro vanno dalla materna fino alle scuole superiori. Il rapporto di fiducia che si instaura con loro si basa sull’empatia, l’amicizia, ma soprattutto su una continua attenzione alle esigenze specifiche di ognuno di loro. Il centro collabora con psicologi, logopedisti e altre figure professionali, proprio per supportare in maniera completa il loro percorso di crescita.
Durante l’estate il centro estivo copre tutto il periodo delle vacanze, a parte due settimane di ferie, per offrire alle famiglie una copertura completa, a prezzi che sono adeguati alla realtà delle famiglie che vivono nella zona, con orari modulati in base alle loro esigenze. Anche in estate ai ragazzi vengono offerte innumerevoli attività come “Conoscere Torino con un Click”, progetto che li porta in giro per la città, facendo fotografie con i loro telefono, dando così loro l’occasione di conoscere oltre il loro quartiere, la città in cui vivono.
Sabrina che ha da sempre una vocazione all’attività educativa, ha intrapreso un percorso di studi socio pedagogici, prima con il diploma, ora con l’iscrizione all’università. Legge, le piacerebbe viaggiare, ascolta musica, pratica attività fisica. Noemi ha studiato lingue, ha lavorato in azienda e ha viaggiato all’estero. La consapevolezza di voler diventare educatrice l’ha portata a iscriversi all’università e a lavorare direttamente con i ragazzi. Il viaggio è una grande passione, che coltiva anche attraverso il confronto con i bambini stranieri che frequentano il centro. Pratica lo Yoga, disciplina che intende portare nel suo lavoro, con il progetto “Yoga bimbi”, probabilmente già attivo dalla prossima estate.
Il Dott. Fiorenzo Calvo, con un’iniziale vocazione da architetto, studia farmacia grazie all’opera di convincimento di alcuni amici, con cui collaborerà, prima di iniziare a gestire la farmacia di via B. Luini, nel 1986. Il locale è ampio, luminoso e oltre allo spazio medicinali, propone aree dedicate alla cosmesi, all’igiene, trattamenti per il benessere e un’ampia gamma di servizi, tra cui la consegna dei medicinali a domicilio.
Nel corso degli anni, questa attività gli ha permesso di vivere i cambiamenti del quartiere, non sempre positivi purtroppo: negozi storici che hanno chiuso e che sono stati sostituiti da attività che si esauriscono in breve tempo; una maggiore incuria del territorio; la mancanza di relazioni stabili con i negozianti e i residenti, anche questi ultimi meno stanziali. Un tempo si instauravano relazioni di amicizia con i commercianti della zona, che si ritrovavano anche dopo il lavoro per mangiare insieme, fare feste. Si è persa quella dimensione di paese che contraddistingueva il quartiere, con le sue bocciofile ed i luoghi di ritrovo per tutti.
Il lavoro racconta il Dott. Calvo, dà ancora delle soddisfazioni, anche se un po’più sporadiche, proprio per la mancanza di rapporti umani, dettata oltre che dalla fretta, anche da modalità di lavoro che la tecnologia ha modificato profondamente, anche in questo settore. Però, soprattutto con l’emergenza pandemica, la farmacia è diventata un punto di riferimento per avere informazioni e rassicurazioni, rivalutando così il rapporto di fiducia che sta alla base del lavoro di farmacista.
Il Dott. Calvo ama frequentare i musei, va al cinema o a camminare in centro e quando il tempo lo concede, coltiva la sua antica passione per l’architettura, modificando, ristrutturando un antico casolare nell’astigiano. Qui si rilassa, praticando il giardinaggio e frequentando gli amici, nella quiete della campagna.
L’Associazione Don Bosco 2000 nasce l’8 dicembre 1982 per volontà di Don Gianni Moriondo e di un gruppo di giovani animatori dell’oratorio Valsalice, con l’obiettivo di dare supporto a ragazzi soprattutto quelli in situazione di difficoltà.
Dal 2000, grazie ad una donazione da parte della squadra della Juventus, le attività dell’associazione si svolgono in via Foligno, in una sede completamente ristrutturata che comprende: 2 aule studio, uno spazio segreteria e una parte, composta da cucina e stanze, dedicata all’accoglienza di ragazzi migranti. L’accoglienza rappresenta una delle 4 occupazioni di questo gruppo di venti volontari.
Oggi nella struttura vengono ospitati 6 ragazzi che stanno svolgendo, con il supporto dell’associazione, un percorso formativo individuale di studio e lavoro, per rendersi completamente indipendenti.
L’attività di formazione di giovani animatori, per supportare il servizio Estate Ragazzi o per far fronte a varie necessità di animazione, si svolge durante tutto l’arco dell’anno e porta l’associazione ad avere contatti con alcune realtà della zona, come le parrocchie.
Il progetto Provaci ancora Sam impegna alcuni dei collaboratori che svolgono un ruolo di supporto e animazione all’interno delle scuole.
Don Bosco 2000 si occupa anche della gestione di Cascina Moglia, un antico casolare ristrutturato nell’astigiano, che è un centro di accoglienza utilizzato anche da associazioni, per ritrovi durante i week end o nei periodi estivi.
Marcello e’ pensionato da poco, lavorava per L’attuale Stellantis in una fonderia di Carmagnola, esperienza che gli ha permesso di viaggiare e conoscere diversi posti del mondo ed ampliare conoscenze che coltiva ancora oggi. Ora che il tempo non gli manca si dedica alle sue passioni : montagna, minerali, fotografia naturalistica. E’ volontario soccorritore per la croce verde ed e’ stato eletto nelle ultime amministrative come consigliere di circoscrizione nella 4. Coordina la commissione viabilita’, attivita’ questa che lo impegna moltissimo, sia dal punto di vista operativo che di tempo dedicato allo studio di questioni che per lui risultano totalmente nuove.
Elena, una giovane ragazza che da qualche mese ha rilevato la cartoleria Nina, dalla storica gestione precedente di Lucia e Angela. È stata accolta con molto affetto dagli abitanti e dagli altri esercenti del quartiere. Insieme a Luca, il suo collaboratore maestro di scacchi, ogni giorno attraversa la città per aprire il negozio, di cui si è immediatamente innamorata dopo la prima visita.
La cartoleria oltre al materiale di cancelleria, gli articoli regalo ed i servizi di stampa e fotocopie, si è arricchita di una nuova sezione dedicata ai libri, sia di narrative per tutte le età, che di scolastica. Elena infatti è una grande lettrice e ha deciso di continuare a coltivare la sua passione anche al lavoro, organizzando incontri con scrittori torinesi e presentazioni delle novità letterarie di autori emergenti. Offre anche il servizio di acquisto dei libri on line, che poi si possono ritirare in negozio. Tra le varie iniziative della vulcanica proprietaria, anche la possibilità di trovare in cartoleria le creazioni di artigiani del quartiere.
Elena è una ragazza estremamente socievole che ha voglia di collaborare e creare rete con le realtà locali. Ha conosciuto Andrea, proprietario della cartoleria Joker poco distante da lei e insieme hanno deciso di organizzare la loro attività, ognuno secondo la propria indole e possibilità, con l’obiettivo di fornire ai clienti un servizio completo. Una collaborazione che permette di superare le criticità della concorrenza e incentivando l’acquisto di prossimità.
Elena, da sempre appassionata di cartotecnica e libri, si è laureata in giurisprudenza. Dopo molti tirocini finiti senza nulla di fatto, ha deciso di coronare il suo sogno e, nonostante non abbia nessuna esperienza commerciale, si è buttata in questa nuova impresa. È una ragazza con tante passioni: teatro, mostre, manifestazioni culturali, Street art, che coltiva e che vuole diventino parte integrante della sua attività.
Marcela è una giovane laureata in progettazione industriale, lavora in uno studio di architettura in cui si trova benissimo. La pandemia e soprattutto le costrizioni imposte dal lockdown l’hanno portata ad intraprendere il Cammino di Santiago. Un’esperienza che l’ha segnata profondamente e che l’ha resa ancora più consapevole della necessità di tutelare il proprio benessere, sia interiore che esteriore. Le ha instillato anche la voglia di creare qualcosa, di avere dei progetti che diano sostanza alla sua vita. Amante della bellezza in tutte le sue declinazioni, ha deciso di aprire un centro estetico, in cui si avvale della collaborazione di due professioniste altamente qualificate, per offrire trattamenti per il benessere generale del corpo, mentre lei si occupa del ricevimento, dell’amministrazione e di tutto ciò che serve per la gestione. Marcela ama rapportarsi alle persone e questa attività le permette di vederne un lato diverso, perché’ i clienti si mostrano con i loro difetti fisici, quindi su un piano molto più umano. Il quartiere in cui vive e lavora è molto importante per lei, soprattutto perché’ ritiene che collaborare con chi le sta intorno, sia fondamentale. Frequenta i negozi della zona, come lei stessa dice “ho comprato la macchina per il caffè, ma poi vado a prenderlo al bar, perché’ ritengo sia piu’ utile per tutti” e si fa preparare prodotti di alta qualita’ per i trattamenti, dalla dottoressa che gestisce l’erboristeria che si trova proprio vicino al centro.
Marcela ha anche una grande passione per i libri, soprattutto per le autobiografie.
La Roller Sport Accademy è una palestra dedicate agli sport rotellistici. Dopo anni all’inseguimento di un sogno, Sergio è riuscito ad aprire questo spazio in cui coltiva la sua passione, ovvero il pattinaggio a rotelle, che pratica, ma soprattutto insegna. La sua famigli ha una tradizione di pattinatori, che continua con la moglie ed i figli, questi ultimi atleti della nazionale, sia su ghiaccio che rotelle. Tutti accomunati anche dalla passione dell’insegnamento.
La palestra organizza corsi per bambini, ragazzi e adulti, perché il pattinaggio è uno sport che si può praticare un po’ a tutte le età: dai 4 anni in poi, ma con la dovuta propedeuticità. È un’attività che può essere praticata un po’ ovunque, perché in questi ultimi anni sono stati costruiti percorsi in molte località, anche turistiche.
Sergio, che vive con la sua famiglia in Madonna di Campagna, ha voluto che la sua palestra fosse in questo quartiere, perché’ il pattinaggio a rotelle è nato nella pista di via Sospello, dove i ragazzi al pomeriggio si ritrovavano, per pattinare e giocare fino a sera. Lì sono nate amicizie che durano ancora oggi.
La palestra aveva aperto i battenti poco prima dell’inizio della pandemia e solo da pochi mesi ha potuto riaprire le attività. Il locale, completamente ristrutturato, è accogliente e spazioso. Prima ospitava una pasticceria e poi un’attività di litografia. Oltre agli spogliatoi e al locale segreteria, una stanza ospita una piccola esposizione di pattini storici. Una parete del locale palestra è stata tappezzata con le fotografie che raccontano la tradizione familiare del pattinaggio. Le persone che la frequentano abitano prevalentemente nel quartiere, dove la famiglia Salino sta cercando di organizzare progetti con le scuole, per avvicinare i ragazzi a questa disciplina sportiva.
Sergio ha creato da 15 anni un proprio marchio di vendita di materiale specifico di alto livello per il pattinaggio, in particolare per lo speed action. Segue quindi tutte le manifestazioni più importanti del settore. Oltre a queste attività è anche agente di commercio di ricambi originali auto, da circa trent’anni.
Nel tempo libero, quando ne rimane, pratica altri sport con gli amici: mountain bike e sci. Segue inoltre un progetto di collaborazione con scuole di sci per promuovere l’attività di allenamento presciistico in estate.
Simone Ballari è il sindaco della città di Bricherasio e, da qualche anno, è preside dell’istituto paritario Maria Immacolata di Pinerolo.
L’istituto che lui coordina è un riferimento per la città di Pinerolo perché esso è in grado di produrre un’offerta trasversale a bambini, ragazzi e giovani. Infatti l’istituto, ormai da anni, mette a disposizione la scuola primaria, secondaria di primo grado e superiore. Simone lavora con passione al progetto di crescita dell’istituto e crede che la prerogativa che deve avere la scuola di cui è responsabile sia quello di poter produrre un’offerta valoriale ai ragazzi che la frequentano al fine di generare uomini e donne in grado di portare nel mondo gli stessi valori. Simone si avvale di un gruppo di docenti molto motivati che credono che il proprio lavoro non si esaurisca durante le ore trascorse a scuola. Infatti i docenti sono un valido supporto per Simone al fine di proporre idee e opportunità progettuali sempre nuove per i ragazzi dei loro corsi.
L’istituto Maria Immacolata è pienamente coinvolto con le dinamiche del territorio cittadino e cerca di interagire con lo stesso in modo continuativo e armonioso; per tale ragione permette a molti consulenti esterni di lavorare e relazionarsi con i ragazzi della scuola attraverso progetti fatti in sinergia con le realtà territoriali al fine di allargare la proposta educativa.
L'associazione Kallipolis nasce a Trieste, per poi estendersi su Bologna e su Torino. Qui, infine, sono Rita e Anna a portarne avanti i lavori. Amiche da lungo tempo, costituiscono un duo più che affiatato.
Nel capoluogo piemontese lavorano molto con ATC, in contesti di edilizia pubblica, con progetti che coinvolgano la popolazione residente in vari modi; da qualche tempo hanno “preso casa” all'interno dell'hub di comunità beeozanam.
E sul quartiere circostante stanno portando avanti delle progettazioni specifiche, come “Reality Shot”, che porta i giovani della zona ad analizzare il territorio con uno sguardo diverso attraverso la fotografia, e come un lavoro nel contesto delle case popolari di via Verolengo che, già sperimentato in altri contesti analoghi in città, utilizzare l'arte come strumento per creare confronto e coesione tra i nuclei famigliari che abitano quegli edifici.
Rita e Anna, a suo tempo, volevano creare una ong e occuparsi di cooperazione internazionale nei paesi in via di sviluppo. E l'hanno fatto, per esempio a lungo nell'est Europa. Ma poi, Kallipolis ha individuato con chiarezza che contesti “in via di sviluppo” si trovano anche nelle periferie della nostra città, peraltro in anticipo rispetto ai tempi attuali in cui l'argomento è sulla bocca di tutti. Ma nei loro percorsi di studio in architettura, le nostre non avevano trovato quel che il loro animo ambiva a poter costruire. Se lo sono dovuto creare un po' da sé, e l'hanno infine trovato in Kallipolis.
Elena è un architetto. Ma non è solo un architetto.
Elena, da sempre, ama muoversi fra campi diversi, cercare di connetterli, immaginare progetti che coprano spazi su ambiti di solito separati. Con UrbanLab ha contribuito a inventare strade che la aiutassero ad assecondare questa sua inclinazione, facendo arrivare la ricchezza architettonica della città ai suoi residenti.
La sua terza vita è OrtiAlti, associazione che ha fondato insieme alla collega – e sua ex allieva – Emanuela, per utilizzare superfici urbane non utilizzate rigenerandole e trasformandole in aree sì produttive, ma non nel senso che storicamente la Torino industriale dà a questo termine: produzioni verdi, produzioni di verdura e di frutta. Orti. E anche qui, la volontà non è solo creare spazi, ma attivarci tutto intorno una comunità che se ne prenda cura e ne tragga beneficio.
È in questo modo che, nel 2016, Elena ha messo piede per la prima volta all'interno del complesso di via Foligno 14, dando il via con le idee di OrtiAlti alla fioritura dell'ex fabbrica e successivamente alla nascita di quello che oggi è beeozanam, una cosa che all'epoca nemmeno si sarebbe immaginata. Ma il bello del lavoro suo e del suo ente è forse proprio questo aspetto immaginifico, che da un lato non le permette di sapere dove sarà e cosa farà da qui a 10 anni, ma dall'altro le lascia aperte mille possibilità differenti.
Già da piccola, Claudia vedeva le cose che gli altri generalmente non vedono. No, niente di trascendente, nessun fantasma: cose che esistono, ma su cui di solito le persone non posano gli occhi. Gli angoli della strada. Gli spigoli degli edifici. I pali della luce. E i dettagli, sempre più piccoli: segni, disegni, adesivi.
Così, Claudia (“Kiki” per tutti) ha iniziato a notare che alcuni segni si ripetevano, e che quindi c'era un linguaggio. E lei, appassionata di lingue e in quella materia anche poi laureatasi, ha preso a trasformare quella fascinazione in un interesse, quindi in una conoscenza, e infine in un progetto.
Il progetto SAT_Street ArtTourin_ nasce all'interno dell'associazione culturale Pigmenti, con Marco e Ricky. Oggi, Kiki fa opera di divulgazione: crea gruppi di persone, spesso giovanissimi, che vanno in tour per la città alla scoperta del linguaggio della street art.
E in Madonna di Campagna, i tour di SAT trovano il proprio fulcro, anzi è proprio qui che nascono, al Parco Dora che è un po' il tempio torinese della street art, transitando per le strade della borgata Tesso, e infine arrivando a beeozanam, dove Pigmenti ha una sua “casa” e dove la mano degli artisti è visibile (in cortile, sul tetto, nelle sale).
Kiki continua a far aprire gli occhi alle persone e a far alzare gli occhi verso l'alto, e lei stessa lo fa: sempre più su, da un po' sta studiando le stelle.
Enrico è una di quelle persone le cui giornate sembrano durare il doppio di quelle dei comuni mortali, per la quantità di cose che fa.
E' un medico di famiglia, scegliendo questa che è la definizione che lui preferisce tra le varie (“di base”, “della mutua” come si diceva un tempo, etc). Ma è anche molto di più. Da oltre 30 anni il suo studio si trova qui, in piena Madonna di Campagna, in una zona che è cambiata tanto. Cambiamenti che lui ha visto riflessi anche sulla salute delle persone: quando si guardava Torino dall'alto negli anni '80, racconta, su quella zona il cielo era viola. Come le polveri ferrose sospese nell'aria sopra acciaierie, officine e stabilimenti vari.
Oggi sotto quest'aspetto la situazione è migliorata, ma in compenso nuove povertà si sono affacciate alle nostre porte. Ed Enrico quelle porte le spalanca, insieme ai colleghi che con lui animano l'ampia offerta sanitaria dello studio di via Lemie.
Ha per anni diretto un'associazione che si faceva carico dell'aspetto della salute per vari centri di accoglienza a migranti richiedenti asilo; negli studi, cosa inconsueta, erano e sono presenti i mediatori interculturali.
Si è speso e si spende per la salute del paziente, cercando laddove possibile di risalire alle cause remote delle problematiche lo affliggono, specie quando queste sono in qualche modo collegate a un risvolto sociale, e non a una mera casistica individuale.
Oggi, Enrico continua il suo lavoro in prima linea, formando nuove generazioni di medici che affianchino alle competenze tecniche anche un forte bagaglio etico. Per fortuna che prosegue, perché c'è ancora bisogno di lui.
European Research Institute è un'associazione onlus che da una dozzina d'anni opera nella progettazione europea e che ha sede in Torino; da ormai un lustro, ha generato un nuovo ramo: ERI Educational.
Si tratta di un'agenzia formativa accreditata presso la Regione Piemonte, che costituisce il completamento delle attività dell'ente madre. Realizza corsi di formazione co-finanziata dalla Città Metropolitana di Torino, e a coordinarne le attività c'è Anna Brunetti.
Educatrice di grande esperienza, ha conosciuto ERI quando seguiva gli inserimenti lavorativi di alcuni beneficiari delle progettualità sociali dell'ente, e ha finito per entrarne a far parte, per poi dedicarsi al ramo formativo. Non aveva competenze specifiche in questo senso ma un'ampia conoscenza dell'ambito sociale l'ha supportata.
Ma il lavoro di ERI Educational, informalmente e per gli amici “ERI Edu”, può essere molto più vario dei semplici – e pur importantissimi – corsi finanziati: per esempio, ora Anna è impegnata in un progetto che porterà giovani a imparare l'arte della pizzeria e a trovare opportunità lavorative in Ungheria.
Anna, molisana d'origine, si sta impegnando per conoscere meglio questo ambito, così come il quartiere in cui ERI Edu ha sede, Madonna di Campagna, all'interno del complesso ex fonderie Ozanam. D'altronde, lei stessa si è reinventata, anni fa: da perito aziendale ha deciso di cambiare vita e operare nel sociale, rimettendosi allo studio e diventando educatrice. Per cui, ce la farà anche questa volta.
Non sono molte le associazioni che, operando nel sociale, superano il mezzo secolo di vita: A.I.Z.O. la Associazione Italiana Zingari Oggi, è una di queste.
Quando Carla ha deciso di fondarla, aveva già avuto il proprio personale incontro sulla via di Damasco: era stato padre Acero, un vecchio frate, a indirizzarla. Lei prese a bordo come autostoppista questo vecchio frate, che lavorava come cappellano presso tutti i sinti del torinese, e la sua strada fu segnata. Invitata da lui nei campi, non avrebbe più smesso di frequentarli quotidianamente.
La barriera linguistica fu presto superata, perché molti fra gli ospiti del campo non parlavano italiano, ma piemontese sì, lingua famigliare anche a Carla. Così iniziò a fare scuola per i bambini di queste comunità, finché dopo alcuni anni si trasferì a vivere con loro. Da allora la sua è stata la scoperta della vera anima di un popolo, ma anche la lotta contro uno dei più diffusi pregiudizi, l'atteggiamento ostativo anche della polizia, il sovraffollamento di campi pensati per un certo numero di ospiti e nei quali ne venivano stipati in realtà il triplo, la vita senza acqua corrente.
Oggi, AIZO assiste rom e sinti attraverso una grande crisi socio-culturale, con il nomadismo che viene via via sempre più accantonato, e la sedentarietà che trova ancora diversi ostacoli.
Nel frattempo, Carla – per il suo impegno e i suoi grandi meriti – è stata nominata addirittura Commendatore della Repubblica.
Maria Chiara, per tutti “Machi”, è una tipa tosta.
Tutti i giorni balza alla guida di un grosso furgone dipinto di rosso, su cui poi carica - e da cui poi scarica! - fra gli 800 e i 1500 kg di frutta e verdura.
Gestisce forse, Machi, un grande, grandissimo negozio di ortofrutta? No, si tratta di ben altro.
Si tratta della Carovana Salvacibo, un progetto ideato dall'associazione Eco dalle Città che, in collaborazione con la Città di Torino e la Rete delle Case di Quartiere, si propone di recuperare e appunto “salvare” frutta e verdura direttamente al CAAT, il Centro Agro-Alimentare di Torino, i vecchi “mercati generali” all'ingrosso.
Frutta e verdura non più vendibile, perché leggermente guasta, perché in eccesso, perché non venduta, ma ancora del tutto buona ed edibile. Un'azione di contrasto allo spreco che sta molto a cuore alla nostra autista, che appena ha sentito di questa opportunità ci si è buttata, ottenendo il ruolo grazie al proprio entusiasmo.
Accompagnata ogni giorno da un diverso “EcoMoro” (ragazzi stranieri richiedenti asilo che fanno opera simile presso i mercati rionali), Machi poi distribuisce la frutta e la verdura della Carovana presso associazioni senza scopo di lucro, enti religiosi, mense per i poveri etc. In Madonna di Campagna fa settimanalmente tappa presso il comitato delle case popolari di via Verolengo, la cooperativa de Le Fonderie Ozanam, le associazioni AIZO e Minollo.
Per tutti sceglie i prodotti migliori, aiutata in questo dalle competenze acquisite nei suoi anni di lavoro come cuoca.
Pur avendo speso decenni in mezzo ai ragazzi, Marcello non si è stancato di loro.
Per 30 anni ha svolto la professione di insegnante di religione nelle scuole superiori di Torino, vedendole cambiare, vedendone mutare la composizione; la presenza di studenti di origine straniera e di confessioni diverse da quella cattolica ha chiaramente avuto un significato particolarmente importante per la sua materia. Ma questo, da parte sua, è stato vissuto come un'occasione di crescita, perché il confronto può essere arricchente se impostato in maniera sana, come lui sapeva fare.
La sua vita, fuori dal lavoro, si è dipanata fra le strade di Madonna di Campagna, e in particolare nella chiesa che al quartiere dà il nome. Padre Benigno Cismondi ha rivestito per lui un ruolo fondamentale, con la nascita del gruppo “3G” che diede nuova linfa al movimento parrocchiale giovanile, gruppo che poi si è evoluto col trascorrere del tempo.
Abituato a educare e mediare, ha assunto un ruolo anche all'interno del complesso abitativo in cui risiede, dove si trova ad avere a che fare con oltre 1000 residenti: quasi il sindaco di un piccolo comune!
Il pensionamento suo e della moglie ha coinciso con l'esplodere dell'emergenza pandemica, per cui oggi, parallelamente agli impegni e della voglia di fare che non lo abbandona, Marcello spera di potersi finalmente godere un po' di svago e di meritato riposo.
Andrea è un “acquisto” recente, per Madonna di Campagna.
Si è trasferito in zona durante il lockdown, per cui il grosso della zona deve ancora scoprirlo; l'ha scelta per ragioni logistiche, giusta via di mezzo fra la comodità dei servizi cittadini e la campagna (quella “vera”, quella fuori città) in cui aveva vissuto negli ultimi anni con la famiglia.
Andrea è un ingegnere aeronautico, ma da lungo tempo lavora nell'automotive. Con soddisfazione, perché, come sottolinea, passando moltissimo tempo della nostra giornata sul posto di lavoro, sarebbe orribile se non ci piacesse quello che facciamo.
Essere tornato in città gli fa comunque piacere, perché ama Torino nonostante trovi che la sua popolazione sia un po' chiusa, e vorrebbe vedere più senso civico da parte dei suoi abitanti. In particolare, nella zona in cui si è trasferito a vivere ha già avuto modo di apprezzare il Parco Dora, per quella che definisce “l'ora d'aria”, uno spazio in cui muoversi e respirare meglio.
D'altronde, Andrea è uno sportivo, che negli ultimi anni ha scoperto il tennis, iniziando pian piano e ora avendo coinvolto anche i figli; ha un passato da pallavolista a buon livello, fino alla prima divisione; insomma, a differenza dell'italiano medio, gli piace darsi da fare ma non con il calcio!
Souad è una mediatrice interculturale. Lo è perché il suo percorso di vita ne fa un ponte fra culture: quella marocchina delle sue origini, che si va a congiungere non con quella italiana, ma con "quelle" italiane.Da ragazzina infatti cresce a Feltre, porta delle Dolomiti bellunesi, in un mondo fatto di lavoro, pochi fronzoli, pochissime problematiche sociali. E cresce perfettamente integrata nella società italiana, anzi senza nemmeno sentire la necessità di dover fare qualcosa per risultare integrata.Poi, all'università a Bologna, scopre l'esistenza di un altro mondo: un mondo dove esiste "il sociale", dove ci sono i poveri e gli emarginati; ma anche dove ci si può divertire, dove si può passare del tempo non necessariamente dedicato a lavorare.Insomma, culture diverse e lontane anche all'interno della stessa nazione.La sua conoscenza della lingua araba, unita all'emergere di queste nuove consapevolezze, segnano il suo percorso: la mediazione interculturale, il ponte.E anche a Torino, nella sua casa a pochi passi da beeozanam, continua con questa strada che più che essere un lavoro è un atteggiamento con cui affrontare la vita e il confronto col prossimo.
A Claudia piace percorrere le strade del suo quartiere all'alba. Lo fa per andare a lavorare in piscina, dove tiene corsi di acquaticità per adulti e per bambini, anche per neonati. E' una sportiva, ed è un'educatrice, che sa apprezzare lo sviluppo delle competenze nei "grandi" e il superamento delle paure nei piccolini.Nata e cresciuta in Madonna di Campagna, si sente legatissima al suo territorio, che però nel suo cuore - così come pure nei suoi orizzonti quotidiani - si riduce a un orizzonte preciso: quello dell'oratorio. L'oratorio della chiesa che dà il nome al quartiere.Lì dentro, per Claudia c'è tutto. C'è un mondo, il mondo che sente suo. Lì è diventata grande, lì continua adesso che è passata dall'altra parte della barricata, da animata ad animatrice; e per questo sta seguendo un corso per animatori interculturali, perché da fra' Luca ci sono ragazzi le cui famiglie arrivano da cento paesi diversi.E infine, collabora con un'associazione (ERI onlus) per conto della quale lavora a contatto con bambini e ragazzini in situazioni di difficoltà.Ma sempre, quando svolge le proprie attività, non vede l'ora di collegarle con l'oratorio, di portarle lì dentro, di tornarci. E' il suo mondo, per lei è grande, e ci sta dentro come un pesce nell'acqua.
La Circoscrizione 5 di Torino è un territorio estremamente popoloso: con i suoi 120.000 abitanti, se fosse un'entità autonoma sarebbe la seconda città del Piemonte (!). E com'è ovvio, quando c'è un'alta concentrazione di residenti ci sono anche necessità ed esigenze sociali forti. Alberto Masera le conosce bene: nei suoi 10 anni di lavoro nell'amministrazione locale ha ricoperto anche il ruolo di coordinatore delle politiche sociali, dunque conosce bene tutto l'ampio ventaglio di associazioni, gruppi spontanei e organizzazioni di volontariato che a diverso titolo cercano di fare del bene.
Alberto, cattolico praticante, fa risalire tale ricchezza al periodo dei santi sociali, quando Torino abbracciò una specifica vocazione alla solidarietà che non ha più abbandonato.
Ora, il suo seggio in seno alla Circoscrizione l'ha lasciato ad altri. La sua è stata una scelta deliberata quanto rara, volta a dare spazio ai giovani; ma ogni volta, racconta col sorriso, il suo intento di fare a tempo pieno il nonno dei suoi 13 nipoti viene rimandato perché qualcuno gli chiede un impegno nuovo. Ora è il Banco Alimentare a vederlo in un ruolo di responsabilità; è evidente, senza lavorare per la società, Alberto non sa stare!
Puglia, Piemonte, Romania. Francesco ha una terra d'origine, una d'adozione e una d'elezione. E di tutte e tre è un grande conoscitore.
Nativo di Corato, come giovane adulto si è trasferito a Torino, e con l'approssimarsi della terza età ha sposato in seconde nozze una donna romena, il che l'ha portato a interessarsi della storia e della cultura di questo paese, fondando un'associazione, “Lumina” (la luce, in italiano) che si fa promotrice dello scambio fra le due culture, italiana e romena.
Francesco ha lavorato una vita in IBM partecipando al rapido e stupefacente sviluppo della tecnologia informatica, ma nella vita ha fatto, conosciuto e approfondito mille cose diverse, compreso un certificato HACCP che gli permettesse di esercitare la propria attività di volontario in una cucina gestita da monaci, in città.
Sulla storia della Romania ha scritto diversi libri, come del resto sugli altri argomenti che lo appassionano e che ha studiato, arrivando a un totale di quasi 70 pubblicazioni. Così come numerose sono le associazioni che ha fondato o contribuito a fondare.
Francesco ama la divulgazione della conoscenza, e da migrante – prima, da giovanissimo, in Venezuela, quindi nel settentrione italiano, Milano e Torino – comprende appieno il fenomeno degli spostamenti di esseri umani da una parte all'altra di un paese o del pianeta, e cerca di aiutare gli altri a vederla con lucidità e a viverla apprezzandone le rinnovate ricchezze.
Caritas è un ente confessionale della Conferenza Episcopale Italiana, che si prefigge lo scopo di promuovere ad attuare pratiche di carità, sui piani dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace: in particolare, si concentra sull’attenzione agli ultimi, poveri e disadattati.
La sede della diocesi di Pinerolo, si occupa del sostegno alle povertà, nelle sue diverse forme: dall’aiuto economico, al sostegno alle persone in emergenza abitativa, alla distribuzione di cibo e vestiti. Dal 2019 ne è direttore Rocco, un ex educatore di 62 anni, diacono dal 2000, che nella sua vita si è sempre dedicato ad aiutare il prossimo, prima come volontario, poi come operatore nell’ambito della tossicodipendenza, per poi specializzarsi nell’aiuto ai disabili; ha dato vita ad una cooperativa ed un consorzio; ha avviato diverse comunità e gruppi appartamento; è stato missionario in diverse parti del mondo; ma è anche stato insegnante e, nel mentre, è anche riuscito a laurearsi e conseguire un Master in Economia no profit. Oggi è padre di 5 figli (ormai grandi), in pensione e può dedicarsi totalmente alla gestione della Caritas. I tanti anni trascorsi ad unire il volontariato e il lavoro in ambito sociale, lo hanno portato a rendersi conto che le associazioni di volontariato hanno bisogno di essere affiancate e guidate da professionisti, per poter rispondere al meglio ai bisogni delle persone; ora cerca di creare e guidare una rete, che comprenda associazioni, terzo settore e amministrazione, per offrire il miglior sostegno possibile alle povertà del territorio, cercando di dare vita a quello che definisce Welfare generativo.
Elena, Fabio e Anna sono capi scout del gruppo Agesci di Rivarolo, associazione che si pone come obiettivo l'educazione delle persone affinché possano diventare buoni cittadini del mondo con una metodologia riassunta nelle parole “osservo, deduco, agisco”.
A livello operativo gli scout si dividono in tre gruppi (branco, reparto e clan) in cui cambiano gli strumenti e gli obiettivi in base all’età dei ragazzi, rimanendo centrale l'importanza dello scambio nel rispetto della diversità. Partendo dal valore del gioco e delle regole con il gruppo dei più giovani, si passa via via alla fase dell’avventura in cui i partecipanti decidono l’attività che vogliono sperimentare e si formano per attuarla, fino al clan in cui si aprono riflessioni legate alle scelta politica e di fede.
Raggiunti i vent’anni di età, gli scout possono così decidere se continuare il proprio percorso all’interno dell’associazione come capi, educando i più giovani, oppure fare una scelta di servizio verso l’esterno, collaborando con le realtà associative e cercando di rispondere ai bisogni del territorio.
Ezio è il presidente dell’associazione FelizzanOltre, nata nel 2016. A Felizzano ci sono altre associazioni, manca la proloco.
Il desiderio dei soci è quello di sviluppare settori diversi, in ambito sociale, culturale ed enogastronomico anche valorizzando il patrimonio artistico del paese.
Dal 2016 nonostante il Covid hanno realizzato tante attività che mancavano in paese, fra cui l’estate ragazzi, giornate di prevenzione in ambito medico in cui invitano specialisti ad effettuare in paese esami gratuiti (cardiologo, senologo, otorino, prove glicemiche), giornate culturali come “Monumenti aperti” corsi serali di lingua e molto altro.
La loro attività, infatti, si è anche rivolta a serate a tema, su argomenti legati alla salute, all’agricoltura alla sensibilizzazione su tematiche di attualità. Offrono sostegno nella realizzazione della festa della Leva, molto sentita in zona e da quest’anno promuoveranno una festa in piazza per i ragazzi, coinvolgendo dj.
La loro forza, racconta Ezio, è di essere partiti dalle competenze dei soci per poi tessere una folta rete di collaborazioni con altre associazioni, che ha permesso di realizzare molte cose, mettendoci molta dedizione e impegno per il proprio territorio. Avere un occhio di attenzione ai Bandi regionali, inoltre, gli ha permesso fra l’altro in piena pandemia di far partire un progetto di telemedicina per gli anziani del paese dotandoli di tablet e saturimetro per essere sempre collegati con i medici, incontri online per la popolazione con personal trainer per fare ginnastica da casa.
Partita da un’idea di un gruppo di amici l’associazione si è allargata, un sogno per Ezio sarebbe quello di riuscire a coinvolgere sempre più giovani anche nella fascia 15-21 anni, per portare idee e contributi nuovi e permettere un ricambio generazionale graduale.
Andrea fa il cartolaio. Ma Andrea non è un cartolaio.Andrea sa anche gestire splendidamente la sua cartoleria, sì; ma lui nasce mobiliere, per prima cosa, con un talento nelle mani che sanno trattare il materiale, così come negli occhi che sanno immaginare le forme prima che siano create.E poi, c'è molto altro.Andrea non è un cartolaio, è un artigiano poliedrico; e il suo negozio non è una cartoleria, è un punto di riferimento.Nato e cresciuto in Madonna di Campagna, apre le porte del suo esercizio non solo per vendere il materiale (buona parte del quale è creato da lui stesso), ma per aiutare, consigliare, sostenere. Una sorta di sportello per il quartiere, un padre di famiglia che fa sempre quel qualcosa in più per il prossimo; e il prossimo lo cerca spesso, perché di lui si fida. Perché se c'è da organizzarsi, da aiutare qualcuno, lui c'è, ben al di là di quel che prevedrebbe il suo compito di "commerciante".E poi, c'è comunque il negozio, dove nulla è lasciato al caso: il nostro infatti voleva aprirlo proprio lì, per questioni che lo legano alla famiglia e alla sua storia personale, e l'ha fatto; e pure i materiali che ha usato, come il corten, non sono scelti per mere ragioni estetiche, ma perché sono un richiamo alla storia. Non quella famigliare in questo caso, ma quella del suo quartiere, di un territorio dalla storia operaia, di fabbriche e di acciaio. Un territorio che lui ama e dal quale, vien da dire, è ricambiato.
Era una arsenale di guerra, una fabbrica di armi.
Nel 1964 è stato fondato da Ernesto Olivero con il sogno condiviso di combattere le disugualianze nel mondo
Dal 1983 il lavoro gratuito di migliaia di persone lo ha trasformato in Arsenale della Pace, luogo di fraternità e di ricerca. Una casa aperta al mondo e all’accoglienza delle persone in difficoltà.
L’Arsenale della Pace è dedicato a Padre Michele Pellegrino.
Daniele fin da giovane pur avendo frequentato studi tecnici, è sempre stato attratto dall’educazione verso i giovani.
Scopre la prima volta l’esistenza dell’Arsenale nel 2002 e ne resta affascinato. Capisce che questo è il suo percorso di vita e da li a poco inizia la sua missione con esperienze in varie parti del mondo sempre alla ricerca “dell’oltre”.
Solo quand'era già adulta Luisa è diventata suor Luisa: quel che si dice una vocazione tardiva.
Tardiva ma fortissima, totalizzante, capace di mandarla missionaria in Sudamerica e di riportarla nella sua natìa Milano, e poi a Torino a costruire un percorso con i ragazzini malati di cancro all'opedale Regina Margherita e poi a lasciare tutto e a ripartire altrove. E infine a tornare a Torino.
Ha vissuto molte vite, suor Luisa, e l'attuale la vede suddividere il proprio impegno fra l'oratorio Madonna di Campagna, dove condivide con fra' Luca il lavoro sull'oratorio con le decine e decine di ragazzi che lo popolano, e il convento “Madre Francesca Rubatto” del quale lei è madre superiora.
Il convento condivide gli spazi con una comunità per disabili gravi, è un luogo accogliente e perfettamente calato nella realtà del territorio: i vicini di casa le salutano, le conoscono, le suore sono benvolute e sono inserite nel quartiere. Ospita un piccolo ambulatorio, dove una suora infermiera ha abbandonato il pensionamento per dedicarsi a piccoli interventi (iniezioni, misurazioni) per la gente di zona. E c'è un giardino, che suor Luisa ama particolarmente, che accresce ancor di più l'aura di “oasi” che investe questo luogo, all'interno del quale non sembra di trovarsi a due passi dal traffico di largo Grosseto.
E qui, suor Luisa coltiva anche la propria passione personale, alimentata dalle competenza e dagli studi: il disegno, portando avanti con enorme gioia una collaborazione editoriale che le permette di realizzare la propria arte.
Amedeo Pereno, originario del Brazile, torna a Oulx, insieme alla moglie, intorno ai 45 anni, dopo diverse esperienze in giro per il mondo. Parte attiva della comunità, Amedeo è vice-presidente e direttore sportivo del settore calcio; è impegnato nelle ultime tre amministrazioni locali.
Impegnato a 360° in ambito sociale, Amedeo sostiene che una delle esigenze della comunità sia quella di ritrovare una nuova socialità, soprattutto nei periodi di bassa stagione per i residenti. L'altra grande esigenza che Amedeo condivide è quella di coinvolgere i giovani, nella fascia adolescenziale.
La Polisportiva Oulx offre momenti sportivi aperti a tutta la cittadinanza. Attrezzata con aree pic-nic, campi da tennis o da beach volley, e, immancabili, i campi da calcio.
E' un amante della montagna.
Lino dopo aver frequentato le scuole medie, decide un po' per necessità e un po' per voglia di indipendenza di iniziare a lavorare, entra nel mondo dell'impiantistica telefonica, mentre lavora però decide di continuare a studiare frequentando le scuole serali.
Lui è nato e cresciuto in Piazza Vittorio, poi conosce Simonetta, la donna che poi diventerà sua moglie e si trasferisce in Borgo San Paolo, dove inizia la loro vita insieme. Lino raccoglierà l'eredità del padre di Simonetta, elettricista con un negozio in Corso Racconigi, così dal mondo degli impianti telefonici passa a quello poco distante degli impianti elettrici.
Portare alto il nome e la reputazione del cognato per Lino è molto importante, perché se si sbaglia un lavoro si può rifare, "ma se si sbaglia comportamento, difficilmente si può rimediare".
Quello su cui si può fare affidamento con Lino è sia la competenza e l'affidabilità professionale, che l'onestà e il rispetto umano.
Andrea, ha studiato come perito elettronico, ma da subito sapeva di voler lavorare in autonomia, così inizia la sua gavetta come idraulico.
Apre la sua ditta nel 1996, specializzato in idraulica cantieristica e industriale, per poi espandersi e specializzarsi anche in quella condominiale e privata.
Il suo punto forte è la reperibilità h24/24, disponibili per emergenze ed urgenze.
Negli anni Andrea è riuscito a costruirsi una rete di artigiani con i quali collabora che si occupano delle più svariate necessità abitative, dal decoratore al palchettista, ma sono anche in grado di sviluppare progetti completi di ristrutturazione grazie ad una rete di progettisti ed ingegneri.
Giovanni ha ereditato l'azienda del papà insieme ai suoi due fratelli, dal '93 si occupano di fornire assistenza all'installazione, manutenzione, riparazione di caldaie mono brand, sono un centro di assistenza specializzato, ma non dicono di no a chi li chiama per un consiglio, un parere o un contatto alla ricerca di assistenza idraulica.
Se possono una mano la danno a tutti, 'al massimo ci si è fatta una chiacchierata'.
Tante passioni animano il tempo libero di Giovanni, tra cui la costruzione di acquari e la fotografia, anche se gestire un'azienda-famiglia con più di 6 dipendenti è un grande impegno che occupa la maggior parte del tempo fisico e mentale.
Paolo più che un corniciaio, è un mastro di bottega, un artista e un vulcano di creatività e idee.
Nasce come tecnico operaio alla Olivetti, ma grazie alla camera oscura ereditata dal papà, che lui trasforma in un laboratorio in cui produrre ologrammi, si innamora della vita in laboratorio e così decide di cambiare la sua vita; vuole diventare artigiano, di cosa poco importa, così si presenta alla porta di una bottega di cornici e inizia ad apprendere il mestiere. Dopo poco rileva l'attività e realizza il suo sogno, avere un suo laboratorio in cui creare e sperimentare.
Per essere un mestiere scelto tra tanti, quello di corniciaio gli veste a pennello, come le cornici che crea per valorizzare qualsiasi pezzo d'arte che gli si presenta alla porta.
Decide di trasformare il suo laboratorio e le cornici in un bene comune, perché l'arte deve essere popolare, a portata di tutti perché qualsiasi cosa si decida di appendere ai muri è speciale e merita di essere valorizzata.
Il lavoro del corniciaio è un lavoro di comunicazione e progettazione, precisa e meticolosa, costruita su misura, per e con, il cliente.
Ma Artheos non è solo cornici, è una bottega piena di vita di creatività e di energia, difficile entrare ed uscirne uguali a prima, fosse solo per una chiacchiera, un consiglio, un'idea o una risata.
Dario ha ereditato dal papà l'autofficina e il mestiere di meccanico, sono aperti dal 1954 sempre in Borgo San Paolo, quartiere dove sono cresciuti e hanno lavorato.
Da quando ha 5 anni ripara automobili, lo sanno bene i clienti che sono restati fedeli al papà prima e a lui ora, anche se le auto sono cambiate e il lavoro anche, ora servono tanti corsi di aggiornamento per restare al passo con le tecnologie, il meccanico si è trasformato diventando un meccatronico.
E' difficile, ma non impossibile, quando si ha una squadra di lavoro su cui contare, alla quale Dario sogna di poter cedere l'attività quando dovrà andare in pensione, per continuare a far vivere il sogno del papà.
Il vivaio New Garden, in Frazione Argentera a Rivarolo, nasce negli anni ’70 dal desiderio del padre di Giulia di lavorare all’aria aperta. Inizialmente dedicato alla creazione e alla manutenzione di giardini, l’attività di famiglia si sposta col tempo verso la vendita di piante in vaso e di attrezzatura per il giardinaggio.
Con la scomparsa del padre, Giulia decide di affiancare la madre Nives e il fratello Francesco nel vivaio, integrando la tradizionale attività con le proprie competenze e dando vita, nel 2018, al Fiorcolto, un giardino didattico in cui vengono proposti laboratori tematici alle famiglie e in cui si tengono campi estivi durante le vacanze scolastiche.
L'attenzione per l'ambiente emerge anche dai progetti per il futuro: Giulia vorrebbe infatti creare una Flower Farm all’interno del vivaio, in cui le persone possano scegliere direttamente cosa acquistare con maggiore senso di responsabilità e consapevolezza verso la stagionalità dei fiori.
L’associazione ACMOS è nata a Torino nel 1999 e lavora nel rendere coscienti i giovani rispetto a tematiche diverse e creando percorsi di attivazione collettiva che possano portare a dei cambiamenti reali.
Le azioni dell’associazione si sviluppano principalmente attorno a due percorsi: Casa ACMOS e il progetto Scu.ter. Il primo permette di vivere un’esperienza comunitaria, accogliendo persone in difficoltà o gruppi, anche all’interno di beni confiscati alla mafia.
Con il progetto Scu.ter., invece, Giulia lavora nelle scuole superiori per incentivare la costruzione di reti con il territorio e individuare bisogni ai quali si cerca di rispondere attraverso percorsi di partecipazione attiva. In questi spazi è infatti emersa la necessità di avere un centro aggregativo e aumentare la presenza dei mezzi pubblici nelle fasce pomeridiane, permettendo a chi abita fuori Rivarolo di fermarsi alle attività organizzate dagli studenti.
Il professor Fabbri ha incominciato il suo percorso formativo a Roma città natale, ha insegnato in scuole pubbliche statali, è padre si 4 figli di età dagli 8 ai 22 anni. Poco prima che iniziasse l’emergenza sanitaria per il covid-19, Domenico intraprende una decisione importante, decide di trasferirsi da Roma a Pinerolo città d'origine della moglie, anche lui si sente in parte migrante, avendo lasciato parte dei famigliari a Roma. Il suo bagaglio di vita lo ha portato a maturare 20 anni di scoutismo con la moglie, perciò crede nell'importanza di mettere e spostare le tende, cambiando tragitti mentali e fisici.
Al CPIA insegna solo ad adulti per la maggior parte stranieri, cita di aver incontrato circa 25 etnie diverse.
Riconoscendosi nel ruolo di insegnante quello è il suo mandato principale come insegnante per adulti e quello di ridare una possibilità di crescita ai suoi alunni alcuni di essi anche persone fragili. Il suo motto è dello Scoutista: dove metto le tende, quello è il mio posto, ma l'obiettivo è spostarle per conoscere altro.
Giorgia Cristina allieva del Professor Fabbri e alunna presso il Centro Provinciale istruzione per adulti. Cristina è di origini rumene, vive serenamente vicino Pinerolo ha raggiunto l'obbiettivo di istruzione con cpia, è contenta di ciò che gli offre il territorio. Inserita integralmente lavora studia e riconosce al cpia e al suo insegnante un'opportunità per recuperare gli studi fatti in Romania rivalutare il suo percorso.
Jizrrel ha 35 anni, è arrivato in Italia più di 15 ani fa, attualmente vive a Pinerolo, dove ha intenzione di stabilizzarsi con la sua compagna. Lui e Greta lavorano presso CFIQ di Pinerolo come insegnanti. Jizzrel insegna lingue ma la sua formazione prevede anche un indirizzo filosofico. Greta ha competenze come insegnante ma soprattutto come coordinatrice, con un'esperienza presso CFIQ molto lunga. Le loro storie si uniscono in tale sede, sostanzialmente per la passione per l'istruzione, la formazione, l'insegnamento, la cultura e soprattutto per l'interesse ai giovani adolescenti che partecipano e frequentano il CFIQ. Greta, mantiene contatti come raccontato nell'intervista con i suoi alunni, anche se lontani geograficamente il ruolo non è più quello della “prof” ma qualcosa di più, un riferimento. Jizrrel, ama e non rinnega le sue origini colombiane anzi ne trasmette l'essenza la beltà; con e per i suoi allievi ricerca il sorriso il più bel mezzo comunicativo.
Entrambe vivono bene nel contesto pinerolese dove sono stabilmente residenti, apprezzano la dimensione il territorio e le strutture sportive. Accoglienza e educazione sono le basi della loro mission nella vita e in CFIQ: non approvano l'assistenzialismo fine a sé stesso ma la realizzazione della persona. CFIQ: Consorzio per la formazione l'innovazione e la qualità.
Jimmy ha 51 anni e vive a Pinerolo da 8 anni. E’ nato in provincia di Lecco e ha girato un po’ tutta Italia. Si definisce “barbone per scelta”, perché voleva capire le scelte che portano le persone ad adottare lo stile di vita della strada : si è sempre spostato, cercando situazioni nelle quali svolgere vari lavori (giardiniere, decoratore, addetto alle pulizie) e nelle quali poter vivere situazioni di vita comunitaria. Il periodo nel quale si è sentito più realizzato, è stato quello in cui ha potuto gestire una comunità di recupero e un dormitorio, situazione nella quale ha potuto mettere a frutto la sua esperienza e porsi nel ruolo di motivatore. Crede nell’esigenza di sviluppare politiche di prevenzione dai danni derivanti dall’abuso di sostanze e partecipa ad iniziative, organizzate da collettivi autonomi, che vanno in questa direzione: appassionato di musica e della musicoterapia come mezzo per aiutare le persone a capirsi e superare le proprie difficoltà.
Ora che ha raggiunto la maturità e gli sviluppi della sua vita lo hanno portato a Pinerolo, si è innamorato di questo territorio, del clima che si respira, della creatività del tessuto sociale e vorrebbe mettere radici, trovarsi un lavoro e una dimora stabile.
Vorrebbe che le istituzioni creassero un sistema che aiuti coloro che non hanno un lavoro a rendersi utili per il territorio (manutenzione di aree verdi, laboratori per lo scambio di saperi e competenze, cura di monumenti ed edifici pubblici), dinamica che aiuterebbe anche ad aumentare il comune senso civico. Auspica la creazione di centri di aggregazione, soprattutto per i giovani.
Seth è un ragazzo di 31 anni del Ghana, nel suo paese si occupava di manutenzione edile, muratore piastrellista, non aveva patente ma sapeva guidare le moto. Decise una decina di anni fa di migrare in Italia. Il suo esodo lo conduce in Libia, paese scalo da cui Seth dovrà uscire con molte difficoltà. Approda al porto di Taranto che dovrà lasciare dopo alcune settimane. La sua prima città italiana di riferimento sarà Bologna. Seth attenderà per un po' il permesso di soggiorno, che gli arriverà dopo 10/12 mesi dalla sua permanenza in Italia.
Seth vuole essere regolarizzato e integrato; così studia per prendere la licenza media, cerca un posto in cui vivere e un lavoro, in seguito verrà inserito in un corso di specializzazione formativa per addetto ai bancali e magazziniere, attraverso il tirocinio Seth attiva contatti e relazioni professionali, così incontrerà Mauro, titolare di piccoli supermercati di cui uno a Piscina di Pinerolo.
Seth si mostra una persona capace, motivata e educata.
Mauro non lo dimentica e quando si prospetta la possibilità di aprire un nuovo market a Piscina di Pinerolo, lo contatta per inserirlo nell'organico con assunzione regolare e prima qualifica da apprendista.
Ormai sono trascorsi più di 2 anni, Seth non molla, contratti rinnovati. A gennaio del 2022 il ragazzo del Ghana otterrà il contratto definitivo. Seth attualmente accompagnato dai suoi colleghi e amici ha un lavoro, è apprezzato, multilingue, abita non lontano da Pinerolo, che definisce un posto tranquillo in cui vivere, ha preso la patente.
Mauro il suo datore di lavoro, orgoglioso e contento di SETH , coinvolti entrambe nella possibilità della reciprocità, credibilità delle relazioni umane.
Lidia nel 1987 apre il suo negozio di tendaggi e corredi, da dipendente voleva essere titolare di se stessa. Il suo sogno era però aprire una merceria, così piano piano inizia la trasformazione eliminando le tende, aggiungendo intimo, merceria e riparazioni sartoriali.
Nel 2020 c'è un'ulteriore evoluzione, grazie all'aiuto di suo figlio, decide di aprire un canale youtube in cui fa video tutorial di uncinetto, appassionata fin da piccola a quest'arte della tessitura e dell'incrocio decide di condividere il suo sapere e la sua passione.
Entrare nel suo negozio è come entrare in una piccola bottega, si scorgono qua e là creazioni di tutti i tipi e materiali che possono essere utili a chi voglia replicare le stesse creazioni o sperimentarsi in nuove combinazioni.
Lidia partecipa a fiere di settore, le piace confrontarsi con appassionate da tutto il mondo, perché non è gelosa della sua arte, anzi, condivide le sue competenze con entusiasmo.
Simona ha 36 anni, ha studiato al liceo classico e preso una laurea in biologia.
Dopo gli studi decide di lavorare nel mondo del sociale presso un istituto religioso e in diverse città d’Italia.
Lavora con le persone Simona, si occupa di doposcuola per ragazzi, aiuto compiti, laboratori teatrali e di crescita personale, sostegno a persone in difficoltà, migranti ed emarginati.
Dopo tanti anni in giro per l’Italia, ora Simona ha deciso di ritornare nel quartiere in cui è cresciuta e di fermarsi per un po’, le piacerebbe riprendere ad approfondire gli studi sulle scienze della natura e trovare un lavoro a contatto con le persone mentre progetta di intraprendere il percorso di abilitazione all’insegnamento.
CYRIL e' un ragazzo nigeriano di origine biafrana di 31 anni .
Il Sig Ugwvu distingue la sua origine biafrana e da quella nigeriana dovuta a molteplici guerre che hanno travolto il biafra che è poi diventato facente parte della Nigeria. CYRIL appartiene originariamente a “quei bambini che non avevano cibo” lui stesso racconta. Cyril ha competenze maturate in Nigeria come idraulico (attraverso apprendistato) esperienza di addetto autolavaggio esperienza maturata in Libia .
Nel 2014 parte dalla Nigeria e arriva in Libia dove dopo poco viene privato dei suoi diritti, dei documenti, dei soldi e rimane alla mercé di delinquenti libanesi. Arriva in Italia nel 2016, prende la licenza media e attraverso la diaconia valdese e cfiq educare.
Il Sig. Ugwvu è una persona molto credente e praticante attraverso le relazioni i contatti e la permanenza in territorio montano pinerolese si ritrova anche in percorsi di appartenenza religiosa, fondamentale è stata in tal senso la diaconia valdese. Tramite 2 enti formativi di Pinerolo. Educare e CFIQ intraprende un percorso formativo istruttivo che gli consegna un attestato come multiruolo nel campo alberghiero, Caffè Londra diventa il suo trampolino di lancio .
Cyril progetta nuovi percorsi, ha un lavoro da tre anni come barista al Caffè Londra di Torre Pellice il lavoro è la garanzia che gli permette di programmare, progettare e pensare a nuovi percorsi di vita.
Riconosce il percorso di legalità che ha ottenuto anche attraverso i ricoveri ospedalieri, la croce rossa e le cure ricevute appena sbarcato in Italia, di cui è grato.
Antonello è nato a Sant’Antioco, in Sardegna, nel 1959; la sua famiglia si è trasferita a Torino quando lui aveva due anni. Da bambino aspirava a diventare architetto, ma ha capito presto che lo studio non faceva per lui: la sua vera aspirazione era l’arte, nelle sue diverse forme. Da piccolo amava già disegnare (per lo più paesaggi e nature morte) e, da adolescente, ha cominciato a lavorare nella bottega dello zio, esperto artigiano del vetro; si è, quindi, specializzato nella vetreria artistica, nel restauro delle vetrate di chiese e abitazioni, nella creazione di mosaici. Purtroppo gli avvenimenti della vita non gli hanno permesso di continuare ad operare nel settore e ha svolto diversi altri lavori, ma prediligendo sempre quelli a sfondo artistico (falegnameria, restauro, intarsio): è stato anche corriere, decoratore e addetto alle pulizie, oltre ad aver lavorato in fonderia.
A seguito di diversi lutti in famiglia, ha attraversato un periodo di depressione, che lo ha portato a sviluppare una dipendenza dall’alcol, dal quale è uscito, dopo un periodo di recupero. Oggi Antonello sta bene e ha voglia di riprendersi la sua vita, ma, seppur motivato e con molte competenze, fatica a trovare lavoro, a causa dell’età.
A Pinerolo ci è arrivato in età avanzata e se ne è innamorato. Vorrebbe che ci fossero, però più luoghi di aggregazione, soprattutto per i giovani. Il suo sogno sarebbe quello di avere un laboratorio, in cui insegnare ai giovani l’artigianato artistico che lo ha appassionato.
Fatima è in Italia dal 2002, prima di arrivare a Torino è stata per un po’ di tempo in Francia con un amica.
Si è subito innamorata di Torino e grazie all’aiuto di una famiglia che ha conosciuto, è riuscita ha trovare stabilità e ad imparare la lingua.
Si definisce molto aperta e sempre pronta a nuove sfide ed avventure che la vita le propone, e per questo non si arrende facilmente.
Al primo posto della lista dei desideri c’è il bisogno di lavorare e rendersi utile al prossimo.
Un dettaglio che la caratterizza e senz’altro il suo amore per la cucina. Fatima ama molto cucinare specialmente per chi ama come la sua famiglia.
I professori Diurno e Boglione sono docenti dell'Istituto Galilei da diversi anni e stanno cercando di costruire all'interno della scuola degli spazi sempre più innovativi che possano includere ragazze e ragazzi e rimanere sempre attuali.
L'istituto è stato caratterizzato da una spinta all'innovazione già dagli anni '70, oggi la scelta è stata quella di sfruttare i fondi a disposizione per riuscire a fare in modo che la scuola riesca ad anticipare il mondo lavorativo in modo tale da preparare ragazzi e ragazze al mondo fuori dalla scuola.
Alcuni dei progetti che ci hanno raccontato sono l'attivazione della web Radio, l'istituzione di Alma Diploma, l'introduzione del FabLab, l'organizzazione di eventi periodici aperti alla cittadinanza, l'attenzione alle tematiche ambientali, l'adozione di software di progettazione al passo con l'innovazione tecnologica, la presenza di laboratori ludici e didattici fuori dall'orario curricolare, l'adozione di metodologie didattiche inclusive e non formali e molto altro!
L'obiettivo che vogliono raggiungere è che l'Istituto Galilei venga considerato come un luogo in cui si può stare bene, non solo una scuola ma una realtà in cui tutti i cittadini possano avere la possibilità di sperimentare nuove metodologie e nuove pratiche. Per raggiungere questo obiettivo cercano quotidianamente di mettere al centro i ragazzi e le loro esigenze e stanno implementando una comunicazione social coprogettata con gli studenti.
Fabio ha dedicato la sua vita all'attenzione all'ambiente e alla biodiversità, per questo motivo 14 anni fa ha deciso di trasferirsi a Drubiaglio e successivamente di dedicare la sua attività alla tutela e alla valorizzazione della cipolla di Drubiaglio.
L'azienda produce prodotti seguendo solo un'agricoltura biologica e con una forte attenzione ai prodotti del territorio. Ad Avigliana Fabio si è dedicato non solo all'agricoltura ma ha anche contribuito alla gestione del gruppo di acquisto solidale della città sempre per poter valorizzare il territorio e creare sinergie con altre persone e aziende che condividono le sue passioni.
Il percorso di attenzione e valorizzazione ha portato anche all'acquisizione del marchio DECO per la Cipolla di Drubiaglio, già prodotto bandiera del territorio e con un percorso avviato di riconoscimento da parte di Slow Food.
Paraschiva vive ad Avigliana da vent'anni. In questo periodo ha avuto modo di sperimentare molte attività sia lavorative che ricreative nella città ed è molto felice per l'offerta che viene data ai bambini, in particolare per l'apertura del nuovo parco cittadino Alveare Verde.
Per Paraschiva le grandi difficoltà riscontrate ad Avigliana sono la ricerca di una casa e di un lavoro mentre i suoi punti di forza sono la bellezza dei luoghi e le persone incontrate.
Al momento è molto impegnata nella gestione dei suoi bambini ma è sempre pronta a mettersi a disposizione di altri abitanti che dovessero aver bisogno di una mano!
Michelle vive ad Avigliana da sempre e pensa sia il posto migliore in cui stare nella Valle.
Le sue grandi passioni sono gli animali e stare all'aria aperta. Le piace molto condividere i momenti di gioia con le persone che ha intorno, per questo ha preso l'abitudine di lasciare sassi del sorriso in giro per la Città e spera sempre di poter condividere la gioia del ritrovamento con altre persone.
Oggi lavora per il pedibus di Avigliana ma vorrebbe tornare a fare la segretaria.
Michelle è sempre pronta a nuove avventure e grazie all'apertura del Parco Cittadino Alveare Verde pensa che le occasioni di socializzazione e sperimentazione della città siano aumentate, tra i suoi desideri c'è quello di una città vivibile in tutte le sue parti e di un punto di ritrovo ricreativo anche per gli adulti.
Maurizio ricorda bene quando Madonna di Campagna era...soprattutto campagna. Campagna e fabbriche, in realtà: i fattori pascolavano le vacche proprio di fronte agli stabilimenti industriali, che poi coprirono la zona fino a far scomparire persino il fiume, e dopo alcuni decenni sono scomparse anche loro lasciando di nuovo spazio al verde, quello del Parco Dora.Maurizio ricorda tutto perché non ama dimenticare. Non dimentica le tracce scomparse del suo territorio, tanto da aver realizzato un lavoro specifico per far vivere la memoria delle numerose sale cinematografiche che lo animavano. E non dimentica le origine proprie e della propria famiglia, orgogliosamente friulane, una terra sulla quale non ha vissuto e cionondimeno sente forte come “sua”.Sportivo appassionato, prima calcio, poi podismo, ora ciclismo, con gli amici della zona ha dato vita anche in prima persona a squadre calcistiche, e lo stesso ha proseguito a fare poi nei posti di lavoro che nelle vita ha cambiato. Accanto allo sport, nel suo cuore c'è spazio per la musica, rigorosamente di qualità, con i tanti concerti visti e – spera – quelli ancora da vedere.Il tutto subordinato ai veri, grandi amori: la moglie e le figlie, un mix di Friuli, Sicilia e...Madonna di Campagna.
Anna è la responsabile degli aspetti organizzativi e didattici della sede ENGIM di Pinerolo, dove lavora da 25 anni, occupandosi anche della relazione con i ragazzi e con le famiglie. Franco è il direttore da 6 anni, ma lavora con l’ente dall’81.
Conosciuta come “Il Murialdo”, quella di Pinerolo è la sede ENGIM più grande del Piemonte, “qui ci occupiamo di obbligo di istruzione, corsi per adulti occupati e disoccupati, corsi per disabili, corsi per apprendisti e corsi a libero mercato” - ci spiegano.
L’offerta di corsi di formazione professionale rivolti ad adulti e ragazzi è ampissima: dal settore del benessere, all’elettronica, passando per l’artigianalità della falegnameria, e non solo.
Progetti per il futuro? “Speriamo di aprire già questo settembre il progetto di Impresa Formativa”, un’attività simile a un bistrot o a una bottega per far vivere una vera e propria esperienza di lavoro all’interno della scuola.
Lorenzo ha trent’anni, è nato a Moncalieri, ma ha sempre vissuto a Pinerolo. Dopo essersi laureato in architettura al Politecnico di Torino, ha deciso di concretizzare la sua passione per il food & beverage aprendo tre diversi locali nella città di Pinerolo: dalla cucina hawaiana all’enoteca, non facendosi mancare nulla. Secondo lui infatti, ciò che mancava nella cittadina era un’offerta per lo svago serale e/o notturno dei giovani abitanti, che piuttosto, si spostavano altrove. Un settore, il suo, talvolta oggetto di pregiudizi che ne precludono lo sviluppo.
Il suo tempo libero, seppur poco, è dedicato agli amici di infanzia e alla continua ricerca e scoperta di nuovi prodotti enogastronomici da inserire nei suoi locali.
Lorenzo crede nel futuro che questa città può avere, specialmente per i giovani, ma a parer suo c’è uno “scontro” con la vecchia generazione che si trova ad affrontare una città che anno dopo anno si sta sempre più ringiovanendo: “quando io avevo diciott’anni non c’era questa vita notturna”, e il fatto che oggi l’offerta di locali stia aumentando non dev’essere visto negativamente.
Christian è arrivato in Italia a Giugno dell’anno scorso.
La sua città d’origine è Abidjan in Costa D’Avorio, una città a lui molto cara perché ricca di divertimenti e per gli amici e famiglia che sono ancora li.
Ha lasciato la Costa d’Avorio alla ricerca dell’avventura e nuove opportunità e la prima tappa è stata l’Algeria dove ha vissuto di due anni ed ha lavorato in una boulangerie.
In Costa D’avorio studiava giurisprudenza, diritto sociale, e vorrebbe poter continuare gli studi per aiutare le persone che si trovano in pericolo.
Ama la moda e vorrebbe diventare uno stilista
Andrea riveste 2 ruoli professionali uno pubblico come neo presidente della Pro loco di Pinerolo, l'altro in veste di titolare del bar Caffè del chiosco.
Queste 2 posizioni gli danno la possibilità di ascoltare, accedere, rilevare con modalità differenti i bisogni, le istanze, le problematiche dei suoi clienti e dei suoi concittadini. In veste di neo presidente i suoi sforzi sono orientati a coordinarsi con le associazioni del territorio e con il Comune per progettare, programmare, migliorare il turismo, l'interesse sulla Città di Pinerolo, alcuni esempi sono eventi straordinari come i mercatini natalizi o le manifestazioni di carattere sportivo popolare come la Pinerolo che pedala, la notte dei dehor, senza trascurare la storicità della città che si riscontra nelle istituzioni come il Museo Storico dell'Arma di Cavalleria, Pinerolo culla della cavalleria e dell'equitazione.
Andrea non vorrebbe che Pinerolo apparisse solo come una città di pensionati, sente il bisogno di creare e proporre degli investimenti sui giovani, l'importanza di riconoscere e dare vita e spazi ai cittadini che si propongono per iniziative singole o di gruppo restituendo e riconoscendo agli stessi capacità e iniziativa.
L'ottimismo non manca, le sinergie con le associazioni sono attive, la progettualità, la voglia di fare e sperimentare sono essenziali e da stimolare.
Andrea, attraverso il suo bar che gestisce dal 2012 ha un’interfaccia diversa con i suoi concittadini e/o clienti, bisognosi talvolta di un confidente, di un ascoltatore non giudicante, clienti con cui si intersecano bisogni comuni, dialoghi piu' alla pari, quelli con il barista, incontri anche con persone fragili, o temporaneamente ai margini.
Mauro ha origini veneto piemontesi, risiede a Bruino, 59 anni, gestisce 2 supermercati di cui uno a Piscina di Pinerolo.
Si è diplomato come perito meccanico, nello specifico capo officina, si laurea intorno al 2010 in Scienze amministrative, consulenza del lavoro, facente parte di scienze politiche.
Per Unes riveste il ruolo di responsabile delle risorse umane e responsabile degli acquisti.
Conosce il territorio da circa 24 anni, nelle comunità piccole come quella di Piscina o Bruino ha investito molto, tale investimento non è mai stato disatteso per la facilità ad attivare rapporti e relazioni con i clienti, non solo a titolo commerciale, perché si crea coesione, dialogo, conoscenza che in alcuni casi si trasforma in amicizia.
Il piccolo borgo diventa facilitatore di comunicazioni e affiatamento.
Ha una moglie e 2 figli, per lui il valore della famiglia è essenziale e supportante.
Mauro si specializza da giovane nel settore commerciale e alimentare, ha lavorato in diversi supermercati.
Ritiene importanti le parole educazione, rispetto e riconoscimento del prossimo; per lui nella parola maestro risiede colui a cui dare rispetto, ricevendo conoscenze, possibilità, istruzione.
Si ritiene fortunato per aver costituito un supermercato a carattere famigliare, i suoi dipendenti, che non ama definire così, fanno parte per lui di una famiglia (la seconda) quella lavorativa che con il tempo si trasformano in relazioni più profonde.
Mauro si identifica e reputa essenziali i concetti di inclusione della migrazione, “siamo stati tutti migranti…”
Il cuore di Antonio Cicciarello batte forte per la sua Calabria, la terra natìa, che lui decanta con capacità descrittive che sfiorano il poetico. Ma anche per la Francia, il paese dov'è nata la sua compagna Delphine e per cui prova un'enorme considerazion. E infine per Torino, dove vive da decenni, e in particolare per il quartiere di Madonna di Campagna, che è la base in cui ha installato “Impresa & Territorio”, una realtà multiforme che affaccia proprio sulla Spina Reale.Si tratta di uno spazio dove Antonio mette a frutto la sua esperienza di consulente d'azienda, e che lo porta a gestire in maniera manageriale anche questa realtà, dove trovano spazio altre aziende quando lo vogliono, ma anche i residenti che possono trascorrervi dei momenti piacevoli, ballando, giocando, partecipando alle attività ricreative e culturali che la mente vulcanica del suo ideatore partorisce a getto continuo.L'ultima è il Coordinamento TO 5, una rete di comitati, associazioni e gruppi informali della Circoscrizione 5 di Torino, un'iniziativa dallo stampo prettamente culturale che per Antonio significa altro tempo da investire, e tanta stanchezza in più. Ma, come dice lui, è una stanchezza bella.
Skander è un ragazzo di 18 anni che viene dalla Tunisia, è un ragazzo molto sorridente e solare che sta cercando la sua strada.
In Italia da 1 anno ha lavorato nel campo della ristorazione come aiuto cuoco e lavapiatti, appassionato di calcio e del mare, gli piace imparare e si butta in nuove sfide senza troppo timore.
Riccardo ha da poco conseguito la maturità scientifica è appassionato di appassionato di arte e sta studiando per riuscire ad entrare al corso di design del Politecnico, in attesa del test sta imparando da autodidatta ad utilizzare diversi programmi per il design e il disegno digitale, anche attraverso l'uso della tavoletta grafica.
Un ragazzo con tanta determinazione e forza di volontà, si è appassionato in questi anni al kalistenics, disciplina di allenamento a corpo libero, per cui sono necessarie tante ore di allenamento che però come lui ci spiega, da tanta soddisfazione.
Riccardo vorrebbe andare all'università e studiare, ma anche trovarsi un lavoro per diventare indipendente economicamente, è una persona con le idee chiare che sa cosa vuole e che ce la sta mettendo tutta per ottenerlo.
Piero Alberto ha 21 anni, viene dal Perù ed è in Italia da 3 anni, ha già seguito un primo corso di sala bar e avuto esperienze lavorative in alcuni locali.
Quello che ama di questa professione è la possibilità di essere a contatto con le persone, con la sua personalità calma e tranquilla è in grado di portare serenità a tutti i lunedì mattina. E' affascinato dalla colazione all'italiana, cappuccio e brioche, mentre a Lima era solito bere un succo e farsi due uova.
Il suo sogno nel cassetto è aprirsi un bar tutto suo, fatto di mescolanze tra i suoi due mondi, se lo aprirà in Perù, gli piacerebbe far conoscere la colazione italiana e i cocktails più comuni che si bevono qui, invece se il luogo prescelto per l'apertura sarà l'Italia allora saranno i sapori e le usanze peruviane ad arrivare.
Peace ha 19 anni, viene dalla Nigeria ed è qui in Italia da 2 anni, va a scuola e gli piace l'informatica e la tecnologia. Gli piacerebbe continuare a studiare per mettersi alla prova e continuare a sviluppare la sua intelligenza e aumentare la cultura.
Gli piacerebbe poter lavorare del campo della ristorazione perché ama parlare e stare con le persone, si definisce un buon ascoltatore.
Ama la musica ma non troppo ballare.
Nahawende ha 18 anni ed è arrivata da sola in Italia dalla Tunisia 1 anno fa.
Ora vive con altre 4 ragazze provenienti da diversi paesi del mondo e va a scuola di italiano 6 ore al giorno, nel tempo libero le piace uscire con amiche e amici. In futuro le piacerebbe riprendere gli studi interrotti.
Marcela, una nessuna e centomila. Ha 20 anni, va al liceo socio-sanitario e ha tante ambizioni per il suo futuro. Vorrebbe studiare medicina o infermieristica o ingegneria o scienze biologiche, insomma ama la scienza e le persone, e vorrebbe trovare il percorso di studi che le permetta di coniugarle.
E' una ragazza che ha già avuto esperienze lavorative, riuscendo a coniugare studio e lavoro, anche se con molta onestà intellettuale è stata in grado di scegliere a quale lati della sua vita dare più spazio. Una persona realista e concreta, entusiasta per la vita e il mondo, molto sensibile, è un'attenta osservatrice che ha bisogno di capire e si dedica il tempo necessario per farlo.
Nel suo tempo libero ama uscire con le amiche, conoscere e ascoltare i mondi attorno a lei, le piace disegnare le sfumature che vede negli occhi delle persone che incontra e leggere i grandi classici che le aprono la mente.
Marcello Malandra assieme alla mamma già titolari del locale “Inside”, hanno rilevato due anni fa il "Km 5".
Il locale si trova in via San Domenico a Torino, in pieno quadrilatero romano, un quartiere storico della città che si contraddistingue per la presenza di numerosi ristoranti e cocktail bar.
Con l’acquisizione del locale, Marcello e la mamma hanno modificato e sviluppato l’attività passando da una ristorazione prettamente serale ad un’attività che copre tutto l’arco della giornata con colazione, pranzo, apericena e dopo cena.
La positiva atmosfera familiare che regna fa sì che nel locale i collaboratori, quasi tutti ragazzi giovani, si sentano un pò come a casa, dando ognuno il meglio delle proprie possibilità.
Un nuovo progetto aleggia e riguarda la prossima apertura nei pressi di Piazza Savoia in uno dei più storici palazzi Torinesi, Palazzo Barolo.
Davide inizia la sua esperienza lavorativa nel campo della ristorazione giovanissimo, gestendo un circolo per studenti e nel contempo faceva catering per vari circoli quali i Roveri, il Circolo della Stampa, Basic Net dove a Marzo 2020 ha preso in gestione il locale dentro lo spaccio aziendale della Robe di Kappa.
L’inizio dell’attività ha coinciso purtroppo con quello della pandemia, per cui Davide ha dovuto reinventarsi il lavoro facendo principalmente asporto.
Ora ad emergenza finita l’attività ha ripreso il suo normale corso, con buone prospettive di crescita e assieme al fratello ha già avviato una nuova iniziativa nel quartiere di Santa Rita ed ha in programma un'ulteriore apertura in Sardegna.
Mamadou ha 24 anni, da 7 in Italia, in Gambia era falegname. Arrivato qui ha seguito corsi e fatto esperienze in falegnameria, edilizia, come mulettista, cameriere, autista, lavapiatti e aiuto cuoco; se avesse potuto studiare, gli sarebbe piaciuto diventare maestro perché ama i bambini.
Parla 5 lingue: inglese, arabo, francese, italiano e il dialetto mandinka,
Mamadou è alla ricerca di un lavoro nel campo della ristorazione, trasmette serenità e affidabilità, con un curriculum di una persona che si da da fare e che non ha paura di mettersi in gioco e di imparare.
Gli piace fare piccoli viaggi alla scoperta del territorio, ha visitato quasi tutta Italia, ama la montagna, andare in bicicletta e ballare a ritmo di musica.
Kadiaiatou ha 24 anni, da 4 in Italia e con esperienza come aiuto cuoca in cucina di ristoranti e bar, ha fatto anche un corso di formazione come operatrice socio-sanitaria.
Ama le passeggiate e la musica, in Costa d'Avorio il suo sogno era diventare dottoressa. Ora in Italia vorrebbe ritrovare la sua indipendenza con un lavoro stabile che le permetta di essere autonoma e magari ricominciare a studiare.
Janet ha 22 anni ed è in Italia da 5 anni e ha sempre lavorato nel campo della ristorazione e sala bar. Si occupava della preparazione dei piatti, della caffetteria e della pasticceria.
Le piacerebbe anche iscriversi a qualche corso in cui imparare a fare manicure e trucco per aumentare le sue possibilità di impiego.
Janet è una ragazza sveglia, che sa di cosa ha bisogno e cosa deve fare per ottenerlo.
Great detta Greta, 24 anni, cittadina del mondo, nata in Libia ma di nazionalità Nigeriana è in Italia da 6 anni.
E' mamma di 2 bambini e ha energia da vendere, nonostante la vita l'abbia messa a dura prova non ha mollato e mette il sorriso, la vivacità e la tenacia in ogni sua espressione.
Greta, una vita tutta da vivere, finalmente in una città in cui si può fermare e iniziare a costruirsi il futuro. Le piacerebbe studiare panificazione e pasticceria, ama la cucina, in Libia i suoi genitori gestivano un ristorante e lì si è appassionata al mondo della ristorazione e del bar.
Un mondo che le permetterebbe di tirar fuori tutto il suo potenziale, l'amore per la cucina e quello per le persone, per i rapporti umani e per lo stare bene insieme.
Francesco ha 24 anni e tanta esperienza nel mondo della cucina. Diplomato in una scuola alberghiera, ha fatto esperienze come aiuto cuoco durante gli studi, poi si è iscritto ad economia per poi congelare la sua carriera universitaria, nonostante abbia anche fatto esperienza in uno studio di un commercialista.
Dopo questa parentesi economico-matematica, ha ripreso a lavorare come aiuto cuoco e cuoco durante le stagioni, anche all'estero, arrivando a gestire un'intero staff in cucina, riuscendo a coniugare il lavoro con l'altra sua passione: la danza hip hop e break dance, ha tenuto per diversi anni laboratori e corsi di danza.
Altra grande passione è quella per la lettura e per i fumetti, di cui è un collezionista.
Il luogo di lavoro ideale per Francesco è un posto in cui si lavora con rigore, organizzazione, tecnica e precisione, ma allo stesso tempo un luogo stimolante in grado di offrire sempre nuove sfide e competenze da apprendere.
Francesco è un ragazzo molto attivo, con tanti hobby e passioni, che cerca nel lavoro un posto felice in cui recarsi tutte le mattine con il sorriso e che sia in grado di accogliere e stimolare il suo entusiasmo verso le novità, che gli dia la possibilità di crescere e mettersi in gioco ogni giorno.
Federico ha 21 anni, tanta esperienza nel mondo della ristorazione perché tutta la sua famiglia gestisce bar e locali a Torino.
Affascinato da questo mondo sempre a contatto con le persone, ha scelto di studiare in una scuola alberghiera, specializzandosi in sala bar e caffetteria.
In questo momento sta lavorando nel bar di suo padre, ma il suo desiderio di autonomia e indipendenza è forte e vorrebbe mettersi in gioco in contesti non 'familiari'.
E' un ragazzo molto solare e attivo, gli piace fare lunghe passeggiate con le cuffie nelle orecchie, ama la musica e lo sport, ma anche leggere libri e fumetti, per immergersi in mondi sconosciuti che non ha ancora potuto visitare.
Gli piacerebbe tanto viaggiare per il mondo e visitare grandi metropoli come Cuba, Hong Kong, Pechino e Napoli, città natale della sua nonna che spesso va a visitare durante le sue passeggiate solitarie.
Il sogno di Federico è l'autonomia, vorrebbe trovare un lavoro stabile per poter andare a vivere da solo e iniziare il suo percorso di vita indipendente, avere la possibilità di viaggiare e scoprire il mondo, e chissà magari un giorno aprirsi un locale tutto suo.
Fabio ha 20 anni, ha studiato per 4 anni come grafico pubblicitario per poi rendersi conto che lavori statici e al computer non erano la sua strada, ha lasciato la scuola per iniziare il suo percorso nel mondo del lavoro.
Ha fatto qualche esperienza in una ditta di traslochi e ora sta frequentando un corso di formazione nel campo della ristorazione e sala bar.
Gli piace cucinare e sicuramente ha voglia di sperimentare e sperimentarsi anche in questo settore, amante dei viaggi e del mondo ha voglia di partire per scoprirlo, per vedere cosa c'è oltre il nostro modo di fare le cose.
Parla francese e inglese a livello scolastico, con il desiderio di migliorare con la pratica, ama la musica, soprattutto quella rap.
Fabio è un ragazzo che sta cercando la sua strada e che ha voglia di trovarla, facendo tante esperienze che potrebbero aiutarlo a scoprire se stesso.
Elena Pozzallo è nata, cresciuta e tuttora vive a Oulx (TO). Attiva a 360° nella comunità grazie alle diverse associazioni che la animano. Il territorio e la sua popolazione è cambiata: nel tempo le proposte e le associazioni si sono strutturate, favorendo una sinergia.
Negli ultimi anni, Elena è una volontaria attiva del Rifugio Fraternità Massi di Oulx (TO) gestito dalla Fondazione Talità Kum Budrola Onlus. Il centro di accoglienza è stato aperta nel mese di settembre 2018, destinato ai migranti di passaggio in alta Valle di Susa. Secondo Elena, questa emergenza e la conseguente apertura del Rifugio ha messo in luce un fenomeno che caratterizza l'epoca moderna. La popolazione ha risposto positivamente a questa apertura: presentandosi come volontari, portando vestiti o altri oggetti utili, ad esempio.
La necessità, secondo Elena, è di creare uno spazio polivalente, che diventi un punto di incontro per la comunità.
Si chiama Vitale, ma tutti lo conoscono come “Bunna”, il cantante del gruppo reggae “AFRICA UNITE”.
Pinerolese da sempre, si è diplomato in Ragioneria e, dopo aver fatto diversi lavori (tra cui anche il falegname, con lo zio), ha dedicato la sua vita alla musica ed è ben felice di poterlo considerare il suo lavoro a tutti gli effetti. Il successo lo ha raggiunto già a fine anni ’80, quando gli Africa sono diventati un gruppo di livello internazionale: ha viaggiato in tournè in tutta Italia e in buona parte d’Europa, diventando una delle voci più conosciute del panorama Reggae; ciò nonostante, ha sempre mantenuto un forte senso di appartenenza con il territorio Pinerolese, del quale ha sempre colto il lato provinciale, ma stimolante. Oggi è anche un padre di famiglia, con due bambini, ma riesce comunque a conciliare musica e vita privata.
Per Pinerolo è un punto di riferimento: collabora con diversi musicisti locali, favorendo artisti emergenti, ma prende anche parte a eventi culturali; non ha mai puntato ad essere un personaggio ed è ben contento di essere riconosciuto più per le sue qualità umane, che per il curriculum.
Vorrebbe che il territorio fornisse maggiori possibilità di aggregazione per i giovani e luoghi di ascolto, per intercettare i bisogni degli individui. Ritiene che ci sia l’urgenza di affrontare in modo concreto l’emergenza ambientale e si fa promotore di eventi di divulgazione su argomenti green.
Simone ha 22 anni, è nato e cresciuto a Torino da papà Croato e mamma Romena.
Il suo sogno è quello di fare il parrucchiere, una passione che coltiva da autodidatta, ma che gli piacerebbe trasformare in una professione con l'esperienza e la pratica. Ama molto anche cucinare e gli piacerebbe imparare il mestiere del pasticcere.
Vorrebbe lavorare in un gruppo di lavoro e non da solo, per poter ricominciare a socializzare dopo la pandemia da covid-19, gli piacerebbe anche ricominciare ad organizzare le partite di calcetto con gli amici.
Non ama tanto il posto in cui vive e vorrebbe trasferirsi in un quartiere più centrale e tranquillo.
Samuel ha 19 anni, ha frequentato il primo anno di un istituto tecnico a Torino per poi decidere di abbandonare gli studi per problemi economici, le materie che preferiva erano storia e scienze.
La vera passione di Samuel però, sono i viaggi, per scoprire nuovi luoghi e culture, conoscere persone e culture differenti e aprirsi la mente.
E' una persona socievole, che vorrebbe lavorare a contatto con il pubblico, ed è disposto ad imparare e a mettersi in gioco. Madrelingua italiana, parla anche lo spagnolo e vorrebbe imparare l'inglese proprio per poter girare il mondo.
Samuel è un nostalgico degli anni '80-90, anche se li ha conosciuti solo attraverso la musica che ascolta, musica che lui definisce "senza bandiere", di tutti i luoghi e di tutti i generi, con una predilezione per il blues e il jazz.
Alex ha 21 anni, cresciuto a Torino, con una passione per la tecnologia e l'informatica, ha imparato ad aggiustare strumentazione tecnologia da autodidatta, non è riuscito a proseguire gli studi, ma gli piacerebbe tanto diventare un tecnico informatico.
In attesa di poter eventualmente riprendere gli studi, Alex desidera un lavoro per riuscire a trovare la sua indipendenza, gli piacerebbe trovare una casa e andare a vivere da solo.
Gli piacerebbe lavorare a contatto con il pubblico, come barista o addetto alle vendite in qualche negozio di elettronica, quello che gli piace di queste tipologie di lavori è la possibilità di rispondere alle esigenze delle persone, "di dargli quello di cui hanno bisogno".
Nel suo tempo libero Alex gioca a calcio con gli amici e ascolta la musica hip hop, gli piace anche la musica tradizionale Croata, lingua che non parla ma che comprende oralmente, è madrelingua Italiana e Rom.
Lo European Research Institute nasce nel 2009 da un gruppo di amici, ex compagni di scuola che mettono insieme le proprie competenze e le proprie storie in un ente che cerca di mettere in pratica una visione comune.Fra questi c'è Federico, che ci racconta la storia dell'associazione, e di come nel 2014 questi inizi il proprio rapporto con via Foligno n. 14 allorquando la Ozanam House diventa un C.A.S., un centro di accoglienza straordinaria per persone straniere richiedenti asilo, quasi tutte di nazionalità pakistana; ora, da un paio d'anni la funzione della struttura è cambiata, ed E.R.I. accoglie famiglie e singoli in situazione di emergenza abitativa, nell'ambito di un patto con il Comune di Torino. Federico cerca di aiutare i beneficiari di questo progetto a integrarsi, specie attraverso gli inserimenti lavorativi.Ma l'associazione fa anche altro, opera nel settore delle politiche sociale con varie attività e poi in quello della tutela dell'ambiente, per esempio sull'inquinamento da plastiche nei mari e negli oceani del mondo.Federico conosce ormai piuttosto bene il territorio di Madonna di Campagna, che vede come strutturato per essere un quartiere-dormitorio, e cerca anche lui personalmente a farsi trovare pronto per creare occasioni d'incontro fra le persone insistendo sul fatto che debbano essere gratis, perché la povertà ha colpito in maniera pesante le famiglie residenti.
Darius ha 19 anni, è un ragazzo che ama la tranquillità e l'organizzazione sul lavoro, è diplomato in studi alberghieri e vorrebbe iniziare il suo percorso lavorativo in uno degli eleganti bar di Torino, dove a suo dire il lavoro è ben organizzato e rigoroso.
Specializzato in sala bar, ama questo lavoro perché gli permette di stare a contatto con le persone, di entrarci in relazione mentre si lavora.
Ama viaggiare anche in solitaria, cuffie nelle orecchie e passo sicuro, però ama la città in cui è cresciuto, si sposterebbe da Torino solo per lavoro che è la sua più grande necessità al momento.
Nel suo tempo libero Darius si allena in palestra e va in bicicletta, esplorando la sua città e le colline che la circondano.
Benson ha 28 anni ed è in Italia da 5, è alla ricerca di un lavoro e sta svolgendo diversi corsi di professionalizzazione nel settore bar, ristorazione e cucina. Ha frequentato anche una scuola per diventare mediatore culturale e parla 3 lingue, italiano, inglese e pidgin.
In Nigeria oltre a frequentare la scuola dell'obbligo, lavorava come addetto all'interno di un locale per scommesse.
Benson è un'anima artistica, gli piace disegnare, ama la musica, in particolare il rap, scrive canzoni che parlano di sé, e balla hip hop.
Verano nasce nel 1956, a Pinerolo, secondo di 9 fratelli. Oggi è il titolare del negozio Chiale, una realtà nata nel 1889, a conduzione familiare: il fondatore dell’azienda era il suo bisnonno, che ai tempi svolgeva il lavoro di calderaio (stagnava l’interno di pentole e tegami in rame, per evitare che rilasciassero sostanze nocive). In questi decenni, la ditta si è trasformata, adattandosi alle esigenze del mercato, passando dall’essere una realtà artigiana, al diventare un polo commerciale, con due negozi (uno a Pinerolo e uno a Saluzzo) ed un mobilificio. Ditta a conduzione familiare, in cui ogni fratello ha un proprio ruolo di responsabilità, a seconda delle proprie attitudini e competenze, ma con più di trenta dipendenti, che vengono considerati parte della famiglia allargata.
Verano ha studiato per diventare geometra, andando a scuola al mattino e (come tutti i suoi fratelli) aiutando i genitori in negozio al pomeriggio, un po’ per gioco, un po’ per senso del dovere; tuttavia, appena ha finito gli studi, in modo naturale ha cominciato a lavorare a tempo pieno, partecipando attivamente all’espansione e all’ammodernamento dell’azienda, che continua a gestire con i fratelli, anche oggi che ha raggiunto l’età pensionabile.
Molto attento ai bisogni del territorio, si dedica al volontariato e alla beneficienza, sia a titolo personale, che a nome del marchio “Chiale”: gli ambiti nei quali agisce sono il sostegno alle povertà, la valorizzazione e la salvaguardia del suo territorio, dei monumenti e dell’ambiente; crede molto nella necessità dell’alternanza scuola-lavoro, occasione formativa per generazioni di giovani, sempre meno abituati alla fatica e al sacrificio. Nel tempo libero, si dedica allo sport (tennis, sci e ciclismo) e alla famiglia.
Michelle ha 24 anni, da quasi 5 è in Italia, dopo essere venuta a trovare sua sorella ha deciso di fermarsi, anche se la sorella ora vive nel sud Italia, lei ha deciso di restare a Torino, le piace il fresco.
In Nigeria aveva iniziato l'università per diventare farmacista, le piace prendersi cura delle persone e aiutarle a stare meglio.
Qui a Torino, vorrebbe trovare lavoro per diventare indipendente, ha seguito diversi corsi sulla ristorazione, come sala, bar, collaboratrice in strutture alberghiere, cucina. Le piacerebbe trovare un impiego come barista ma ama molto anche cucinare, ora sta imparando i piatti delle tradizione italiana come gli gnocchi e le lasagne.
Oltre alla cucina, Michelle ama molto anche il canto, i viaggi e lo sport, ha anche una capacità incredibile nell'imparare le lingue, ne parla ben 4 (inglese, francese, italiano e arabo) imparate solamente ascoltando e parlando con le persone incrociate nella vita.
Rossano, imprenditore da più di 25 anni, si occupa di ristorazione ed ha aperto undici anni fa ha aperto il primo locale “Lino passami il vino” a Torino nord, a cui sono seguite nuove aperture negli anni successivi.
La denominazione dell’attività fa riferimento al nome del fratello di Rossano, anche lui uno dei soci.
Il prodotto tipico del locale è “l’arrosticino”, cibo tipico abruzzese costituito principalmente da carne di pecora e cotto esclusivamente al carbone.
A partire dalla fine del mese di Marzo, il locale di C.so Siccardi, nel pieno centro della città di Torino, oltre al tradizionale menù con protagonista l’arrosticino, proporrà anche una degustazione di vini con incontri coi produttori.
Martina eclettica ragazza, un pò barista, un pò cuoca e un pò pittrice, assieme alla sorella Alice hanno deciso di lanciarsi nel mese di Aprile del 2019 in una nuova avventura aprendo questo locale battezzandolo “Le sorelle bistrot”.
Una leggenda aleggia sul locale e narra che vent’anni fà due sorelle, una cuoca ed una barista, “Le Wonder Woman”, iniziarono l’attività chiamando il locale “ Wonder bar”. L’attività nel corso degli anni è cresciuta molto tant’è vero che venne assunto un barista che a sua volta portò suo fratello, cuoco, ed insieme rilevarono l’attività.
Subentrò un’altra gestione che assunse Martina la quale in seguito portò la sorella, barista, ed insieme come le prime due sorelle rilevarono il locale.
Si dice che l’attività tornata nuovamente alla gestione di due sorelle sia ben augurante.
Dalle sorelle l’atmosfera è molto calda e si è messi subito a proprio agio.
Dai primi di Aprile il locale dopo le ore 16 cessa la sua attività di bistrot e diventa a tutti gli effetti una piola con pane, salame e vino per tutti.
Il Forno Ricca nasce da un’idea di Maurizio assieme ad altri due soci circa un anno fa.
Maurizio e il socio Davide, che si occupano prettamente di comunicazione e marketing hanno sviluppato l’idea dal punto di vista commerciale, mentre Davide Castoldi che è uno chef si è occupato di tutto ciò che riguarda il food and beverage.
L’iniziativa è una start-up nata in sei mesi durante il periodo pandemico e porta con sé un brevetto, la focaccia, che rispetta le antiche tradizioni produttive e delle materie prime che compongono l’impasto. Per arrivare alla commercializzazione del prodotto si è dovuta attuare una sperimentazione che è durata 30 mesi con oltre 1000 test di prodotto.
Nei prossimi quattro anni sono previste diverse aperture di locali lungo l’asse portante dell A4, Piemonte, Lombardia e Veneto.
A Torino il Forno Ricca è presente con due locali, uno in Via IV Marzo e l’altro in Via Sant’Ottavio.
Abdiraxiin è un ragazzo di origine somala, arrivato in Italia un anno e mezzo fa, che attualmente vive a Borgiallo. Dopo i primi corsi di alfabetizzazione, Abdiraxiin sta frequentando la terza media al CPIA di Rivarolo, un po' lontana con i mezzi pubblici rispetto al luogo in cui vive, ma dove ha migliorato la conoscenza della lingua italiana. Inoltre, Abdiraxiin parla somalo, arabo e un po’ di inglese e ha frequentato un corso di alcuni mesi sulla coltivazione dell'orto e uno per diventare muratore, dopo i quali ha potuto svolgere degli stage e lavorare sul territorio. Come gli altri ragazzi italiani, Abdiraxiin vorrebbe andare all’università e sogna di diventare un dottore, in modo da poter aiutare le persone che a volte non hanno accesso alle cure.
Gli obiettivi per il futuro sono terminare la terza media e trovare lavoro e casa nei luoghi che Abdiraxiin conosce e che sente come se ci avesse sempre vissuto perché le persone sono gentili con lui.
Luca è nato e cresciuto a Pinerolo, dove ha iniziato a collaborare con un’associazione culturale fin dai tempi del liceo per poi specializzarsi in progettazione sociale e culturale.
Oggi è il coordinatore dell’Ambulatorio sociale e del progetto più recente Sinergie. L’idea è quella di creare una rete delle associazioni presenti sul territorio: “tramite la condivisione di spazi e esperienze, cerchiamo di far nascere delle sinergie, collaborazioni e forme di mutualismo” - spiega. Sono tante e variegate le attività che si svolgono all’interno degli spazi messi a disposizione da Sinergie: dai corsi di formazione specifici per gli operatori del terzo settore, alle attività pratiche e al dopo scuola per lo più rivolte a famiglie con background migratorio.
Guardando al futuro, Luca si augura maggiore partecipazione, “che gli spazi siano vissuti” e che ci siano più scambi possibili tra le persone. “Abbiamo sempre avuto ottimi rapporti con tutti, ma la maggiore criticità rimane quella di far nascere effettivamente nuove collaborazioni tra le associazioni già esistenti”.
Elisa, project manager per diversi anni e con una forte passione per la pasticceria, ha sempre avuto il desiderio di aprire un’attività propria. Il sogno si concretizza tre anni fa con la nascita di I dolci di Elisa, uno spazio che è biscotteria, pasticceria e caffetteria.
Tutto ha inizio con una vacanza in Alto Adige con i genitori, dove Elisa scopre i biscotti speziati, esperienza che la porta ancora oggi a ricercare nelle tradizioni dolciarie austroungarica e inglese nuove commistioni.
Parallelamente, la pasticceria lavora con l’obiettivo di permettere a chiunque di mangiare dolci, creando soluzioni senza latticini e glutine e ospitando al proprio interno i ragazzi in stage provenienti dai corsi di formazione professionale.
Angelo ha 24 anni e, a seguito del percorso in ambito meccanico, ha lavorato in un’azienda metalmeccanica come operaio per poi passare alla progettazione e al disegno dei pezzi.
Stanco del lavoro da impiegato, nove mesi fa Angelo decide di lasciare il posto fisso, iniziando a lavorare come pizzaiolo ed entrando nell’ambito della ristorazione, una delle sue grandi passioni.
Attualmente Angelo è alla ricerca di nuove esperienze e a breve inizierà una stagione in Trentino-Alto Adige, per poi spostarsi in Australia. Secondo lui il territorio d’origine manca di possibilità di crescita, spesso per mancanza di fondi e investitori, situazione che lo ha portato a scegliere di viaggiare e accantonare momentaneamente un suo progetto imprenditoriale. L’obiettivo per il futuro è quindi aprire e gestire una propria attività ristorativa, con la convinzione e la determinazione che chiunque possa raggiungere gli obiettivi prefissati.
Oltre alla ristorazione, Angelo ha praticato molti sport e da circa tre anni si dedica alle arti marziali.
GASnavese è un Gruppo di Acquisto Solidale composto da persone che si associano per acquistare insieme prodotti possibilmente locali, che rispettino l’ambiente e la legalità.
Il gruppo è nato all’interno dell’associazione Banca del Tempo e si pone l’obiettivo di ridare alle persone la consapevolezza dei meccanismi produttivi e di come l’acquisto sia una scelta in grado di modificare il territorio e le persone al tuo interno. Agendo secondo meccanismi etici e di valorizzazione del lavoro, gli associati ridanno una storia a ciò che si acquista, creando rapporti di solidarietà e reciproca conoscenza tra acquirente e venditore.
Per il futuro il gruppo vorrebbe riuscire ad aumentare il numero dei produttori, offrendo un paniere sempre più vario e in grado di sostituire la spesa al supermercato, e incentivare la conoscenza delle aziende sul territorio attraverso visite e scambio di buone pratiche.
Bomber Comics è la fumetteria che Manuele, soprannominato Bomber dai tempi delle scuole superiori, ha aperto dieci anni fa, trasformando la sua grande passione per i fumetti in professione. In questo luogo è possibile trovare tutto ciò che ruota attorno alla cultura pop: dal gioco da tavolo e di ruolo al manga, oltre ad una sezione di musica in vinile e audio video.
La fumetteria non è la prima sul territorio rivarolese, ma è attualmente l’unica, inserendosi in un settore molto vivace che, nonostante le restrizioni pandemiche, sta riuscendo a riprendersi. Prima del lockdown, Manuele organizzava infatti tornei di giochi da tavolo e di carte, oltre ad ospitare fumettisti e creare momenti di scambio tra appassionati in un luogo che gradualmente si è trasformato in spazio di aggregazione. Per il proprietario l’aspetto centrale è proprio incentivare la lettura e la creatività tra i giovani, stimolando le passioni di ognuno e creando contesti in cui le si possa condividere senza pregiudizi.
La passione di Manuele è così condivisa con le tre figlie e la moglie, entrata a tutta gli effetti nell’attività, e i progetti futuri sono riprendere le attività dal vivo e creare un sito per la vendita online.
Favour è una donna di 31 anni che arriva dalla Nigeria, con un passato difficile da lasciarsi alle spalle e alla ricerca di un futuro migliore.
In Italia dal 2008, ha lavorato in tanti ambiti, dalla ristorazione alla grande distribuzione, ha partecipato a tanti progetti per cercare di trovare una stabilità lavorativa, è una persona che ha voglia di mettersi in gioco e di sperimentare, non ha paura di imparare cose nuove e di lanciarsi in nuove sfide.
Fiera di sua figlia di 18 anni rimasta in Nigeria per studiare Medicina, ora Favour ha voglia (e bisogno) di trovare un nuovo lavoro che le permetta di vivere e mantenersi, ma anche di aiutarla a capire quale può essere la sua strada, cosa le piace fare e quello per cui è portata.
Da quando ha 10 anni ama creare acconciature, intrecciarsi e intrecciare i capelli, è un sapere che si è formata tutto da sola, provando e riprovando, anche se non vorrebbe diventasse la sua attività principale.
Fulvio da 10 anni, da quando è andato in pensione, ha deciso di mettere il suo tempo e le sue energie a disposizione della città di Avigliana e dei suoi abitanti.
Nella sua esperienza da volontario e da cittadino attivo per un periodo ha anche scelto di dare il suo contributo all'interno dell'amministrazione cittadina. Questo percorso gli ha permesso di comprendere meglio quali sono le potenzialità e le criticità della città.
Oggi dedica buona parte del suo volontariato per progetti volti alla socializzazione e alla cura dell'ambiente. Attraverso l'associazione sportiva IRIDE sono diversi gli eventi organizzati sul territorio, dal Plogging alla Via Francigena Marathon, e tra i primi obiettivi che si sono dati per riuscire a tutelare il territorio e portare dei cambiamenti c'è quello di sensibilizzare le amministrazioni comunali.
Lebban Kheltoum, per tutti più semplicemente “Khati”. Oggi ha 42 anni, e poco meno della metà li ha trascorsi in Italia, un paese che conosce più di molte persone che qui ci sono nate: ha vissuto a Varese, poi a Mantova, in Sicilia, a Venezia, a Roma, a Trento, lavorando soprattutto negli alberghi come cameriera, lavapiatti, aiuto cuoca. E poi, a Torino.Ma non è arrivata come una turista, no: ai suoi figli, due peperini gemelli di 9 anni matti per il calcio, lei mostra in tv le immagini dei barconi che attraversano il Mediterraneo in cerca di un futuro, e spiega loro che “la mamma è arrivata così, come quella povera gente”. E loro spalancano gli occhi e dicono “Mamma, meno male che tu ti sei salvata!”.No, non ha fatto la turista, ha lavorato duramente per mantenere se stessa e la sua famiglia, favorendo l'ingresso nel belpaese di fratelli e nipoti e aiutando tutti quanti, un intero gruppo di parenti che contava su di lei. Tratto distintivo della personalità di Khati è la capacità di ricominciare da zero, più e più volte. Ha avuto la forza di tornare al suo paese natìo, di diventare mamma e di lasciare temporaneamente i suoi figli per ricostruire in Italia una vita migliore per se stessa e per loro. Ora, a Torino si è da pochissimo trasferito sul territorio di Madonna di Campagna, ma per lei conoscere luoghi nuovi non è proprio un problema.
Le Rondini è un ristorante in Piazza della Repubblica a Torino, aperto dal padre di Stefano nel 2004, attività nella quale sono entrati immediatamente anche Stefano e suo zio.
Ormai da diciotto anni Stefano segue l’attività, impegno che è aumentato, insieme allo zio, dopo che è venuto a mancare il padre.
La denominazione “ le Rondini” prende il nome dallo stemma di famiglia, è un locale a gestione familiare aperto sia a pranzo che a cena e come sua specialità vanta prodotti di loro produzione come il riso "Acquerello" ed i vini della cantina Villa Fiorita.
Il locale è molto apprezzato dai turisti Francesi che appositamente vengono dal loro paese al mercato di Porta Palazzo.
Alberto Corrado, musicista da sempre, fa parte come direttore artistico sin dal 2017 dell’Arteficio, insieme al socio Stefano Bernardi che si occupa della parte gestionale amministrativa.
L’Arteficio è un Centro Culturale situato in via Bligny interessato ad ogni forma artistica come musica, teatro, fotografia, pittura, danza.
I suoi spazi sono a disposizione degli artisti già affermati e non, nei quali ognuno è libero di esprimere al meglio le proprie sensazioni, nuove idee e progetti.
E' un luogo di confronto tra diverse realtà e generazioni dove è sempre presente la socialità tra le varie culture e idee.
Molte sono le progettualità per il prossimo futuro, sempre alla ricerca di nuovi stimoli che li portano ad affrontare con positività le prossime sfide.
Alberto Mossotto è direttore commerciale e marketing dell’azienda gastronomica Galup, nata nel 1922.
Durante la crisi del 2013/2014 l’azienda viene rilevata e alcuni spazi ristrutturati: alcuni di questi non erano mai stati modificati dal 1949.
Alberto racconta che negli ultimi anni c’è stato un grande lavoro sul packaging e ricorda che oltre all’amato panettone, la produzione riguarda circa 350 prodotti.
Il filo conduttore che l’azienda cerca di mantenere è la qualità, come dimostra la glassa nocciole IGP. Il percorso per raggiungere la sostenibilità è difficile ma avviato. L’intento è quello di continuare a festeggiare sulle tavole degli italiani e diversificare: i prodotti senza glutine piacciono, così come le collaborazioni con gli chef stellati. Questo naturalmente comporta un aumento dei prezzi ma il riscontro coi clienti è sempre stato positivo, anche durante la pandemia.
“Ci siamo accorti che online compravano anche persone over 50, questa è stata una soddisfazione!”.
Obiettivi futuri? Espandersi a livello mondiale tramite i social. Galup mantiene i rapporti con il territorio: “ ad esempio, siamo sponsor del Pinerolo FC e cerchiamo di aiutare le realtà territoriali, anche se il futuro è l’estero, manterremo sempre le nostre radici nel pinerolese”.
Marco è un ingegnere meccanico di 53 anni, che da molti anni lavora in un’azienda che si occupa di stampa in 3D. Ha dedicato la sua vita prima allo studio, poi al lavoro. Nel tempo libero gli piace giocare a calcetto con gli amici. É l’attuale presidente del Rotary Club di Pinerolo, un’associazione di servizi, nata nel 1905 negli Stati Uniti e presente in tutto il mondo. Nel suo anno di mandato, Marco tiene le fila dei vari progetti, rappresentando l’associazione sul territorio. La sede pinerolese viene fondata nel 1955 e conta attualmente 69 soci iscritti. Il suo spirito conviviale ha come scopo di raccogliere idee e risorse per soddisfare le necessità del territorio, promuovendo non solo l'alfabetizzazione, lo sviluppo comunitario e la cura dell’ambiente, ma anche la prevenzione dei conflitti.L'attenzione dei soci è anche rivolta a realtà lontane da Pinerolo come, ad esempio, l'Africa. Il Rotary club crede nella necessità di formare le nuove generazioni e, infatti, assegna annualmente borse di studio a studenti meritevoli, in situazioni economiche fragili. Da un paio d’anni la collaborazione con la fondazione SPECCHIO DEI TEMPI, ha dato origine allo sportello d'ascolto SPECCHIO POINT presso cui le persone possono richiedere un sostegno per impellenze economiche alle quali non riescono a far fronte. Uno dei punti cardine dell’associazione è, inoltre, il volontariato attivo che permette la realizzazione di progetti concreti.
Francesco Ambrosiano nasce a Torino il 29/12/1971.
Durante la sua vita ha sempre abitato ad Oulx, dove attualmente lavora come escavatorista. Inoltre è il capo del distaccamento dei vigili del fuoco di Oulx ed è presidente dell'associazione SOS-Onlus per i vigili del fuoco.
Il suo hobby principale è il rally. Infatti spesso partecipa a delle gare di slalom e salita libera.
A Francesco piace vivere ad Oulx e pensa che in alcuni campi (come turismo e commercio) ci sia bisogno di un rinnovamento sociale, di più apertura mentale da parte degli abitanti.
Emilio Gardiol è il presidente della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Pinerolo, fondata nel 1848, la prima in Italia.
In occasione del primo festival del mutualismo, nel 2019, proprio nell’ottica del mutuo soccorso nasce l’iniziativa dell’Ambulatorio Sociale. Sono 17 i medici volontari che partecipano alla costituzione del progetto con l’idea di offrire servizi sanitari ad un prezzo conveniente ai soci SOMS e, soprattutto, servizi sanitari gratuiti a chi non può permettersi di accedere al servizio sanitario nazionale per le lunghe liste di attesa ad esempio, o a quello privato per i costi elevati. In più, oltre alle visite mediche specialistiche e generali, vengono istituiti tre sportelli specifici: supporto psicologico, nutrizione e assistenza legale.
L’utenza dell’Ambulatorio è composta principalmente da immigrati e profughi, che arrivano attraverso i corridori umanitari. Emilio si dice grato e riconoscente a medici e infermieri, che, ci tiene a sottolineare, esercitano tutti la propria professione gratuitamente.
Il territorio pinerolese è per tradizione molto ricco di iniziative sul piano sociale: “è una delle città in Italia che ha il maggior numero di associazioni in proporzione alla popolazione”, purtroppo però, non sempre queste dialogano fra loro, “questa ricchezza va messa in rete, c’è mancanza di collaborazione”, ci spiega, evidenziando le priorità da affrontare “in più mancano locali e spazi fisici di aggregazione dove attuare le iniziative”.
Iolanda lavora per l’ Asl servizi sociali e nel contempo frequenta il terzo anno della scuola di moda per stilisti, ha iniziato sin da quattordici anni a dilettarsi nel cucito, la cui passione le è stata tramandata dalla nonna.
Il suo sogno è quello di aprire in un prossimo futuro una sartoria sociale che permetterebbe di unire al suo impegno verso le persone più vulnerabili con quello professionale di sarta.
In tutto questo Iolanda ha trovato un ulteriore spazio per dedicarsi al volontariato presso la Croce Rossa Italiana dove svolge la sua attività sin dal 2017.
Era il 1989 quando Loris entrava nella neonata cooperativa Meeting Service Catering; aveva 20 anni, la sede dell'ente si trovava in via Santa Chiara, a Torino, ma già allora operava sul territorio della Circoscrizione 5, senza ancora sapere quanto in futuro si sarebbero legati.Sin da subito, l'idea fu quella di formare persone in difficoltà per prepararle a lavorare nel mondo della ristorazione; una preparazione che non prescindesse dall'aspetto educativo, e che soprattutto mettesse i corsisti davanti alla realtà del lavoro, superando quello “shock” che a volta provano i ragazzi che escono dalle scuole alberghiere e vengono catapultati direttamente in mezzo ai clienti...Poi, la cooperativa è cresciuta, ha aperto il primo ristorante cui ne hanno fatto seguito altri, impiegando molto del personale che usciva propri dai corsi erogati, compresi soggetti svantaggiati a vario titolo, persone con disabilità, molte delle quali non lasciano Meeting Service o, se lo fanno, spesso cercano di rientrarci anche a distanza di tempo.Loris ripete che la cosa più bella nella vita professionale (e non solo) è l'incontro: imbattersi in persone diverse, molte delle quali poi possono imparare e insegnare, alcune sono diventate i suoi soci attuali, partendo sempre dall'attività di formazione.La cooperativa è cresciuta, è stata la prima a credere nelle potenzialità degli spazi di via Foligno 14, all'epoca cadenti e malconci, creando le Fonderie Ozanam attorno alle quali oggi fioriscono molte altre attività, sempre nel solco della sostenibilità e dell'integrazione.
Marco Vola è il proprietario della Libreria Volare di Pinerolo dal 1996, una delle librerie indipendenti più importanti a livello nazionale. Prima di diventare librario ha lavorato nel settore marketing in varie aziende, ma col tempo si è stancato della mansione e di un ambiente poco etico. Subito dopo essersi licenziato ha viaggiato per il mondo con la moglie, per visitare librerie e trarne ispirazione, attività che ha sempre amato anche quando si spostava per le gare sportive di corsa, che lo hanno portato dal deserto di Atacama al Circolo Polare Artico.
Insieme alla famiglia ha deciso così di ristrutturare i locali dei nonni macellai e di inserirvi all’interno grossi scaffali pieni di volumi. Gli spazi sono larghi, pensati apposta per potervi girare comodamente.
Negli anni di boom economico e senza internet, gli affari andavano bene: il centro città era attivo, i negozi erano aperti e al pubblico è sempre piaciuto leggere. Inoltre Volare era una libreria moderna per i tempi. “Per sopravvivere bisogna essere sempre un po’ avanti. Ad esempio ora bisogna saper usare internet: io non so farlo, se ne occupano i miei figli, ma per continuare a vendere siamo obbligati ad adoperarlo, perché il libro fortunatamente, non è destinato a morire, ma sta già cambiando il modo di venderlo.”
Marco sostiene che Pinerolo sia una città in cui si legge molto per vari motivi: c’è un buon sistema bibliotecario e un ottimo sistema scolastico, così come la minoranza valdese che, come tutte le minoranze, traina la comunità.
Ciò che dispiace ammettere è come sia cambiato il modo di entrare in libreria: prima lo si faceva timorosi ma incuriositi, adesso lo si fa dopo che si è andati su internet e il libraio non può più permettersi di consigliare.
Alla domanda sui progetti futuri risponde : “Sopravvivere e sviluppare l’online, anche con prodotti di cartoleria di un certo livello (Saypaper). Sul territorio dobbiamo essere più bravi di Amazon, ce la faremo.”
Patrizia fa parte di Anffas da circa 30 ,il suo accesso fu dovuto al riconoscimento di una disabilità importante di sua figlia Irene.
La signora Patrizia ha 65 anni, il ruolo di direttrice la coinvolge molto, sia per l'organizzazione delle molteplici attività di supporto alle famiglie iscritte, circa 60, sia pragmaticamente per l'avvio di progetti, attività, organizzazione soggiorni estivi, gite che vengono attivate, organizzate e proposte per le persone disabili e le loro famiglie.
L'Anffas è un’associazione Onlus nazionale di famiglie con persone con disabilità fisiche o relazionali, gestita fondamentalmente da volontari. Patrizia sostiene che la pandemia da covid-19 ha fortemente ostacolato e impedito il mantenimento e l'avvio delle attività di supporto per le famiglie, che hanno subito un impoverimento.
I progetti e le attività svolte sono coadiuvate dal Ciss (consorzio intercomunale servizi sociali), si integrano come partner di collaborazione anche altre realtà e istituzioni, come le scuole, il Comune di Pinerolo e l’Asl.
L'associazione si autofinanzia attraverso i suoi prodotti, vengono fatti mercatini con i lavori realizzati.
Le parole chiave: lavoro in rete, progetti accessibili ai portatori di disabilità, sostegni economici e inclusione.
Alessandro è il presidente dell’USAC Rivarolo Basket, associazione sportiva nata nel 1981 che promuove la pallacanestro dal mini basket con i bambini fino alla partecipazione alla C Gold, un importante campionato a livello regionale. La società, con sede a Rivarolo, raccoglie numerosi iscritti, grazie anche alla forte collaborazione con le scuole sul territorio nelle quali vengono create giornate di avvicinamento al basket e alla promozione delle attività sportive presso il Parco del Malgrà.
Con l'avvento della pandemia, l'USAC ha dovuto affrontare restrizioni per l'accesso del pubblico agli impianti sportivi e ha quindi iniziato a fare ampio uso dei social, pubblicando le registrazioni delle partite, in modo da rendere partecipi le famiglie e i tifosi anche a distanza.
Gli obiettivi futuri sono continuare ad allenare i giovani iscritti per dare continuità alle squadre esistenti, anche attraverso la collaborazione con le altre società sportive sul territorio, ed incrementare la partecipazione femminile.
Ilenia abita a Rivarolo Canavese, fa la barista ed è mamma di un bimbo di tre anni. Diplomata in ragioneria, inizia l’attività al bar quasi per caso e poi se ne innamora grazie alla possibilità di potersi rapportare sempre con persone nuove e di lavorare in un ambiente molto comunicativo. Ilenia ha infatti sempre lavorato in bar, pasticcerie e gelaterie, spesso in orario serale e nei weekend, ma con l’arrivo del figlio tutto è cambiato e sono emerse nuove esigenze. Le problematiche riscontrate sono simili per molte altre donne: nonostante la disponibilità di colleghi e famiglia e della presenza del doposcuola, Ilenia a volte deve chiedere permessi a lavoro e vorrebbe che i datori rendessero più flessibili gli orari e comprendessero che lo stato attuale porta le donne a fare una scelta tra lavoro e casa.
Inizialmente con l’idea di arrotondare lo stipendio, Ilenia si avvicina al mondo del network marketing e successivamente inizia a pensare alla possibilità di svolgere un lavoro da casa in modo da gestire meglio il proprio tempo. Infatti, soprattutto durante il lockdown, Ilenia e il marito si sono resi conto di quante ore venivano passate fuori casa e oggi, cercando di fare tesoro dell’esperienza, organizzano serate a tema gioco, passeggiate e cene, anche se Rivarolo, una buona via di mezzo tra un paesino e Torino, manca di intrattenimento serale.
Lorenzo è attualmente insegnante di musica in una scuola media, direttore di una banda e due cori e componente di una street band folkloristica. Formato grazie alle numerose esperienze, ha anche lavorato nell'ambito della formazione e della recitazione teatrale, un contesto che permette di liberare sé stessi attraverso il gioco e l'immaginazione.
Grazie alla passione del padre per la musica, Lorenzo già durante le scuole medie aveva ben in mente il suo percorso, tanto da portare con sé il proprio clarinetto all’esame di maturità di geometra, prima di entrare in Conservatorio.
Per Lorenzo, l’arte permette di esprimersi e dare un senso di infinito che va oltre alla morte fisica delle persone, realizzandosi in dimensioni e livelli differenti e creando collaborazioni dove ognuno possa mettere in campo le proprie competenze.
Con l’avvento della pandemia, il mondo dell’arte e della cultura ha subito un forte arresto, in mesi in cui le persone non avevano più la possibilità di vedersi e avere uno scopo comune, ma la speranza è che si possa aprire una nuova fase di collaborazioni e voglia di stare insieme. Per Lorenzo, lavorare nei contesti di paese permette di far emergere il ruolo sociale che la musica e le bande svolgono, riuscendo a unire persone di generazioni diverse e rappresentando realtà a volte molto piccole ma culturalmente presenti da più di un secolo.
Alberto è il titolare della Cartolibreria Vota dal 1998, succedendo alla madre che aveva aperto l’attività nel 1959. Il negozio è molto radicato sul territorio, tanto da fornire libri e materiali scolastici a ormai tre generazioni di clienti.
L’attività commerciale è molto cambiata negli anni, dovendosi adattare alla concorrenza dei supermercati e, soprattutto dopo il Covid, del commercio online. La risposta di Alberto è creare un commercio di prossimità, dove il negozio non rappresenta solo uno spazio di acquisto, ma anche di scambio di aneddoti ed esperienze comuni: la cartolibreria è infatti sede ufficiale della società sportiva di basket e punto di appoggio per alcune associazioni locali per piccoli scambi di oggetti e messaggi.
Il negozio ha inoltre beneficiato di importanti trasformazioni strutturali negli anni ’90, con la ristrutturazione dello stabile e la creazione dei portici e, negli ultimi anni, della vicinanza ad un parco a seguito della demolizione delle scuole elementari. Questi cambiamenti hanno aumentato la visibilità dell’attività commerciale, ma l’obiettivo è cercare sempre di rispondere alle esigenze dei clienti tenendo insieme richieste e mode e utilizzando i social come strumento pubblicitario.
Serena vive in Borgo San Paolo dal 2011, è una Social Media Manager che dopo la nascita dei suoi 2 gemellini, ha deciso di far nascere una pagina Instagram proprio sul quartiere in cui vive, ha iniziato a conoscerlo meglio durante le passeggiate con i 2 figli e da lì ad amarlo.
Il suo è un racconto soggettivo della vita del quartiere, vissuto quotidianamente, Serena vive in un complesso di ex case popolari, dove abitavano gli operai della Lancia, si tratta di un modello abitativo che invita alla costruzione di reti sociali e di mutuo aiuto, vicinato che si supporta a vicenda.
"Alzando un po' lo sguardo" dalla frenesia della vita quotidiana, si può scoprire una ricchezza di realtà e relazioni intorno a noi.
https://www.instagram.com/borgosanpaolo/
Francesca 6 anni fa finalmente riesce ad aprire il suo B&b, le piace l'idea di poter accogliere persone da tutte le parti del mondo, e farle sedere allo stesso tavolo, dall'incontro nascono belle atmosfere, ma Francesca non è solo una locandiera, è anche insegnate di Yoga, a due passi dal Bed & Breakfast c'è lo studio / palestra.
Le piace l'idea un giorno di poter coniugare i suoi due mondi, per creare un'esperienza ricettiva differente, sviluppare nuovi itinerari in cui far immergere i suoi avventori e far scoprire "quanto è bella Torino, come tutti noi che ci viviamo la conosciamo."
Michele è il presidente dell'associazione Progetto Gnosys, che nasce dal 2016 con l'intento con intento di approcciare le difficoltà scolastiche attraverso un approccio educativo in chiave 'olistica', partendo dal presupposto che ogni persona è differente e necessita di stimoli educativi che gli permettano di sviluppare e di accrescere le sue personali capacità.
'Educere' per tirare fuori da ogni individuo.
Attraverso le collaborazioni con esperti, professionisti e specialisti dell'approccio educativo, Progetto Gnosys studia metodologie nuove per un nuovo approccio educativo, che punti alla valorizzazione delle diversità e delle differenti necessità educative, per affrontare l'educazione da tutti i lati possibili.
Michele è una persona entusiasta, che sa mettere tutto se stesso nelle cose in cui crede, ed è convinto che la pratica dell'educazione debba necessariamente coinvolgere tutti, scuola e famiglie, ma anche gli enti e la società nel suo complesso, ognuno di noi deve essere parte di un processo educativo più inclusivo.
Mauro Viecca è commerciante di terza generazione, il nonno per primo intraprese l'attività di vendita tessuti per la casa, tendaggi e abbigliamento, prima della guerra. Poi furono costretti a scappare e a chiudere il negozio durante la Seconda Guerra Mondiale, finita la guerra nel 1945 il negozio rialza la serranda, da allora non si è più abbassata.
Dopo il nonno, il testimone prima è passato al padre di Mauro e alla zia, ora sono i due fratelli che portano avanti l'attività di famiglia, che nel tempo si è dovuta modificare per rispondere alle esigenze del mercato, orientandosi alla vendita di abbigliamento multibrand per uomo e donna.
Viecca si affaccia su Piazza Sabotino da quasi 100 anni, ne ha visti tanti di cambiamenti nel quartiere, forse è per questo che non sono spaventati dal futuro, anzi c'è sempre una buona ragione per migliorarsi e imparare a fare sempre meglio, per offrire un qualcosa in più ai propri clienti.
Alberto è il fondatore di Mental Care, centro clinico di psicoterapia e psicologia su strada, la mission è quella di abbattere pregiudizi, stereotipi e lo stigma che circonda la cura mentale attraverso la creazione di una clinica accessibile a tutti.
Il lavoro che viene fatto è di tipo olistico, si guarda e si ricerca il benessere della persona a 360°, per questo oltre ad essere una clinica per adulti, da poco ne è stata aperta anche una per bambini e un centro con servizi di medicina complementare: l'agopuntura, il Qi kong (una sorta di ginnastica energetica e meditativa), lo yoga terapia e molto altro.
Alberto ha seguito un percorso di vita originale, fin da giovane appassionato di arti marziali, in particolare di Kung Fu, inizia a viaggiare per conoscere i grandi maestri che seguiva nei seminari di approfondimento, finisce così in Cina e in Oriente in genere. Inizia così il suo percorso di formazione in medicina cinese, yoga terapeutico, agopuntura e impara l'arte della meditazione e molto di più.
Tornato in Italia riprende gli studi e completa la sua formazione accademica in psicoterapia e decide di dedicarsi alla cure delle persone, che necessitino di una seduta di psicoterapia o una di arti marziali. L'obiettivo è aiutarle a ritrovare sé stesse.
Giulia e Francesca sei anni fa hanno deciso di aprire Sacco Matto, negozio di prodotti sfusi in Borgo San Paolo, da loro potrete trovare alimentari secchi e freschi, prodotti per la cura del corpo e per la pulizia di casa, inoltre per risparmiare è possibile ordinare cassette a prezzo fisso con all'interno prodotti che variano tutte le settimane, secondo le disponibilità e la stagione.
La loro è una scelta di vita prima che di lavoro, hanno scelto di minimizzare il loro impatto sull'ambiente, anzi hanno scelto di diventare un motore del cambiamento, a partire dalla scelta dei fornitori, produttori selezionatissimi, la maggior parte di prossimità e con un'etica del lavoro che gli permette non solo di produrre rispettando diritti umani e ambiente, ma anche di migliorarsi costantemente grazie al confronto e allo scambio continuo.
Fiammetta, vive in Borgo San Paolo da quando è nata, qui è andata a scuola e ha vissuto le sue prime esperienze, qui ha trovato lavoro e si è spostata, qui ha continuato a vivere per tutta la sua vita.
Bancaria ora in pensione, da sempre è appassionata di matematica, di libri e di biblioteca, avrebbe voluto diventare una bibliotecaria infatti, ma ha potuto comunque portare avanti il suo amore per i libri attraverso il volontariato dentro un'associazione che si occupa di gestire una biblioteca di 20.000 libri.
Il suo più grande desiderio è rivedere il suo quartiere stare bene, curato e vivace, con tanti banchi del mercato, persone nelle strade, progetti e nuove opportunità aggregative per anziani, bambini e famiglie.
Omar e Davide, due amici con la passione per la bicicletta che come tanti, durante la pandemia, hanno deciso di cambiare la loro vita e dal mondo della ristorazione hanno deciso di seguire i loro sogni e di far diventare la passione un lavoro.
Nella loro ciclofficina in Borgo San Paolo aggiustano e ristrutturano biciclette, da quelle vintage alle più moderne e all'avanguardia.
Davide e Omar hanno un sogno, trasformare Torino in una città a mobilità sostenibile, per avere aria più pulita, mente più rilassata, uno spirito sorridente e un corpo in salute, tutto questo per loro sono le biciclette.
Enrico è un artista, pittore, fotografo, cantante e scrittore; è una persona che ricerca negli spazi e nelle persone la relazione vera, anche nel conflitto, anche nel degrado.
In questo particolare momento della sua vita si è riavvicinato alla pittura paesaggistica, con la bicicletta e la macchina fotografica girovaga alla scoperta dei territori di confine, paesaggi che si scoprono tra una periferia e un'altra, per lui è lì che risiede l'incontro del passaggio umano sul non umano.
Questa visione la trasmette anche nei racconti e nei testi musicali che scrive per il gruppo post-Punk di cui fa parte, è il cantante della band.
Per il futuro Enrico si augura di aumentare le possibilità di interazione tra artisti, continuare uno scambio che diventi un confronto e una crescita sempre più aperta e allargata, per creare un ambiente libero dalle paure della competizione e in cui la conoscenza possa circolare liberamente.
https://enricopartengo.jimdofree.com/
Tra i 4 figli che ha cresciuto e che sta ancora crescendo, le persone disabili con cui lavora in una comunità sul territorio di Madonna di Campagna, i boschi nei quali scapperebbe appena può fra i monti che sente come vera casa, i migranti che vorrebbe aiutare non appena ne ha l'occasione, il cuore di Paola sembra avere dentro di sé uno spazio quasi infinito.Non è un caso se il suo telefono scoppia di messaggi, mandati dalle tante persone che a vario titolo ha assistito nella sua vita di educatrice (nata psicologa), e che continuano a cercarla per chiederle aiuto o, in alcuni casi, per ringraziarla anche a distanza di molto tempo per le cose che lei ha fatto e di cui magari non si è neppure resa pienamente conto.Paola è venuta su fra i monti sopra Almese, ma nel quartiere in cui tutt'ora lavora è arrivata molti anni fa, lavorando in un centro di accoglienza prima, e in una comunità per disabili adesso, per conto della cooperativa Biosfera. Il tutto all'interno del complesso delle case popolari di via Verolengo, dove l'opera con i beneficiari diretti si intreccia all'interrelazione con i residenti, da coinvolgere laddove si riesce, o solamente da tranquillizzare nei casi meno felici.E il tempo libero? La sua scelta è di impiegarlo per supportare una piccola associazione che si occupa di accogliere stranieri. Sperando, il prima possibile, di potersi di nuovo rifugiare fra le borgate della Val Sessi.
Giulia Gallo è un'artista, pittrice e insegnante di pittura e disegno.
L'idea di aprire Studio 8 San Bernardino come spazio di co-working multidisciplinare è venuta da sé, nata prima dal desiderio di avere uno spazio per i suoi laboratori e le sue creazioni e poi dalla necessità di aprirsi al quartiere, alle relazioni e collaborazioni; così è nata e sta continuando a crescere una bellissima rete di persone che si scambiano idee, consigli, contatti, possibilità.
https://www.giuliagallo.it/
Pasquale arriva a Torino quando aveva 13 anni, inizia a lavorare come lavapiatti in una pizzeria che poi diventerà la sua casa per oltre 50 anni, dopo averla rilevata dal vecchio proprietario, Poldo. La rileva, ma non la cambia, perché da Poldo si va per la pizza non per il soffitto, e poi quando i muri parlano è bello starli ad ascoltare. r
Una vita vissuta tutta con passione, sul lavoro, nella famiglia e in politica al servizio del proprio quartiere, che ama e che ricorda quando era agli antichi splendori, una via piena di persone, di botteghe e di banchi del mercato.
La speranza di Pasquale è di veder tornare le persone nella sua amata Via Dante di Nanni.
Lucia e Elisa, si sono conosciute sul posto di lavoro, da colleghe che si stimavano ad amiche, hanno deciso da poco di aprire insieme un'agenzia di comunicazione.
Zeg Communication è la fusione delle loro competenze ed identità, comunicazione e marketing, diverse ma complementari, indispensabili l'una all'altra. Aspirano a crescere continuando a fare rete, perché è grazie all'incontro e allo scambio continuo con con ciò che ci è dissimile, che sono arrivate dove sono, libere professioniste piene di entusiasmo e con un'attività in espansione.
Cristina e Francesca, sono insegnanti di yoga e amiche, unite dalla stessa passione che poi hanno deciso di trasformare nel loro lavoro.
Il loro centro non è solo una scuola di yoga, ma un luogo in cui incontrarsi e riscoprirsi, anche grazie all'approccio multidisciplinare, che va dallo yoga, alla meditazione e alle arti marziali, con un approccio olistico e completo al benessere e la salute della persona nella sua totalità.
Roberta ideatrice e responsabile dell'Arca di Noè, cooperativa asilo nido e scuola d'infanzia da 22 anni in Borgo San Paolo.
Si occupano dell'educazione e della cura dei bambini dando supporto alle famiglie rispondendo alle diverse esigenze lavorative dei genitori, l'Arca di Noè è aperta tutti i giorni, anche d'estate e durante i periodi di vacanza, i genitori posso scegliere in quale orario preferiscono portare i loro figli in base alle loro necessità, la parola d'ordine è flessibilità.
Rosanna, ha rilevato da qualche anno la storica cartoleria Rota, nata negli anni 60', cambiando ben poco dello storico locale se non il nome, che parla di lei e delle sue passioni: il gruppo storico Medievale nel quale la 'volpe' si occupa di gestire il gruppo sportivo di tiro con l'arco e di cui è anche istruttore e la passione per il decoupage che l'ha fatta collaborare con Cecilia, insieme realizzano composizioni creative con materiali di recupero con cui abbelliscono e arricchiscono la loro vetrina.
Cecilia e Rosanna sono molto attive nel quartiere, insieme alla Parrocchia San Bernardino organizzano laboratori di tutti i tipi per i bambini del quartiere, di formazione magistrale entrambe, riscoprono e combinano la loro passione per le arti creative con il piacere di realizzare laboratori nei quali stare con le mani in pasta e giocare a dar vita alla propria fantasia.
Cristina e Ornella, guide turistiche e organizzatrici di itinerari turistici, sia verso l'estero che in Italia, con una particolare attenzione alla storia del quartiere e della Città di Torino.
Appassionate di viaggi e di scoperte, la costruzione di viaggi insoliti e curiosi è fatta su misura, seguendo la voglia di raccontare i territori e creare vacanze che somiglino a sogni.
Il mondo in Valigia è un'agenzia attenta al confort del viaggio, l'organizzazione è per piccoli gruppi e gli itinerari sono studiati per essere attraversabili da tutte le persone, in modo da offrire un'esperienza insolita e speciale alla portata di tutti.
Mario è un cittadino Aviglianese dal '77.
Nel tempo ha deciso di fermarsi a vivere nella città perché ne apprezza il territorio e le opportunità e da quando è andato in pensione dedica il suo tempo al volontariato.
Le principali attività di volontariato che svolge sono in progetti di recupero dell'invenduto e della sua distribuzione a nuclei familiari del territorio, le motivazioni che l'hanno spinto a proseguire in queste attività sono l'evitare gli sprechi per un'attenzione alle tematiche ambientali e allo stesso tempo riuscire a fare del bene all'interno della comunità in cui vive.
Mario dedica molte ore di volontariato al progetto "Resto... Mangia Plus" e insieme agli altri volontari cerca sempre nuove persone da coinvolgere e spera di riuscire a coinvolgere tutto il territorio della città nella costruzione di una comunità attiva, che possa anche essere da stimolo per invogliare turisti e avventori a visitarla.
Rinaldo coltiva la passione per la ceramica e per l'artigianato da tutta la vita, ma è dopo la perdita del suo lavoro che decide di trasformare la sua passione nella sua attività.
Quella di Rinaldo è una vera bottega, dove lo spazio espositivo si mescola con il laboratorio, nel quale tra l'altro tiene anche dei corsi per chi vuole approcciarsi o approfondire l'arte del ceramista, nel quale sono le mani gli occhi dell'artigiano e dove si riscopre la percezione corporea come mezzo per la creazione.
Si fa quasi fatica a individuare il confine tra il lavoro che svolge Christian, e le altre attività che svolge e che gli riempiono una giornata che sembra durare il doppio di quella normale.
In particolare, sfuma quello dell'impegno tra la sua professione di tecnico delle apparecchiature ospedaliere (un mestiere particolare nel quale è uno dei rari e più riconosciuti professionisti in Italia) e la palestra che ha aperto e fondato quasi un quarto di secolo fa.
Il dojo Kangei, parola giapponese che in italiano significa “accoglienza”, viene aperto per l'insegnamento di diverse arti marziali orientali, anche se la “sua” è il judo. Judo che ha scelto tanti anni fa da ragazzino controcorrente, che amava la lotta anziché il calcio, il Toro anziché la Juve, l'oratorio anziché la discoteca.
L'oratorio, perché la formazione di Christian passa in gran parte tramite la parrocchia, che lui frequenta sin dai tempi del servizio civile, quando si appassionò all'educativa di strada mentre guardava i ragazzini che doveva aiutare, e sentiva nascere in sé una domanda: “Come si divertono con poco?”. E questa filosofia la porta in palestra, dove oggi conta fra i 40 e i 50 iscritti e in cui cerca di portare un aspetto educativo e famigliare prima di quello competitivo.
Oggi, oltre a queste due occupazioni principali, Christian porta la comunione agli anziani e ai malati dopo la Santa Messa, e fa visita a una casa-famiglia a Villanova d'Asti dove cerca di recare conforto e affetto a minori allontanati dal nucleo d'origine; gli resta poco tempo per gli hobby che ama, come le escursioni in montagna, ma è felice così. Perché, ripete, per lui “il tempo non donato è tempo sprecato”
I genitori di Massimo, nonni di Alice, hanno aperto Floralba 70 anni fa, qui in Borgo San Paolo, pionieri nell'arte delle cure naturali, creavano le proprie ricette, formule che ancora oggi si trovano nei prodotti in vendita, tradizione erboristica che Massimo e Alice continuano a portare avanti, innovando(si) e sperimentando(si) sempre, anche grazie all'aiuto di Daciana, l'artista e creativa del team.
Massimo, Alice e Daciana sono una bella famiglia, la luce che brilla nei loro occhi è passione e amore per il loro lavoro e per il loro quartiere, loro casa da sempre.
Giancarlo conosce da sempre la zona dell'Alta Valle di Susa. Il suo lavoro, come gestore di eventi, gli ha permesso di girare tutto il mondo fino a portarlo a gestire l'Hotel Chez Toi di Oulx. Questo luogo si trova nel borgo vecchio del paese, è una casa familiare del '600, restaurata nel 2006. Questo luogo caratteristico, Giancarlo lo ha dedicato ai suoi autori preferiti, attenzioni molto gradite dai suoi clienti.
Secondo lui, la limitazione del traffico nel borgo vecchio e la creazione di un'isola pedonale favorirebbero il commercio in questa zona.
E' un appassionato della letteratura e della storia, ma la sua più grande passione è il teatro. Pensa che un'attività simile potrebbe essere implementata sul territorio.
Giancarlo, negli anni, ha osservato che le persone del territorio sono molto affezionate ad esso ed hanno una forte identità culturale ma, soprattutto, culinaria. Questo lo considera una valore aggiunto ad un paese turistico.
Il territorio ha un'ottima risorsa: la stazione ferroviaria, ma mancano i servizi navetta che la collegano ai paesini o alle borgate circostanti. Inoltre, continua Giancarlo, dovrebbero essere messi a disposizione dei turisti dei supporti che rendano chiari e accessibili i servizi offerti dal territorio: ad esempio, siti culturali, zone alberghiere, sentieri per camminare.
Fiorella Arcieri, di origini abruzzesi, si trasferisce in Valle di Susa all'età di sette anni.
Lavora per anni presso il polo ospedaliero di Susa e Giaveno, ma alla nascita della terza figlia decide di interrompere questa esperienza. Da 20 anni lavora presso la Cooperativa P.G. Frassati, OSS di formazione, adesso svolge il ruolo di referente per alcuni servizi gestiti dalla Cooperativa.
Ha partecipato ad un corso, promosso dalla Città Metropolitana di Torino, di formazione per OSS e animatori di borgata il cui obiettivo era il potenziamento delle capacità professionali per avviare, sostenere e valutare azioni per lo sviluppo delle Comunità. Da questa esperienza nasce il progetto pilota Piter - Cuore solidale che coinvolge alcune borgate della Valle di Susa.
Nel suo lavoro quotidiano, Fiorella riscontra che il maggior bisogno della popolazione che abita nelle borgate è di socializzare. La pandemia ha acuito questo bisogno, ma non ha fatto fermare le azioni delle OSS di borgata! Il territorio ha risposto con un'attiva e costante partecipazione.
Il territorio valsusino è ricco di sentieri che dovrebbero essere mappati, affinché tutti, residenti o turisti, li conoscano, e dovrebbero essere resi visibili e puliti perché possano essere utilizzati.
I genitori di Matteo hanno inaugurato il Mannus Club nel 1981, basandosi principalmente sulle attività equestri.
Negli anni sono state molte le attività che hanno avviato negli spazi del maneggio: dall'Ippoterapia ai Centri Estivi, dalla Subacquea alle Arti Marziali.
Grazie ai progetti realizzati a Mannus e alle collaborazioni con le altre associazioni del territorio Matteo è riuscito ad entrare in contatto sia con chi pratica abitualmente sport sia con persone in difficoltà sia con famiglie e a offrire a tutte e tutti la possibilità di sperimentare nuovi sport e attività.
Attraverso lo strumento del gioco costruiscono occasioni di avvicinamento alle attività all'aria aperta e momenti di socializzazione anche per chi abitualmente non fa attività sportive, creando così nuove opportunità su misura per chi si avvicina a Mannus.
Nicole, nativa della Valle di Susa, più precisamente di Oulx (TO), vive da sempre sul territorio. Studia all'I.I.S.S. Des Ambrois di Oulx (TO) e prosegue gli studi all'università di Torino nel corso di laurea magistrale Economia della cultura. Nella sua famiglia viene tramandata la passione per la montagna e per gli sci, tanto che il nonno, i genitori, la sorella e anche Nicole sono tutti maestri di sci.
Quando parla di Oulx, Nicole lo racconta come il fulcro dell'Alta Valle perché collegato, in particolare, attraverso il trasporto ferroviario e la rete dei bus, a tutti i paesi limitrofi. Se da una parte questo rappresenta, certamente, una risorsa per il territorio, dall'altra Nicole pensa che non sia sfruttato pienamente.
A differenza dei paesi confinanti, caratterizzati dai periodi turistici, Oulx è un paese di residenti che lo vivono tutto l'anno.
Da giovane adulta, pensa che il territorio non sia valorizzato anche da un punto di vista storico e naturalistico. Ritiene importante che vengano tramandate le conoscenze di generazione in generazione affinché queste non siano dimenticate. Aggiunge, vista la particolarità del territorio, di frontiera, che sia importante anche coinvolgere la popolazione migrante affinché vi sia uno scambio di culture!
Per il futuro? Si augura un maggior scambio di opinioni e conoscenze.
Pape è un uomo di origine senegalese di trentacinque anni che è arrivato in Italia nel 2009. Attualmente vive a Porte di Pinerolo con la moglie e tre figli e svolge attività di collaborazione col centro sportivo del Malanaggio come operatore di accoglienza e manutenzione.
In Senegal ha giocato a calcio ai massimi livelli ma non è riuscito ad avere successo in Italia e quindi si è reinventato come operatore in diverse aziende del territorio come operatore di macchine a controllo numerico. Purtroppo nel 2021 l’azienda è fallita e Pape Assane Bodian è rimasto senza lavoro.
Gianluca ha trentun anni e, attualmente, vive presso un gruppo appartamento a Pinerolo. E’ uno dei pionieri della squadra di calcio del Pinerolo for disable (poi Juventus for special) in cui milita dal 2011 nel ruolo di portiere. Nel tempo ha svolto vari incarichi lavorativi mediante tirocini ma mai nessuno di questi gli ha permesso di stabilizzarsi e di essere assunto. Ha svolto vari incarichi, come scaffalista nei supermercati, cameriere, cucina e operatore in aziende che si occupano di verde pubblico. Per l’associazione asd Nessuno Escluso è parte del team di formazione nelle scuole per portare avanti progetti educativi e di sviluppo della cultura dell’inclusione.
Negli anni ottanta e novanta l’oratorio San Domenico era un punto di riferimento assoluto per la città di Pinerolo. All’ombra di quel campanile, posto ai confini del centro storico della città, si catalizzavano bambini e adolescenti, figli di immigrati e figli dei nativi della città, e, attorno ad un pallone ed un campo di terra e polvere, facevano un’esperienza di integrazione ed inclusione autentica e spontanea. L’oratorio San Domenico era un luogo dove i ragazzini della città sperimentavano opportunità uniche di amicizia, solidarietà e sport. Nel tempo, con i cambiamenti sociali e culturali avvenuti nei decenni successivi, la forza propulsiva ed il richiamo affascinante dell’oratorio si è arenato. Pino e Gianluca, che negli anni novanta erano tra i frequentatori dell’oratorio, decidono, a partire dal 2017 di restituire all’oratorio e alla città tutto ciò che loro avevano preso nei decenni precedenti. Come? Facendo rivivere l’oratorio e facendolo risplendere di quella nuova vita e di quel fascino di un tempo dando vita al progetto “Officina della quotidianità”: uno spazio di aggregazione e amicizia in cui creare nuove opportunità di gioco e esperienze culturali di crescita.
La vita dell’oratorio rappresenta quindi un polmone pulsante di vita all’interno della città di Pinerolo.
L’esperienza dell’associazione GRUPPO ARCOBALENO prende il via nei primi anni novanta, grazie ad un gruppo di amici che si catalizza attorno ad un bisogno concreto: portare generi di prima necessità nella ex Jugoslavia.
Il lavoro dell’associazione prende forma in maniera più strutturata e consapevole nella seconda metà degli anni novanta in cui i volontari si recano spesso nella Bosnia colpita dalla guerra civile e costruiscono con le persone del luogo rapporti di fiducia che si manterranno solidi ed inalterati negli anni.
Silvano Fera, presidente e anima dell’associazione, organizza vari viaggi e raccolte di fondi per sostenere progetti di supporto e progetti educativi nell’immediato dopo guerra. Si organizzano anche viaggi da Pinerolo per permettere a cittadini ed istituzioni di conoscere la realtà in cui Silvano ed il primo gruppi di pionieri, si sono recati per molti anni.
Il rapporto tra Pinerolo e Derventa si cristallizza in modo profondo e fecondo fino al punto in cui si propone un gemellaggio tra le due città a suggello del lavoro di solidarietà e scambio culturale che Silvano e i suoi amici hanno portato avanti per molto tempo.
Attualmente l’associazione prosegue il lavoro di mantenimento delle relazioni e di scambio culturale con la Bosnia e la città di Derventa.
Pochi anni fa, Silvano Fera ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Derventa.
Giorgio Aimone ha imparato a svolgere il suo mestiere di allevatore, crescendo professionalmente nell’azienda di famiglia. La sua passione per la natura e per gli animali lo hanno condotto a compiere la stessa scelta professionale del padre!
Giorgio si dedica alla gestione dell’azienda ma, nel tempo, comprende che la gestione intensiva dell’allevamento non è congruente coi suoi principi e decide di dedicarsi ad un tipo di approccio alla professione con una metodologia di lavoro più rispettosa di ambiente e animali.
Nel frattempo Giorgio e Giannella si sposano e costruiscono la loro bella famiglia di cinque figli i quali sono in buona parte coinvolti nello sviluppo dell’azienda di famiglia.
A partire dalla primavera del 2022 l’azienda gestirà anche un agriturismo chiamato “Granello di senape”
Lorenzo è una persona talassemica di quarant’anni, originario di pizzo Calabro che si è trasferito in Piemonte, a inizio millenio, per motivi di studio.
Laureato in giurisprudenza, convive con Laura, la compagna di una vita ed è tra i primi elementi storici della squadra di calcio della Juventus for special (già Pinerolo for disable).
Lorenzo è sempre stato attivo in ambito sociale ed è stato membro attivo dell’associazione talassemici già da diversi anni. L’associazione opera in ambito sociale per diffondere l’importanza della donazione del sangue, indispensabile per le persone con talassemia.
Da pochi mesi è presidente dell’associazione talassemici e sta continuando a produrre nuove idee e pensieri per rendere più capillare possibile l’esigenza e la pratica della donazione di sangue.
Mattia è il libraio della Libreria Nisa, libreria indipendente di varia con tante proposte per adulti, bambini e ragazzi.
Una formazione e un passato lavorativo come archeologo, che lo aiutano nello scovare perle nascoste tra i cataloghi delle sue case editrici e che prontamente consiglia alla sua già affezionata clientela, un assaggio di queste belle scelte le troviamo anche nella sua intervista, in cui oltre a consigliarci qualche testo ci racconta come è nata Nisa.
Nel suo lavoro ci mette la passione e la pazienza di chi sa che per lavorare bene ci vuole tempo, con la tenacia, il coraggio, ottimi consigli di lettura (e qualche biscottino per gli amici a quattro zampe) sta conquistando il quartiere.
L’Associazione Liceo Musicale di Rivarolo nasce nel 1993 e oggi si dedica alla formazione di bambini e adulti nello studio amatoriale di uno strumento e, più ampiamente, nella formazione di un pubblico attento e consapevole. Dal 2010 sono inoltre attivi corsi pre-accademici per l’inserimento nei conservatori nazionali per preparare tutte le figure professionali che ruotano attorno alla musica.
Senza sostituire l'interazione interpersonale, l'approccio didattico si è aperto, facendo tesoro dell'esperienza pandemica, anche all'utilizzo di piattaforme digitali che permettano di seguire i corsi a distanza, investendo nella sperimentazione tra linguaggio informatico e musicale.
I nuovi spazi in cui l’associazione si è trasferita sono connotati dall’educazione alla diversità in tutte le sue forme e dalla collaborazione con le realtà sociali anche per favorire l’inserimento lavorativo degli studenti con disabilità. Mancano, tuttavia, sul territorio strutture artistiche e culturali, con la conseguente necessità di spostarsi sul territorio torinese.
Confindustria è la più grande associazione datoriale d’Italia e la sua sezione canavesana, nata nel 1945, copre un territorio molto ampio e diversificato, con circa 350 aziende associate.
Le sfide che Confindustria Canavese oggi deve affrontare sono l’aumento dei costi energetici e la carenza di personale, soprattutto nei settori legati a informatica, meccanica e automazione industriale, a causa anche della disparità di riconoscimento verso la scuola professionale. Confindustria lavora quindi in collaborazione con le scuole di vario grado presenti sul territorio organizzando giornate e laboratori per avvicinare gli studenti al mondo del lavoro, insegnando la pari dignità di formazione e spingendo all’imprenditorialità.
Inoltre, anche a seguito della pandemia, le modalità di lavoro da remoto e la progressiva nascita di professionalità legate a settori inesistenti fino a poco tempo fa mettono in luce la necessità di saper lavorare in rete, individuando le priorità e creando opportunità che siano sostenibili da un punto di vista economico, sociale ed ambientale.
Il Collettivo Cromocinque è un'associazione di promozione sociale nata nel 2007 con l’obiettivo di raccontare le storie del territorio canavesano attraverso la realizzazione di documentari legati alla realtà produttiva e culturale del territorio. Con il progetto KinoCanavese, l'associazione si occupa inoltre di mappare i luoghi cinematografici del passato e del presente, mettendo in luce la trasformazione del cinema come luogo di aggregazione e la conseguente necessità di creare momenti di formazione con le generazioni più giovani. Inoltre, con la graduale chiusura di cinema e cineforum sul territorio, sarebbe importante organizzare proiezioni all'aperto in contesti periferici e montani per dare vita a momenti di dibattito anche conviviali.
Tra i progetti futuri, il Collettivo Cromocinque vorrebbe produrre podcast utilizzando registrazioni in contesti industriali per poter creare suggestioni e sensazioni a partire dai suoni e raccontare nuove storie con il metodo cinematografico.
Il C.IA.C. (Consorzio InterAziendale Canavesano) nasce nel 1969 a seguito della decisione di alcuni imprenditori del territorio di aiutare i ragazzi ad acquisire competenze da spendere nel mondo del lavoro. Dopo una prima proposta formativa in ambito metalmeccanico, l’offerta si amplia ai settori benessere, abbigliamento e alberghiero, in modo da rispondere alla crescente esigenza territoriale. Oggi le sedi C.IA.C. sono cinque e presenti a Rivarolo, Valperga, Ciriè e Ivrea, lavorando in continua sinergia con le aziende e i Centri per l’Impiego.
L’ente di formazione si occupa della gestione di corsi per l’obbligo formativo (indirizzati ai ragazzi di età 14-24), per adulti (occupati e disoccupati) e per l'apprendistato all'interno della formazione obbligatoria. I corsi di formazione, di tipologia e durata diversa, sono connotati da una forte componente pratica, in cui la presenza di laboratori e talvolta di stage permette agli studenti di mettere alla prova gli insegnamenti appresi.
Inoltre, il C.IA.C. lavora nell’ambito dei servizi al lavoro, cercando di incentivare l’incontro tra la domanda e l’offerta. In alcuni settori, però, specialmente in quello metalmeccanico, si osserva uno scollamento tra la domanda di lavoro delle aziende e l'offerta del territorio.
Milena negli anni ha collezionato diverse esperienze negli uffici turistici, si può dire, di tutta Europa: Italia, Spagna, Belgio. Attualmente è impiegata presso l'Ufficio del Turismo di Oulx (TO). L'ufficio è gestito dalla Cooperativa Culturalpe che gestisce anche la biblioteca in loco. Negli anni, grazie all'acquisto e al volontario dono dei fruitori, hanno collezionato più di 0000 volumi!La Cooperativa organizza dei momenti di lettura e dei momenti laboratoriali, prevalentemente all'esterno, di valorizzazione del territorio.Milena, insieme ai suoi colleghi, raccoglie la sfida di questo periodo pandemico come momento per reinventarsi, in cui riscoprire il valore umano delle persone.Secondo lei, il bisogno di questo tempo è quello di ascoltare. Ed è quello che fanno ogni volta che un nuovo utente si affaccia al loro ufficio: si prendono del tempo per ascoltarlo.A questo aggiunge che la fascia adolescenziale e dei giovani adulti ha necessità di avere luoghi di aggregazione che siano diversi dal passato: una volta si andava all'oratorio, oppure siano diversi dai luoghi sportivi.Questo posto dovrebbe essere un posto laico, non discriminante, aperto a tutti, in cui loro possano esserne i protagonisti.Per far incontrare domanda e offerta dei cittadini, Milena e la sua collega hanno pensato ad uno strumento: la creazione di bacheche. In cui è ben visibile quello che viene offerto, quello che si sta cercando, oppure l'aiuto di cui si ha necessità. Questa bacheca deve essere sia fisica sia virtuale per poter raggiungere il più vasto numero di utenti.
Laura e la sua famiglia vivono a Oulx. Lei lavora in un paesino limitrofo, Sauze d'Oulx (TO), come impiegata.
Impegnata da sempre nell'associazionismo, Laura ed alcuni amici hanno gestito il baby parking di Oulx (TO) e per un paio di anni anche le estate-ragazzi.
Terminata questa esperienza, Laura adesso è coinvolta nell'associazione A.S.D. Orfù. Questa associazione nasce nel 2014, con l'intento di valorizzare il lago da cui prende il nome. Se capiterete dalle parti del lago Orfù, probabilmente incontrerete Davide e Tony, presenza costante del posto, che vi accoglieranno e forniranno tutte le informazioni necessarie.
Laura pensa che mancano dei momenti di aggregazione per gli adolescenti e i giovani adulti che siano diversi dallo sport e dalla scuola.
Luca Minuto è nato a Venaria, ci è rimasto fino a quando aveva 24 anni, poi ha iniziato un mini-giro d'Italia che infine l'ha visto tornare nei pressi di casa con altre vesti, più precisamente con un saio. Nel frattempo era diventato fra' Luca, un frate minore cappuccino.
La sua vocazione oggi si concretizza in quella parrocchia della Madonna di Campagna che dà il nome all'intero quartiere che la circonda, una zona che ha iniziato a percorrere in lungo e in largo perché – afferma - “un modo responsabile di vivere il proprio territorio è conoscerlo”.
Ma non si ferma certo al quartiere, Luca, che in sella alla sua bicicletta passe giornate, e spesso nottate, in mezzo agli ultimi, spesso migranti, in quegli angoli di città dove molti non osano mettere piede. Per portare conforto e aiuto, per ascoltare, per comprendere. Per fare.Nel frattempo continua a coltivare le proprie passioni personali, che poi comunque porta, tutte, anche nel suo lavoro quotidiano coi ragazzi: il judo, di cui è cintura nera, e le lingue, che parla e conosce in quantità impressionante (inglese, francese, spagnolo, ebraico, arabo, russo, urdu, hindi...).
I suoi occhi vedono una città che risponde alla sfida dell'immigrazione, che scommette sul dialogo interreligioso e sull'educativa di strada. I suoi pomeriggi di norma invece passano in oratorio, dove le poche forze della parrocchia accolgono decine di ragazzi, per i quali il frate sogna più spazi per le attività ricreative ed educative, affinché nessuno debba – come oggi accade, seppur raramente – essere lasciato fuori.
Elena, ceramista da 18 anni ci porta nel suo Atelier e ci presenta le sue creazioni, fatte con diverse tecniche di manipolazione e decorazione. Dentro al suo mondo troviamo gioielli, complementi d'arredo, accessori e utensili da cucina, perché prendere il caffè la mattina in una bella tazza di design sicuramente abbellisce la giornata.
Di formazione pedagogista, lavora la ceramica e cura le persone, attraverso corsi e percorsi laboratoriali, perché l'argilla è uno strumento che permette di connettere mente e mani, la testa è obbligata a restare connessa al movimento del corpo.
Giorgio e Antonio sono due volontari di Croce Rossa Italiana e, all’interno del comitato di Rivarolo, svolgono attività in aree differenti, ma accumunati dal senso di appartenenza ad una grande famiglia.
Giorgio, entrato in CRI quasi per caso con il sopraggiungere della pensione, decide di formarsi per svolgere le attività di soccorso alpino, specializzandosi successivamente nella gestione di emergenze umanitarie. Antonio, oltre a svolgere l’attività di formatore 118, all’interno del comitato rivarolese ricopre l’incarico di vicepresidente e di rappresentante giovani. La componente giovanile è infatti molto presente all’interno dell’associazione e si è rivelata cruciale nel periodo pandemico, sostituendo temporaneamente i volontari più anziani o fragili.
Le attività sono svolte in collaborazione con le associazioni locali e gli altri comitati sul territorio, cercando di sensibilizzare le persone su tematiche diverse e cercando di rispondere ai bisogni, ad esempio attraverso la spesa a domicilio e la consegna di pacchi viveri. I progetti per il futuro sono poter continuare a collaborare sul territorio per poter riprendere le attività che ci svolgevano prima dell’arrivo della pandemia e aumentare il numero dei volontari.
Francesca si trasferisce quattro anni fa a Torino per motivi di studio, a cause delle difficoltà di spostamento con i mezzi pubblici, e successivamente viene raggiunta dai genitori. Anche se gli affetti e le amicizie sono a Feletto, Francesca non pensa di tornarci per ora, sia per le maggiori opportunità lavorative sia per l’offerta culturale e di tempo libero presenti nel capoluogo piemontese. Oltre a studiare all’università, Francesca lavora da due anni in un asilo di Moncalieri, esperienza che ha consolidato la sua convinzione di voler lavorare con i minori. Iscritta anche all’albo degli Assistenti Sociali, sta valutando diverse strade lavorative, tra cui l’insegnamento in ambito umanistico, non escludendo la possibilità di prendere una terza laurea e rafforzare le competenze per poter lavorare in settori in cui si incide molto sulla vita delle persone.
Nel periodo estivo, Francesca continua a svolgere le attività di coordinamento del gruppo di animazione felettese, al quale si è avvicinata quando aveva 15 anni, in un territorio in cui oggi continua a mancare una proposta strutturata di attività da fare svolgere a bambini e a ragazzi, spesso costretti a giocare per strada vista la mancanza di uno spazio in cui ritrovarsi. Molte attività hanno subito un arresto con il Covid, ma c'è anche molta difficoltà nel coinvolgere i ragazzi del paese che sono sempre meno e che spesso non riescono a prendersi responsabilità diverse da quelle scolastiche. Secondo Francesca, in un contesto così piccolo sarebbe sufficiente coordinare le associazioni e i gruppi presenti e cercare di estendere la rete anche ai paesi vicini, in modo da avere stimoli e aiuto reciproco. Inoltre, bisognerebbe strutturare più proposte culturali e incentivare l’apertura mentale, in un contesto in cui c’è difficoltà a relazionarsi con le diversità.
L'associazione nasce nel 1993 da un gruppo di amici rivarolesi con la voglia di rendere nuovamente vivo il castello di Malgrà. Oggi, i volontari si occupano di tenere aperto e fruibile il castello tutte le domeniche pomeriggio da aprile ad ottobre, ma anche di organizzare eventi collaterali e ampliare le ricerche storiche. Il castello è abbracciato da un ampio giardino che ha ospitato concerti, laboratori ed eventi bibliografici ed è anche stato messo a disposizione, durante il periodo pandemico, delle varie associazioni locali per permettere la continuazione delle attività.
L’obiettivo dell’associazione non è solo fare conoscere il castello e la sua storia, ma rendere lo spazio vivo ed accogliente, costruendo legami con i vecchi e i nuovi rivarolesi ed integrando la storia del luogo con quella degli abitanti e le loro esperienze. La conoscenza che emerge non è solo quella dei libri scolastici, ma è anche quella orale e degli archivi, ricca di aneddoti e ricordi: l'associazione ha infatti curato e realizzato vari testi e giochi di società per far apprendere aspetti spesso inediti della città. Per il futuro il gruppo vorrebbe approfondire maggiormente la storia degli ultimi abitanti del castello e lavorare su tutto il patrimonio culturale di Rivarolo, anche attraverso la collaborazioni di nuovi volontari, per fare emergere come le nuove generazioni e le diverse culture si rapportino con lo spazio e gli edifici.
Andrea ha svolto per anni l’attività di fabbro nell’azienda di suo padre che si occupava di costruire e posare in opera delle cancellate di ferro ed inferriate.
Dopo la morte del papà, avvenuta nel 2007, la famiglia è costretta a cedere l’azienda e Andrea resta senza occupazione. La situazione emotiva diventa sempre più fragile e precaria ma lui, decide di non scoraggiarsi e si forma da autodidatta all’ambito informatico. Purtroppo non riesce a trasformare questa passione in attività lavorativa ma, grazie all’associazione Nessuno Escluso e alla cooperativa Coesa, inizia ad operare nel sociale, inserendosi attivamente nei vari progetti di inclusione portati avanti dall’associazione. Si occupa di supportare, dal punto di vista informatico, le varie attività di formazione nelle scuole e supporta l’associazione in qualità di social media manager.
È fondatore dell’associazione Inclusion lab che, ha finalità di portare avanti vari percorsi di inclusione soprattutto da un punto di vista culturale e formativo.
Dal novembre 2021 ha iniziato un tirocinio lavorativo presso il centro diurno La Gabbianella di Orbassano, gestita dalla cooperativa Coesa.
Monica è un’avvocatessa che svolge in modo appassionato la professione di avvocato. Monica ha la consapevolezza che, pur essendo più faticoso, è molto più appagante e gratificante, vivere per unire e non per dividere. Monica inserisce nel suo modus operandi professionale anche una buona dose di gentilezza, attenzione a chi rischia di restare indietro, occupandosi quindi anche di persone che, per motivi vari, non hanno la forza economica per permettersi un difensore in caso di contenzioso.
Per tale ragione Monica Volpin è anche amministratore di sostegno e gestisce il patrimonio economico di persone fragili che fanno fatica ad occuparsene oppure per tutelarle da pericoli e da persone che potrebbero approfittare della loro fragilità.
Monica cerca di instaurare con i propri “assistiti” un rapporto paritario di relazione amichevole e distesa al fine di progettare insieme la gestione della vita della persona nella logica dei valori di scelta responsabile del singolo e di autodeterminazione.
Don Massimo Lovera è il parroco della parrocchia Santo Spirito di Pinerolo. Il contesto socio culturale della parrocchia ed il quartiere che lo circonda è un ambiente decisamente molto popolare. Per tale ragione l’operato di don Massimo e dei suoi collaboratori (corresponsabili, come ama chiamarli lui) guarda nella direzione di offrire risposte concrete ai bisogni di emarginazione, isolamento e nuove povertà. L’oratorio è un ambiente aperto che offre continuamente nuove opportunità di incontro, amicizia e relazione attraverso spazi di formazione, recupero percorsi scolastici, sport.
La parrocchia lavora molto in sinergia con le istituzioni civili ed è attenta ai bisogni dei singoli abitanti del quartiere e alle necessità più lontane: da un po’ di tempo collabora con un progetto sostenuto dal vescovo emerito della diocesi in Burkina Faso.
Il Podio è un’attività imprenditoriale che si occupa di commercio di articoli e abbigliamento sportivo. Fabrizio lavora in azienda da molto tempo e ha contribuito in modo sostanziale all’implemento ed allo sviluppo dell’azienda, aiutando l’ampliamento di punti vendita in altri territori piemontesi, soprattutto in provincia di Cuneo.
Il Podio resta un riferimento per tutti i pinerolesi che, oltre a prodotti di ottima qualità, trovano tra i collaboratori di Fabrizio, anche persone alla mano, disponibili e professionalmente preparati.
Il Podio non si limita solo al commercio. Fabrizio ed i suoi collaboratori sono molto attenti alle problematiche sociali e, nel tempo, hanno sostenuto ed alimentato, progetti di utilità sociale e di solidarietà in piena sinergia e collaborazione con varie associazioni del territorio. Negli ultimi tre anni, in collaborazione con Banca Generali e l’associazione sportiva Nessuno Escluso (che si occupa di progetti di inclusione sociale) il podio promuove e sostiene il progetto SPORT INCLUSION che consiste nello sviluppo di una realtà locale di pallavolo dedicata ad atleti o aspiranti tali con disabilità cognitiva, intellettiva e relazionale.
L’associazione SPORTIKA è un riferimento sportivo ed aggregativo per la città di Pinerolo. Esiste dal 1991 su iniziativa di Paola Martina che, allora, era una neo laureata in Isef. L’esperienza dei pionieri della Sportika inizia in un garage di Pinerolo e, fin da subito, diventa un riferimento irrinunciabile per tutti i bambini, bambine, ragazzi e ragazze che vogliono cimentarsi nella ginnastica artistica.
Dopo alcuni anni arriva la grande opportunità di espandere le proprie attività e viene inaugurata la sede di Via cattaneo a Pinerolo. Da quel momento l’offerta della sportika si espande e raggiunge, oltre alla ginnastica artistica anche la giocoleria, l’arrampicata, la ginnastica acrobatica, il parkour, e la ginnastica dolce dedicata a persone anziane che, alla sportika, trovano, oltre ad uno spazio in cui cimentarsi nello sport, anche uno spazio aggregativo e utile per generare opportunità di confronto e amicizia. Alla sportika hanno mosso i loro primi passi anche alcune atlete che, oggi, sono diventate un punto fermo della nazionale italiana di ginnastica artistica come la pinerolese Irene Lanza.
Beppe fa teatro da diversi anni e ha vissuto una sua rinascita con l'associazione Fabula Rasa e il progetto Teatro Senza Confini con cui si impegna perché il teatro sia uno strumento alla portata di tutti e in cui ci si possa esprimere liberamente.
Il progetto nasce dall'osservazione dei gruppi di teatro a scuola in cui spesso ragazze e ragazzi con disabilità venivano messi da parte o coinvolti con sempre gli stessi ruoli. Per uscire da questa dinamica e raggiungere l'inclusione di tutte e tutti Beppe ha avviato laboratori e attività che mettessero al centro i cuori, le menti e i corpi degli studenti e ne assecondassero le propensioni, uscendo dalla rigidità della drammaturgia e trovando linguaggi sempre nuovi.
Giuseppe ci racconta di come è stato possibile costruire questo percorso, che una delle soddisfazioni che porta con sé è di essere riuscito a mettere insieme diverse realtà e a portare in scena in piazza 60 persone provenienti da contesti diversi perdendo, nel tempo, lo sguardo di compassione del pubblico che spesso si ritrovava all'inizio.
Il teatro all'interno di questo progetto è uno strumento per costruire una comunità attiva e attenta, per ritrovare il piacere di incontrarsi e di esprimere se stessi in modi sempre diversi.
La biblioteca di Rivarolo Canavese è situata da quaranta anni all’interno di un edificio di impronta medievale, in passato teatro comunale e cinema, condividendo fino agli anni ’90 gli spazi con l’installazione di mostre. Oggi, assieme alle sfide legate alla diffusione della lettura e al processo di digitalizzazione del patrimonio librario, uno dei progetti per il futuro è creare un polo di aggregazione che possa racchiudere dentro di sé molteplici sfaccettature del mondo culturale.
La biblioteca rivarolese lavora inoltre nella conservazione del patrimonio librario e documentario attraverso il mantenimento dell’archivio storico, e nella promozione delle tradizioni del territorio con l'organizzazione di conferenze e presentazioni bibliografiche. Tra i progetti promossi vi è Nati per Leggere, indirizzato ai bambini 0-6 anni, ma anche Biblioteca fuori di sé, in cui la creazione di dotazioni librarie in luoghi esterni, come negozi e bar, permette l’avvicinamento alla lettura in contesti non tradizionali.
Fra Raffaele, insieme ai suoi altri 4 confratelli, gestisce la Parrocchia di San Bernardino, che oltre alle normali attività di una chiesa, si occupa anche della cura e del supporto dell'intera comunità del quartiere.
La parrocchia ospita un gruppo di ascolto, uno di mutuo aiuto per supporto economico ed alimentare, un oratorio per ragazzi, un'aula studio per universitari, un gruppo musicale che anima le cerimonie religiose, un bellissimo campetto da calcio, un gruppo sportivo e uno storico che organizza rievocazioni musicali.
Quello che ci racconta Fra Raffaele è di una parrocchia che è di tutti ed è aperta a tutti, pronta ad accogliere, a conoscere e ad ascoltare, perché di questo le persone hanno bisogno, qualcuno che abbia "orecchie e cuore per ascoltare".
Nadia è una delle socie fondatrici, Carmen si è aggiunta in seguito, entrambe formatrici dell'Associazione Artù, loro si occupano di portare l'arte nelle scuole.
Attraverso laboratori creativi di pittura, scultura, collage, disegni e tutto quello che può venire in mente, l'obiettivo è far conoscere l'arte attraverso il fare, i bambini si sporcano le mani, pasticciano, inventano e scoprono che l'arte si fa davvero con qualsiasi cosa, basta la creatività, così pennellata dopo pennellata, macchia dopo macchia, si perde la paura.
I loro laboratori sono aperti ai bambini/e delle scuole dell'infanzia e le scuole primarie, ma anche a insegnanti ed educatori/e, e perché no, a qualche adulto e genitore che abbia voglia di mettersi in gioco.
Nel 2011 nasce la società agricola We Can, per tanti anni dedita alla produzione di latte e oggi, con l’arrivo di Miriam, passata alla produzione di orticole e cereali.
Proveniente dal settore dei diritti umani e delle migrazioni, Miriam decide di tornare nel contesto familiare per mettere a frutto le competenze maturate nell’ambito della gestione della piccola impresa, anche grazie all’esperienza presso la cooperativa sociale Cartiera, di cui è stata presidente.
Il lavoro nell’azienda familiare permette a Miriam di vivere con maggiore intensità le stagioni e i cicli della terra, in un contesto in cui cambiamenti climatici si abbattono con forza e a cui si cerca di rispondere lavorando con metodi che non impoveriscano il terreno e avviando la conversione al biologico per la produzione degli ortaggi. A queste trasformazioni il riscontro del territorio è positivo: le persone hanno infatti maturato una maggiore consapevolezza verso ciò che mangiano, forse anche a seguito della pandemia, creando bei rapporti e visite all’azienda. L’aspetto sociale e l’attenzione per le tematiche migratorie sono evidenti anche nell’inserimento lavorativo di alcuni ragazzi richiedenti asilo politico e nella continua necessità di essere luogo aperto alla formazione continua e allo scambio di buone pratiche.
L’associazione Banca del Tempo del Canavese nasce nel 2019 con la necessità di creare una realtà che possa fare da collante tra persone di generazioni e culture, creando una realtà che non si leghi ad un territorio specifico, ma a cui possano partecipare comuni, associazioni e persone diversi.
L’associazione si basa sui meccanismi di buon vicinato, centrali nei rapporti di una volta sia per le attività quotidiane sia per rispondere a momenti di criticità. Ogni socio, infatti, può mettere a disposizione le proprie competenze e abilità, maturando in cambio un credito di ore verso la Banca del Tempo e non nei confronti della persona per cui ha svolto un’attività. Riparare un oggetto, accompagnare ad una visita o insegnare una lingua hanno dunque pari valore, eliminando il riconoscimento economico e creando un’economia alternativa basata sui meccanismi di mutuo aiuto. L’associazione organizza anche gite sul territorio, in modo da creare contesti di reciproca conoscenza e di fiducia tra i soci, incentivando la possibilità di chiedere aiuto.
All’interno della BdT è sorto anche un gruppo di acquisto solidale, il GASnavese, e si stanno sviluppando progettualità legate all’outdoor education. L’associazione è sempre aperta a collaborare con le varie realtà e i tavoli di lavoro sul territorio soprattutto sulle tematiche legate allo scambio e all’uso del denaro. Con il miglioramento della situazione sanitaria, uno degli obiettivi sarà infatti organizzare degli incontri nei comuni limitrofi in modo da far conoscere l’associazione e poter essere di supporto all’eventuale nascita di sottogruppi operativi più alle necessità territoriali.
Emerge inoltre il bisogno di avere una sede dove poter accogliere le persone e dare informazioni sull’associazione, ma anche di poter avere nuovi soci per l’organizzazione e l’ampliamento delle attività.
La Comunità di San’Egidio nasce nella sua esperienza piemontese a Novara, realtà da cui Arianna si è spostata per trasferirsi in Canavese e in cui dal 2008 sostiene numerose iniziative.
Attualmente la Comunità è attiva su Ivrea, grazie soprattutto alla disponibilità di uno spazio all’interno dello Zac! e alla creazione di una rete di solidarietà di imprese e cittadini che hanno permesso di avviare un progetto di distribuzione di alimenti, intercettando in particolar modo le persone esterne ai classici circuiti di assistenza. L’aiuto alimentare è un primo passo all’interno di un percorso di costruzione di amicizia e riconoscimento reciproco, dove la distribuzione diventa un momento di ritrovo e in cui persone spesso invisibili vengono chiamate per nome e acquistano importanza per l’altro. La rete che si è creata di mutuo aiuto è alla base delle attività che vengono svolte, a cui si unisce però la necessità di poter ricevere fondi e accogliere nuovi volontari in modo da poter rispondere con più forza alle necessità del territorio.
Sul Rivarolo è invece molto forte la presenza della Comunità all’interno della casa di riposo, in cui sono stati organizzati momenti di preghiera e di svago, anche con la partecipazione dei ragazzi provenienti dai centri di accoglienza per richiedenti asilo e delle scuole, alimentando rapporti interculturali e intergenerazionali di affetto e amicizia. Sul territorio è inoltre prevista l’apertura di una scuola della pace, con l’intento di sostenere l’alfabetizzazione dei bambini, sul modello di quella tenuta a Favria alcuni anni fa.
La testimonianza di Arianna ricorda che aiutare fa bene non solo a chi riceve ma anche a chi dona, dove ognuno può esprimere il proprio potenziale per fare qualcosa di grande e dove sentire di avere delle forze da poter spendere per gli altri è motivo di serenità.
Michele, consigliere comunale e presidente circoscrizione 3 per oltre 10 anni, ha anche scritto alcuni romanzi proprio ambientati nel quartiere, in questa intervista ci racconta la sua San Paolo, quella di ieri e quella di oggi.
Ora è il vicepresidente della Bocciofila La Frejus, luogo storico del Borgo, un cortile verde racchiuso tra le case che si scopre solo addentrandosi tra i palazzi. Luogo che mira a recuperare la dimensione del noi, a ricostruire la comunità di San Paolo a riscoprire la tradizione culinaria e dello stare insieme come a casa.
Davide, è il Presidente Regionale di Anla, Associazione Nazionale Lavoratori Anziani, che si occupa di fornire assistenza a ex lavoratrici e lavoratrici in pensione.
L'associazione si occupa di assistenza sanitaria ed operativa, dall'assistenza domiciliare, all'accompagnamento per visite o aiuto nella spesa alimentare o per farmaci, grazie ai tanti volontari che si spendono per l'aiuto e il supporto.
Uno degli obiettivi di Anla, è quello di mettere a disposizione della collettività le competenze e tutti i saperi racchiusi dentro a tutte le persone di cui è costituita l'associazione, attivando un passaggio generazionale di competenze, costruendo rapporti e reti intergenerazionali, vitali per ricostruire e mantenere vivo il tessuto sociale, commerciale e produttivo di una comunità.
Enrico Crescimanno oggi si trova a governare un'ampia fetta della periferia nord della città di Torino: la Circoscrizione 5, che comprende i quartieri di Borgo Vittoria, Madonna di Campagna, Borgata Tesso, Lucento e le Vallette.Lui non è originario di questi paraggi, ma ha comunque un'ampia esperienza di periferie: è infatti nato e cresciuto in un ambito ancora più marginale della stessa città, ossia la Falchera, che amministrativamente ricade sotto la Circoscrizione 6 ma che in fondo è sempre l'estremo nord del territorio comunale.Là ha vissuto con la propria famiglia, profondamente immerso nei valori della tradizione cattolica e frequentando gli ambienti parrocchiali, e ha iniziato gli studi che l'hanno poi portato a diventare un ingegnere meccanico, impegnato da molti anni in seno alla cosa pubblica presso la Regione Piemonte, prima di compiere il passo in politica che l'ha portato oggi ad amministrare il nord-ovest torinese.Nel suo lavoro si augura di migliorare piccole cose fattive, a partire dalle condizioni delle strade, ma anche ad accrescere il senso di sicurezza della popolazione residente sul territorio che l'ha votato, così come a contrastare le forme di povertà incipiente che lo vedono oggi attivo promotore di un tavolo che si pone l'obiettivo di armonizzare l'opera dei vari soggetti che, parrocchie in testa, si occupano dei tentativi di tamponare questa emergenza sociale.Nel frattempo, proseguendo il proprio lavoro da ingegnere affiancato al compito di presidente della Circoscrizione, usa il poco tempo libero che gli resta per rinfrancarsi con la famiglia, possibilmente con qualche soggiorno sulle amate montagne.
Anna Laura è un'educatrice professionale della Cooperativa La Rondine, si occupa di gestire i servizi di riabilitazione psichiatrica, principalmente si tratta di risocializzazione e riabilitazione delle persone con difficoltà nei rapporti sociali.
E' un lavoro di cura, attraverso cui si ricostruisce la capacità di stare nelle relazioni sociali, attraverso attività di gruppo all'aperto, creative e momenti conviviali.
Anna Laura ci insegna che senza " l'altro " non riusciamo a stare, che grazie alle persone e alla relazione ricostruiamo noi stessi, accettandoci e accettandole nell'imperfezione, riscoprendo la verità di ciò che siamo.
La libreria Belgravia si trova in via Vicoforte 14, al centro di tre grandi direttrici, Corso Peschiera, Corso Trapani e via Frejus, nel Borgo San Paolo. Entrando dalla porta di ingresso, si accede ad un open space molto luminoso, con ben dodici vetrine che si affacciano su una piazzetta, che rappresenta il crocevia culturale e sociale del borgo.
Prima del 1994 la sua sede si trovava in via Monginevro, in un piccolo spazio con un soppalco. L’ingresso nel nuovo negozio coincide con una fase di cambiamento nella prospettiva delle modalità di vendita, che richiedevano una mentalità aperta, che portasse la libreria al di fuori, verso le persone.
La struttura, che prima ospitava un presidio sanitario, è stata studiata in maniera tale che dall’esterno si possa vedere tutto l’interno. Gli spazi sono stati organizzati per essere flessibili ad una offerta varia, alla possibilità di muoversi liberamente attraverso gli scaffali e alla necessità di organizzare eventi che possano ospitare un certo numero di persone.
Le peculiarità della libreria Belgravia sono molte. La prima è rappresentata sicuramente dalla sua offerta, che è molto varia, ricercata e curata. Non di minor importanza la scelta di collaborare attraverso una rete informale con le librerie della zona. Il negozio si trasforma in un luogo che accoglie eventi di promozione di scrittori, poeti, musicisti che possono godere, in questo modo, di una visibilità che altrimenti non avrebbero. La partecipazione a progetti che promuovono la lettura e la cultura ad ogni livello, rappresenta un’altra scelta importante. Alla base di tutto, una visione aperta a cogliere varie sollecitazioni e soprattutto una lettura attenta e puntuale delle necessità del quartiere e delle persone che lo vivono quotidianamente; oltre ad uno sguardo attento verso i cambiamenti congiunturali e le conseguenze che da esso derivano.
Al di fuori della libreria, Luca ha una famiglia e coltiva la passione per la fotografia e la poesia, quest’ultima in particolare, lo accompagna dall’adolescenza. La sua indole e come lui sostiene, la necessità, lo portano ad una continuità di pensiero con la sua attività di libraio. È quindi una persona curiosa, che porta i suoi interessi e le sue passioni sugli scaffali del negozio.
Comincia la sua carriera di libraio, grazie all’editore della Casa Editrice Sonda che apprezza le sue competenze amministrative e commerciali e, attraverso una formazione che parte del riordino degli scaffali nel magazzino, gli fornisce le conoscenze che oggi gli permettono di gestire la sua attività. La libreria è stata rilevata dal precedente proprietario di cui ha mantenuto il nome, per rispetto alla continuità.
Luciano è un cittadino Aviglianese che da quando è andato in pensione ha deciso mettersi a disposizione della comunità come volontario su molti progetti.
L'attività principale a cui si dedica è Avigliana Riusa, un progetto che si occupa della raccolta e la redistribuzione di oggetti in disuso ma ancora utilizzabili in rete con diverse associazioni e iniziative della Città. Gli obiettivi di questo progetto sono sia di tutela ambientale sia di inserimento sociale e lavorativo, all'interno dei volontari ci sono anche dei percettori di reddito di cittadinanza che dedicano parte del loro tempo per la comunità.
Gli utenti sono circa 1800 su 63 comuni e per garantire al meglio il servizio, anche in tempi di distanziamento fisico, si è sviluppato sempre di più il lato organizzativo e informatico di supporto al progetto oltre agli aspetti operativi di raccolta e distribuzione.
Luciano dedica ad Avigliana Riusa, oltre al suo tempo, le sue competenze informatiche e invita cittadine e cittadini a mettere in gioco le proprie competenze per la comunità in un'ottica ci collaborazione e di costruzione di percorsi condivisi. Dopo una prima collaborazione con la Biblioteca di Avigliana tra gli obiettivi che vorrebbe raggiungere c'è l'istituzione di un punto di prestito di oggetti e strumenti, sempre nello spirito di una sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle attività quotidiane.
Cristina ha iniziato a lavorare in ORSO una quindicina di anni fa spinta dell'interesse per le politiche sociali e per la costruzione di comunità di cittadini attivi.
Negli anni ha deciso di diventare un'operatrice legale e oggi lavora all'interno del progetto SAI di Avigliana per l'accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. Al momento sono 21 le persone ospitate a cui si aggiunge un'ulteriore disponibilità di posti per persone provenienti dall'Afghanistan.
Grazie ai progetti realizzati sono molte le persone che Cristina ha avuto modo di accompagnare nel loro percorso di crescita e autonomia e spera di poter fare sempre di più. Il sogno più diffuso tra chi è stato coinvolto all'interno di questi progetti è quello di poter avere una casa propria, grazie al supporto di operatrici e operatori riescono a trovare il giusto supporto per fare i primi passi per il raggiungimento della propria autonomia e dei propri desideri.
Manuela è la fondatrice di Vita e Pace e ci racconta come in questi 25 anni sono stati diversi gli eventi di cui sono stati protagonisti.
L'associazione è nata quasi per caso con l'intento di prendersi cura della cultura ad Avigliana e nella Chiesa di Santa Maria Maggiore in particolare.
Gli eventi sono stati caratterizzati dall'accoglienza di tutte e tutti e dalla passione per la cultura in tutte le sue forme, dalla musica alla scultura costruendo uno spazio in cui molti scelgono di andare quando sono in cerca di un luogo sicuro. Le sfide non sono mancate ma la forza dell'entusiasmo di volontari e avventori e la capacità di collaborazione e accoglienza ha permesso di arrivare fino ad oggi e di continuare ad organizzare iniziative sul territorio.
Giovanni è presidente FIDAS ADSP ad Avigliana da 9 anni.
La sua scelta di diventare volontario è stata mossa anche dalla sua esperienza personale e cerca di trasmettere alle persone che incontra l'emozione che vive ogni volta che effettua una donazione, lo slancio emotivo che mettersi a disposizione della comunità gli dà tutte le volte.
Nel corso degli anni le responsabilità e le difficoltà nella gestione delle attività sono state molte ma non per questo le ambizioni dell'associazione si sono fermate. La prossima azione che hanno scelto di intraprendere è rendere più accessibile la donazione del sangue adattando i loro spazi per fare in modo che anche alle persone con disabilità sia possibile accedere e vivere la stessa gioia che provano in molti a donare.
Patrizia vive ad Avigliana e partecipa alla sua vita da sempre. Con l'Associazione Gruppo Storico Borgo Vecchio si prende cura del patrimonio storico della Città.
Uno degli eventi principali per gli 8 borghi aviglianesi è il Palio, per lei è una tradizione di famiglia partecipare e spera che per le nuove generazione possa essere emozionante tanto quanto lo è stato per lei vivere e conoscere questa tradizione.
Nel futuro spera di poter riportare Avigliana allo splendore che ha già vissuto non troppi anni fa, di poter rivedere Avigliana come centro culturale della Val di Susa che attiri sul suo territorio l'attenzione e l'interesse di molti.
Gabriella ha sempre sognato di fare la maestra, un lavoro che considera un po’ una missione, e oggi è insegnante di sostegno alla scuola primaria di Rivarolo.
Forse per segno del destino, nel 2007 nasce Stefano, un ragazzo con autismo, che ha richiesto una riorganizzazione totale nella vita di Gabriella e del marito, possibile grazie anche al supporto di familiari, amici e di personale esperto. All'esigenza di potersi ritagliare del tempo per sé e di confronto, risponde anche l'offerta di alcuni corsi sul territorio per la creazione di personale qualificato nel lavoro con persone diversamene abili, soprattutto nell'ottica del "dopo di noi". La nuova situazione ha permesso a Gabriella di conoscere famiglie in condizioni analoghe, con cui poter condividere dubbi e piccoli successi e con le quali è stata creato uno sportello ANGSA ad Ivrea, gestito da volontari il giovedì pomeriggio, in collaborazione con una cooperativa sociale.
Nelle azioni di tutti i giorni, Gabriella esprime una tenacia costante nel voler abituare le persone a riconoscere e vivere la diversità e la disabilità, in un contesto in cui tutti debbano avere pari diritti e doveri.
Tutto ha inizio durante l’estate 2021, quando un gruppo di circa trenta studenti, sulla spinta di alcuni professori, hanno dato vita ad una serie di laboratori con l’obiettivo di riaffezionarsi alla scuola e poter svolgere delle attività. Grazie all’alta partecipazione, il progetto è stato esteso anche durante l’anno scolastico, dando vita ad un’ampia offerta di attività gestite e seguite sia dagli studenti sia dagli insegnanti.
Nasce così DiMoro al Moro, un comitato studentesco, oggi composto da circa trecento persone, che ha dato vita all’appuntamento fisso dei laboratori del venerdì pomeriggio, riuscendo a mettere insieme studenti di plessi diversi (liceo ed ex ITIS) e appartenenti a tutte le classi, in cui ognuno è libero di proporre la propria idea. L’obiettivo diventa quindi riuscire a creare una scuola in cui si ha il piacere di stare insieme e dove l’apprendimento acquista una forma più partecipativa e non solo nozionistica.
Tra gli attuali laboratori si possono trovare, ad esempio, il gruppo di teatro, lettura, giornalismo, robotica, sostenibilità ambientale, ma anche pallavolo e basket, in cui la necessità è poter avere spazi dove coltivare i rapporti umani e poter condividere l’entusiasmo di stare insieme, soprattutto a seguito dell’isolamento vissuto con due anni di didattica online. Gli obiettivi per il futuro sono moltissimi: innanzitutto poter estendere la partecipazione ai laboratori anche alle persone esterne all’ambiente scolastico, aumentare la consapevolezza degli studenti su servizi e diritti attraverso informazioni più snelle, ma anche collaborare attivamente con le associazioni e gli istituti sul territorio alle attività sportive e di impegno politico.
Manifattura F nasce cinque anni fa dall’esigenza di poter accogliere in uno spazio persone con cui condividere un progetto e non solo un prodotto. L'impresa individuale permette a Federica di sperimentare e creare nuovi modelli fuori dagli schemi dell'alta moda in cui le clienti sono collaboratrici attive nel processo di creazione, come all’interno di un club, rendendo la produzione sempre mutevole. Come designer, Federica unisce in sé tante sfaccettature del proprio lavoro: progettazione, produzione, comunicazione - soprattutto grazie ai social - e ricerca di collaborazioni, riuscendo ad esprimere quotidianamente la propria individualità.
La scelta di creare accessori e borse parte dal valore che viene dato alla pelle, un materiale a cui ci si affeziona immediatamente e di lunga durata e che Federica ricerca personalmente in Toscana, recuperando ciò che andrebbe eliminato e dando un valore aggiunto al prodotto finale.
Dopo esperienze abitative a Milano e Torino, Federica torna con il compagno nel contesto rivarolese riavvicinandosi a famiglia e amici per la gestione dei figli e trovando uno spazio bello, centrale ed economicamente accessibile per la propria attività. Con il desiderio di poter tornare un giorno in un contesto più metropolitano, Federica partecipa periodicamente ad eventi e fiere per la promozione del proprio marchio, esprimendo l'esigenza di creare in ogni luogo spazi che raccolgano stabilmente le botteghe artigiane.
Simone, 24 anni, nato a Susa, si diploma all'I.I.S.S. Des Ambrois di Oulx (TO) all’indirizzo Istituto Tecnico Economico per il Turismo.
Dopo il diploma, prende la licenza come Operatore Socio-Sanitario, e dopo si iscrive al Corso di Laurea in Scienze delle Attività Motorie e Sportive. Attualmente, frequenta la magistrale di Scienze Motorie e nel frattempo svolge un anno di volontariato con il Servizio Civile Universale, presso il Con.I.S.A. Valle di Susa - Val Sangone presso il polo di Susa.
Ha svariate passioni: la musica, nello specifico il musical, e il mondo dello spettacolo.
Simone è molto sportivo e allena i bambini di atletica leggera, oltre ad essere un ex-atleta agonista proprio di atletica leggera.
Vorrebbe più considerazioni dei giovani sul territorio e più attività ricreative.
Samuele, 21 anni, nasce a Vallo della Lucania e vive a Susa.
Si diploma al liceo scientifico di Bussoleno, e successivamente si iscrive al Politecnico di Torino, dove tuttora frequenta il corso di studi di Matematica per l'Ingegneria. Frequenta il Politecnico e svolge un anno di Servizio Civile Universale, presso il Con.I.S.A. Valle d Susa - Val Sangone. Ciò che ha spinto Samuele in questa esperienza è la voglia di mettersi in gioco, soprattutto a seguito di questo periodo pandemico.
Negli anni ha anche svolto degli esami di pianoforte e organo al conservatorio di Torino. Nel tempo libero scrive canzoni, lo fa per un gruppo emergente di cui fa parte.
Vorrebbe più attività ricreative per i giovani e un miglioramento dei servizi di trasporto pubblico.
Laura è una cittadina attiva di Avigliana da 30 anni.
La sua passione per l'ambiente e per il mondo naturalistico l'hanno portata ad avviare diversi progetti all'interno della città: dalla guida naturalistica ai percorsi educativi nelle scuole, dalla riduzione dei rifiuti al contrasto alle povertà alimentari.
Ritagli è solo l'ultimo dei progetti di cui è protagonista all'interno di Avigliana insieme ad altre volontarie. Questa iniziativa mira a valorizzare tutti quei prodotti e materiali abbandonati e dargli nuova vita attraverso l'upcycling creativo.
In tutti i percorsi intrapresi la stretta collaborazione con le associazioni presenti sul territorio ha dato grandi contributi per il raggiungimento degli obiettivi e la creazione di opportunità per tutte e tutti. Per poter raggiungere obiettivi sempre più grandi una delle risorse di cui si sente sempre il bisogno è quella dei volontari, nella speranza che l'attenzione alla tutela dell'ambiente sia un tema sempre più centrale per i nostri territori.
Alessandro ha 33 anni e vive Avigliana fin da quando era piccolo. Ha scelto di investire molte delle sue energie da cittadino attivo a favore della città e, in particolare, delle nuove generazioni che la attraversano.
Fa parte degli Scout da diverso tempo e nel 2015 ha deciso di aprire un bar all'interno del centro polifunzionale "La Fabrica" di Avigliana. In entrambe queste attività ha costruito relazioni con diverse fasce d'età e in particolare dai giovani aviglianesi ha modo di approfondire tematiche nuove e affrontare esperienze sempre diverse.In questi anni di lavoro al bar sono molte le collaborazioni che Alessandro ha avuto modo di avviare: dagli inserimenti lavorativi all'organizzazione di eventi in collaborazione con le associazioni attive sul territorio.
Secondo le ragazze e i ragazzi che frequentano gli Scout e il bar "La Fabrica" per poter uscire al meglio da questi periodi complessi la strategia vincente è avere sempre più luoghi di socialità aperti al pubblico per giocare e per dare spazio a passioni e propensioni di tutte e tutti.
Non avrebbe mai pensato di fare questo lavoro, sino a pochi anni, fa Franca. Eppure, già superata la soglia della “mezza età”, insieme al suo Marino ha aperto una tabaccheria. E ha scoperto un mestiere che le piace moltissimo, anzi piace più a lei che a lui, il marito che pure ha avuto l'idea.Franca aveva fatto l'impiegata per la maggior parte della sua vita, crescendo una figlia ormai già laureata, mentre in gioventù aveva abbandonato la sua autentica passione: la pittura. Aveva anche iniziato lo studio con un maestro, ora resta un piacere delegato soprattutto alle visite a mostre e musei che compie col marito.Nel frattempo, però, ha scoperto il piacere di lavorare a contatto col pubblico: le piace, si trova bene, anche se a volte qualche cliente la fa arrabbiare; le piace al punto che sta spingendo, nelle valutazioni fatte con Marino, per rimandare sempre di un po' il pensionamento. E per aprire la tabaccheria, è tornata non lontano dal quartiere (Lucento) in cui era nata, all'epoca campagna in mezzo agli animali; animali che sono l'altro suo grande amore, fra gatti e cani salvati dalla strada e che, placidi e pazienti, fanno compagnia a lei e al marito nelle lunghe giornate trascorse dietro il banco della tabaccheria.
Lorenzo, dopo gli studi superiori da geometra e un’esperienza universitaria ad architettura, è attualmente al termine della triennale in Storia a Torino. Fortemente appassionato di storia moderna e contemporanea, ammette un po’ rammaricato di essere nato nell’epoca sbagliato e spera di poter trovare un’occupazione lavorativa nell’insegnamento o nel contesto museale, soprattutto a seguito della bella esperienza di stage all’interno della biblioteca presso il Museo Nazionale del Risorgimento Italiano.
Nato e cresciuto a Feletto, Lorenzo appaga la sua curiosità con la vita di paese in cui tutti si conoscono, come all’interno di una grossa soap opera, e vive l’università da pendolare sia per non pesare troppo sulle finanze familiari sia perché profondamente innamorato del paese di origine.
Da circa quindici anni suona all’interno della banda felettese ed è appassionato di musica classica, grazie anche all’eredità del nonno, medico di paese, che trasformò l’ambulatorio dismesso in luogo pieno di libri e dischi. Lorenzo collabora con il quotidiano Il Canavese, per cui scrive articoli di varia natura.
L’associazione Pandorama nasce nel 2018 come supporto organizzativo all’Alfred Clown Festival, un evento teatrale di comunità organizzato a Bosconero in concomitanza con la tradizionale fiera dell’artigianato e dedicato al padre di Riccardo, Alfredo Forneris. Il nome dell’associazione, frutto di mescolanza tra una parola usata dal gruppo di amici di Riccardo e il vaso di Pandora, sottolinea l’essenza di un progetto aperto all’uscita inaspettata di sorprese belle, così come la maschera di un clown che non copre ma denuda e che permette di parlare di tante sfaccettature del proprio essere.
Riccardo si avvicina al mondo della clownerie quasi per caso, grazie all’incontro con un’allieva del Teatro Fisico di Philip Radice e a seguito del quale inizia l’esplorazione in ambienti diversi alla ricerca di continue connessioni, ma in cui il clown rimane il filo conduttore.
Dopo una serie di esperienze a Torino, Barcellona e Parigi, Riccardo torna a Bosconero iniziando a creare una serie di attività sempre coinvolgendo gli abitanti e le associazioni locali come “I lunedì di Richi” nella casa di riposo della zona e “Butta la chiave” il dialogo del giovedì mattina con i passanti e i commercianti del mercato settimanale. Soddisfatto di essere riconosciuto come il pajasso del paese, Riccardo lavora in una continua sfida tra lo stare in un luogo, con la conseguente possibilità di intessere rapporti di reciproca conoscenza, e il muoversi in ambienti diversi alla ricerca di nuovi stimoli e spunti. La sfida diventa dunque riuscire a trasformare Bosconero nella base operativa e portare gli spettacoli in giro per il mondo. A ciò si aggiungono la necessità di dare nuovo impulso al teatro, un luogo spesso non conosciuto dagli stessi abitanti di un paese, che deve essere in grado di diventare accessibile a tutti, e riuscire a unire la comunità bosconerese con gli artisti esterni per nuove edizioni del festival teatrale.
Enrica nasce a Torino.
Dopo gli studi superiori si laurea al Corso in Servizio Sociale presso l'Università degli Studi di Torino. Inizia a lavorare sul territorio Valsusino come Assistente Sociale, per il Con.I.S.A. Valle di Susa - Val Sangone. Impiego che ricopre tuttora. Per professione, ma anche per indole personale, il suo obiettivo è supportare le persone in difficoltà: conoscendo le loro storie e valorizzando i punti di forza.
Sottolinea un forte senza di comunità che caratterizza i valligiani: molto legati alla loro terra.
Ci sono delle criticità, rappresentate dalla dispersione territoriale: i servizi primari dovrebbero raggiungere anche piccoli comuni o borgate lontane dalle località principali: Bardonecchia, Oulx, Susa, Bussoleno e Avigliana.
Elisa, originaria di Pinerolo (TO), si trasferisce in Valle di Susa dopo 25 anni. Seppure la Val Sangone sia la sua terra di origine, tuttora risiede in Valle di Susa.
Sulla scia dei suoi fratelli, si iscrizione e diploma al Liceo Scientifico. L'anno successivo frequenta la Scuola Professionale per educatori per convertirla in Laurea presso il Corso di Laurea in Scienze dell'Educazione - indirizzo animatore socio-culturale.
Educatrice presso il Con.I.S.A. Valle di Susa - Val Sangone, la motivazione e la curiosità sono le cause che hanno spinto Elisa a scegliere questa professione.
Rappresenta la Valle di Susa come ricco di relazioni, di cultura e di natura, nonostante la dispersione territoriale perché è un territorio montano. Quindi lungo tutta la valle è possibile attraversare 40 comuni e più di 600 borgate!
Una necessità del territorio è la creazione di momenti di condivisione per favorire il sentimento di comunità! Secondo Elisa l’aiuto alle persone più fragili dovrebbe essere più valorizzato sul territorio.
Il Centro Famiglie è ubicato a Rivarolo all’interno del parco del Castello Malgrà, negli spazi un tempo occupati dalla Pretura. I servizi offerti al suo interno sono frutto di progettazione tra privato sociale e servizio pubblico, attualmente gestiti dalla cooperativa sociale Andirivieni in collaborazione con associazioni ed enti sul territorio.
I servizi che si possono ritrovare al suo interno sono molti, nell’ottica di poter rispondere ai bisogni e al loro variare nel tempo, anche attraverso l’istituzione di un servizio online con la prima fase pandemica. Attualmente è possibile trovare supporto educativo, psicologico e legale, sostegno alla genitorialità, usufruibili sia a seguito di segnalazione degli operatori sociali sia attraverso l’accesso diretto, previo appuntamento. Agli sportelli individuali si affiancano una serie di attività collettive che strutturano il Centro Famiglie anche come spazio di aggregazione attraverso laboratori artistici e incontri di gruppo dedicati ai genitori con bambini 0-6 mesi, unendo proposta sociale e culturale in un unico spazio.
L’obiettivo, nel tempo, è stato strutturare le attività in uno spazio che potesse essere non solo accogliente e quieto, ma che potesse educare alla bellezza e al rispetto di luoghi usufruibili da tutti, in cui la sfida continua è la necessità di non connotare lo spazio solo come servizio sociale, ma di luogo aperto a tutti per esigenze e attività diverse.
STURIELLET, nome gergale che prende spunto dai fumetti di Andrea Pazienza, è un gioco di parole che ne sottolinea però il DNA : un libreria specializzata in fumetti. Nasce nel 2014 in Borgo San Paolo dalla collaborazione fra Corrado e Marco, che avevano già maturato esperienza presso un’altra fumetteria di Torino, per dare invita ad un loro percorso indipendente, oggi accompagnato dal vivacissimo cucciolo Leone. Con il tempo si sono fatti conoscere e la loro clientela affezionata, proviene da tutte le parti della città e da fuori ed è composta prevalentemente da adulti.
L’offerta della fumetteria comprende volumi di modernariato riproposto in ristampe, che portano nuovamente sugli scaffali fumetti in voga negli anni quaranta e cinquanta. Un’ampia sezione è dedicata al fumetto giapponese, forma di racconto che attira i giovani, affascinati dal mondo orientale. Tutto ciò che viene pubblicato in Italia è proposto dalla libreria. Un settore è dedicato ai supereroi che hanno ancora molto seguito presso il pubblico adulto, cresciuto con gli eroi della Marvel. Grande spazio hanno anche i fumetti della scuola franco-belga con la vasta produzione avventurosa e storica.
Per aprire e gestire una fumetteria, come racconta Corrado, non basta essere appassionati lettori, bisogna conoscere bene il mondo del fumetto per poter proporre, consigliare al cliente che entra in negozio. Bisogna anche essere sempre aggiornati circa le novità in uscita. Corrado vive nel mondo del fumetto sin dall’infanzia, quando acquistava le sue copie all’edicola e le collezionava gelosamente. Per Marco, il suo socio, l’interesse già presente da bambino è diventata una passione quando, per un esame universitario, aveva dovuto studiare il linguaggio dei fumetti. Da lì una tesi sull’argomento e la voglia di diventare autore, che poi si è trasformata nella gestione di Sturiellet.
Oltre il Catalogo, nel cuore del Borgo San Paolo, è una libreria particolare che propone libri non da vetrina, ma che sono il frutto di ricerche molto accurate da parte di Dario. Dettate dai suoi gusti e dalla necessità di trovare particolarità da consigliare a clienti che si rivolgono a lui, per interessi che vanno al di là del libro da classifica. Infatti è facile trovare saggi storici, vecchie edizioni di classici, case indipendenti di circolazione ristretta, libri di storia della musica. Dopo due esperienze importanti, presso la libreria Zanaboni ed un grossista di libri, attività ormai chiuse da tempo, Dario decide di aprire Oltre il Catalogo. Un nome che sottolinea la diversità della sua proposta e che è stato suggerito da un amico editore, che pubblica libri inerenti al tema della disabilità. L’idea è partita dalla possibilità di fare qualcosa di nuovo attraverso volumi in disuso, ingialliti, trovati nelle fiere, nei mercatini, o buttati in giro, per dare loro nuova vita. La vendita, cominciata online e con la partecipazione a fiere, si è poi aperta al quartiere, in un piccolo spazio in cui si ritrovano clienti affezionati, che prediligono la dimensione umana nel momento dei loro acquisti. Sono soprattutto donne, molto giovani e anziane, appassionate lettrici.
Dario ama i libri sin da bambino, grazie ad uno zio lo portava in un magazzino pieno di volumi, che lui sfogliava e in cui si immergeva. Ha continuato a coltivare la sua passione anche da ragazzo, andando a lavorare presso le bancarelle di libri usati in Corso Siccardi e ancora oggi con Oltre il Catalogo.
Michela e Stefano hanno ampliato la Rete Radie Resch, un’associazione di solidarietà internazionale nata negli anni’60, con la creazione nel 1998 di un gruppo sul territorio di Torino e provincia, grazie anche alla conoscenza di Leonardo Boff durante il Salone del Libro.
La Rete ha oggi numerosi nuclei attivi sul territorio nazionale, ognuno composto da persone e famiglie che, in base al principio di autotassazione, sostengono i vari progetti alla cui base vi sono tre principi: la ricerca delle ragioni che creano la povertà nel mondo, la sensibilizzazione su di esse, riconoscendo il peso delle azioni compiute nel mondo occidentale e la necessità di dare mezzi che vengano amministrati secondo le competenze e la cultura del luogo.
Dopo il primo intervento in Palestina, la Rete ha infatti ampliato l’area geografica di azione, concentrandosi soprattutto sull’America latina, ma sempre mantenendo il focus sulla necessità di equilibrare la distribuzione di ricchezza tra nord e sud del mondo, anche attraverso la diffusione del consumo critico e anticipando gli stili di vita basati sul consumo equo e solidale. Per far ciò, i vari nodi all’interno della Rete organizzano eventi e attività per sensibilizzare la popolazione, illustrando la forte connessione tra la disparità di ricchezze e i flussi migratori e cercando di creare ambienti inclusivi e di supporto all’inserimento di nuove persone. La Rete di Torino e dintorni ha infatti creato negli anni numerosi progetti come l’istituzione di un doposcuola, la creazione di un corso di giornalismo e di una mostra sul tema della migrazione collaborando con le realtà associative e le scuole del territorio.
Cercando di essere sempre aperti a nuovi stimoli e alla collaborazione con giovani volontari, il gruppo sta attualmente organizzando una serie di eventi in modo da poter raccogliere denaro per la costruzione di un pozzo nel villaggio natio di Moussa, un giovane nigerino da poco entrato nella Rete.
Donostia è una piccola libreria indipendente che si trova in via Monginevro 85/A, in Borgo San Paolo. Il suo nome significa San Sebastian, cittadina dei Paesi Baschi, territorio a cui Il Sig. Rinaldo, il proprietario, e’ molto legato.
Il negozio ha una metratura di 30 mq, ma la sua offerta è ricca e varia. Una parte molto importante è rappresentata da volumi, anche in dialetto, sul territorio e la storia piemontese proposti da piccoli editori. Anche la narrativa e i gialli, soprattutto di ambientazione torinese, trovano ampio spazio, perché incontrano il gusto di una parte molto ampia della clientela. Le persone che frequentano prevalentemente la libreria, vivono nel quartiere, che nel corso degli anni è cambiato molto. Da zona industriale e operaia, ha visto dopo gli anni settanta scomparire le piccole fabbriche, sostituite da condomini che ospitano cittadini che sono nati e vivono nel borgo, ma anche nuovi residenti giunti con le migrazioni, che danno al quartiere una connotazione multietnica. La clientela storica della libreria si e’ arricchita di nuovi fruitori amanti della lettura.
Donostia, prima Libreria Piotti, è presente in via Monginevro dagli anni 50, prima al civico 78 ed è stata probabilmente il primo negozio di libri fuori dal centro. Nel 1973 viene rilevato dai genitori del Sig. Rinaldo che subentra al padre nella gestione nel 1980. Nel 1987 il trasferimento al numero 85 e il nuovo nome. Nel tempo il negozio è diventato un punto di riferimento per il quartiere: i clienti entrano non solo per gli acquisti, ma anche per scambiare due chiacchere. La collaborazione con i negozi vicini è molto attiva, così come con la circoscrizione e soprattutto con le altre librerie della zona, rendendo ancora più piacevole un lavoro interessante, ma molto impegnativo.
Rinaldo che ha viaggiato molto in gioventù, ora si sposta meno e con il tempo sono cambiati anche i suoi interessi. Coltivava particolarmente la passione per i modellini dei treni (modellismo), ma problemi di spazio e di costi l’hanno resa insostenibile. Amante del calcio visto allo stadio e del cinema vissuto nelle sale, coltiva amicizie e relazioni con persone diverse con cene a casa, quindi ama molto cucinare. Le passeggiate solitarie in montagna o in collina, in mezzo alla natura, rappresentano momenti importanti del suo tempo libero.
PANTALEON nasce nel 2015. Dopo esperienze diverse nel mondo del commercio, Davide decide di intraprendere l’avventura della sua libreria. A distanza di sei anni è molto radicata nel quartiere e riconosciuta dai suoi abitanti, come un luogo in cui ritrovarsi, chiedere consigli sui libri, affidandosi alla competenza e alla sensibilità di Davide, che ripaga il loro affetto con consegne quanto più veloci e puntuali possibili. Pantaleon cerca di essere un punto di riferimento culturale, anche attraverso l’organizzazione di attività: presentazioni, corsi di letteratura, laboratori per bambini.
Pur essendo una libreria di tipo generalista, si è data un’identità particolare attraverso tre filoni di offerta. La narrativa, con i volumi di catalogo che non possono mai mancare, che affiancano le novità che vengono selezionate con l’aiuto del pubblico che è molto esigente. In questo spazio una sezione è dedicata ad editori, circa una ventina, piccoli ed indipendenti ma di grande qualità.
C’è poi la parte dedicata alla saggistica di storia e società, perché più affine a interessi e preparazione di Davide. Una piccola sala, arredata e decorata diversamente dal resto della libreria, è riservata all’editoria per l’infanzia e per ragazzi. Uno spazio molto vivo e frequentato perché’ la narrativa per bambini sta vivendo una fase di grande sviluppo, sia come quantità e qualità di offerta, che come domanda da parte dei genitori e dei ragazzi.
La scelta del luogo in cui aprire la libreria è stata un po’ casuale. Davide conosceva Cit turin, un quartiere in via di espansione che gli piaceva. Dopo averlo frequentato, osservato la sua quotidianità, è cominciata la faticosa ricerca di un locale. Un giorno, passando casualmente in via Grassi, la vetrina del civico 14 ha attirato la sua attenzione, perché ricoperta da fogli di giornale. Un negozio di fiori aveva appena terminato la sua attività e Davide dava inizio alla sua avventura.
Bufò è una libreria specializzata in editoria e giochi per bambini, nata nel 2014 a Ciriè. Nel 2016 si è trasferita a Torino, nel quartiere San Paolo, dove Marta, la proprietaria, e’ nata e vissuta e che ha accolto l’arrivo della libreria con grande curiosità.
Come un cantiere in continuo movimento, Bufò cerca di offrire ai suoi piccoli avventori un’accurata e vasta selezione di libri, giochi creativi e di società. Una sezione è dedicata anche agli adulti attraverso l’offerta libri illustrati che incontrano un grande favore nel pubblico.
L’edificio che ospita la libreria, di recente costruzione, sorge dove prima c’era una fabbrica di vernici e lo testimonia la parete curva che ospita lo “spazio morbido”, con la poltrona per l’allattamento e la pedana, su cui si svolgono molte attività: corsi e serate di lettura ad alta voce, incontri tra genitori ed esperti, laboratori per bambini.
La comunicazione attraverso i canali social permette a Marta di fare rete con attività presenti nella zona, che è viva e animata da persone giovani ed intraprendenti, di portare la sua offerta anche al di fuori del quartiere e di promuovere progetti a sostegno di realtà locali e non.
Il nome Bufò nasce da una curiosa combinazione di lettere e parole: B da book, bambini e pianeta B, da cui proviene Ufo, appellativo con cui Marta era solita chiamare il suo bambino prima che nascesse. Un nome che per la sua semplicità rimane facilmente nella memoria, soprattutto dei bambini.
Silvio ha scelto di avvicinarsi all'Associazione Amici di Avigliana quando è andato in pensione.
Oggi ne è il presidente e racconta e diffonde la storia dell'Associazione che da poco ha compiuto 50 anni e fin dalla sua costituzione ha scelto di prendersi cura di Avigliana e dei suoi beni.In particolare è stata rivolta grande attenzione ai beni culturali presenti sul territorio, alla fruibilità dei suoi laghi e di tutti i beni comuni che la caratterizzano.
L'obiettivo personale dei singoli soci e dell'associazione intera è tutelare la storia della città e renderla fruibile a tutte e tutti, per farlo portano molto entusiasmo e sono sempre pronti ad accogliere nuovi volontari.
L’Associazione Piemonte Cultura nasce nel 2008 a Torino, con lo scopo di preservare e coltivare la tradizione culturale popolare e storica del Piemonte. La sua sede operativa, la Casa di Contrada San Paolo, in via Luserna di Rorà 8, rappresenta un luogo di socialità e condivisione di un progetto culturale e ospita le Officine Folk ed il gruppo di danze popolari “Ij Danseur Dël Pilon”, attraverso cui Piemonte Cultura svolge le sue attività che le permettono di finanziarsi.
Lo stabile, negli anni trenta del secolo scorso, era adibito a bagni e lavatoi pubblici e la ciminiera annessa, faceva parte del sistema di riscaldamento a carbone dell’acqua utilizzata. Nei locali, che sono stati completamente ristrutturati, si svolgono numerose attività delle officine Folk: teatro, concerti di musica tradizionale, balli popolari piemontesi; corsi di musica (ghironda, cornamusa, organetto diatonico, flauto dolce, violino), canto, danza sempre legati alla tradizione popolare. Alcune stanze sono adibite a foresteria per ospitare gli artisti che transitano alle Officine. Piemonte Cultura, in veste di ambasciatrice della cultura popolare, con il gruppo di danzatori e musicisti, svolge scambi con paesi stranieri: Austria, Bretagna, Paesi Baschi, Catalogna. Attualmente è in programma un viaggio in Argentina, in cui è presente una forte e radicata comunità piemontese, per uno scambio di esperienze.
La struttura ospita inoltre La Mediateca folk, Centro di Documentazione Regionale, composta da 700 volumi indicizzati online, consultabili in presenza, che preservano la storia e la cultura piemontese. Contiene oltre ad un’ampia rassegna di libri in lingua piemontese, una sezione dedicata ai Bagni Municipali di Torino.
Attraverso le sue attività l’associazione raccoglie intorno a sé un nutrito gruppo di soci, che la sostengono e tra i quali si sono create relazioni, inizialmente basate sulla condivisione di interessi comuni e che sono sfociate in rapporti amicali importanti.
Il sig. Bruno Donna, suo presidente, dedica tutto il suo tempo libero all’Associazione, mettendole a disposizione l’esperienza organizzativa e gestionale maturata in anni di lavoro nell’azienda di famiglia, che si occupava di moda. Nonno orgoglioso di 4 nipoti ama la natura e le passeggiate in montagna.
Il Melograno esiste da 70 anni, nasce come libreria di quartiere e continua ad esserlo ancora oggi, con i suoi clienti affezionati che non solo acquistano libri, ma sono amici, famiglia, partecipi della vita della libreria e di chi la gestisce.
Oltrepassata la porta di ingresso, si fa un balzo indietro nel passato e si entra in un piccolo negozio con scaffali di legno, su cui sono ordinati i tantissimi volumi e dietro il bancone una porta in legno massiccio lavorato.
Monica, la proprietaria, che ha una formazione artistica, ha scelto di fare la libraia seguendo la sua passione per la lettura. La sua storia professionale nasce in una piccola libreria poco distante da Corso Racconigi. Poi l’incontro con Tullio, l’allora proprietario del Melograno e la scelta quasi casuale, di unire le forze e di gestire insieme il negozio. Sono passati 15 anni ed il rapporto con Tullio, che è purtroppo mancato da poco tempo, si è trasformato da una relazione di lavoro ad un’amicizia profonda. Monica è contenta della sua scelta di vita, ma sottolinea anche la fatica di questo lavoro, che comporta molta dedizione, ma anche impegno economico: l’acquisto dei libri deve essere sempre misurato, ma è necessario anche andare incontro alle esigenze del cliente in un mondo, quello dell’editoria, che propone settimanalmente più di 600 nuovi titoli. Scherzosamente cita un libro dal titolo “Vendere l’anima. Il mestiere del libraio”.
La parte che considera più interessante del lavoro, al di là del rapporto con i suoi clienti, riguarda la selezione dei volumi, che rispondono alla sua sensibilità e ai suoi interessi. I libri d’arte sono parte dell’offerta di Monica: saggi illustrati, storie delle vite di pittori, pittrici, scultori. C’è anche un angolo dedicato ai bambini e quando con le madri o le nonne entrano in negozio, si infilano subito nella piccola stanza arredata con tavolini e seggiole.
La Saletta è un’associazione musicale che nasce alla fine del 2009, seguendo due direzioni: la didattica musicale e l’organizzazione di eventi musicali. Come afferma Riccardo: “qui ci si occupa di musica e lo si fa con cura”. Ciò significa che gli insegnanti sono professionisti di lungo corso, con una grande passione per la musica, l’insegnamento, particolarmente attenti all’aspetto umano e di coinvolgimento della didattica. L’associazione, visibile grazie ad un’insegna apposta sui vetri, si trova in San Paolo, lungo Corso Racconigi. Storicamente è un borgo di aggregazione, in cui Riccardo è nato e vissuto e in cui ha deciso di svolgere la sua attività.
Gli ambienti, molto curati, sono suddivisi in una sala acustica, in cui si tengono le lezioni di canto, pianoforte, batteria, chitarra e una sala prove. L’offerta di corsi è molto varia e ha un taglio prettamente moderno, senza però escludere il mondo classico e le commistioni anche con altre forme artistiche. Lo sguardo è sempre aperto verso le novità che il mondo musicale propone.
Per quanto riguarda la parte eventi, l’associazione segue artisti in tour, organizza concerti, corsi musicali, seminari. “La serata Saletta” evento ormai storico, organizzato in vari locali torinesi, rappresenta un momento aggregativo importante, che dà la possibilità agli allievi e ai soci di sperimentarsi in un ambito live.
La Saletta è frequentata da persone di tutte le età: i piccoli allievi che si avvicinano alla musica; ragazzi che vivono nel quartiere o ne frequentano le scuole, che si trovano per provare, formano band e hanno anche occasione di registrare i loro pezzi; gruppi di adulti che si ritrovano per fare musica.
Riccardo ha cominciato a suonare da bambino, poi ha sviluppato un aspetto più educativo, come studi e come attività lavorativa, per tornare alla musica come insegnante di canto, dopo aver studiato e perfezionato la sua tecnica negli Stati Uniti.
Sei anni fa inizia la storia di Camellia, che non vuole essere solo un luogo dove si consuma o si beve del buon tè pregiato ma anche un luogo di ritrovo e cultura.
Ezio e le sue sorelle si sono avvicinati alla cultura del tè sin dalla giovane età, sulle orme del padre, amante come tutta la famiglia del tè in foglia.
A differenza del precedente lavoro dove Ezio svolgeva mansioni prettamente amministrative e manageriali, e i rapporti interpersonali erano marcatamente formali, ora è un reciproco incontrarsi con la clientela con la quale si confronta sulle varie problematiche.
Il nome deriva dalla Camellia sinensis che è la pianta del tè le cui foglie e i cui germogli sono usati per produrre la bevanda.
Si può senz’altro dire che il locale permette ai suoi frequentatori di età ed estrazioni culturali diverse, di avvicinarsi al consumo della bevanda approfondendo la sua storia.
L’unicità del locale è rappresentata proprio dall’intimità dei suoi ambienti dove sala da tè e negozio si integrano alla perfezione.
La perseveranza nel raggiungere i propri obiettivi ha permesso ad Ezio e alle sue sorelle di conseguire importanti traguardi che rispecchino sempre il loro modo di essere.
Arianna e Andrea otto anni fa iniziavano la loro nuova avventura dando vita al Pai Bikery, unendo in un unico locale la ciclofficina con annessa cucina dai piatti tradizionali con vecchie ricette tramandate dalla nonna e poi rivisitate.
Da subito inseriti nella realtà del borgo che negli ultimi anni, anche con l’avvento del polo Universitario, ha visto un rifiorire di attività ed iniziative sociali e culturali.
Il locale che si trova all’angolo di via Catania con via Modena rappresenta il giusto connubio dei desideri di Arianna e Andrea, dove incontrano i clienti con i quali interloquiscono e si scambiano i loro pensieri. Un posto non molto grande in cui l’intimità permette di creare un ambiente confortevole e casalingo.
Negli ultimi due anni anche a causa della pandemia, la ciclofficina ha subito una battuta d’arresto mentre si è venuta ad incrementare la consegna a domicilio. Si è creata così una sinergia con la libreria il Ponte sulla Dora di Rocco Pinto in cui alla consegna della torta preparata da Arianna e consegnata da Andrea in bici si univa, un libro.
Fiduciosi nel futuro continuano a sviluppare nuovi progetti, nuove idee, nuove ricette da proporre ai loro affezionati clienti.
Da una passione per l’arredamento e antiquariato che si tramanda da padre in figlio o come Lorenzo definisce una “malattia genetica”, nasce la Bottega Ranzani. Il padre infatti è uno dei primi tre collezionisti di telefoni in Italia, da Meucci in poi.
Lorenzo, laureato in architettura presso il Politecnico di Torino, effettua un repentino cambio di rotta, da una promettente prospettiva di lavoro in Cina, per dedicarsi alla sua passione più grande,la ricerca dei pezzi di antiquariato dando vita a quella che ora è la sua bottega.
L’attività di Lorenzo viene esercitata in un ex fabbricato industriale in cui sono inserite anche altre realtà produttive. La ricerca dei “pezzi” avviene principalmente con il passaparola e la frequentazione dei mercatini di antiquariato nonché, visite nelle dimore, dove è possibile incontrare l’unicità del pezzo. La recente pandemia che ha rivoluzionato il mondo del lavoro ha determinato un nuovo impulso della sua attività, infatti le persone con lo smart working hanno dovuto ripensare il proprio posto di lavoro e quindi adattare uno spazio intimo della propria casa alla loro attività. Questo, anche tramite l’e-commerce, ha permesso un incremento delle vendite di parti di arredo. L’unicità di molti dei suoi pezzi di arredamento ha permesso un notevole sviluppo verso l’estero delle proprie vendite, anche grazie al particolare design degli arredi made in Italy.
In tutto ciò Lorenzo è supportato dall’intera sua famiglia, dall’esperienza nel settore del padre, alla preziosa collaborazione del fratello e della sorella, nonché quello della fidanzata fotografa.
Nella bottega possiamo ritrovare pezzi che ci aiutano a far rivivere luoghi e momenti di un passato che non può essere dimenticato.
Silvia nasce a Milano e all’età di venti anni si trasferisce, insieme al suo compagno, a Torino dove inizia il suo percorso di studi e professionale nel campo teatrale con Philip Radice e canoro con Marco Farinella.
Silvia ama definirsi una cantante comica e ha portato le sue performance in giro per tutto il mondo, con spettacoli interattivi e non di teatro di figura, comico e di strada.
Con Martina Soragna ha creato una compagnia, “Le Due e un Quarto” con la quale ha allestito spettacoli fra i quali uno in particolare di strada in cui si camuffano da bebè ed interagiscono con gli spettatori. Sempre con Martina ha visto la luce anche un network di donne clown di tutta Italia.
Assieme al compagno Roberto, attore circense e acrobata, nasce l’esigenza di avere uno spazio in cui poter sperimentare la propria ricerca artistica; nasce così nel 2017 Spazio DiLà, luogo in cui oltre all’uso personale viene anche messo a disposizione di altri artisti che hanno necessità di provare i loro spettacoli, o semplicemente allenarsi. I locali vengono altresì usati come luogo di formazione e workshop.
Le loro molteplici iniziative hanno visto anche la nascita di un loro chapiteau, ovvero un tendone da circo, nel quale portare in giro per le varie località la propria idea artistica e poetica. Come Silvia ama rimarcare, lo spettacolo circense a differenza di quello teatrale classico permette un maggior coinvolgimento del pubblico presente.
A partire dalla metà del mese di Dicembre 2021 e sino dopo l’Epifania il loro chapiteau verrà allestito presso il Bunker a Torino, dove ci saranno spettacoli ed in particolare Hesperus in cui viene celebrata la morte dello spettacolo dal vivo.
Possiamo senz’altro dire che Spazio DiLà è un laboratorio di idee, progettualità in continua evoluzione che ama coinvolgere nuovi artisti emergenti e non che abbiano voglia di sperimentare.
La dott.ssa Federica è una giovane farmacista specializzata in botanica che nella Regia Farmacia in via XX Settembre ha trovato il suo posto nel mondo. Fin da subito infatti si percepisce l’entusiasmo e l’impegno che la dottoressa e i suoi colleghi mettono tutti i giorni nel proprio lavoro creando un team dinamico e affiatato. In particolare la dottoressa, esperta in erboristeria, pone una grandissima attenzione alle ricerca sempre attiva di prodotti ecosostenibili in tutta la loro filiera, dalla scelta delle materie prime, alla produzione artigianale fino agli stessi imballaggi zero-waste e nel canale social della farmacia, che gestisce con competenza e allegria, posta spesso ricette di autoproduzioni green e consigli su tisane funzionali.
Nella lunga chiacchierata che ha fatto con noi emerge in maniera forte il fascino che emana la farmacia dove lavora, una delle più importanti farmacie storiche di Torino nata nel 1824 come Farmacia Schiapparelli, fornitrice della Casa Reale.
Non solo, infatti, una parte del locale mantiene ancora intatte le sue stupende architetture d’interni ottocentesche ma la tradizione si respira anche, per esempio, nella scelta di continuare la produzione degli amari medicinali seguendo alcune ricette uniche e segrete che risalgono addirittura al 1600, come il famoso Balsamo di Gerusalemme, vino liquoroso con incenso e mirra molto apprezzato anche da Camilleri.
La farmacia è una delle poche che vanta al suo interno la presenza di un vero e proprio laboratorio galenico che, oltre ai famosi amari, produce medicinali su misura e integratori sempre con una massima attenzione alla qualità della materie prime, ai metodi di preparazione e alle procedure burocratiche. In questo senso riscopriamo qui la figura tradizionale del farmacista ovvero l’unico professionista in grado di preparare le medicine. Oltre a questa competenza, la dottoressa tiene a sottolineare che un buon farmacista debba anche possedere un’innata attitudine all’ascolto, base necessaria per sviluppare una relazione con i clienti e poter trasmettere informazioni e consigli su misura alle persone che non si sentono così abbandonate in balia del solo foglietto illustrativo.
Proprio per questo la farmacia è diventata un vero e proprio punto di riferimento, con le sue curatissime vetrine sempre accese anche di notte e l’apertura tutti i giorni della settimana, al crocevia di realtà diverse: la parte più benestante del centro, con il Duomo, i monumenti, i palazzi storici e le vie dello shopping e alle sue spalle la zona vivace e multietnica di Porta Palazzo.
Shanti e Scianti è un circolo ARCI che si occupa di BEN-ESSERE, in cui si propongono trattamenti per la cura della persona nella sua totalità. È uno spazio accogliente che comprende la sala trattamenti ayurvedici, con il bagno turco e la sala relax, in cui si svolgono i corsi di musica, le sedute di pilates, yoga, tai chi chuan.
Nasce nel 2009 anche come luogo di incontro, per dibattiti, piccoli eventi. La fondatrice, Barbara, è legata all’india per due aspetti, quello ayurvedico e quello della cooperazione, seguendo in particolare il progetto di una cooperativa di sarte indiane. Queste donne fanno parte di un’etnia indiana, che vive secondo i valori della conoscenza e del rispetto della terra. Producono abiti con un’attenzione particolare al benessere di chi li indossa, che vengono distribuiti a Torino dall’associazione.
Un pezzo di India a Torino, che dà seguito ad altri progetti, come la nascita della Cooperativa Sociale Johar che dopo vari progetti decide di concentrare l’attività sull’ accoglienza migranti, con una particolare attenzione alle persone che fuoriescono dai progetti. La collaborazione con l’equipe del Moi porta l’associazione e la cooperativa ad ospitare, in quattro strutture e fare da garanti, a immigrati che pur avendo tirocini, lavori precari, non riescono a raggiungere una loro autonomia. L’esperienza condotta dall’associazione e dalla cooperativa si concentra sulle fragilità, facendo però leva sulla valorizzazione dell’esperienza e delle competenze che queste persone portano, insieme alla loro cultura.
Nelle case di accoglienza oltre a garantire l’ospitalità, vengono organizzati corsi di italiano e di avviamento alle professioni. Attualmente la cooperativa sta partecipando al bando Inclusione del Comune di Torino.
Paolo ha cominciato la sua esperienza di cooperazione, lavorando in India per creare piccole realtà autosufficienti che valorizzasse, nella vita quotidiana, l’idea stare insieme e di commerciare in maniera diversa. Piccole esperienze, in questo risiede il valore di questo lavoro, perché’ è un piccolo che dà stabilità e continuità. Ne è prova l’esperienza di una famiglia armena, la prima accolta da Johar, che nel tempo è riuscita ad aprire un proprio ristorante di cucina tipica dell’Armenia, in cui l’accoglienza e l’ospitalità rappresentano il biglietto da visita.
Valerio è stato per quarant’anni dirigente sanitario ASL e dirigente dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, occupandosi quindi sia di aspetti igienisti che della tutela del territorio e dell’ambiente. Dal 2005 è il presidente dell’associazione Vestireciclo, che è molto di più di un negozio di abiti usati, diversamente da come si potrebbe immaginare da una prima occhiata distratta alla vetrina. Il progetto è quello di “fare un salto di qualità” nel recupero di abiti usati, avendo un negozio, e coinvolgendo un’ampia rete di volontari/e e figure fondamentali come le donne di Casa Betania: “le persone devono sapere che quando comprano un capo, dietro c’è solidarietà”, che, ci spiega, è lo scopo principale con cui nasce l’Associazione.
Tra le tante azioni di sostegno attivate, Valerio racconta anche dei progetti realizzati oltre oceano per un ospedale a Cuba e in Brasile con un’associazione di donne del movimento Sem Terra; mentre a Pinerolo, con molto orgoglio spiega cos’è il “Muro della gentilezza” che troviamo di fronte al negozio, “l’esperienza del dono nella forma più corretta”.
La cittadina risponde positivamente all’attività di Vestireciclo e la predisposizione delle persone all’acquisto di abiti usati e a comprenderne il significato è decisamente maturata nel tempo. Tuttavia, Valerio sostiene che sia ancora difficile “fare rete”: sono tante le iniziative interessanti sul territorio, sarebbe interessante confrontarsi tra attori e magari collaborare, cosa che non sempre risulta facile.
Alessandro, insieme a ASD Nessuno Escluso, collabora a numerosi progetti sia nell’ambito scolastico che sportivo sul territorio pinerolese. Nelle scuole segue il progetto “Italia educante” occupandosi principalmente di contrastare il rischio di dispersione scolastica di alcuni ragazzi, ma non solo. Sui campi sportivi, invece, da più di tre anni segue “Juventus for special”: progetto di inclusione che nasce a Pinerolo diversi anni prima con l’intento di riunire tutti i ragazzi con disabilità sul territorio per allenarsi insieme e formare una squadra di calcio. Il progetto sportivo cresce rapidamente, comprendendo anche la scuola calcio che da l’opportunità ai giocatori di esordire nelle prime squadre: “oggi sono previsti quattro livelli in cui i ragazzi vengono suddivisi sulla base delle abilità sportive, non delle loro disabilità”.
Nel tempo libero Alessandro ama viaggiare, ma anche godersi il territorio facendo escursioni in montagna. Per lui Pinerolo è la città più bella del mondo, e nonostante molti dei suoi amici e coetanei si sono trasferiti altrove, lui non ha intenzione di lasciarla: “io immagino il mio futuro qui, c’è tutto, ma immagino un futuro in cui Pinerolo deve camminare stando al passo con i tempi”.
Khalid nasce a Casablanca, Marocco, dove rimane fino al secondo anno di università, prima di seguire il fratello in Spagna. La sua è una famiglia di migranti: “chi vive in Spagna, chi in Belgio, Olanda (…)”, e poi lui, che arriva in Italia ormai più di vent’anni fa.
Inizialmente raggiunge la sorella in Veneto e dopo aver svolto diversi lavori nel settore delle costruzioni, si trasferisce a Pinerolo nel 2013 con la famiglia, dove rileva dal cognato la macelleria Lasri.
Oggi, qui, Kahlid non vende solo carne, ma moltissimi prodotti della sua terra, dal tè al cous cous, passando per spezie e datteri, e soprattutto incontra e parla con tante persone di provenienze diverse: “Qui bisogna parlare spagnolo con chi arriva dall’Ecuador, inglese con i nigeriani e anche francese”. È proprio questo uno dei motivi per cui a Pinerolo vive bene: è piccola, c’è tutto e “si riesce a parlare, a discutere”, spiega Kahlid, “ci sono meridionali, c’è immigrazione in generale, e quando è così l’integrazione è più facile”. Certo, non esclude che in futuro possa tornare in Marocco, alla fine “tutti vorrebbero tornare dalla propria terra madre”, mai dire mai.
Giacomo è la quarta generazione a guidare l’azienda storica di specialità piemontesi pluricentenaria, nata dall’intuizione del bis-nonno che inaugura il primo albergo del territorio a Pragelato nel 1908, dando il via al turismo di montagna. Quella di Albergian è una storia familiare che parla di artigianalità, tradizione e prodotti che valorizzano la territorialità e la stagionalità montana. “Lavoriamo anche all’estero ma cerchiamo di preservare saldamente il cuore dei nostri prodotti locali” spiega Giacomo “Per questo oggi continuiamo a produrre dai liquori alle caramelle e dalle confetture agli antipasti piemontesi”.
Nonostante quella con l’azienda di famiglia sia una vera e propria storia d’amore - scherza mostrandoci il tatuaggio -, Giacomo trova il tempo per la Croce rossa, prestandosi per le Unità di Strada, ma anche per lo sport, dal calcetto al padel, dallo sci al ciclismo.
Secondo lui Pinerolo ha molto da offrire, c’è “comunità”, si cerca di fare rete. Fa parte del Rotary che, insieme ad altri enti, agisce su interventi importanti nel sociale. L’esigenza che emerge di più è quella di “fare squadra”, anche se a volte è complicato per lo scarso ricambio generazionale.
Franca e Carla, sono la Presidente e la Vicepresidente di Insieme, associazione di genitori che si occupa di supporto ai malati psichici e alle loro famiglie.
I progetti di cui si occupano vanno dalla pet therapy all’interno delle Asl, al supporto all’avvio di una vita autonoma e all’inserimento lavorativo, al gruppo di mutuo aiuto per i familiari.
Hanno avviato anche un progetto editoriale, con la pubblicazione di un giornale “Ufo” e hanno realizzato dei video sul tema della salute mentale, con l’obiettivo di sensibilizzare e informare.
Alberto è il Presidente di ANVOLT, Associazione Nazionale Volontari Lotta contro i Tumori, associazione che si occupa di assistenza e trasporto ai malati oncologici.
La sede di Torino ha un ambulatorio nel quale vengono effettuate visite di prevenzione oncologica: visite ginecologiche e pap test in collaborazione con il progetto Prevenzione Serena, palpazione al seno, mappatura nei, visite urologiche e proctologiche per entrambi i sessi, viene offerto anche un servizio infermieristico domiciliare.
Le visite sono libere ed aperte a tutti, viene richiesta un’offerta libera minima, in base a quale controllo si deve effettuare e a quali costi devono sostenere.
Le offerte sono necessarie esclusivamente per la copertura dei costi di attrezzatura, materiali e per il rimborso spese del personale sanitario, tutte le persone che collaborano dentro Anvolt lo fanno sotto forma di volontariato.
Grazie alle donazioni, tra cui il 5x1000, l’associazione riesce ad acquistare nuova strumentazione, come ad esempio un nuovo ecografo che permette visite e controlli più accurati, ma riesce anche offrire nuovi servizi e progetti, come quello che partirà dal 2022, collegato all’educazione alimentare come forma di prevenzione e supporto alla cura dei tumori, sarà presente in struttura un/a nutrizionista che effettuerà visite di consulenza all’alimentazione come strumento per prevenire e contrastare la malattia.
Inoltre vengono portati avanti laboratori e iniziative europee nelle scuole, come forma di prevenzione e lotta al tabagismo.
Giornate di prevenzione e di visite di controllo vengono offerte alle aziende come progetti di welfare aziendale, attraverso donazioni all’associazione è possibile organizzare visite di controllo per tutti i dipendenti.
Derio Oliviero, Vescovo di Pinerolo, è nato a Cuneo, prima di trasferirsi nella cittadina torinese: si definisce un “nuovo arrivato” anche se quando è giunto nella città della cavallerizza, quattro anni fa, si è sentito subito a casa. Dal primo momento, è stato colpito dalla vivacità del territorio, dalle peculiarità gastronomiche e dalle montagne, che vede nitidamente e con grande gioia, attraverso la finestra del suo ufficio. La curiosità e la forte passione per l’arte che Derio coltiva da anni, lo portano a scoprire ed apprezzare ancor di più la ricchezza storica del territorio. Ama osservare e studiare la materia, di cui ha anche spesso parlato nei numerosi incontri a tema tenuti proprio a Pinerolo: “Le opere d’arte riescono a dire cose che a parole non riusciamo a dire (…), l’arte è un ponte di mistero verso le cose” osserva.
L’altra grande passione del Vescovo è la montagna, alla quale si dedica specialmente d’estate facendo lunghi trekking nelle nostre valli e, chiacchierando scherzosamente, ammette che se non fosse diventato prete avrebbe amato fare la guida alpina o il professore di ginnastica.
Parlando della comunità locale, emerge come, nonostante la ricchezza di gruppi e associazioni, spesso si fatichi a “fare squadra” per perseguire un obiettivo comune, o a riconoscere un’identità del territorio. Tuttavia bisogna sottolineare una peculiarità interessante: la compresenza di due comunità religiose molto forti sul territorio, quella cristiana e quella valdese, fonte di stimoli continui.
Ci troviamo dentro ad uno spazio rigenerato, una ex fabbrica come tante nel quartiere, ma qui il Gruppo Abele ha fatto nascere un vero e proprio centro aggregativo, lo spazio è chiamato "Fabbrica delle e", perché genera connessioni, relazioni e collegamenti tra persone e culture, tra associazioni e realtà del territorio, tra pubblico e privato.
Lucia, si occupa della gestione dei progetti genitori/figli del Gruppo Abele, ma tanti sono i progetti del gruppo, l'accoglienza delle persone in difficoltà, la prevenzione, il lavoro contro le violenze, l'educazione e il recupero, il supporto alimentare, psicologico, legale e abitativo.
Questi obiettivi portati avanti mantenendo fisso un secondo binario, quello della cultura, con una ricca biblioteca, un archivio storico, una casa editrice e un ricco palinsesto di laboratori per bambini e adulti.
Luca ha 41 anni e da 5 anni e mezzo è il sindaco di Pinerolo, città di provincia dell’Area Metropolitana di Torino. Laureato in Scienze Forestali, è un Tecnico Ambientale e ha lavorato in ambito universitario e privato. La sua partecipazione politica comincia da giovane e si realizza, inizialmente, come volontario, nell’ambito ambientale (Alta Velocità in Val Susa, cura dell’acqua pubblica) e in ambito sociale (come volontario presso il Dormitorio di Pinerolo). Comincia la carriera politica come consigliere comunale, nello schieramento all’opposizione, per poi venire eletto sindaco, alla successiva tornata elettorale. Recentemente viene confermato sindaco, per un altro mandato. Durante la sua esperienza alla guida della città (per lo più durante la pandemia da Covid-19) ha imparato l’importanza del saper delegare e condividere gli oneri del suo ruolo con i suoi collaboratori: tuttavia, vive con consapevolezza l’inevitabile solitudine del sindaco, che è comunque chiamato a prendersi la responsabilità dell’ultima decisione. Cerca di proporre un modello di amministrazione locale in cui il sindaco possa occuparsi più del necessario, che dell’urgente e nel quale le associazioni di volontariato, che forniscono servizi alla persona essenziali, possano essere coordinate da professionisti. Vorrebbe che Pinerolo accettasse la propria condizione di città di provincia, orgogliosa di esserlo; auspica per la sua città una ventata di ottimismo, che aiuti i cittadini a valorizzare servizi e strutture presenti sul territorio. Nel (poco) tempo libero si gode il tempo trascorso con le 2 figlie e la moglie, ma cerca di tenersi in forma, pedalando in bicicletta, o andando a nuotare; però quello che davvero gli dà la carica per portare avanti le sue varie attività, è suonare la chitarra, cosa che fa orgogliosamente solo, nel suo angolino in casa. Auspica di poter mettere a frutto la propria esperienza e continuare a fare politica attiva, ma sempre a livello locale. Tuttavia, gli piacerebbe riprendere a fare volontariato al dormitorio
Mariangela è un'attivista - volontaria di Border Radio, web radio indipendente non commerciale nata nel 2009, il suo palinsesto è composto esclusivamente da musica copyleft e fa parte di un network internazionale di radio indipendenti.
In questa intervista si entra all'interno del mondo delle radio indipendenti, che promuovono la cultura copyleft e la tutela alternativa del diritto d'autore, si capirà cos'è il mondo delle licenze libere, creative commons, parlando dei movimenti internazionali sui diritti d'autore e della differenza che esiste tra diritti di utilizzo delle opere e appunto, quelli d'autore.
Border Radio promuove la cultura aperta, usando la radio come strumento educativo, attraverso programmi streaming, podcast, workshop e laboratori in un'ottica di formazione continua interna ed esterna, portando avanti la filosofia della conoscenza pubblica, condivisa, libera e accessibile.
Debora è un'educatrice - imprenditrice che gestisce il Nido in Famiglia “Mamma Oca Racconta”, nido che ospita bambini e che gli permette di sperimentare l’esperienza del nido dentro ad un contesto famigliare.
Dopo la nascita della prima figlia, Debora decide di lasciare il lavoro che non le permetteva di conciliare vita lavorativa e famigliare, così per un fortuito caso del destino incontra un’altra mamma come lei che le parla del progetto di aprire un nido in famiglia, nasce così una cooperativa di sole donne che gestisce diversi nidi.
Insieme costruiranno non solo un’impresa, ma un progetto educativo e formativo per i bambini che seguono, e per loro stesse grazie alla formazione continua a cui prendono parte.
Dal 2013 la cooperativa si scioglie (non i legami personali tra colleghe) e Debora decide di aprire il suo nido, nel quartiere dov’è cresciuta, Borgo San Paolo.
La giornata dei bambini inizia con una serie di canzoni d’accoglienza, sia in Italiano che in Inglese, perché grazie al suo passato da traduttrice, Debora conosce e parla 3 lingue, il suo è un nido bilingue.
La giornata prosegue con diverse attività e giochi che variano giornalmente, i bambini e le bambine vanno al mercato a comprare le verdure che poi cucineranno per il pranzo, girano per il quartiere alla ricerca del parco in cui hanno voglia di correre, fanno tanta attività all’aperto, yoga, sperimentano la pittura e la musica, si recano nella più vicina biblioteca pubblica per scegliersi i libri che vogliono farsi leggere, visitano musei e tanto altro.
Le attività dell’anno vengono scelte sulla base di un progetto pedagogico studiato per ogni bambino, durante l’inserimento iniziale di settembre, attraverso la metodologia dell’osservazione dei bambini, si definiscono quali sono le necessità di ognuno, e si studia il piano più adatto per ognuno di loro.
La vita dentro al nido in famiglia è un ambiente famigliare, dove la cura del bambino è più intima, ma allo stesso tempo più allargata, perché coinvolge più nuclei familiari.
La famiglia è parte integrante.
Binaria è la libreria del Gruppo Abele, parte del Centro Commensale (diverso dal Centro Commerciale perché non è fatto per essere consumato, ma vissuto, assaporato).
Filippo e Monica sono le persone che, insieme ad altre, si occupano della gestione dello spazio, che comprende oltre alla libreria, uno spazio per laboratori per i bambini e genitori, una bottega eco-solidale e un mercatino dell'usato.
La libreria è di varia, tratta diversi generi per bambini, ragazzi e adulti, specializzata in tematiche sociali e saggistica di intervento, oltre ad ospitare tutto il catalogo della casa editrice del gruppo.
La filosofia è portare avanti la cultura dell'accoglienza facendo cultura, due binari infatti, Cultura e Accoglienza che muovono lo spirito nella scelta dell'ampissimo catalogo, degli eventi, workshop, laboratori e tantissimi incontri organizzati dentro la Libreria Binaria.
Vittoriano Mega, Vice Presidente dell’Associazione Arcobaleno, onlus che si occupa di salute mentale.
Sono tre i fondamentali di cui si occupa l’associazione, casa, lavoro e socialità, con l’obiettivo di dare cittadinanza alla follia promuovendo l’occupazione di persone con disagio mentale, come forma di cittadinanza attiva.
Le loro iniziative spaziano da interventi urbani di artigianato sociale, supporto e assistenza alla conservazione della casa, anche attraverso una rete di artigiani che mettono a disposizione il loro sapere a prezzi calmierati.
L’associazione gestisce un centro di conservazione e vendita abiti usati, un gruppo di acquisto solidale (Gas), nel passato sono stati realizzati anche progetti editoriali, teatrali e oggi hanno una webradio che trasmette dalla loro sede di Via Virle, 21, all’interno si trova anche una biblioteca e un piccolo bar.
Il punto di partenza di tutte le loro iniziative è l’associazionismo come cura.
Circa 10 anni fa, Andrea con altri ragazzi e ragazze appassionati di musica e con i quali aveva fatto nascere l’associazione Comala, vincono un progetto comunale per la gestione e la rigenerazione di alcuni spazi dell’Ex Caserma La Marmora di C.so Ferrucci.
Questo enorme spazio presente nel quartiere San Paolo, viene costruito nel 1871 e nasce come area coperta del mercato del bestiame.
La storia e l’evoluzione di questo luogo, racconta la storia del quartiere, è stato il luogo del primo grande maxi processo d’Italia, quello alle Brigate Rosse, un po’ per la sua caratteristica di avere grandi saloni interni e un po’ per la sua posizione vicina all’Ex carcere Le Nuove (ora museo).
Un utilizzo dello spazio che il quartiere ancora ricorda, giorni di militarizzazione forzata, in cui per andare a lavorare gli abitanti del Borgo dovevano superare i varchi di polizia.
Dopo il grande processo, si è cercato di riutilizzare gli spazi in diversi modi, per anni vi è stata la sede della biblioteca civica del quartiere, ora definitivamente chiusa; c’è stata la sede del primo comitato di quartiere di Torino, da quella sperimentazione sono nate poi le Circoscrizioni cittadine, in ultimo si è provato a farla diventare la sede di un centro giovani.
Dopo la chiusura di questi progetti, la struttura è stata abbandonata per anni, fino a quando la Circoscrizione 3 non decide di recuperarne gli spazi.
L’Associazione Comala, un’associazione musicale di giovani, decide di proporre un progetto di recupero per trasformare gli spazi in sale prove, spazi di registrazione per musicisti e musiciste. Si organizzano attività ed eventi musicali, la concessione degli spazi è organizzata per fasce di prezzo in base all’età e addirittura gratuitamente ai ragazzi e alle ragazze delle superiori.
Lo spazio si apre al quartiere, che si scopre essere universitario con un’alta percentuale di fuorisede, grazie alla presenza del Politecnico.
Arrivano sempre più studenti, che propongono attività, eventi, chiedono in uso gli spazi, il quartiere e le realtà ne hanno bisogno e l’associazione ne ha parecchi a disposizione.
Borgo San Paolo è il secondo quartiere più popoloso di Torino, ma la circoscrizione 3 è la più piccola dopo il Centro. E’ un’area ad alta densità di popolazione, con tante necessità, ma pochi spazi pubblici per l’incontro.
Il grande salone, in cui all’interno sono ancora attaccate le foto del maxi processo alle BR, diventa uno spazio multifunzionale e Comala si trasforma da associazione di musica ad associazione che gestisce gli spazi, attraversati da più di 40 associazioni diverse che offrono tantissime attività per tutti i gusti.
Attraverso un progetto di costruzione partecipata, si riesce ad utilizzare anche il cortile, nasce lo spazio concerti, cinema all’aperto, e aula studio. L’ulteriore concessione dello spazio al piano terra, permette l’apertura del bar interno ed esterno, un nuovo spazio di aggregazione per il quartiere e per i quartieri più periferici.
Dopo la chiusura forzata dovuta all’emergenza sanitaria, la riapertura trasforma lo spazio in aula studio via via sempre più grande, con spazi all’aperto e al chiuso riscaldati, arrivando a contenere fino a 500 posti, la più grande di Torino, diventando un punto di riferimento per i giovani e gli universitari, che possono frequentare lo spazio dalla mattina alle 8 fino a tarda sera grazie ad eventi musicali e culturali.
La vocazione prettamente giovanile dello spazio e dell’Associazione Comala, continua ad essere viva, anche se grazie alla sperimentazione con altre associazioni della zona, lo spazio vuole aprirsi e rendersi attraversabile da tutte le fasce di età.
Aldo è appena andato in pensione. Per circa 40 ha ricoperto un posto di funzionario presso il Comune di Avigliana e ci racconta la sua esperienza per comprendere i funzionamenti del servizio, le connessioni con il territorio, con la storia recente. Nella sua esperienza sono diversi gli aspetti negativi e positivi che ha analizzato e cercato di affrontare e ha provato a fantasticare su come s’immagina un servizio perfetto!
Mariangela e Maria Grazia sono rispettivamente infermiera e assistente sanitaria all’interno dell’ASL TO4 e, nel tempo libero, gestiscono due gruppi di cammino come walking leader. I gruppi di cammino nascono nel 2017, a seguito di un’iniziativa promossa dall’ASL, arrivando a sessanta uscite con circa 1200 partecipanti a settimana su numerosi comuni. La partecipazione ai gruppi è gratuita e non necessita di certificato medico, ma solamente dell’abbigliamento sportivo e il rispetto delle normative legate alla situazione pandemica.
Il gruppo gestito da Mariangela è aperto agli adulti, mentre quello da Maria Grazia ha un focus su gestanti e famiglie presenti e future, in cui vengono organizzati momenti collaterali come le letture e le pause necessarie per il ristoro e l’allattamento. L’ambiente informale e i legami che si creano permettono di poter condividere tra i partecipanti informazioni e dubbi legati al tema della salute, riuscendo a svolgere un’educazione sanitaria a tutto tondo. Secondo le due walking leader la partecipazione a queste camminate comunitarie sviluppa anche il senso di responsabilità verso i partecipanti, soprattutto nei confronti delle future mamme e dei bambini, ed insegna ad apprezzare percorsi e strade che prima non si conoscevano, scoprendo di poter raggiungere obiettivi inaspettati.
I gruppi sono aperti a tutti coloro che vogliono camminare in compagnia e che, con il corso da walking leader, possano aumentare il numero delle uscite e dei territori coinvolti.
Consuelo è una giovane donna messicana che si è trasferita a Torino 12 anni fa.
Il suo carattere espansivo e solare l’ha senza dubbio aiutata ad inserirsi velocemente nella nostra società e ad imparare l’italiano in tempi record da autodidatta. Il segreto, secondo Consuelo, sta in un mix di umiltà, carisma e una mentalità sempre aperta all’incontro e al confronto con gli altri.
Grazie a queste qualità Consuelo è riuscita a fare negli anni i lavori più svariati, dalla benzinaia all’edicolante, per poi approdare circa 7 anni fa nel bar della famiglia di suo marito Gabriele, il Caffè Torrefazione Roma in Via Borgo Dora 1.
Proprio Gabriele si occupa dell’attività che da sempre contraddistingue questo bar, ovvero la tostatura, la creazione di diverse miscele e la macinazione sul momento del caffè a partire dalle principali varietà che arrivano crude dal Latino America (Arabica) o dall’Africa (Robusta).
Siamo dunque in un bar storico, un bar di caffè e colazioni arrivato ormai alla sua terza generazione di gestione familiare. La nonna 92enne che fa ancora i conti a mente alla cassa si ricorda i tempi d’oro quando c’era la coda per entrare nel loro bar mentre oggi, con le crisi economiche che si sono succedute e la pandemia, l’afflusso di avventori è calato ma rimane una vivace clientela fissa e molto affezionata favorita dai legami di buon vicinato che si sono creati negli anni.
Il sabato però per fortuna i clienti si moltiplicano e l’allegria di Consuelo può dare il meglio di sé. Con il mercato di Porta Palazzo aperto tutto il giorno e il mercato delle pulci del Balon proprio dietro l’angolo, il bar diventa un continuo via vai di gente, spesso anche tanti turisti e rispecchia a pieno l’anima del quartiere come crocevia di persone e culture.
Michela è una giovane psicologa di origini umbre. É arrivata qui a Torino 5 anni fa per frequentare la magistrale in psicologia con un programma approfondito nel campo delle neuroscienze, branca di studi della quale è particolarmente appassionata anche se è ancora poco conosciuto all’interno della psicologia più tradizionale. Dopo la laurea si è interessata all’area adulti e anziani facendo sia il tirocinio professionalizzante che il servizio civile in una RSA. Attualmente si occupa invece di affidi con minori e vorrebbe poter lavorare su progetti finalizzati allo sviluppo di risorse e interazioni fra le due realtà, minori e anziani.
Nel suo tempo libero ama leggere e fare tante escursioni immersa nella natura. Provenendo da un piccolo paese nelle campagne vicino a Perugia infatti, è stato difficile per lei ambientarsi alle dinamiche caotiche della città e al troppo cemento, anche se certamente apprezza la bellezza dei parchi torinesi e la vicinanza della città con le Alpi.
Michela si è avvicinata da poco alla realtà dello Spaccio di Cultura grazie ad un passaparola con alcuni colleghi psicologi e partecipa alla coprogettazione di quartiere attirata dall’idea di potersi mettere in gioco contribuendo a trovare nuovi modi per mettere in moto risorse ed energie comuni.
Monica e il marito Marco si trasferiscono a Feletto ventuno anni fa alla ricerca di una casa spaziosa che potesse diventare un luogo aperto a tutti. La famiglia che Marco e Monica hanno creato si è sempre impegnata attivamente in progettualità sociali, dall’affido diurno all’attivazione dell’oratorio, fino all’attuale accoglienza di un ragazzo proveniente dal Sudan. Per Monica, infatti, vivere attivamente un territorio è possibile solamente attraverso la conoscenza diretta delle persone e la sensibilità a coglierne i bisogni. Per far ciò, Monica ha preso delle decisioni in ambito lavorativo che le permettessero di gestire in modo autonomo il proprio tempo, combinando la presenza in farmacia con la professione di naturopata e, a breve, collaborando come insegnante di scienze.
Le attività svolte nel tempo, individualmente e nell’associazionismo, le hanno permesso di comprendere quanto sia necessario collaborare in un territorio tradizionalmente connotato da rigidità, ma che gradualmente sta imparando a mettersi in discussione e a cogliere le sfumature al suo interno, anche con la recente istituzione del Tavolo senza Confini, una rete sulle tematiche migratorie e la creazione di eventi tra associazioni di diversa natura.
Fabrizio è un cittadino di Avigliana che ha scelto di avvicinarsi al commercio equo e solidale come volontario e da 8 anni è riuscito renderlo il suo lavoro.
Lavorare nel contesto del Ponte gli ha permesso di approfondire le tematiche della solidarietà e dell’attenzione alla tutela a tutto tondo sia con adulti sia con bambine e bambini. Parte del suo lavoro è avvicinare il mondo dei produttori a chi acquista e consuma i prodotti.
Il desiderio che accompagna il commercio equo è che non ci sia più bisogno di negozi specializzati sul tema ma che l’attenzione alla produzione e al corretto trattamento dei lavoratori siano diffusi su tutte le produzioni. Per fare dei passi in questa direzione i bambini coinvolti attraverso le attività nelle scuole sono i primi ambasciatori e un grande arricchimento dal grande numero di produttori locali della Valle.
I piccoli produttori sono ancora i primi a portare avanti buone pratiche e tra i valori aggiunti della filiera corta c’è anche la possibilità di conoscere direttamente i produttori e raccontare insieme a loro quali sono i processi per arrivare ai prodotti finiti che possiamo assaggiare, indossare e ammirare.
Nessun uomo è un’isola, perché ogni uomo è parte dell’intera umanità e al contempo ne è contenitore e lo può sperimentare e scoprire solo dentro di sé e attraverso il dialogo, gli incontri interpersonali. Questo è il senso e l’obiettivo dell’associazione Nessun Uomo è un’Isola, fondata nel 2005, che gestisce il Museo del Carcere Le Nuove di Torino.
Il Museo, nasce negli anni 80, quando il Professor Felice Tagliente, l’attuale direttore, incomincia a lavorare in qualità di psicologo e psicoterapeuta all’interno del carcere. Viene a conoscenza che nell’istituto un cappellano Padre Ruggero Cipolla aveva allestito un museo, per lasciare una testimonianza viva esperienziale alle nuove generazioni, dopo aver vissuto la tragedia della carcerazione senza colpa e l’uccisione di giovani detenuti politici e il dolore delle loro madri. Lo scopo civile, formativo, educativo indicato da Padre Ruggero, ha guidato l’attività dell’associazione, che nel tempo ha condotto centinaia di persone, soprattutto ragazzi delle scuole, a conoscere la realtà e le storie, che sono passate all’interno del carcere.
Il museo è un luogo che parla, che non racconta solo la vita carceraria, ma rappresenta uno spazio di condivisione della memoria, non solo storica, ma anche esistenziale. Ciò che si vive all’interno di queste mura durante una visita, è un’esperienza che prende tutta la persona, a livello fisico, mentale, immaginifico e soprattutto valoriale. Attraverso la ricostruzione e la memoria della vita e della storia delle persone che hanno vissuto il carcere a tutti i livelli, si guarda alla storia del nostro paese, dalla prima guerra mondiale ad oggi, attraverso una diversa angolazione, quella del carcere.
Proprio per stimolare l’elaborazione collettiva di una memoria comune, l’Associazione organizza oltre alle visite e agli incontri con le scuole, convegni e incontri anche a livello internazionale. Un momento importante del lavoro riguarda l’organizzazione dalle cerimonie commemorative, con cui vengono celebrati momenti importanti della nostra storia cercando di attualizzarli: la Giornata della Memoria, il 25 aprile, con la collaborazione di Bruno Segre, il ricordo degli operai che scioperarono nel 1944, degli ebrei imprigionati e poi deportati, i partigiani e le partigiane, le guardie carcerarie che si ribellarono alle atrocità, le donne, i religiosi, i soldati italiani e stranieri detenuti. Persone comuni.
Il gruppo Agesci Torino 14 opera nei quartieri Cenisia e San Paolo, Circoscrizione 3, tra la parrocchia di San Pellegrino (Corso Racconigi) e la parrocchia di Gesù Adolescente (Via Luserna di Rorà), sedi originarie. Nasce e si sviluppa come movimento educativo di natura cattolica legato al movimento Scout, presente su tutto il territorio nazionale. Lo scopo dell’associazione è quello di educare i ragazzi, secondo principi che sviluppino la spiritualità e l’avvicinamento alla fede cristiana. Si propone loro un percorso che abbia una ricaduta sull’aspetto della crescita personale, imparando ad esempio ad assumersi impegni che siano personali o di gruppo, in base all’età.
A Torino sono presenti 23 gruppi ed il 14 è uno di questi, nella Circoscrizione sono presenti altri 3 gruppi. L’Associazione si rivolge ai ragazzi dagli 8 ai 21 anni, suddivisi in tre gruppi (branche):
La parte dell’attività più impegnativa si svolge durante l’estate, con l’organizzazione di campi estivi, per i Branchi prevalentemente in oratorio, per i Reparti all’aperto con l’allestimento di campi, con tende in cui i ragazzi imparano a costruire oggetti, a cucinare e vivere in natura. Per i ragazzi più grandi si organizza la Route estiva, percorsi che permettono camminando, di vivere la strada acquisendo consapevolezza e capacità di vivere insieme la dimensione del viaggio.
Sara e Tiziana, sono due colleghe che lavorano nell’Ufficio Progetti del Gruppo Arco, Cooperativa Sociale che nasce nel 1993, con la fondazione dell'allora omonima Associazione, in risposta al bisogno sociale di prevenzione nell’ambito della tossicodipendenza, avviando alcuni servizi di accoglienza, prima di tipo semi-residenziale e poi residenziale, rivolti a persone in situazione di marginalità e disagio a causa dell’uso di sostanze psicotrope.
Gli anni 2000 sono cruciali per la Cooperativa che deve rimodellarsi sulla scia dei cambiamenti sociali in corso, reinventandosi e diventando una realtà variegata aperta a nuove realtà.
Nascono nuovi servizi quali una casa comunità mamma-bambino in condizioni di disagio, una comunità per minori extra-comunitari non accompagnati, ed il Centro di Accoglienza Diurna per disabili gestito in collaborazione con un'altra cooperativa, che offre numerose attività e laboratori, aventi come filo conduttore il tema dell'ecologia.
Nell’ultimo decennio Gruppo Arco si trova davanti ad una nuova sfida decidendo di affacciarsi al mercato privato tramite l’apertura di nuovi servizi di tipo sanitario ed abitativo. Ne scaturiscono un ostello della gioventù, rivolto a studenti e studentesse maggiorenni con limitate possibilità economiche, un Poliambulatorio sociale che offre cure medico-sanitarie di qualità (odontoiatria, ginecologia, counselling psicologico e altri servizi) a prezzi calmierati e un R.S.A. nel centro della Città di Grugliasco per anziani non autosufficienti.
La sede del Gruppo Arco, sita in via Capriolo 18, ospita anche un social-housing ed una mensa per senza fissa dimora, gestita in collaborazione con diversi attori del no-profit torinese. Una grande famiglia quella del Gruppo Arco, che Tiziana e Sara raccontano con entusiasmo e amore, due persone visionarie che non smettono di immaginare nuovi progetti.
Tra i desideri c’è quello di aprire il grande cortile al quartiere, trasformandolo in un punto di riferimento attraverso l’organizzazione di un segretariato sociale ed offrire servizi alla comunità.
Questo servirebbe per farsi conoscere e lavorare sullo stigma sociale che ancora oggi viene associato alle persone tossicodipendenti e a quelle senza fissa dimora.
Maria Teresa svolge attività per gli abitanti della città di Avigliana da diversi anni ma nel 2018 ha avuto l’occasione di diventare bibliotecaria all’interno della biblioteca “Primo Levi” di Avigliana.
Ha lavorato per anni nelle politiche giovanili e non si è lasciata sfuggire l’opportunità di coltivare la sua passione per i libri e di avviare un percorso di innovazione e apertura della biblioteca ad un pubblico più ampio.
La biblioteca di Avigliana ha infatti una storia molto lunga e ricca di cambiamenti ed evoluzioni che non si sono mai fermate.
L’obiettivo principale che si sta cercando di raggiungere e sviluppare è quello della “Biblioteca diffusa”. Sono sempre di più infatti le iniziative sul territorio di Avigliana che mirano ad avvicinare i libri al pubblico: dalle iniziative nelle scuole al punto prestito allestito in piazza del Popolo, dal servizio a domicilio nei periodi di difficoltà all’attivazione di sempre più servizi che vengano incontro alle necessità di tutte e tutti.
Samira ha 48 anni ed è originaria di Rabat, la capitale del Marocco.
Si è trasferita in Italia nel 2008, lasciando dietro di sé i figli piccoli e il marito, alla ricerca di un futuro migliore per sé e la sua famiglia.
Per i primi anni ha lavorato instancabilmente come badante e collaboratrice domestica, anche nei weekend, per poter ottenere il tanto atteso ricongiungimento familiare avvenuto poi, finalmente nel 2011.
Da allora per 10 anni e mezzo ha svolto le pulizie al Mercato Generale di Grugliasco e, al momento, è in una fase di pausa e transizione a causa di un infortunio al ginocchio per il quale è in attesa di un intervento chirurgico. Nel frattempo cerca, nel quartiere Nizza-Millefonti, una casa in cui trasferirsi insieme alla sua famiglia che sia ai primi piani o in un palazzo dotato di ascensore proprio per evitare di dover fare troppi piani di scale.
Instancabile lavoratrice qual’è non vede l’ora di superare questa situazione. La voglia di tornare come prima è forte ma sa che non potrà più eseguire lavori estremamente faticosi e quindi è attualmente alla ricerca di un’occupazione nel settore della cura delle persone, come badante o babysitter, ambito nel quale ha da poco terminato un corso di formazione intensivo pur avendo già tanta esperienza.
Il suo carattere espansivo ma pacato e i suoi modi premurosi la rendono un’ottima caregiver capace di affezionarsi davvero non solo alle persone, solitamente anziane, di cui si prende cura ma anche alle loro famiglie.
La sua stessa famiglia è, difatti, il centro del suo mondo diviso fra le sue radici in Marocco, la sua vita a Torino e il reso della sua famiglia allargata, con 3 fratelli e tanti nipoti, in Francia. É fiera dei suoi due figli a cui piace studiare e che hanno la testa sulle spalle: la primogenita dopo il primo anno di università in Economia ha deciso di seguire un corso professionalizzante di Assistente alla poltrona per poter essere di supporto in casa in questo momento di difficoltà, mentre il figlio più piccolo frequenta con profitto il secondo anno di liceo.
Nel suo tempo libero ama cucinare, dalle lasagne al cous cous, e occuparsi di piccoli lavori di sartoria, in particolare cucire a mano i vestiti tradizionali marocchini che eseguiva anche su commissione quando viveva in Marocco.
Tutto è nato da un banco di tessuti a Porta Palazzo gestito dal nonno di Fulvio, a cui è subentrato il padre che nel 1959 ha aperto anche l’attuale negozio “Tessuti Arcobaleno” in C.so Regina Margherita 110.
Nel corso degli anni Fulvio dopo gli studi universitari si è affiancato ai genitori nella gestione dell’attività con il suo “fratello peloso” a quattro zampe Zeus.
Ormai solo nel condurre l’attività riceve nel suo negozio clienti che sono anche amici con i quali spesse volte si intrattiene a sorseggiare un caffè.
Fulvio ha visto nel corso di questi ultimi anni un rifiorire attorno a sé diverse attività che hanno reso più vivo il quartiere unitamente ad una riqualificazione ambientale.
Nel suo prossimo futuro vede una graduale riduzione della sua attività col trasferimento del negozio nell’altro locale di dimensioni ridotte rispetto a questo, destinando i locali dell’attuale negozio alla realizzazione di tre loft per l’accoglienza che saranno di supporto all’albergo che sta sorgendo in Borgone di Susa.
Il suo bacino di utenza spazia da giovani che frequentano IED e IAD a clientela più tradizionale che ha necessità di cambiare i tendaggi o sostituire i tessuti che rivestono divani o poltrone. Qui i clienti possono anche trovare quei particolari che difficilmente sono trovabili nei negozi di abbigliamento preconfezionati.
Come altri commercianti della zona, Fulvio ha riscontrato l'attuazione del sottopasso di C.so Regina Margherita che ha isolato un po ' il quartiere, impedendo così una maggiore coesione.
La vita di quartiere e la frequentazione dei locali alcuni dei quali ha contribuito all’arredo, gli permette di acquisire ulteriori conoscenze utili anche all’accrescimento della propria attività lavorativa.
Tessuti arcobaleno è una realtà ben inserita nel territorio che contribuisce, unitamente ad altre iniziative a rendere vivo il quartiere di Porta Palazzo - Aurora, 62 anni di presenza ininterrotta e in continua evoluzione.
Come nella favola di Arthur Schopenhauer dove i ricci devono trovare la giusta distanza senza pungersi, così i ragazzi dell’Associazione il Riccio devono imparare a stare alla giusta distanza per non invadere troppo l’altro ma nello stesso tempo non essere lontani senza entrare in relazione.
L’Associazione il Riccio si occupa di ragazzi con la sindrome di Asperger, una forma di autismo ad alto funzionamento.
In questa “casa” si cerca di coinvolgere i ragazzi sia nelle varie forme di ludicità che in laboratori come quello di falegnameria, riparazione delle canoe, teatro, danza e persino una radio. Non tutto però si ferma qui, infatti i ragazzi soprattutto nel periodo estivo, vengono portati in vacanza, in barca a vela dove il contatto è più vicino ma senza mai dimenticare le giuste distanze.
Il supporto che viene dato dall’associazione alle famiglie è fondamentale per il progressivo sviluppo di ogni singolo senza mai lasciare indietro nessuno.
Si arriva all’associazione molto spesso in giovane età e il percorso, sempre soggettivo, può durare anche diversi anni prima che se ne colgano i frutti. Se ne deduce quindi la delicatezza del lavoro poiché va a impattare direttamente sulla fragilità degli individui e un eventuale fallimento potrebbe andare a pregiudicare l’intero percorso.
Grande rilevanza assume la radio attraverso la quale si può comunicare senza essere direttamente coinvolti e quindi un ulteriore prezioso strumento per il coinvolgimento di questi ragazzi.
In attesa del prossimo “grande evento”, la navigazione in canoa sul Po fino alla foce che coinvolgerà i ragazzi, l’Associazione il Riccio rappresenta un'importante oasi tra Aurora e Porta Palazzo in cui questi ragazzi vengono aiutati nel proprio percorso di vita.
Sara 42 anni di Torino è una volontaria della Rete Italiana di Cultura Popolare e frequenta la coprogettazione di quartiere dello Spaccio di Cultura.
Fin da ragazza ha sempre avuto la passione per i viaggi e le culture straniere e per questo motivo ha frequentato il Liceo Linguistico e all’Università ha studiato sia lingue che lettere moderne con indirizzo letterature comparate.
Oltre all’italiano conosce ben 4 lingue diverse: inglese, francese, tedesco e spagnolo ed è proprio la conoscenza delle lingue che le ha consentito di fare le sue prime esperienze lavorative che ricorda con molto piacere: la traduzione di un libro per bambini dal tedesco all’italiano per una piccola casa editrice torinese e l’insegnamento del francese e dello spagnolo sia alle elementari che alle superiori.
Dopo la laurea per lungo tempo si è occupata di assistenza clienti in un call center, un lavoro che per quanto difficile e stancante le ha insegnato le doti fondamentali del problem solving e dell’essere multitasking, qualche abilità informatica soprattutto di creazione di contenuti e la capacità di essere paziente e di entrare in empatia anche con i clienti più esigenti.
L’attitudine di Sara è curiosa e aperta al mondo, lo studio delle lingue le ha permesso di scoprire il piacere di godersi un libro o un film in lingua originale e di capire i testi delle canzoni ma anche, e soprattutto, di riuscire a comunicare con le persone e ad avere un accesso privilegiato al mondo dell’altro attraverso le parole. Sara non a caso adora viaggiare ed ha girato parecchio tra la Spagna, l’Inghilterra, la Grecia e il Nord Europa ma il suo viaggio più importante lo ha fatto insieme al marito in Etiopia paese dal quale proviene Tilahun, il loro figlio adottivo di 12 anni.
Sara non aveva mai immaginato che un giorno sarebbe diventata mamma tramite l’adozione. É un’esperienza che descrive come un percorso lungo, difficile e complicato ma incredibilmente arricchente ed emozionante e che, senza dubbio, dimostra la sua capacità di non arrendersi mai di fronte alle difficoltà e di raggiungere sempre gli obiettivi che si pone anche in modo non canonico. Resilienza e versatilità sono dunque forse i lati più evidenti della sua personalità.
Come volontaria della Rete Italiana di Cultura Popolare Sara apprezza il valore del concetto di mutuo aiuto. Di recente ci ha dato una grossa mano nella consegna dei regali di Natale all’interno del progetto della Comunità del Dono e si è anche occupata di un laboratorio con i bimbi della scuola primaria su Dante e sull’importanza delle parole.
Mi chiamo Cinzia Dessolis e sono un’insegnante di sostegno del Des Ambrois, nonché ex allieva dello stesso istituto.
Insegno dal 2005 e ho sempre alternato l’insegnamento al lavoro in azienda, come formatrice, prima presso l’Isvor Fiat e poi per il Comitato olimpico Torino 2006 e Londra 2012.
Sono cresciuta in questa valle, dove ancora oggi vivo con la mia famiglia.
I ragazzi di oggi sono decisamente sacrificati, sono quelli che secondo me, hanno subito maggiormente le restrizioni del periodo, anche se mi preoccupa molto il fatto che si siano in qualche modo adeguati a questo periodo e che vivano questa situazione come la normalità.
I bisogni dei ragazzi non sono cambiati.
I ragazzi devono viaggiare, devono fare esperienza non solo in Italia, ma anche all’estero. Hanno bisogno di confrontarsi e di conoscere nuove culture.
Devono avere la possibilità di tornare ad interagire con i propri pari, abolendo le barriere che in questo momento ci vengono imposte
Il territorio ha sempre accolto i nostri ragazzi, sono stati accolti e coinvolti in manifestazioni, eventi sportivi e culturali, anche nel periodo pandemico, con associazioni che lavorano quotidianamente nel territorio e con cui abbiamo instaurato rapporti consolidati
I limiti di questo territorio sono legati alla distanza dalla città e lo dico soprattutto come ex allieva. Anche se oggi il treno ogni ora verso Torino facilita decisamente gli spostamenti, ma molti avvenimenti, penso a spettacoli teatrali sono complicati, se gestiti singolarmente
Il messaggio che vorrei lanciare ai giovani..
Non perdete il vostro entusiasmo, continuate ad avere curiosità e non smettete mai di farvi domande.
La sede di Rivarolo del CPIA 4 (Centri Provinciali Istruzione Adulti) nasce cinque anni fa ed è oggi situata all’interno di Villa Vallero.
L’offerta formativa è molto varia e prevede corsi di alfabetizzazione e per l’ottenimento della terza media, principalmente usufruiti da studenti stranieri che vogliono aumentare la conoscenza della lingua italiana o accedere alla formazione professionale. A ciò si aggiungono corsi di informatica, di lingua inglese, spagnola e francese e di preparazione al test della patente e per il corso da OSS.
Essendo i corsi aperti agli adulti, le difficoltà maggiormente riscontrate sono legate all’organizzazione oraria, a cui si cerca di rispondere organizzando corsi sviluppati su tre fasce giornaliere ma che, per la mancanza di trasporti pubblici, non si sviluppano in orario serale. Viene inoltre data la possibilità di frequentare in minima parte attraverso le lezioni online, strumento fortemente utilizzato con l’inizio della pandemia ma che dovrebbe essere potenziato per rispondere alle esigenze degli studenti.
All’insegnamento si aggiunge anche l’accompagnamento nella stesura del CV, attività che viene svolta in continua collaborazione con gli enti di formazione professionale locali nell’ottica di creare tavoli territoriali per formare una rete che permetta l'integrazione tra istruzione e mondo del lavoro.
Emanuele, nato e vissuto ad Ingria, in Val Soana, si trasferisce per motivi familiari nel 2012 a Rivarolo con le figlie Alessia e Francesca. La scelta della cittadina non è stata casuale, ma dettata dalla necessità di avere a poca distanza i servizi e di poter raggiungere città più grandi in breve tempo. Nonostante ciò, Emanuele rimane legato al paese nativo, in cui vi lavora come impiegato comunale da circa quarant'anni, e in cui vive la madre, un tempo conduttrice di un ristorante.
Prospettando la pensione tra pochi anni, Emanuele vorrebbe dedicarsi maggiormente al golf, sport che pratica con la figlia Francesca, e gestire più liberamente il proprio tempo senza essere vincolato dai ritmi lavorativi. I progetti per il futuro dipenderanno anche dalle scelte delle figlie, la maggiore attualmente impiegata come cameriera e la seconda al quarto anno del liceo linguistico.
INTI, che in lingua quechua significa sole, è anche l’acronimo di Integrazione Nuovi Cittadini Torino Insieme. L’obiettivo dell’associazione è infatti quello di integrare le persone che arrivano nella nostra città, partendo dalla comunità stessa e dalle sue famiglie. Originariamente nata come associazione boliviana, perché al suo arrivo Matteo aveva e sentiva la necessità di far conoscere la sua cultura e le sue radici, per sé e la sua famiglia. Nel 2006 la necessità di aprire ad altre realtà latino americane le ha dato nuova forma.
Oltre alla dimensione culturale INTI cerca di curare e di andare incontro ai bisogni dei suoi associati, sori nel corso del tempo. Particolare attenzione alle esigenze delle famiglie e dei ragazzi, cercando di far conoscere a questi ultimi, se nati in Italia, la loro cultura e tradizioni di origine. L’associazione cerca anche di agevolare l’integrazione nella scuola, spesso difficile anche per i bambini nati in Italia; aiuta i nuovi cittadini con le pratiche burocratiche relativamente a permessi, ricongiungimenti familiari, domande di cittadinanza; li istruisce circa le leggi e gli adempimenti fiscali, i diritti e i doveri. INTI organizza anche corsi di lingua italiana, corsi di informatica di primo livello per la terza età, in collaborazione anche con altre associazioni, come il Gruppo Abele, che mettono a disposizione gli spazi adeguati. Per coinvolgere i ragazzi vengono organizzate gare di ballo di danze popolari latino americane, a cui partecipano spesso anche giovani da altre regioni italiane e altri paesi. La celebrazione di feste commemorative rappresenta un altro momento importante della vita associativa.
Gemma è una doula, una figura professionale che si occupa di sostenere e accompagnare le mamme durante il loro percorso di gravidanza, parto e post-parto, di solito fino al primo anno di vita del bambino o bambina, eventualmente si può occupare anche degli altri figli se ce ne sono.
Il tipo di sostegno che danno alle mamme varia in base ai bisogni, può essere emotivo o pratico, continuativo o saltuario. Si tratta però sempre di restare in ascolto e vicino alla mamma, incoraggiandola nelle scelte che compie e che sente come giuste, è un percorso di impoteramento delle mamme e di sviluppo della fiducia nelle proprie capacità genitoriali.
Si ripone profonda fiducia nel sapere femminile e si sostiene la mamma anche favorendo la creazione di una rete femminile intorno a lei, fatta di familiari, amicizie, una rete già esistente ma a cui si da stimolo e si incentiva la vicinanza, oltre che fornire anche una rete di figure professionali nel campo della neo-natalità e genitorialità che possono essere utili.
In breve quello della doula è un accompagnamento amichevole, una doula è come un’amica amica o sorella, il suo lavoro si basa su l'umiltà e l'ascolto amorevole, attento e attivo, senza giudizio, una persona al servizio della mamma.
Le doule si definiscono come custodi della nascita, che si formano attraverso cerchi di donne, che si ascoltano e si accettano.
Erre Musica è un'associazione che esiste dal 1996, con l’obiettivo di diffondere la musica tra le persone più giovani.
Marisa e Stefania, fanno entrambe parte dell’associazione, Marisa ne è la Presidente e Stefania, oltre a far parte del direttivo è un’ insegnante, laureata al Conservatorio in pianoforte.
Erre Musica organizza corsi musicali nelle scuole primarie e materne, sia corsi con strumenti, spesso mettendoli a disposizione degli studenti e delle studentesse, oppure corsi di coro, che permettono alle persone di avvicinarsi alla musica senza dover necessariamente affrontare la spesa di uno strumento.
I corsi sono sia individuali che collettivi, e si svolgono attraverso attività giocose per avvicinare i bambini, anche di 4-5 anni, alla musica.
Gli strumenti che si possono usare sono i più variegati, dal pianoforte fino al sassofono, la musica spazia dalla contemporanea al jazz.
Organizzano per gli studenti e le studentesse visite guidate nei luoghi più importanti della musica di Torino; al Teatro Regio per esempio, dopo una lezione propedeutica all’ascolto e una visita dietro le quinte, i ragazzi assistono a spettacoli di opera dedicati ai più piccoli.
Organizzano anche spettacoli e rassegne musicali, al conservatorio o alla Tesoriera, con giovani musicisti e musiciste internazionali di musica classica, contemporanea e jazz.
Edoardo ha 18 anni, vive a Susa (TO) e studia all’IISS Des Ambrois di Oulx (TO).
Il lato positivo dell’indirizzo grafica multimediale è il lavoro nelle attività pratiche, che si affianca, purtroppo come dice lui stesso, a quello teorico. Creano materiale audio-visivo, studiano regia in campo cinematografico e grafica del web per siti oppure profili social.
Le sue passioni sono gli sport adrenalinici: che “fanno battere il cuore”. Pugilato, mountain bike, sci e snowboard sono alcuni degli sport che glielo fanno battere! A questi si associano foto e video che produce per passione.
Il territorio offre spazi ed eventi a questi sport, ma la necessità, secondo Edoardo, è di creare momenti di promozione a questi sport che li facciano conoscere anche a chi non li pratica.
Edoardo pensa che la realizzazione di riprese e foto per il Comune di Oulx possa nascere con la giusta idea.
Il suo sogno, come per molti suoi coetanei, è di poter lavorare per di che gli piace: sport e fotografia.
Antonella, insieme al fratello gestisce l’Osteria Antiche Sere, un presidio in San Paolo fin dagli anni ‘90. La cucina è tradizionale piemontese, in un’atmosfera famigliare in cui non manca un’ottima scelta di vini.
Un posto che ricorda le vinerie di una volta, dove gli anziani si ritrovano per giocare a carte tutto il giorno, infatti Antiche Sere ha raccolto l’eredità proprio di uno di questi luoghi, mantenendo la vocazione casalinga.
Un piccolo tesoro è nascosto oltre le sale che accolgono gli ospiti, un bellissimo cortile con il soffitto di vite rossa, un oasi verde nel cuore del borgo.
Micaela è cresciuta nella circoscrizione 3, è una freelance e lavora nell’editoria, campo che ha scelto per il suo amore per i libri, si occupa di copy editing, traduzione, correzione di bozze e di revisione di traduzioni dall’inglese. E’ laureata in lingue e parla inglese, spagnolo, tedesco e francese.
L’educazione è il suo secondo settore lavorativo, soprattutto con bambini delle elementari e delle materne, gestisce doposcuola per bambini e si occupa di babysitting, ha aperto e gestisce un corso di inglese per bambini e si occupa di insegnare italiano agli stranieri.
Grazie alle sue esperienze di volontariato in contesti multiculturali, ha il desiderio di far nascere un progetto per i bambini e adulti che permetta l’incontro e lo scambio attraverso attività ludiche e creative.
L’idea sarebbe quella di far nascere uno spazio di aggregazione per bambini che sia un doposcuola come contenitore di tante altre attività, come laboratori creativi, di esplorazione del territorio, uno spazio multiculturale attraversato e attraversabile anche degli adulti, attraverso la lingua come momento di incontro e di scambio, anche attraverso il racconto, laboratori musicali e fotografici, usando anche il cibo come mezzo per incontrarsi.
Luca è presidente di Tilt Music, associazione culturale che si occupa di musica, nata nel 2018 dopo una lunga collaborazione con Associazione Comala dentro gli spazi della Ex Caserma La Marmora.
Tilt gestisce gli spazi musicali all’interno dell’ex caserma, si occupa dell'organizzazione delle sale prove e dei corsi di musica. Le lezioni possono essere individuali con strumenti come basso, batteria, pianoforte, chitarra, ecc.. o collettive come quelle di percussioni afro, si svolgono anche lezioni di musicoterapia e lezioni per bambini, ma restano aperti a qualsiasi tipo di richiesta.
Oltre alle lezioni di musica che spaziano tra diversi tipi di generi, a seconda della richiesta, come la musica pop, il jazz, fino alla musica classica, Tilt organizza anche rassegne musicali, concerti, eventi e iniziative di promozione sul territorio, cercando di creare un circolo virtuoso tra giovani studenti e studentesse, insegnanti e artisti e artiste, che passano dall’apprendimento all’insegnamento fino ad arrivare all’esibizione. In un circuito di collaborazione che coinvolge le famiglie, le associazioni e le comunità.
Il prossimo progetto in cantiere è l’apertura di un piccolo studio di registrazione con il desiderio per il futuro di far nascere una piccola casa di produzione.
L’azienda agricola Merlo, situata nella frazione di Argentera a Rivarolo Canavese, è nata negli anni ’60 ed è oggi gestita dalle sorelle Tiziana e Cristina. Accanto all’allevamento e alla vendita di carne di razza piemontese, è nato da alcuni anni il punto Bottega Coldiretti in cui trovano spazio differenti prodotti del territorio.
Negli anni il lavoro nell’azienda famigliare è molto cambiato sia con l’implementazione della meccanizzazione sia con l’utilizzo della tecnologia nella gestione della salute degli animali. Nonostante questi miglioramenti, la scelta di dirigere l’azienda agricola ha comportato grossi cambiamenti nella vita di Tiziana, ripagati però quotidianamente dalla risposta positiva dei clienti. Accanto alla tradizionale produzione, viene infatti portata avanti una continua educazione alla vita contadina e ai suoi ritmi anche con la possibilità di visitare gli spazi dell’allevamento e di poter vedere da vicino gli animali da cortile. Per il futuro Tiziana vorrebbe implementare questo percorso educativo attraverso la costituzione di reti con associazioni e rendere più sostenibile l’azienda tramite l’installazione di pannelli fotovoltaici.
Eufemia è un’associazione di promozione sociale, operante in campo nazionale e internazionale, si occupa di sviluppo di competenze, attraverso l'educazione non formale.
Giulia e Roberta, dentro Associazione Eufemia, si occupano di immaginare e gestire i tantissimi progetti che l’associazione porta avanti.
Le aree di sviluppo sono:
Area Digital: si occupa di promozione delle competenze digitali nelle scuole, attraverso la sensibilizzazione ad un uso consapevole dei social network e degli strumenti digitali in generale. Gestisce una scuola di alfabetizzazione digitale per sole donne, con lo scopo di creare una comunità di donne formata, per migliorarne le competenze e la competitività sul mercato del lavoro, oltre a facilitare i processi di inclusione sociale.
Area Food: si occupa di educazione all'alimentazione, di lotta agli sprechi e alla povertà alimentare e promuove la consapevolezza verso la filiera alimentare. Gestisce inoltre progetti di recupero del cibo invenduto nei mercati rionali, in un’ottica partecipativa, le famiglie partecipano attivamente al processo di raccolta e distribuzione, si crea quindi una dimensione comunitaria che dà vita ad altri progetti o momenti di comunità.
Quest’area si occupa anche dell'organizzazione di un laboratorio di cucina sociale, in collaborazione con il dormitorio di via Marsigli, l’obiettivo è permettere alle persone senza fissa dimora di ri-aquisire competenze nella preparazione dei pasti, mangiare sano e riscoprire i sapori e inoltre sviluppare una nuova dimensione relazionale.
Dentro agli spazi della Ex Caserma La Marmora, partirà un progetto di Cibofficina: uno spazio aperto dedicato al cibo, con fornelli pubblici a disposizione per chi volesse cucinare, ma anche per permettere a tutti e tutte di poter fruire di pasto caldo a prezzi calmierati, ci sarà inoltre un servizio di dispensa sociale, in cui verranno stoccate le eccedenze alimentari raccolte dai mercati e dal network di commercianti che aderiranno all’iniziativa.
L’area Food, come tutte le aree, si occupa anche di educazione e attività nelle scuole, con progetti dedicati alla sostenibilità ambientale, all’impatto dei rifiuti alimentari sull’ambiente, alla corretta alimentazione e a come ridurre i rifiuti anche attraverso acquisti più consapevoli.
Area Youth: si occupa di scambi internazionali, progetti di mobilità europea come Il Servizio di volontariato europeo (SVE), progetti di partenariato strategico e dialogo strutturato con i decisori politici (k2, k3) e il progetto Erasmus.
Area Social Arts: si occupa di cogestire il Teatro Marchesa in Barriera di Milano, organizza è gestisce progetti teatrali delle scuole, laboratori teatrali e spettacoli.
Area Serious Games: anche quest’area è dedicata ad attività educative, attraverso giochi e attività esperienziali si cerca di approcciarsi ad argomenti complessi, facendolo attraverso modalità bottom-up, l’apprendimento attraverso le proprie capacità. Lo scopo è la promozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, ad esempio vengono organizzate escape room a tema razzismo, cambiamento climatico e giochi di ruolo sul tema risorse e potere.
Questi giochi prevedono sempre una Call to action finale, una chiamata che incentiva a diventare parte attiva nella società.
Perché gli obiettivi principali di Eufemia sono la promozione di una cittadinanza attiva, la creazione di comunità e il coinvolgimento delle persone per il miglioramento della società.
Nicola e Pietro, con un gruppo di altri genitori, hanno fatto nascere la loro Cooperativa Vale un sogno 2, a partire dall’esperienza di una cooperativa di Verona a cui hanno chiesto di poter replicare il progetto a Torino.
Vale un sogno 2 - si occupa di persone con disabilità intellettiva e sindrome di down, sviluppando con loro un progetto di vita autonoma che abbraccia i tre ambiti della vita di ogni persona: lavoro, casa e tempo libero.
L’inserimento lavorativo viene fatto in collaborazione con aziende del territorio, disponibili a partecipare al progetto attraverso l’inserimento della persona nel proprio staff in azienda oppure appaltando la commessa lavorativa alla cooperativa stessa. In questo caso Vale un sogno 2, ha a disposizione un capannone, nel quale soddisfare la commessa dei clienti e nello stesso luogo, provvedere alla formazione in situazione dei ragazzi e delle ragazze grazie alla creazione di un Hub formativo.
Il progetto di vita autonoma prevede anche la vita in appartamento, dove i ragazzi e le ragazze, gradualmente e accompagnati da educatori e educatrici, imparano a vivere e a gestire una casa, in coabitazione con una o più persone.
La terza fase è un progetto di formazione allo svago, un laboratorio sul tempo libero in cui si impara a divertirsi e ad organizzarsi il proprio tempo facendo attività ludico- formative , come ad esempio andare al museo o a mangiarsi una pizza.
Questo tipo di progettualità prevede un accompagnamento e una formazione gratuita anche per le aziende che decidono di partecipare al progetto ed in questo modo di soddisfare i requisiti della legge 68.
L’obiettivo finale è permettere alle ragazze e ai ragazzi un pieno inserimento in società in autonomia.
La cooperativa prevede inoltre, il supporto di uno psicoterapeuta alle famiglie e ai caregivers, in modo che possano sentirsi aiutati nel difficile compito di insegnare l’autonomia ai propri figli senza farsi sopraffare dalla paura.
Meriem, arriva dal deserto del Marocco nel 2004 a soli 18 anni, inizia a frequentare il suo primo corso di italiano quando nasce suo figlio, inizia poi a collaborare con la scuola come mediatrice culturale.
Inizia a maturare in quel periodo il suo sogno di aiutare le donne straniere, sa che sono sole in un paese nuovo che non conoscono e la lingua è il primo grande scoglio da superare per iniziare qualsiasi processo di integrazione, senza capirsi non si sa come muoversi e si ha sempre bisogno di qualcun altro che ci aiuti, ma Meriem vuole che le donne imparino a cavarsela da sole, che diventino forti e indipendenti.
Grazie alla collaborazione con la Parrocchia San Bernardino, organizzano una festa in Via Dante di Nanni, in occasione della fine del Ramadan e della festa di parrocchia, una grande cena con più di 1000 persone, in questa occasione Meriem riesce a conoscere persone che le daranno una mano nella realizzazione del suo sogno.
Nasce così, La speranza - Al Amal, associazione che insegna italiano a donne straniere, che non solo imparano una lingua, ma fanno anche attività di artigianato insieme, come corsi di cucito o di maglia, insegna l’indipendenza, a ritagliarsi del tempo solo per loro e la possibilità di sognare un futuro per se stesse, diventano una famiglia e si aiutano l’una con l’altra, infatti l’associazione si occupa anche di dare supporto a donne maltrattate con l’aiuto di un’avvocata.
Per continuare ad aiutare le donne nella costruzione di una vita in Italia, Meriem apre una ditta di pulizie con cui poter dar lavoro alle donne della scuola.
Sonia Cosentino è la titolare del “Panificio-Pasticceria Alta Valle Susa” che si trova a Oulx, in Via Riccardo Ghiotti – frazione GAD. L’azienda, diventata di famiglia nel 2006, è stata aperta nel 1980.
Oulx è un “polo molto importante per l’Alta Valle Susa”, come lo definisce Sonia, cittadina di Oulx fin dalla nascita. È molto fornito di servizi sia per i residenti, sia per i cittadini, ma ha ancora molte potenzialità inespresse.
A seguito dell’emergenza sanitaria, molti turisti hanno riscoperto le bellezze della montagna, secondo Sonia.
Le criticità che Sonia riporta riguardano la mancata o scarsa comunicazione. La digitalizzazione, per la fascia di popolazione più anziana, ha portato alcune difficoltà nel semplice pagamento di una bolletta piuttosto che nell’accesso ad alcuni servizi. In questa direzione, le giovani generazioni sono una risorsa inutilizzata.
Ama leggere e andare al cinema, ci sono molte sale nei paesi limitrofi, che offrono le migliori anteprime!
Augusta lavora presso Enoteca Rizzollo, da quando aveva 15 anni, è un negozio storico nato nel 1970, in via Monginevro vicino all’ex Lancia.
Un posto che ha accompagnato il quartiere in tutte le sue trasformazioni, prima popolato dagli operai Lancia, poi attraversato dai “colletti bianchi” come li chiama Augusta per arrivare fino ad oggi, dove i clienti dell’enoteca sono intenditori e alla ricerca del prodotto regionale particolare.
Gianluca, il proprietario, ha raccolto l’eredità dei genitori e non ha cambiato l’anima del locale aperto negli anni ‘70, qui si continua a bere bene abbinando ottimo cibo, grazie all’esperienza della Sommelier Augusta.
Rosanna è entrata in Caritas circa vent’anni fa, appena raggiunta la pensione, ed è oggi una delle volontarie con maggiore esperienza al suo interno. Per individuare le esigenze sul territorio, all’interno dei locali in cui è presente l'ente caritatevole è stato istituito un Centro Ascolto a cui chiunque può accedere il lunedì e il martedì mattina e il mercoledì e il venerdì pomeriggio. I servizi che attualmente vengono offerti sono la distribuzione di vestiario, di alimenti, di farmaci e il sostegno economico per il pagamento di bollette e affitti. A ciò si aggiunge il corso di lingua italiana per persone straniere tenuto dai volontari del Buon Samaritano, un’associazione sorta all’interno di Caritas. Nell’ottica di inserirsi in tutti i contesti in cui si individua un bisogno, i volontari si occupano anche la stesura del CV, collocandosi tra chi cerca e chi offre lavoro, soprattutto nell’ambito dell’assistenza familiare.
Per cercare di coprire la molteplicità dei servizi e soddisfare le richieste, è anche molto intensa la collaborazione con i volontari di altre associazioni sul territorio, in particolar modo durante il periodo pandemico quando la distribuzione dei prodotti di prima necessità avveniva a domicilio. Attualmente la distribuzione di alimenti avviene grazie al sostegno del Banco Alimentare e alla donazione di prodotti da parte di alcuni supermercati locali ma, così come per il vestiario, la Caritas è aperta alla donazione di tempo e denaro da parte di chiunque abbia la possibilità, in modo da poter sviluppare nuovi servizi, come la creazione di un alloggio da utilizzare in situazione di sfratto.
Eva è attualmente insegnante presso il CPIA (Centri provinciali per l’istruzione degli adulti) di Rivarolo, in cui oltre ad insegnare inglese si occupa soprattutto di integrazione. Il suo percorso lavorativo è molto vario e articolato, ma il fil rouge rimane costantemente la necessità di restare accanto al mondo della letteratura e di non annoiarsi. Dopo l’iniziale gestione di un ristorante a Torino con alcuni soci, in cui venivano proposti eventi e concerti, Eva ha insegnato letteratura ispanoamericana all’università e ha collaborato con Il Circolo dei Lettori e con il Premio Grinzane Cavour, occupandosi dell'accoglienza degli ospiti stranieri.
Nata e cresciuta a Rivara, ha vissuto gli anni universitari a Torino, città di cui sicuramente le manca la varietà degli eventi culturali, del divertimento e la possibilità di instaurare relazioni interpersonali soddisfacenti. Ammette infatti, quasi divertita, che i tempi per riuscire a prendersi un caffè in Canavese con qualcuno si aggirano attorno all’anno.
Assieme al marito, decide di spostarsi nuovamente nella casa di famiglia, spinta soprattutto dalla necessità di permettere alle figlie di passare più tempo possibile con i nonni materni, in un ambiente pulito e in cui si potesse raggiungere i servizi a piedi. È tuttavia consapevole di molte mancanze nel territorio canavesano, in primis della rete, intesa come conoscenza reciproca delle varie realtà, con conseguente difficoltà a trovare soluzioni comuni in un territorio non più ricco come un tempo. A ciò si aggiunge la scarsità dei trasporti pubblici, penalizzando chi, come molti dei suoi studenti, non possiede un mezzo proprio per potersi spostare.
Forte sostenitrice della mente sana in un corpo sano, ha sempre praticato sport: pallavolo per tanti anni, danza di vari generi, arrampicata, e adesso è approdata alla ginnastica acrobatica aerea, che è diventata un’importante valvola di sfogo. Con il marito e le figlie condivide la forte passione per la camminata in montagna.
Daniele è un insegnante dell'istituto superiore Itis Des Ambrois di Oulx. Secondo Daniele i ragazzi sono molto interessati a fare pratica, a provare e sperimentare gli attrezzi del mestiere. Dopo il periodo difficile che abbiamo vissuto legato al Covid-19, i giovani si sono un po' isolati. Hanno voglia di comunicare, di dimostrare, di mettere in atto. I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di incontrarsi, di avere una vita sociale, di momenti di aggregazione. Avere occasioni extra scolastici, hanno bisogno di conoscenza, di comunicazione. Sul territorio mancano i cinema, mancano luoghi legati alla cultura, all'opera artistica. Uno spazio nel quale i giovani si sperimentano come artisti. Daniele è un insegnante ma è anche un musicista e regista di musical. Questa è un'occasione per lui di coinvolgere i ragazzi anche in altri ambiti extra scolastici. E' un batterista, suona in una band tributo ai Queen. Fa concerti e questo gli permette di avere un'altro mondo in cui esprimere le sue passioni. Per Daniele il punto di forza della scuola in cui lavoro è il ventaglio di indirizzi scolastici che possiede, è un fiore all'occhiello della Valle. Daniele invita i ragazzi a "uscire di casa, a documentare ciò che vedono, ciò vogliono essere, il loro punto di vista, quello che solo loro sanno e conoscono"
Giulia e Giulia si sono conosciute durante una lezione in prima liceo scoprendo, oltre al nome comune, di essere entrambe dell’Acquario, essendo nate a distanza di un giorno. Da allora non si sono più separate. Oggi, entrambe studentesse universitarie a Torino, a Lettere Moderne e a Farmacia, portano avanti un progetto nato circa due anni fa e in cui hanno riversato due grandissime passioni: la scrittura e la fotografia.
L’idea è esplosa quasi per caso grazie ad un corso di geografia umana e culturale e oggi si è concretizzata nella collaborazione con la rivista Erodoto 108. Il progetto "Un passo verso di noi" parte dalla necessità di raccontare i luoghi cari, lo sfondo della vita quotidiana, le montagne e il Parco Nazionale del Gran Paradiso. Da una parte è forte l’urgenza di diffondere una maggiore consapevolezza, cercando di incentivare la tutela ambientale. Ma anche di ricordare, soprattutto ai coetanei e alle persone più giovani, che il giorno perso è quello dietro ad uno schermo e non quello passato a camminare in montagna, in cui raggiungere nuovi spazi permette di mettersi in gioco e di arrivare all’inesplorato. "Un passo verso di noi" è proprio questo: il noi è al contempo origine e arrivo, raggiungibile proprio attraverso il cammino.
L’invito che le due ragazze fanno è di non fermarsi al racconto dei luoghi, ma di recarvisi, scoprendo quanto la natura sia mutevole in forma e colore, valorizzando in prima persona i diversi territori. Gli obiettivi per il futuro sono tanti: ampliare lo sguardo, riuscendo a raccogliere in un blog personale i racconti di nuove mete, anche suggeriti da altri appassionati viaggiatori, laurearsi e riuscire a coltivare le passioni, magari trasformandole in un lavoro. Ammettono infatti, un po' divertite "fotografia e scrittura fanno parte di noi, anche se le abbandonassimo, in qualche modo ci riacchiapperebbero, sono un po' come le calamite della nostra vita".
Daniele ha solo 26 anni, eppure è già riuscito a far cambiare direzione alla propria vita, più volte.Cresciuto in un ambiente famigliare improntato all'impresa e alle istanze dell'integrazione sociale, ha assecondato con gli studi la propria inclinazione verso il bello, dedicandosi al design.Ma la giovane età e una contingenza particolarmente poco felice, quella che ha fatto coincidere la fine degli studi e quindi il presunto ingresso nel mondo del lavoro con la pandemia che ha bloccato il mondo e l'Italia, lo hanno costretto a fermarsi e a ripensarsi. Proprio il lockdown ha fornito l'occasione di rivedere gli arredi di casa, e da lì è scoccata una scintilla: l'amore per il restauro dei mobili, specie di modernariato, che oggi sta diventando un vero lavoro, accompagnato da un talento autentico. Che non è l'unico, perchè Daniele, oltre a essere stato atleta a buoni livelli nel nuoto e soprattutto nella pallanuoto, ama (e sa) anche scrivere: si occupa di comunicazione sul web, e nel cassetto ha almeno cinque libri già completati, lo stesso cassetto che, in alcuni dei mobili che restaura a nuova vita, gli regala ogni tanto qualche sorprendente pezzo di vita dei vecchi possessori dell'arredo, e che a sua volta può divenire lo spunto per un racconto da scrivere...
Antonio, sposato con Francesca da mezzo secolo, rappresenta la metà della mela più incline al sorriso e al buonumore. Ma anche alla fatica: emigrato dalla Puglia quando era un bambino insieme al resto della famiglia, ha dovuto lavorare duro per mantenere innanzitutto la primogenita e poi le due gemelle, arrivate un po' all'improvviso, quando la già impegnativa attività di operaio in fabbrica non bastava più.Ma per fortuna sua e della famiglia, Antonio è quel genere di uomo che sa fare un po' di tutto con le proprie mani: imbiancare, aggiustare muri e tubi, un autentico factotum. E anche un nonno felice e realizzato, che oggi può permettersi di dedicare molto del suo tempo ai nipotini, o a qualche ora in compagnia al centro d'incontro, o a dare una mano in casa ai suoi generi, mitigando in questo modo il rammarico per il tempo che passa e svuota le stanze dalla presenza dei figli.
Madre di 3 figlie, nonna di 5 nipoti, sorella di 7 fratelli: la famiglia è l'elemento che condiziona e modella l'intera vita di Francesca, con le sue gioie e i suoi dolori, con forti legami e con rapporti che il tempo cambia o cancella. Pensando a questi ultimi, Francesca si emoziona spesso mentre ne parla.Così come mentre racconta delle sue esperienze come parrucchiera e come sarta, la lacrima è piuttosto facile a scendere. Eppure, Francesca lo ripete spesso, il suo carattere è forte, rigido, battagliero: ha portato avanti le proprie ragioni, per esempio per poter entrare nella casa in cui vive ormai da molti anni, con grande costanza; ed è molto attiva nella cura dello stabile e del circondario, una cura che riguarda tanto il luogo inteso come spazio fisico, quanto quello della piccola comunità che lo abita. Uno spazio per il quale vorrebbe vedere più attenzione da parte di tutti, residenti e pubblica amministrazione, con cura delle superfici, dell'illuminazione, della raccolta rifiuti.
Lasciare casa non si fa mai a cuor leggero, ancor meno semplice è se si è molto giovani. E quando Adnan ha salutato la mamma e i fratelli, partendo dal Pakistan diretto verso una vita che sperava migliore, non era ancora maggiorenne.Dopo soli 6 anni, però, di cui una parte trascorsa all'interno di un centro di accoglienza sito in via Foligno n. 14, Adnan ha ottenuto il permesso di soggiornare in Italia, ha appreso alla perfezione una lingua, ha imparato più mestieri (per esempio, è un fornaio provetto), è diventato mediatore culturale, ha fondato un'associazione che si propone di sostenere e aiutare i connazionali in Piemonte, collabora con altri enti che si occupano di cultura, e ha aperto una ditta con cui già riesce a dare lavoro ad altre persone. Ha insomma completato un percorso d'integrazione da manuale, e si sente ormai completamente italiano. Per esserlo, gli manca solo una cosa, non da poco: la cittadinanza.Sa di essere cresciuto in fretta, di aver perso molto della sua giovinezza e di rappresentare il principale sostegno per la famiglia; ma ha trovato passioni, come la politica, e amici veri, in questa sua seconda vita.
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